#iorestoacasa: la seconda puntata delle “Passeggiate del Direttore” del museo Egizio di Torino ci fa conoscere la dea Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto
La seconda puntata delle “Passeggiate del Direttore”, nel rispetto delle disposizioni governative che hanno portato alla chiusura del museo e all’iniziativa #iorestoacasa, ci porta a conoscere la dea Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto. Il direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco, parte dalla figura di Vitaliano Donati, professore di Botanica alla regia università di Torino, che nel 1759 viene mandato dal re Carlo Emanuele III in Egitto alla ricerca di antichità in grado di spiegare le peculiarità della Mensa Isiaca (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/03/19/iorestoacasa-il-museo-egizio-di-torino-ufficializza-le-passeggiate-con-il-direttore-christian-greco-ogni-giovedi-e-sabato-su-yuotube-si-inizia-con-legitto-e-i-s/). Da questa missione arrivano a Torino (dove Donati non farà più rientro, perché muore su una nave diretta a Calcutta) circa seicento oggetti, alcuni ancora oggi oggetto di studio, tra i quali sicuramente c’erano tre statue monumentali: quella di Ramses II (vista nella prima Passeggiata), quella di Sekhmet, e quella della dea Iside ritrovata a Copto. Il museo Egizio conserva ben 21 statue della dea Sekhmet.
Quella trovata da Vitaliano Donati è una Sekhmet assisa che proviene dal cosiddetto Tempio di Milioni di Anni di Amenofi III. Questo tempio è noto a tutti gli appassionati di Egittologia, ma con un altro nome: il tempio dei colossi di Memnon, che era un principe etiope, ricordato da Omero, che muore durante la guerra di Troia. “Che ruolo ha Memnon con l’Egitto?”, si chiede Greco. “Assolutamente nessuno. Infatti quel nome venne dato a quei colossi durante l’età greco-romana per un particolare fenomeno: queste statue monumentali al mattino, quando arrivava la prima luce dell’alba, emettevano un sibilo dovuto all’alterazione della pietra per l’escursione termica tra la notte e il giorno. Gli antichi pensavano che fosse la dea Eos, la dea dell’Aurora, che lamentava la morte del figlio, Memnon. Quindi è un mito greco applicato a una statua egizia che tuttora dà il nome a uno dei siti più importanti che si visita quando si va a Tebe”. All’interno di quel tempio il faraone Amenofi III fece erigere una serie di leonesse, simbolo della dea Sekhmet che significa “la Potente”.

La statua della dea Sekhmet, proveniente dal tempio funerario di Amenifi III, parte del nucleo di antichità egizie recuperato da Vitaliano Donati (foto museo Egizio)
“La dea Sekhmet ci riporta ad alcuni miti cosmogonici iniziali dell’Antico Egitto. Ci raccontano che il dio Ra invia il suo occhio per punire il genere umano, e questo occhio prende la forma di leone, che inizia a uccidere gli uomini che non sono riconoscenti nei confronti degli dei. Ma il dio Sole (Ra) si rende conto che così facendo il genere umano potrebbe estinguersi. La dea Sekhmet, la leonessa, dea solare legata quindi al dio Sole/Ra, è diventata molto assetata di sangue umano e quindi uccide gli uomini per berlo. “Il dio Ra per placarla decide di ingannarla: le fa bere – secondo alcune fonti – della birra colorata di rosso, secondo altri del vino, che Sekhmet beve avidamente pensando sia sangue. Così si ubriaca e si addormenta, e in questo modo si placa. Ma perché la sua forza potrebbe tornare, specie in estate quando la temperatura si alza: è allora che Sekhmet potrebbe ancora spargere pestilenze, malattie, guerre. Per questo è importante placarla. E Amenofi III fa qualcosa di meraviglioso: fa erigere una statua della dea Sekhmet, alcune sedute altre in piedi, per ogni giorno dell’anno, e fa sviluppare un rituale per rendere mansueta la Sekhmet: ogni giorno si portano offerte davanti a una statua, cosicché la dea non infierisca più sul genere umano”.

La statua della dea Iside da Copto recuperata da Vitaliano Donati per il museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)
La terza statua importante che Vitaliano Donati porta dall’Egitto è quella di Iside proveniente da Copto. Presenta tutti gli elementi tipici della XVIII dinastia, dalla fronte ribassata al naso ricurvo agli occhi a mandorla alle labbra carnose. In mano tiene lo scettro che indica la stabilità. Grazie a Vitaliano Donati, il museo Egizio nel 1759, quarant’anni prima della spedizione napoleonica in Egitto, poteva già contare su un nucleo di seicento antichità egizie, tra le quali le tre statue monumentali – appena descritte – tutte appartenenti al Nuovo Regno: la statua di Ramses II (1250 a.C.), la statua di Sekhmet (dell’epoca di Amenofi III, XVIII dinastia), e la statua di Iside (datata alla XVIII dinastia), che rappresenta il volto della regina Tiy, moglie di Amenofi III, nonna di Tutankhamon.
#iorestoacasa: il museo Egizio di Torino ufficializza le “Passeggiate” con il direttore Christian Greco: ogni giovedì e sabato su Yuotube. Si inizia con “L’Egitto e i Savoia”: ecco perché Torino è legata indissolubilmente alla civiltà dei faraoni
Le “Passeggiate” col direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco, già le conosciamo. Nelle ultime settimane, tra la prima chiusura provvisoria del museo e la chiusura per decreto nell’emergenza coronavirus, il direttore era già arrivato nelle case di tutti gli appassionati facendo conoscere alcuni reperti della ricca collezione di Torino (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/03/17/iorestoacasa-il-museo-egizio-di-torino-e-chiuso-cosi-il-direttore-christian-greco-porta-il-museo-nelle-case-degli-appassionati-con-passeggiate-che-focalizzano-su-reperti-esposti-n/). Ma ora sono ufficiali. Da oggi, giovedì 19 marzo 2020, sono su Youtube le “passeggiate del Direttore”. La prima puntata di una nuova produzione video del Museo Egizio in cui Christian Greco porta su Youtube il format delle sue visite guidate alla collezione. Una delle visite speciali più apprezzate del museo Egizio e rappresentato dalle “passeggiate del Direttore”, un appuntamento mensile per un gruppo di 30 persone che, su prenotazione, possono visitare la collezione guidati dal direttore Christian Greco che, ogni volta, sceglie a sorpresa un differente approfondimento tematico. Dinanzi alla momentanea e forzata chiusura delle sue sale, il museo Egizio apre a tutti questa ambita opportunità riproponendo la formula in versione digitale: da oggi sarà sufficiente collegarsi online per scoprire i reperti dell’antico Egitto in compagnia del Direttore attraverso una serie di video fruibili dal proprio device. Prima di questa “ufficializzazione”, lo scorso week end sono uscite due brevi “Passeggiate”. Vediamole.
In questa “Passeggiata” il direttore Greco ci porta a conoscere i papiri di Deir el Medina con alcuni testi documentali molto importanti per il museo Egizio. Tra questi, uno dei più famosi è il cosiddetto “papiro dello sciopero”: siamo nell’anno 29 del regno di Ramses III e i lavoratori il giorno 10 della stagione dell’inondazione si rifiutano di lavorare perché sono già passati 18 giorni senza aver ricevuto né pani, né vettovaglie, né unguenti (la paga era in natura). Così lasciano la valle dei Re, dove stavano lavorando, e si rifugiano al tempio funerario di Thutmosi III perché lo si faccia sapere al faraone. Proprio da questi papiri vien fuori la vita e l’organizzazione del villaggio di Deir el Medina in tutti i suoi aspetti.
La “Passeggiata” di questa sera il direttore Greco descrive il sarcofago di Hor, che si trova alla fine della Galleria dei Sarcofagi. È il cosiddetto sarcofago “a pilastrini”, una tipologia che si diffonde a partire dall’VIII sec. a.C., riprendendo una tipologia conosciuta già dagli albori della storia egizia. Questo sarcofago presenta un “cosmogramma” con tutte quelle azioni che devono essere intraprese per garantire la sopravvivenza del defunto nell’Aldilà.
Ad annunciare la nuova iniziativa, è stato lo stesso direttore Christian Greco con un trailer. “Da sempre ritengo che il museo Egizio debba essere un patrimonio condiviso e appartenente a tutti”, spiega, “e in questo momento, in cui siamo chiusi al pubblico e costretti a rimanere nelle nostre case, è per noi doveroso renderci comunque accessibili e metterci a disposizione della comunità. Questo è lo spirito e l’obiettivo di questa operazione: un regalo, a chiunque ne abbia voglia, per conoscere insieme a me la nostra collezione, capire la storia dei reperti che qui sono arrivati e che da quasi 200 anni il museo conserva”. Con due puntate settimanali di circa 8 minùti, messe a disposizione sul canale YouTube del museo ogni giovedì e sabato, nel corso dei prossimi mesi di marzo e aprile si andrà così a comporre una narrazione completa delle sale condotta da Christian Greco. Oltre alla nuova iniziativa, sono già numerosi i contenuti fruibili dagli utenti del web per visitare la collezione del museo Egizio da remoto: tra questi, brevi video auto-prodotti da curatori ed egittologi, disponibili su Instagram nella collezione #iorestoacasa, che comprendono piccoli tutorial, lezioni e consigli di lettura; la serie di video “Istantanee dalla collezione”; video dedicati alle analisi scientifiche della mostra “Archeologia Invisibile”, di cui è inoltre disponibile un tour virtuale a cui si può accedere dal sito del Museo. Modalità diverse e concrete con cui il museo apre le porte a tutti – virtualmente – con contenuti divulgativi e accessibili. Tutti i materiali sono disponibili sul canale Youtube del Museo e sui social.
La prima “Passeggiata” ufficiale con il direttore Christian Greco ci porta agli esordi della collezione egizia di Torino spiegando il rapporto dell’Egitto con i Savoia. Il benvenuto lo dà la statua in granito rosa di Ramses II, tra le prime opere giunte al museo, portata nel 1759 insieme ad altre 600 antichità da Vitaliano Donati, inviato dai Savoia in Egitto. Ma l’oggetto che in qualche modo aprì la tradizione egizia a Torino fu la Mensa Isiaca, arrivata nel 1626. La Mensa Isiaca è un pezzo eccezionale, egittizzante, una mensa d’altare del tempio della dea Iside in Campo Marzio a Roma, realizzata in Campania o a Roma nel I sec. d.C., e che testimonia il diffondersi nell’impero di questo culto orientale della dea Iside che garantiva ai suoi seguaci una vita nell’Aldilà. Greco ripercorre le vicende rocambolesche che hanno interessato la Mensa Isiaca, una tavola in bronzo, un materiale prezioso, che è riuscita ad arrivare fino al Rinascimento senza essere fusa, superando anche il sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi nel 1527, finendo in casa del cardinal Bembo che l’acquistò da un rigattiere. La Mensa Isiaca passò nelle collezioni Gonzaga, acquistata dal duca Vincenzo I, e intorno al 1626 arrivò a Torino. “La Mensa Isiaca permise ai Savoia di dare un mito alla città di Torino, da pochi decenni divenuta capitale del regno sabaudo, che ne legittimasse il suo ruolo: quale mito migliore di dire che Torino era stata fondata dagli Egizi! C’era il toro Api insito nel nome stesso di Torino, l’arrivo della stessa Mensa Isiaca, il ritrovamento del tempio di Iside nel sito di Industria, antica colonia romana, oggi nel territorio della città metropolitana di Torino, favoriscono questo mito. È da questo momento che la Casa dei Savoia si lega imprescindibilmente all’Egitto e pensare che Torino diventi per sempre la capitale dell’Egittologia internazionale”.
Torino. Il museo Egizio apre al pubblico nuovi spazi dedicati al racconto della propria storia: allestite cinque nuove sale, fra cui quella dedicata alla fedele ricostruzione di un ambiente museale dell’800
Al museo Egizio di Torino inedito percorso biografico nell’allestimento di cinque nuove sale, fra cui quella dedicata alla fedele ricostruzione di un ambiente museale dell’800. La costante opera di ricerca e di indagine che caratterizza l’attività scientifica dell’equipe del museo Egizio di Torino, negli ultimi anni ha intensamente coinvolto anche l’ambito archivistico, offrendo, fra gli altri, elementi utili a meglio tratteggiare le vicende storiche dell’istituzione culturale torinese, nonché a rileggere pagine dell’egittologia che l’hanno vista al centro della scena fin dall’800. Nasce da qui il bisogno di dare un’altra forma e, soprattutto, maggiore sostanza a queste sale, fornendo una esaustiva e articolata risposta al quesito che inevitabilmente ci si pone varcando la soglia dell’edificio al numero 6 di via Accademia delle Scienze: perché il museo Egizio è a Torino?
A meno di cinque anni dall’aprile del 2015, quando fu svelata al pubblico la nuova configurazione del museo Egizio, frutto dell’imponente opera di rifunzionalizzazione che ne aveva trasformato gli spazi e ripensato la disposizione della collezione, le superfici all’interno dell’ex Collegio dei Nobili si arricchiscono ora di un ulteriore e significativo ampliamento del percorso espositivo. “Si tratta di un importante intervento strutturale”, spiegano all’Egizio, “realizzato nel corso dell’autunno, che ha per protagoniste le cosiddette “sale storiche” con cui i visitatori iniziano il percorso al piano ipogeo, laddove l’itinerario alla scoperta dell’antico Egitto è introdotto da un racconto sulle origini del museo stesso. Una narrazione proposta ora in una modalità rinnovata, approfondita e interattiva, grazie al completo riallestimento che ha articolato tale area in cinque inediti ambienti, uno dei quali destinato ad ospitare la fedele ricostruzione di una sala così come si presentava nell’800”.
“Dopo quasi 200 anni di storia il museo Egizio continua a caratterizzarsi come un’istituzione dinamica e in continuo fermento”, interviene Evelina Christillin, presidente del museo Egizio. “Il riallestimento delle sale che introducono la visita con il racconto delle origini di questa collezione, costituisce un’occasione preziosa per riscoprire e approfondire le profonde connessioni tra la storia di questo luogo e quella del territorio che lo ospita, nonché a collocarla all’interno del più generale contesto socio-culturale nazionale e internazionale. Un progetto particolarmente significativo lungo il percorso di avvicinamento al bicentenario del Museo Egizio che celebreremo nel 2024 e per il quale siamo già all’opera per sviluppare un’opportuna concertazione con il Mibact, la Soprintendenza, gli enti del territorio e gli altri soggetti coinvolti”. E il direttore Christian Greco: “L’esigenza di intervenire sull’assetto espositivo a meno di cinque anni dal riallestimento della collezione pone le sue basi nella natura stessa di un museo e dell’Egizio in particolare: questo è un luogo vivo, in continuo divenire, che muta e si evolve in virtù dei risultati della ricerca e del suo essere parte attiva della comunità. Cambiare e adeguare se stessi è quindi una naturale vocazione per un’istituzione come la nostra. Per questo importante progetto la ricerca rappresenta ancora una volta il punto di partenza per la nostra attività espositiva. Grazie al lavoro svolto dai nostri curatori sugli archivi, infatti, il nuovo percorso espositivo sviluppa ed espande la narrazione sulla storia del Museo, con elementi utili a rappresentare il contesto culturale al cui interno si è sviluppata. Tale scelta ha permesso di affiancare alla narrazione principale altre storie, che finora non erano state approfondite all’interno dell’esposizione, che, tra l’altro, contribuiscono a inserire la vicenda torinese nel quadro più complesso della realtà egiziana ed europea”.
Descrivere la storia del museo Egizio di Torino significa ripercorrere un cammino che muove i suoi passi iniziali circa 400 anni fa, quando le prime antichità egizie approdano a Torino per volere dei sovrani di Casa Savoia, alla ricerca di ciò che oggi definiremmo uno “storytelling”, radicato nel mito, che ne legittimasse il potere. Un ruolo, quello della monarchia sabauda, che sarà poi determinante nel 1824, con la decisione del re Carlo Felice di acquistare la collezione Drovetti, facendone il nucleo fondante del museo, che nasce così in quello stesso anno.
Il nuovo percorso storico è stato modellato attorno agli studi condotti all’interno del museo Egizio dal curatore Beppe Moiso e dall’archivista Tommaso Montonati ed è impreziosito e reso di agevole fruizione da un raffinato progetto di comunicazione visiva, realizzato dagli uffici del Museo in collaborazione di Nationhood per i prodotti multimediale, con il ricorso a immagini d’archivio – antiche litografie, stampe e fotografie d’epoca – nonché a una serie di video e supporti digitali che si incontrano esplorando le cinque sale.
Alla prima di esse spetta il compito di illustrare la fase in cui tutto ebbe inizio, a partire dalle ragioni del rapporto tra Torino e l’antico Egitto. Un’introduzione affidata ai depositari di questa vera e propria epopea, ossia quei reperti giunti da antesignani sulle rive del Po: ad accogliere il visitatore nella nuova area è l’imponente statua di Ramses II, dopo la quale si svelano la Mensa Isiaca, pregevole tavola metallica di provenienza romanica, e via via gli altri reperti che testimoniano la genesi della collezione, fra cui la riproduzione della testa con segni cabalistici, visualizzata in 3D su un apposito schermo, conservata ai musei Reali, presso il museo di Antichità di Torino.
Il cammino prosegue poi, dopo aver approfondito il fondamentale contributo delle figure chiave di Vitaliano Donati e Bernardino Drovetti, tratteggiando lo sviluppo della “Egittomania” in epoca Napoleonica, nata sull’onda della spedizione lungo il Nilo delle truppe francesi, che lo stesso Bonaparte aveva voluto fossero affiancate da oltre 150 Savants, studiosi di varie discipline provenienti dalle Università francesi, con una decina di disegnatori. Proprio il lavoro di questi ultimi, confluito negli undici volumi della famosa Description de l’Ègypte, viene qui messo a disposizione del pubblico in formato digitale, per mezzo di un monitor touchscreen che consente di scorrerne le pagine della seconda edizione, stampata tra il 1821 e il 1829.
Sulla parete opposta allo schermo si estende il suggestivo e scenografico riallestimento del libro dei morti di Iuefankh, papiro la cui lunghezza sfiora i 19 metri, esposto corredato da un apparato infografico che ne percorre e descrive minuziosamente l’intero sviluppo, sulla base degli studi compiuti dalla curatrice e filologa del Museo, Susanne Töpfer, consentendo al visitatore di osservare da vicino e comprendere i disegni e le formule che compongono questo straordinario reperto.

Gli scavi nell’area del tempio di Eliopoli della Missione Archeologica Italiana tra il 1903 al 1905 (foto museo egizio)
Nella prosecuzione del percorso espositivo numerosi sono gli elementi che restituiscono il clima del tempo, e il fervore sviluppatosi attorno all’antico Egitto e ai suoi reperti in quegli anni pionieristici per l’egittologia: in tal senso, di particolare interesse appare l’inedita sezione dedicata al contesto europeo ed egiziano, che permette di comprendere in che modo la collezione torinese si inscriva entro un quadro più generale di grande interesse per la nascente disciplina. Ma altrettanto fondamentale per comprendere il museo Egizio di Torino risulta essere la conoscenza di fasi storiche dense di entusiasmo, come accade con il racconto della M.A.I. – Missione Archeologica Italiana in Egitto e della direzione di Ernesto Schiaparelli, oppure il ricordo di momenti cupi quali gli anni del Fascismo e l’impatto sul museo della Seconda Guerra Mondiale.

Le due tele di Lorenzo Delleani del 1871 con il museo Egizio e il museo di Scienze naturali (foto museo egizio)
Entrare in una sala del museo Egizio dell’800. Uno degli aspetti che si è inteso approfondire, nell’ottica di offrire al pubblico un’esperienza immersiva reale, è quello relativo alla storia delle modalità espositive della collezione egittologica torinese, della loro evoluzione nel tempo: per introdurre il visitatore nell’autentica atmosfera ottocentesca e far meglio comprendere l’aspetto del museo di allora, è stata realizzata una sala che riproduce puntualmente l’allestimento di quegli anni, che rende più che mai evidenti il gusto e i canoni museali dell’epoca. In quel periodo le antichità in pietra e le statue erano collocate al piano terreno dell’edificio, come documentato da un acquerello di Marco Nicolosino, mentre il resto stava ai piani superiori, come invece illustrano le due tele di Lorenzo Delleani, rispettivamente del 1871 e 1881, che immortalano due momenti allestitivi distinti con vetrine di tipo diverso.
La ricostruzione storica ha pertanto preso a modello proprio la testimonianza pittorica del 1871: al piacevole disordine che caratterizza l’ambiente, ancora inteso quale luogo di studio più che sala museale, con reperti sparsi sul pavimento, si contrappongono severe vetrine a parete ingentilite da una delicata colorazione pastello; in alcuni casi sono esposte le medesime antichità, nel tentativo di trasmettere al visitatore il fascino di vivere la stessa esperienza di chi lo ha preceduto di 150 anni. Gli oggetti sono sistemati all’interno di alcune vetrine ottocentesche e, come allora, sono privi di didascalie, segno di una fruizione ancora riservata a pochi. Il centro della sala ospita una vetrina storica con all’interno il Canone Regio, un preziosissimo papiro che ha contribuito alla ricostruzione della cronologia egiziana antica. A fianco una mummia ancora completamente bendata all’interno del suo sarcofago. Tutto intorno altre teche, appartenenti al primo allestimento, contengono oggetti di culto e di uso quotidiano. Una parete intera è dedicata all’esposizione delle stele funerarie, in pietra e in legno. È infine possibile vedere – grazie al prestito dei musei Reali di Torino – una selezione delle oltre 3000 medaglie e monete di epoca tolemaica e romana che fanno parte della collezione riunita da Bernardino Drovetti.
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