
Il museo Pigorini si affaccia su piazza Marconi all’Eur ospita la prima selezione di oggetti delle collezioni del Mnao
A dicembre 2017 più di 650 preziosi reperti provenienti dalla Spagna moresca alla Birmania, dall’Iran all’area himalayana, dall’India alla Corea, esposti in oltre 60 vetrine allestite al museo nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur di Roma. Ora due nuove importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”: il work in progress “Aperti per lavori” procede come da programma che, per la fine del 2019, vedrà l’apertura del museo nazionale di Arte Orientale “Giuseppe Tucci” nella nuova sede in piazza Marconi all’Eur, con oltre 10mila mq di nuovi percorsi espositivi e spazi per servizi aggiuntivi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/12/20/roma-a-50-giorni-dalla-chiusura-di-palazzo-brancaccio-al-pigorini-delleur-apre-la-mostra-aperti-per-lavori-con-la-prima-selezione-di-650-oggetti-delle-collezioni-del-museo/). L’appuntamento venerdì 2 febbraio 2018 alle 16.30 al museo delle Civiltà, negli spazi del museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur, per l’inaugurazione di due importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a coronamento dell’allestimento provvisorio delle collezioni d’arte orientale, trasportate dalla precedente sede di Palazzo Brancaccio in via Merulana. Le mostre sono state realizzate nel quadro delle molteplici attività di valorizzazione e promozione del prestigioso patrimonio acquisito dal Museo delle Civiltà che ha accorpato in sé, in base alla Riforma Franceschini, quattro importanti musei romani: museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del museo dell’arte orientale “Giuseppe Tucci”.

L’arco dell’imperatore Marco Aurelio a Tripoli in un’immagine dei primi del Novecento

La mostra “Impressioni d’Africa” è aperta al museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur
La prima mostra, allestita in sala Loria, “Impressioni d’Africa”, a cura di Egidio Cossa, Mariastella Margozzi e Margherita Bedello, ci porta alle collezioni di quello che fu il museo Italo-africano di Roma: racconta, attraverso dipinti, sculture e oggetti d’artigianato, le peculiarità di una collezione ricca e particolare, sulla quale le vicende storiche e culturali seguite alla seconda guerra mondiale e alla fine del colonialismo, hanno calato un progressivo e prudente sipario. Si tratta di un numero assai elevato di oggetti, tra cui diverse migliaia di carattere etnografico e centinaia di carattere militare ed economico, testimonianze della storia italiana in Africa, delle conquiste, dei rapporti con le popolazioni locali, delle produzioni agricole e artigianali preesistenti alle conquiste coloniali e poi inglobate nell’economia nazionale. I materiali scelti per la mostra vengono presentati per la prima volta al pubblico dopo l’acquisizione dal museo delle Civiltà della collezione che fino a qualche anno fa apparteneva all’IsMEO – Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente. Il contesto e l’allestimento in cui oggi essa viene proposta al pubblico è certo quello più adatto a farne scoprire e comprendere pienamente l’interesse artistico e tutta la valenza storica e antropologica. In Africa settentrionale, infatti, sono state portate avanti importanti campagne di scavo archeologico italiane: non è un caso che parte cospicua della mostra sia dedicata alla documentazione delle rovine di Leptis Magna, presentate attraverso il prezioso plastico realizzato all’inizio degli anni Trenta direttamente sul sito archeologico libico e accompagnate da fotografie d’epoca, incisioni e dipinti che raccontano le vicende relative allo scavo e la grande suggestione che scaturì dalla scoperta dell’antica città romana. Ognuna delle opere esposte costituisce una documentazione insostituibile di un’epoca e di un pensiero sull’Africa che, nonostante il tempo trascorso, riesce a restituire il fascino di un’esperienza condivisa da moltissimi artisti tra ‘800 e ‘900, dagli ottocentisti orientalisti come Pompeo Mariani, Augusto Valli, Giorgio Oprandi, Giuseppe Valeri ai più realistici pittori di Colonia, animati dal desiderio di raccontare il quotidiano di quelle terre e di quei popoli senza il velo poetico dei primi, come Eduardo Ximenes, Teodoro Wolf Ferrari, Mario Ridola, Giuseppe Rondini, Milo Corso Malverna.

Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”
La seconda mostra, in sala Dossier, “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a cura di Gabriella Di Flumeri, Laura Giuliano, Michael Jung e Giovanna Lombardo, ci fa rivivere le missioni in Pakistan nella Valle dello Swat, in Afghanistan nella regione di Ghaznì e in Iran, nella regione orientale del Sistan. Le ricerche archeologiche furono condotte dall’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) fondato nel 1933 da Giovanni Gentile e dall’insigne tibetologo Giuseppe Tucci, che già a partire dal 1929 aveva intrapreso una serie di viaggi di studio e di scoperte nella regione himalayana e che nel 1947 assunse la carica di presidente dell’Istituto, dando nuovo impulso alle ricerche archeologiche in Asia. Tra il 1950 e il 1955 vengono condotte diverse spedizioni in Nepal, in particolare nell’area del Karakorum, e della seconda metà degli anni cinquanta solo le felici campagne archeologiche in Pakistan, Afghanistan e in Iran. L’attività della Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO/IsIAO in Pakistan, iniziata nel 1956 è proseguita fino a oggi. I primi scavi sistematici vennero condotti nell’abitato di epoca storica di Udegram e nell’area sacra buddhistica di Butkara I, ove furono rinvenuti numerosissimi rilievi in scisto appartenenti all’Arte del Gandhara aventi come soggetto la vita del Buddha storico.

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967
Il sito Shahr-e Sokhta la “città bruciata”, in Iran, è fondamentale per lo studio dello sviluppo culturale nell’Altopiano iranico; la città, infatti, fu importante per la lavorazione e il commercio a lunga distanza delle pietre semipreziose. I materiali di questo sito, ceramiche, ami, punte di lancia, sigilli, documentano lo sviluppo di un centro urbano proprio nel momento della nascita e della diffusione dell’urbanizzazione nel Vicino Oriente. Infine, sono esposti i reperti provenienti da Ghazni, in Afghanistan, tra questi meritano particolare attenzione soprattutto i marmi dal palazzo, scavato dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1958 e il 1966 e datato all’XI secolo; oltre ad essere una rara testimonianza dell’architettura palaziale medioevale, il palazzo costituisce, con la sua lunga iscrizione in versi persiani, un esempio di come l’eredità iranica pre-islamica sia stata recuperata all’interno della comunità musulmana.
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