Senebkay, il faraone sconosciuto della dinastia di Abido, potrebbe essere la star del “nuovo” museo Egizio di Torino
Il futuro per Senebkay, il “faraone sconosciuto” identificato nelle scorse settimane ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto, a 150 chilometri da Luxor, ai margini del deserto occidentale, potrebbe riservargli un viaggio fuori dal suo Paese, al museo Egizio di Torino, dove è conservato l’unico documento, il Papiro dei Re, che parla di lui. “A marzo 2015”, anticipa Eleni Vassilika, direttore del museo Egizio di Torino, che sta seguendo con interesse gli sviluppi della scoperta, “è prevista l’apertura dell’intero palazzo con un allestimento definitivo nonché nuovi impianti, vetrine e un area per ospitare le mostre temporanee”. Così mentre ad Abido dopo la scoperta eccezionale del “faraone sconosciuto” si annunciano altre clamorose novità, a Torino potrebbe rivelarsi vincente quella che al momento sembra essere solo un’idea suggestiva: “ricongiungere” Senebkay con il papiro dei Re.
Ad Abido la scoperta della tomba reale del faraone Senebkay ha dato forma – ricordiamolo (vedi nostro post del 21 gennaio 2014) – alla mitica dinastia di Abido (1650-1600 a.C.) , una dinastia regionale indipendente e parallela a quelle tradizionali numerate contemporanee (cioè la XV Hyksos e la XVI Tebana) , che finora era stata solo un’ipotesi formulata ancora nel 1997 dall’egittologo K. Ryholt. Ma gli archeologi Josef Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone, sono convinti che la tomba reale di Senebkay non sia l’unica e che nella necropoli individuata a sud di Abido vi potrebbe essere un’altra quindicina di tombe regali della Dinastia dimenticata. “La sepoltura di Senebkay è la prima attribuibile a una dinastia regale della città di Abydos”, conferma Vassilika. “Il ritrovamento perciò apre una finestra su un aspetto del tutto nuovo della storia di quel periodo. Potrebbe essere solo la prima di altre clamorose scoperte. E se si confermerà quanto ipotizzato dal team Usa dell’università di Pennsylvania, cioè che vi potrebbe essere un’altra quindicina di tombe regali in questa necropoli, non possiamo che aspettarci nuove importanti rivelazioni”.
Intanto a Torino si favoleggia il “ricongiungimento” del sovrano Senebkay al celebre papiro che parla di lui al museo Egizio. “Abbiamo rapporti eccellenti con i nostri colleghi egiziani”, conferma il direttore dell’Egizio di Torino, uno dei più importanti al mondo (nel 2013 ha avuto 540mila visitatori). “E possiamo sicuramente immaginarci di poter collaborare in futuro a un progetto del genere per portarne i resti a Torino. La scoperta della tomba di Senebkay è di grandissimo interesse innanzitutto da un punto di vista storico. Ma non possiamo dimenticare che il suo nome era ricordato proprio in un papiro custodito al Museo Egizio di Torino”. Gli esperti del Museo Egizio erano però riusciti a decifrare solo “User…Ra”. Mancava il centro della parola, il cuore del nome di questo faraone rimasto a lungo sepolto nella sabbia della sua terra d’origine. Però grazie alle decifrazioni del team statunitense il “re sconosciuto” ha finalmente un nome, si chiama “User Ib Ra”, il forte cuore di Ra che, dopo millenni di anonimato, potrebbe avere un futuro proprio a Torino. “La tomba di Senebkay è stata devastata dagli antichi saccheggiatori”, continua Vassilika, “lo scheletro del sovrano è sicuramente un importante documento antropologico, ma degli oggetti funerari (il “corredo”) abbiamo solo poveri resti. La tomba però ha ancora scene dipinte dove si è potuto appunto leggere il nome del re”. Portare il sarcofago di User Ib Ra sotto la Mole sarebbe un colpo inestimabile per il patrimonio di un museo, attualmente in fase di ristrutturazione, ma che entro marzo 2015 riaprirà tutte le sale agli appassionati, proponendo il nuovo e definitivo allestimento con tantissime novità.
Egitto. Doppia scoperta degli americani ad Abido: tomba reale di Sobekhotep (XIII din.) e sepoltura di Senekbay, faraone sconosciuto della dimenticata dinastia di Abido
Doppia eccezionale scoperta ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto dedicata a Osiride il dio dell’Oltretomba, a 150 chilometri da Luxor ai margini del deserto occidentale: prima è stata scoperta una tomba reale della XIII dinastia (1781 – 650 a.C.), fatto già di per sé straordinario visto che di questa dinastia ne sono state scoperte solo dieci e tutte a Dahshur, a sud del Cairo: la tomba reale scoperta ad Abido appartiene al faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore della XIII dinastia, che ha regnato solo per pochi anni, in un momento in cui l’Egitto stava entrando in un periodo di declino. Non a caso i dati cronologici per questo periodo sono così complessi che gli studiosi stanno ancora discutendo sull’ordine dei re della XIII dinastia. Ma collegata e conseguente a questa scoperta ne è risultata un’altra che – forse – è ancora più importante: è stata rinvenuta la sepoltura di un faraone, Senebkay, fino ad oggi poco conosciuto per non dire sconosciuto. Il ritrovamento di Senebkay a sua volta conferma l’esistenza della mitica dinastia di Abido (1650-1600 anni a.C.), finora poco più che un’ipotesi, una dinastia presto dimenticata, parallela a quelle ufficiali, e pertanto priva di numerazione.
Tutto è iniziato l’estate del 2013 durante la missione archeologica ad Abido dell’università americana della Pennsylvania diretta da Josef Wegner, curatore della sezione egizia del Penn Museum. Gli archeologi scoprono una grande tomba reale attribuita alla XIII dinastia e, poco distante, un massiccio sarcofago di 60 tonnellate di cui si ignorava l’appartenenza. Ma la posizione e la “location” all’interno di una camera sepolcrale convincono gli archeologi americani ad approfondire le ricerche. E poche settimane fa l’annuncio trionfale da parte del ministro delle Antichità, Mohamed Ibrahim: “Un gruppo di archeologi dell’Università della Pennsylvania ha scoperto ad Abido, nel governatorato di Sohag, la tomba del faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore – 3800 anni fa – della XIII dinastia, e lì vicino, più modesta e di epoca posteriore, quella di un faraone dimenticato, Senebkay”, ha spiegato. “Il team dell’Università della Pennsylvania è riuscito a identificare chi fosse sepolto nel sarcofago in quarzite rossa, del peso di circa 60 tonnellate, ritrovato l’anno scorso”.
Il riconoscimento è stato possibile grazie al ritrovamento nella tomba di frammenti di piatti su cui era inciso il nome del faraone, e di un fregio in cui Sobekhotep I siede sul trono. Oltre al sarcofago in quarzite gli archeologi hanno trovato i frammenti di vasi canopi che contenevano gli organi interni del faraone e gli oggetti d’oro che gli appartenevano. La tomba di Sobekhotep è stata costruita in calcare portato dalle cave di Tura vicino alla moderna città del Cairo, mentre la camera sepolcrale è stata realizzata in quarzite rossa, trasportata ad Abido da Gebel Ahmar, sempre vicino al Cairo. La sepoltura originariamente era sormontata da una piramide simile a quella di Ameny Qemau, faraone appartenente alla stessa dinastia.
E veniamo alla seconda scoperta. “La tomba di Senebkay”, hanno spiegato alla presentazione al Cairo, “è situata vicino alla tomba reale più grande, attribuita al re Sobekhotep I (1780 a.C.), della XIII dinastia. La camera del sarcofago, in quarzite rossa, era stata assegnata al tardo Medio Regno, ma il defunto era sconosciuto. Il riutilizzo del sarcofago in un’altra tomba è rimasto un mistero per tutta l’estate”. Ora, gli archeologi sanno che il colossale sarcofago proviene dalla tomba costruita per il faraone della XIII dinastia. “Elementi della tomba di Sobekhopet I sono stati riutilizzati dalla particolare dinastia di Abido, durante il Secondo Periodo Intermedio, per costruire e ornare le proprie tombe. La tomba scoperta l’anno scorso, risalente al 1650 a.C., è di uno di questi re, finora sconosciuto, identificato come Woseribre Senebkay, della Dinastia di Abido” spiegano Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone. La tomba si compone di quattro camere, una delle quali decorata con immagini delle dee Nut, Nefti, Selket e Iside sul canopo del re e dediche che recitano “al re dell’Alto e Basso Egitto, Wosebire, figlio di re, Senebkay”.
La tomba, saccheggiata in antico da tombaroli che spogliarono la mummia del suo oro, appare modesta. La cassa, in legno di cedro, porta ancora, ricoperto da dorature, il nome del re Sobekhotep, cioè del primo proprietario del sarcofago. “Il riutilizzo di questi oggetti e della camera del sarcofago sono la prova di risorse limitate nella situazione economica del Regno di Abydos nella parte meridionale del Medio Egitto, in confronto ai regni più grandi di Tebe (dinastie XVI-XVII) e Hyksos (dinastia XV), a nord”. La tomba, si è detto, fu saccheggiata già in epoca antica: tuttavia, tra i detriti del sarcofago ligneo frantumato, sono stati recuperati i resti della mummia, la maschera funeraria in cartonnage (probabilmente in origine dorata) e il canopo. “Grazie agli esami preliminari sulla base delle ossa”, spiegano i due professori, “si può stabilire che Senebkay era un uomo di altezza media (circa un metro e settanta), che morì prima dei cinquant’anni d’età”.
La scoperta fornisce nuove prove sulla storia politica e sociale del Secondo Periodo Intermedio d’Egitto (1781 a.C. – 1549 a.C.). L’esistenza di una “Dinastia Abydos” indipendente, “contemporanea della XV (Hyksos) e XVI (Tebana), ipotizzata dall’egittologo K.Ryholt nel 1997 – spiegano gli archeologi -, viene ora dimostrata da questa scoperta, che ne individua la necropoli a sud di Abydos, in una zona anticamente chiamata Montagna di Anubis”. Il nome di Senebkay compare in un frammento della famosa “Lista dei Re di Torino”, un papiro risalente al regno di Ramses II (1200 a.C.), in cui due nomi “Woser…re” sono iscritti tra una dozzina di re, la maggior parte dei cui nomi è andata perduta. A differenza delle dinastie “numerate”, i faraoni della dinastia Abydos rimasero dimenticati dalla storia e la loro necropoli sconosciuta fino alla scoperta della tomba di Senebkay che avrebbe governato come un re regionale a Abydos durante il Secondo Periodo Intermedio dell’Egitto, un momento in cui il potere del governo centrale era rotto e l’unità del regno si era frammentato.
In riva al Brenta l’Osireion di Abydo e i misteri dell’Antico Egitto
Visto da fuori l’edificio, con la sua forma a “tempio” completo di colonnati e timpani, chiara evocazione palladiana, attira per la sua monumentalità. Ma è all’interno che le antiche scuderie di Dolo, in Riviera del Brenta, nel Veneziano, svela una vera e propria meraviglia che vale la pena di ammirare: la mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” (fino al 6 gennaio, orario: tutti i giorni 16-19.30). Nei vasti ambienti a capriate delle antiche scuderie Paolo Renier, fotografo trevigiano (ma il termine è riduttivo per un personaggio che da quasi tre decenni con le sue immagini e, soprattutto, con la sua sensibilità, ha cercato di cogliere quasi di carpire i segreti i misteri, si potrebbe dire l’energia vitale, che l’Antico Egitto ancora oggi emana) ha “ricreato” l’Osireion, la tomba di Osiride, cioè il luogo più sacro nella città più sacra dell’Egitto dei faraoni: Abydo, a 150 chilometri da Luxor, ai margini dei deserto occidentale, è la città di Osiride, il dio dell’Oltretomba ma anche della Rinascita, per tremila anni meta di pellegrinaggi dal faraone all’egiziano comune; la città dove le prime dinastie (solo dalla V le sepolture monumentali sono state spostate a nord, nella piana di Giza) hanno posto le loro tombe; la città che prima il faraone Sethi I (XIX dinastia) e poi il figlio Ramses II hanno monumentalizzato.
Non è stato facile fotografare i segreti di Osiride. Chi ha avuto la fortuna di raggiungere quel luogo, come chi scrive, sa bene delle difficoltà logistiche (fino a poco tempo fa non c’era neppure una camera modesta dove passare la notte: all’ospite veniva concessa una visita veloce di poche ore al seguito del convoglio militare in partenza all’alba da Luxor dove tornava rigorosamente prima di sera) ma anche operative: l’illuminazione dentro i templi di Abydo o non esiste proprio (e per illuminarli, in mancanza di collegamenti elettrici, bisogna affidarsi al vecchissimo ma sempre efficace metodo degli specchi) o è scarsa con luci al neon il cui effetto è pessimo perché toglie profondità ai delicatissimi rilievi. In questo ambiente dal fascino e dall’energia unici, Paolo Renier non solo è riuscito a fotografare ogni dettaglio, ogni rilievo, ogni ambiente, ma anche a renderlo “vivo”, quasi che ad accompagnarlo nel suo paziente e decennale lavoro ci sia stato qualche schiavo mandato dal gran sacerdote a illuminargli il cammino con le torce anche là dove all’umano non era consentito andare.
Quest’atmosfera magica fino al 6 gennaio si rivive appunto alle antiche scuderie di Dolo nella mostra “L’Osirion di Abydo” promossa dal Comune di Dolo, con l’assessore alla Cultura e grandi eventi Antonio Pra, e realizzata da Paolo Renier col contributo del geometra Maurizio Sfiotti, che ha realizzato il plastico dell’Osireion in scala 1:20 dopo aver rilevato tutte le misure sul posto; della dottoressa Federica Pancin, laureanda in Egittologia all’università Ca’ Foscari di Venezia che aiuta a “leggere” il monumento; di Romeo Tonello, direttore di Rexpol – main sponsor della mostra – che ha realizzato la riproduzione del monumento in scala 1:1; e di Enrico Longo, direttore di CultourActive, curatore della grafica e della promozione dell’evento.
Invito alla mostra. Ci sarà tempo per affrontare studi specifici, nuove ipotesi o solo intriganti suggestioni sull’Osireion di Abydo. Per ora l’invito è proprio di andare a Dolo perché si può rivelare un’esperienza unica: accanto a gigantografie di dettagli del monumento, c’è la ricostruzione in scala 1:20 del complesso dell’Osireion, realizzato in legno e blocchi di granito da Maurizio Sfiotti che nell’ultima missione di Paolo Renier ad Abydo, nel maggio scorso, ha misurato col laser tutta la tomba di Osiride, compresi gli annessi, regalandoci per la prima volta una planimetria completa del complesso sacro più misterioso dell’intero Antico Egitto (un lavoro eccezionale che merita un post a parte). E poi ci sono i filmati (anche in 3D: gli organizzatori forniscono gli occhialini) che documentano l’Osireion di Abydo insieme alla stessa operazione di documentazione del sito da parte di Renier e del suo gruppo.
Ma il vero “clou” della mostra è la ricostruzione in scala 1:1 (sì, avete letto bene: a grandezza naturale) della stanza del sarcofago dell’Osireion, realizzata da Sethi I quasi 3300 anni fa e dallo stesso faraone fatta sigillare con tutti i suoi segreti. Sono stati i tombaroli, nei secoli successivi, a violarlo sfondando una parete e procurandosi così un varco. Nella stanza del sarcofago c’è il famoso soffitto astronomico, una meraviglia che solleva più interrogativi che certezze, e che a Dolo è possibile vedere in tutto il suo splendore grazie a otto proiettori che riproducono sul tetto a spioventi immagini, simboli, geroglifici incisi sulle lastre e fotografati con cura da Paolo Renier. Perché è eccezionale l’esperienza dolese? Primo, perché all’interno dell’originale, anche chi ha la ventura di giungere ad Abido, difficilmente riesce ad arrivarci (l’ambiente è invaso da una melma – può arrivare anche a quasi mezzo metro di spessore – maleodorante e popolata da animaletti o microrganismi poco consigliabili, che comunque rende il pavimento già sconnesso e irregolare anche estremamente scivoloso); secondo, ed è l’aspetto più importante e purtroppo anche più grave, il soffitto astronomico è in precarie condizioni di conservazione: i rilievi si stanno sfaldando sotto l’effetto distruttivo combinato dell’umidità e dei pipistrelli che nella stanza del sarcofago trovano rifugio sicuro. Ciò significa che le immagini di Paolo Renier, realizzate molti anni fa, sono ormai la documentazione più completa dell’Osireion. Non resta quindi che andare a Dolo dove Paolo Renier e l’egittologa Federica Pancin arricchiscono l’emozione della visita con accattivanti quanto complete spiegazioni. Buona visita.
L’Egitto oggi: grandi progetti dal Grande museo Egizio a Giza al viale delle Sfingi a Luxor. Colloquio col segretario generale del Supremo consiglio delle Antichità
Missioni archeologiche garantite, e poi grandi progetti: dal museo di Tutankhamon al recupero del viale delle Sfingi a Luxor al museo della Civiltà Egizia al Cairo. È un vulcano di idee e di buone intenzioni Mostafa Amin Mostafa Sayed, il segretario generale del Supremo consiglio delle Antichità della Repubblica araba d’Egitto, che qui completa il colloquio avuto a Rovereto in occasione della Rassegna internazionale del Cinema archeologico.
Missioni archeologiche. “Nonostante sia una situazione oggettivamente difficile quella che l’Egitto sta vivendo, posso assicurare che non ci sono mai state interruzioni nell’attività delle molte missioni archeologiche internazionali impegnate lungo il Nilo: stanno tutte lavorando – o hanno lavorato, se le campagne del 2013 sono già state concluse – regolarmente come negli anni passati. L’attività di ricerca archeologica è direttamente sostenuta dal Governo”, tranquillizza Mostafa Amin. “Anche in questo momento” conferma Aly Ibrahim El Sayed El Asfar, responsabile dell’Alto Egitto, inserendosi nella discussione, “a Luxor sono numerose le missioni straniere attive e operanti. Noi, da parte nostra, cerchiamo di aiutarle e incoraggiarle tutte”. E aggiunge, cambiando tono: “Ma c’è un aspetto che ci preoccupa: la conservazione del nostro ingente patrimonio archeologico: Ora per noi il restauro dell’esistente, tra siti noti e meno noti, e milioni di reperti musealizzati, è doveroso e più importante dello scavo stesso. Del resto sappiamo tutti che la terra d’Egitto, per le sue particolari condizioni climatiche, conserva molto meglio (e lo fa da molti millenni) di quanto sappia fare l’uomo: finché i tesori stanno sotto la sabbia sono al sicuro”. Aly Ibrahim El Sayed El Asfar ricorda come la prima risorsa del Paese, il turismo, che ha portato (e si spera lo possa tornare a fare al più presto) milioni di persone da tutto il mondo a calcare le vestigia degli antichi faraoni, sia anche la prima fonte di preoccupazione: “Dobbiamo tenere ben presente l’impatto di milioni di visitatori che rappresenta un serio pericolo per la conservazione dei monumenti. Per questo riteniamo il restauro un aspetto fondamentale e lo chiediamo caldamente anche alle missioni straniere”.
Grandi progetti. È proprio pensando ai visitatori e al loro ritorno in massa che il Supremo consiglio delle Antichità sta portando avanti al Cairo due ambiziosi progetti: il museo della Civiltà dell’Egitto e il Grande museo Egizio nella piana di Giza, vicino alle Piramidi. “Purtroppo l’attuale situazione politico-sociale dell’Egitto, che porta come prima conseguenza una profonda crisi economica”, spiega Mostafa Amin, “sta rallentando la realizzazione dei due nuovi musei per ovvia mancanza di finanziamenti. Ma confido che presto questa fase difficile sarà passata e lentamente la vita e l’economia del Paese torneranno alla normalità”.
Il progetto sicuramente più vicino alla sua realizzazione è quello del museo della Civiltà (Civilizzazione) dell’Egitto. “È nuovissimo, anche nella concezione”, continua il segretario generale con entusiasmo, “si trova a El Fusat, alla periferia del Cairo, dotato di ampio parcheggio e di tutti i servizi che si richiedono a un moderno museo (dalla caffetteria al bookshop alle audioguide ai video) in grado di accogliere – nelle previsioni – migliaia di visitatori e di accompagnarli nella visita delle sale espositive. All’interno, molto spazioso, troveranno posto reperti dalla preistoria (e quindi dal pre-dinastico) ai giorni nostri (non solo quelli che già abbiamo a disposizione, ma anche quelli che verranno scoperti in futuro): sei millenni di storia e cultura lungo le sponde del Nilo. L’obiettivo era di aprire il museo entro la fine dell’anno, ma slitterà di qualche mese: manca qualche rifinitura della facciata e completare la collocazione delle opere”.
È invece prevista non prima del 2015 (ma i tempi sono destinati ad allungarsi) l’apertura del Grande museo Egizio all’ombra delle piramidi di Giza, che ruoterà attorno al tesoro di Tutankhamon. “Sarà dedicato ai grandi faraoni che hanno fatto grande l’Antico Egitto. E qui troverà posto tutto il tesoro di Tutankhamon, finalmente esposto e raccolto in un’unica sala. Sarà un evento epocale che però comporterà tutta una serie di problemi logistici e culturali di non poco conto da risolvere”, anticipa Mostafa Amin. “Prima di tutto c’è da affrontare in assoluta sicurezza il trasferimento dell’immenso, fragile e prezioso tesoro di Tut: come e quando procedere? Stiamo valutando un piano operativo che tenga conto di tutti i potenziali pericoli. Sarà l’occasione di verificare se qualche pezzo avrà bisogno di restauri”. Ma poi si presenterà un problema ancora più impegnativo: mentre il nuovo Grande museo a Giza avrà un suo allestimento organico pensato proprio per la nuova struttura museale che ruoterà attorno al tesoro di Tutankhamon, cosa ne sarà dello “storico” museo Egizio del Cairo? Tornerà all’allestimento del 1902, quando fu inaugurato? Cioè tornerà nell’allestimento originario pensato prima di essere costretti a trovare posto al tesoro di Tut, la cui tomba fu scoperta nel 1922? Oppure sarà completamente ripensato? “Il problema è ancora aperto. Dobbiamo valutare anche alla luce della possibile acquisizione del vicino edificio occupato da un partito politico che amplificherebbe gli spazi disponibili. La soluzione comunque richiederà tempi lunghi”.
Sul territorio il progetto più importante portato avanti dal Supremo consiglio delle Antichità dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011 è a Luxor e riguarda, come chiarisce Aly Ibrahim El Sayed El Asfar, il recupero del viale processionale delle Sfingi tra il tempio di Luxor e quello di Karnak. “Si ricreerà così l’aspetto originale dell’antica Tebe animata dalle processioni rituali col passaggio delle navi sacre tra i due templi. Percorrendo il viale, che rimarrà staccato dalla viabilità ordinaria di Luxor, Il visitatore potrà sentirsi come il gran sacerdote di Amon o – se preferisce – lo stesso faraone, dio in terra, in dialogo con la divinità”. Questo progetto comporta l’abbattimento di molti edifici, anche pubblici (tra cui la sede del Governatore e una moschea) , e il lavoro non è ancora concluso. “Contemporaneamente – precisa il responsabile dell’Alto Egitto – devono essere riportate alla luce, restaurate e collocate in situ le varie sfingi, all’interno di un percorso che si deve armonizzare con la città moderna che ha le sue esigenze: di qui l’eliminazione degli incroci a raso e la creazione di sottopassi per il traffico veicolare moderno”. Anche questo grande progetto ha subito rallentamenti, dovuti alla crisi e alla rivoluzione. Ma si va avanti”.
Prima di concludere il colloquio con il segretario generale del Supremo consiglio delle Antichità non poteva mancare un accenno al suo predecessore, Zahi Hawass, cui Mostafa Amin è subentrato dopo la destituzione del presidente Hosni Mubarak. “È un ottimo archeologo. È stato mio maestro”, taglia corto. Ma Hawass, forse il più noto egittologo egiziano, all’indomani della sua destituzione, era stato oggetto di accuse pesanti, anche penali. “Tutte queste accuse sono cadute”, assicura Mostafa Amin. “Ora Zahi, anche senza avere un incarico pubblico preciso, riveste ancora un ruolo importante per la ricerca archeologica e l’egittologia. Ha un suo ufficio di consulenza e lavora principalmente per i privati, ma anche per noi”.
(3 – fine. Precedenti post il 20 e 23 novembre)
L’Egitto oggi: tra rivoluzione e grandi progetti. Colloquio con il nuovo segretario generale del Supremo consiglio delle Antichità
La rivoluzione araba spazzerà via millenni di storia e di arte nella terra dei faraoni? L’Egitto, così amato dai turisti di tutto il mondo tanto da essere il Paese con maggior fidelizzazione (ci si torna almeno tre volte nella vita, una media quasi unica), rischia di essere precluso ai visitatori e agli appassionati? Le missioni archeologiche internazionali potranno continuare e i tesori scoperti nei secoli sono al sicuro? Sono solo alcune delle problematiche che chi ama l’Egitto si è posto negli ultimi mesi, e alle quali il nuovo segretario generale del Supremo consiglio delle antichità della Repubblica araba d’Egitto, Mostafa Amin Mostafa Sayed, risponde con franchezza e senza remore, si potrebbe dire col cuore in mano, dimostrando di essere profondamente innamorato del proprio Paese: il colloquio è stato raccolto a Rovereto in occasione della recente Rassegna internazionale del Cinema archeologico: un’occasione eccezionale, perché era la prima volta – dalla sua nomina nel 2011 subito dopo la caduta del governo Moubarak e l’arrivo al potere dei Fratelli Musulmani – che Mostafa Amin Mostafa Sayed usciva dall’Egitto per un viaggio ufficiale in Italia.
E la scelta di Rovereto, se pur inusuale (come si potrebbe pensare, visto che nel centro trentino non si conserva alcuna delle importanti collezioni egizie conservate in Italia), non è casuale: quasi dieci anni fa ormai (era il febbraio 2004) la Repubblica araba d’Egitto con il Supremo consiglio delle Antichità stipulò proprio con Rovereto e il suo Museo Civico la prima (e al momento ancora unica) convenzione internazionale per l’utilizzo dei diritti delle immagini dell’immenso patrimonio che l’Antico Egitto ci ha lasciato. Si tratta dell’imponente fototeca (decine di migliaia di foto) messa insieme in decenni di “missioni” del grande appassionato ed esperto della civiltà dei Faraoni, Maurizio Zulian, che ha concentrato gran parte del suo interesse nel Medio Egitto e, cosa ancora più importante, a quei siti eccezionali ma nella loro quasi totalità preclusi al pubblico. Il suo “Egitto segreto” è diventato un must del museo Civico di Rovereto che ha digitalizzato, didascalizzato e georeferenziato le immagini, mettendole a disposizione degli internauti di tutto il mondo.
Nuova convenzione. Ma dalla prima forma non solo sono cambiati i tempi e la situazione politica ma anche le persone, così l’Egitto con il nuovo responsabile delle Antichità ha voluto dare nuovo impulso alla convenzione avviandone con il museo Civico, nel frattempo divenuto Fondazione, l’aggiornamento e il rinnovo. Mostafa Amin Mostafa Sayed, egittologo-islamista, a Rovereto è giunto in delegazione accompagnato da Aly Ibrahim El Sayed El Asfar, responsabile dell’Alto Egitto (che ha in Luxor e la valle dei Re i suoi punti di forza), e Mansour Boraik Radwan Karim, responsabile del Medio Egitto, con i centri di Minya e Assiut, e delle oasi del sud: Farafra, Dakhla e Kharga. Il segretario generale parla a ruota libera di rivoluzione, Fratelli Musulmani, missioni archeologiche, tutela al patrimonio archeologico, valorizzazione dei siti, grandi progetti culturali. Ecco i contenuti del colloquio.
(1 – continua; nuovo post nei prossimi giorni)

























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