Siracusa. Al museo Archeologico regionale “Paolo Orsi” la mostra “Lo regno della morta gente. La necropoli meridionale di Megara Hyblea”: esposti per la prima volta i reperti provenienti dagli scavi dell’École française de Rome, finora conservati nei depositi del museo, illustrando le diverse tipologie di sepolture a Megara Hyblaea

Locandina della mostra “Lo regno della morta gente” al museo Archeologico regionale “Paolo Orsi” di Siracusa dall’8 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023
Una nuova mostra da non perdere al museo “Paolo Orsi” di Siracusa. Sabato 8 ottobre 2022 aperta la mostra “Lo regno della morta gente. La necropoli meridionale di Megara Hyblea” che espone per la prima volta i reperti provenienti dagli scavi dell’École française de Rome, finora conservati nei depositi del museo, illustrando le diverse tipologie di sepolture a Megara Hyblaea, le pratiche funerarie, le sepolture dei bambini, un vero e proprio salto nel tempo per indagare attraverso il mondo dei defunti, la società dei vivi della colonia megarese. La mostra, visitabile (ingresso gratuito) fino all’8 gennaio 2023 (dal martedì al sabato, 9-18; domenica e festivi nella fascia, 9-13), è curata dall’archeologa Anita Crispino, del parco archeologico di Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai, e da Reine Marie Bérard, ricercatrice CNRS Centre Camille Jullian di Aix-en-Provence, e si propone come una nuova occasione per illustrare la lunga collaborazione tra la missione archeologica francese a Megara Hyblaea e il museo Archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa. La mostra sarà accompagnata da un ricco catalogo curato dalla stessa Bérard. La mostra, divisa in sette sezioni, illustra i risultati di indagini attente a tutti gli aspetti connessi al seppellimento in età greco arcaica: oggetti personali, vasellame, monili, esposti per la prima volta, raccontano ai visitatori un segmento della vita degli abitanti della polis greca di Megara Hyblaea. Un’occasione particolarmente interessante che cerca di mettere in luce alcuni aspetti della vita e della morte degli antichi Greci relativi a questa famosa città siciliana, visti attraverso le testimonianze offerte dall’archeologo che li ha studiati; reperti provenienti dagli scavi della necropoli, custoditi presso il Museo e di cui solo una piccola parte era stata fino ad oggi proposta al pubblico.

Veduta dall’alto del sito archeologico di Megara Hyblaea, 20 chilometri a Nord di Siracusa (foto luigi nifosi / regione siciliana)
L’esposizione interessa la necropoli meridionale di Megara Hyblaea. Il sito di Megara Hyblaea, 20 km a Nord di Siracusa, fu occupato dai Greci a partire della seconda metà dell’VIII secolo a.C. Meno di tre secoli dopo, all’inizio del V secolo a.C., la città fu presa da Gelone, tiranno di Siracusa, che vi trasferì i suoi abitanti. Gli sfollati tornarono successivamente occupando l’area della vecchia agorà ma si trattò della fine politica di una città greca cresciuta in parallelo a Siracusa, fino a contrastarla, e destinata ad essere abbandonata. Tale destino ha offerto agli archeologi che hanno indagato i luoghi, fin dalla fine dell’800, di operare su un sito privo di sovrapposizioni di epoca moderna. Tale è stata l’opportunità che archeologi come Paolo Orsi hanno avuto. Nel 1949, Luigi Bernabò Brea, soprintendente alle Antichità per la Sicilia Orientale, affidò la ricerca all’École française de Rome. Georges Vallet e François Villard, e in seguito i loro collaboratori e successori, hanno portato avanti le indagini sulla città e le necropoli fino ai nostri giorni. Dopo la scoperta fortuita, nel 1940, del famoso kouros di Sombrotidas, esposto in mostra, l’attenzione si spostò sulla necropoli meridionale della città, minacciata dallo sviluppo della zona industriale. Gli interventi di emergenza condotti dalla Soprintendenza archeologica per la Sicilia orientale e l’École française de Rome, in particolare negli anni 1970-1974, permisero lo scavo e lo studio di circa 700 tombe.

L’allestimento della mostra “Lo regno della morta gente” al museo Archeologico regionale “Paolo Orsi” (foto regione siciliana)
“La mostra esprime il valore del potenziamento della ricerca archeologica che abbiamo portato avanti in questi anni”, sottolinea l’assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà, “e della collaborazione con Università e istituti di tutto il mondo. La collaborazione tra il Parco di Siracusa, l’Istituto Francese e il museo Paolo Orsi ha prodotto un interessante focus sulla dimensione della morte nell’antica Megara, offrendo anche l’opportunità di un approfondimento dei temi affrontati nel percorso espositivo che il prezioso catalogo della mostra, disponibile sin dall’inaugurazione, promette di offrire”. “Grazie a questa esposizione”, afferma Antonello Mamo, direttore del parco archeologico di Siracusa, “sarà possibile comprendere le varie tipologie di sepolture, la funzione degli oggetti deposti, il trattamento funerario riservato ai bambini della colonia megarese, grazie ad uno studio completo di quanto il tempo ha risparmiato. Una collaborazione, quella con l’equipe dell’École française de Rome, rinsaldata grazie a questo lavoro scientifico che di certo otterrà il favore sia degli studiosi di settore che del grande pubblico”. “I mesi di apertura della mostra al pubblico”, dichiara Lorenzo Guzzardi, direttore del parco archeologico di Leontinoi e Megara, “coincidono con l’inizio dei lavori per il nuovo allestimento dell’Antiquarium di Megara Hyblaea, che saranno seguiti con la collaborazione della Missione francese. Le attività di quest’ultima presso l’antica colonia greca e le sue aree funerarie hanno continuato ad assicurare importanti risultati scientifici negli scavi eseguiti in questi ultimi anni”.
Selinunte, scoperta dai geologi dell’università di Camerino la città greca di 2700 anni fa. Le immagini dall’alto con la termocamera permetteranno di far vedere come era la prima Selinunte e avere informazioni per la salvaguardia del parco archeologico. Presto sondaggi mirati
Selinunte non ha bisogno di presentazioni. La città fondata nella seconda metà del VII sec. a.C. dai greci provenienti dalla colonia di Megara Hyblaea, una delle prime in Sicilia, costituisce oggi il più grande parco archeologico d’Europa, oltre 270 ettari, visitato da oltre 300mila persone ogni anno. Ma se dell’area archeologica sappiamo molto, dalla collina orientale (piana Marinella) con i tre grandi templi dorici “Tempio E”, “Tempio F” e il “Tempio G”, all’acropoli con le mura lungo le sponde del fiume Cottone; dalla collina di Manuzza con l’abitato vero e proprio e due santuari extraurbani, al santuario di Malaphoros sulla valle del fiume Selinus, della Selinunte di 2700 anni fa, all’epoca della sua fondazione, si sa ben poco. La risposta è arrivata dal sottosuolo grazie agli studi effettuati dai geologi dell’università di Camerino. I risultati sono stati presentati il 16 e 17 gennaio 2018 alla presenza del critico d’arte Vittorio Sgarbi, assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia, e del rettore Unicam Claudio Pettinari, dal team di ricercatori, guidato dal prof. Gilberto Pambianchi, ordinario di Geomorfologia e Geografia fisica dell’università di Camerino e presidente nazionale dei geomorfologi Italiani.

L’immagine rdi Selinunte ealizzata con la termocamera posizionata su un drone a cura dei tecnici dell’università di Camerino
Una termocamera ad alta sensibilità termica, caricata su drone, ha permesso ai geologi dell’università di Camerino di rilevare sul terreno dell’area archeologica di Selinunte, alcune anomalie riconducibili ad importanti strutture sepolte di circa 2700 anni fa che dal Tempio M scendono verso il porto. Lo spiega bene Fabio Pallotta, geoarcheologo consulente dell’università di Camerino del parco archeologico di Selinunte: “Verosimilmente era un susseguirsi di templi e di vasche colme di limpida acqua sorgiva che ruscellava verso il mare africano per offrire prezioso ristoro ai viaggiatori di confine. Da queste immagini termiche tutti possono osservare come il gradiente di calore delinea nel terreno perfetti disegni geometrici che circondano proprio i resti del cosiddetto Tempio M, ora collocato lungo la sponda destra del fiume Selino, ma che in origine spiccava con tutta la sua bellezza sull’estremo promontorio occidentale dell’incantevole laguna”. E precisa il prof. Pambianchi: “È da un anno che stiamo lavorando ad un progetto di ricerca molto importante e riguardante il sito archeologico di Selinunte, in Sicilia. Siamo riusciti a delineare, attraverso indagini di campagna e con la termo-camera, gli ambienti naturali dei primi insediamenti, dunque una realtà non ancora venuta alla luce, ma che è sotto. Siamo riusciti anche a individuare sul paesaggio alcune tracce, molto probabilmente correlate a terremoti, frane, alluvioni del passato che ora dovremmo inquadrare nel tempo. Questi indizi ci consentiranno di registrare una memoria storica estremamente importante per le politiche di prevenzione e di tutela dei siti archeologici non solo in Sicilia, ma anche in tutta Italia”.
Particolarmente soddisfatto Enrico Caruso, direttore del parco archeologico di Selinunte: “Il lavoro avviato con i geologi dell’Unicam, frutto di un anno di letture e sopralluoghi, promette bene: procedere alla conoscenza degli strati più profondi del terreno su cui i greci decisero di insediarsi, ci permetterà di trovare le soluzioni migliori per perpetuare nel futuro prossimo e anche oltre il patrimonio straordinario di Selinunte”. E continua: “Di Selinunte conosciamo le meraviglie dell’architettura religiosa, dell’urbanistica greca e delle sue principali componenti, quali le possenti fortificazioni. Molte parti di quelle che furono le magnificenze dell’antichità sono oggi allo stato ruderale perché gli edifici più grandiosi sono collassati a causa di violenti terremoti avvenuti in più tempi nei secoli scorsi. Non sappiamo però se le cause di queste distruzioni siano dovute a imperizia costruttiva o se dovute, invece, solo alle cause naturali che ne hanno decretato il crollo: conosciamo bene questi edifici dal punto di vista estetico e meno dal punto di vista statico, sia per ciò che attiene all’elevato che per il terreno su cui sorgono. Conoscere le ragioni dei crolli che hanno decretato la fine dei templi e delle case è molto importante anche per capire cosa si può fare oggi per salvaguardare le strutture giunte fino a noi, anche, e soprattutto, quelle crollate”.
Risultati eccezionali che hanno indotto l’università di Camerino e il parco archeologico di Selinunte a continuare le ricerche per altri due anni. Lo conferma il prof. Pambianchi: “A breve eseguiremo una serie di mirati e programmati sondaggi geognostici, strategicamente ubicati nell’area del parco e fondamentali alla taratura geoarcheologica, stratigrafica, cronologica e paleo ambientale del sito. Effettueremo dunque sul territorio dei sondaggi meccanici con una larghezza del foro di circa 10 cm ed una profondità variabile dai 5 ai 30 metri. Le carote estratte saranno identificate ed archiviate su apposite cassette catalogatrici depositate presso i laboratori del parco di Selinunte e quindi messe a disposizione dei ricercatori archeologi, botanici, geologi, storici, climatologi ed esperti di storia dell’alimentazione. Grazie allo studio dei materiali delle carote si potrà infatti risalire alle condizioni climatiche passate, allo stato della vegetazione e, con un po’ di fortuna, anche alla alimentazione degli abitanti di Selinunte”.
Palermo. Il museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas”, con le ricche collezioni di arte punica e greca, è stato riaperto al pubblico dopo un lungo restauro. Oltre duemila reperti, molti mai esposti prima
#eccomidinuovo è l’hashtag che ha accompagnato tutto l’evento tanto atteso: la riapertura del museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas” di Palermo. Il taglio del nastro ufficiale mercoledì 27 luglio 2016 alle 19 alla presenza dell’assessore regionale ai Beni culturali Carlo Vermiglio, il dirigente generale del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana Gaetano Pennino e la direttrice del museo Francesca Spatafora. Dopo i consistenti lavori di restauro dell’intero complesso monumentale e un rinnovato progetto espositivo, in attesa di completare il nuovo allestimento, si è deciso comunque di condividere con la comunità un primo importante traguardo, l’apertura cioè di una parte rilevante del museo che comprende oltre 2000 opere restaurate, alcune delle quali mai esposte al pubblico. “La riapertura al pubblico del museo Archeologico Antonino Salinas”, ha commentato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, “è un importante tassello di quel percorso per cui Palermo offre sempre più attività e luoghi di cultura, facendone strumenti per lo sviluppo sociale ed economico della città. Un importante risultato che, sono certo, contribuirà ad arricchire ulteriormente l’offerta culturale per i palermitani e i turisti che affollano il centro”.
Il museo Salinas di Palermo è il più antico e prestigioso museo della Sicilia, con una delle più ricche collezioni d’arte punica e greca d’Italia, nonché testimonianze di gran parte della storia siciliana. Il museo, dedicato ad Antonio Salinas, celebre archeologo e numismatico palermitano, è ospitato nella Casa dei Padri della Congregazione di San Filippo Neri, parte del complesso monumentale dell’Olivella, che comprende anche la chiesa di San Ignazio e l’attiguo Oratorio, confiscato alla congregazione nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi. Per andare incontro alle esigenze museali l’edificio venne completamente stravolto dalla sua forma originaria. E da allora ad oggi di interventi ne ha subito parecchi. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu pesantemente danneggiato dai bombardamenti degli alleati, ma fortunatamente le collezioni erano già state messe al sicuro nel monastero di San Martino delle Scale dall’allora direttrice del museo, Jole Bovio Marconi che nel 1949 si occupò del riallestimento museale con il recupero architettonico curato dall’architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat. L’ultimo restauro e riammodernamento del museo è dei giorni nostri, intervento che ha costretto il Salinas alla chiusura tra il 2009 e il 2015. Ma ora finalmente i tesori in esso conservati sono di nuovo ammirabili dai visitatori.
Si va dagli interessanti reperti rinvenuti durante gli scavi subacquei (ancore di pietra, ceppi di piombo, lucerne, anfore ed iscrizioni) alla ricca sezione fenicio-punica con i sarcofagi dalla necropoli di Pizzo Cannita (Misilmeri) alle testimonianze da Mozia, Lilibeo e Monte Porcara (Bagheria). Grande interesse pure per le sale dedicate all’area archeologica di Selinunte, con la ricomposizione del frontone orientale con Gorgone del Tempio C, numerose metope con rilievi mitologici (Templi C ed E), sculture d’età arcaica e classica, la Tavola Selinuntina che celebra la ricchezza della città, le stele gemine del santuario di Zeus Meilichios. E poi ci sono oggetti e sculture provenienti da Solunto, Megara Hyblaea, Tindari, Camarina ed Agrigento, tra cui il grande ariete di bronzo del III secolo a.C. proveniente da Siracusa, l’Eracle che abbatte la cerva, copia romana da un originale di Lisippo, ed infine una copia romana in marmo del Satiro versante di Prassitele. L’epoca romana è, invece, documentata da una collezione di sculture e da mosaici staccati dalle ville di piazza Vittoria a Palermo, nei cui pressi era certamente collocato il foro della città romana.
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