Lucca. Il museo Archeologico nazionale di Taranto partecipa alla XVIII edizione di “LuBeC – Lucca Beni Culturali” nell’ambito del workshop “Le sfide del digitale dalla valorizzazione del patrimonio culturale all’interazione con i nuovi pubblici. Buone pratiche” con l’esperienza di “phygital exhibition” della mostra “Taras e i doni del Mare”

L’esperienza di “phygital exhibition” della mostra “Taras e i doni del Mare” al museo Archeologico nazionale di Taranto (foto MArTa)
Anche il museo Archeologico nazionale di Taranto parteciperà alla XVIII edizione di “LuBeC – Lucca Beni Culturali”, che si svolge il 6 e il 7 ottobre 2022 al Real Collegio di Lucca, al quale il ministero della Cultura presenta un corposo programma di incontri, laboratori pratici e uno spazio espositivo istituzionale. Il museo Archeologico nazionale di Taranto sarà presente al LuBeC venerdì 7 ottobre 2022, dalle 14.30 alle 14.50, nell’ambito del workshop “Le sfide del digitale dalla valorizzazione del patrimonio culturale all’interazione con i nuovi pubblici. Buone pratiche” con l’esperienza di “phygital exhibition” della mostra “Taras e i doni del Mare”, a cura del MArTA, in collaborazione con l’università di Foggia. Intervengono: Eva Degl’Innocenti, direttore museo Archeologico nazionale di Taranto – MArTA; Danilo Leone, professore associato di Metodologie della ricerca archeologica dell’università di Foggia; e Lorenzo Mancini, funzionario archeologo del museo Archeologico nazionale di Taranto – MArTA. Iscrizione obbligatoria: iscriviti. La mostra “Taras e i doni del mare” si pone a conclusione del progetto FISH.&C.H.I.P.S. (Fisheries and Cultural Heritage, Identity, Participated Societies – Interreg V-A Greece-Italy 2014-2020). Una mostra “phygital”, fisica e digitale, basata su una combinazione di virtualità e materialità degli oggetti, multimedialità e tradizione, per un’esperienza di visita innovativa e coinvolgente.
Lucca. La villa dei Mosaici di Negrar protagonista alla XVIII edizione di “LuBeC – Lucca Beni Culturali” nell’ambito del workshop “Collaborazione pubblico-privato per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale”
La villa dei Mosaici di Negrar protagonista alla XVIII edizione di “LuBeC – Lucca Beni Culturali”, la manifestazione dedicata allo sviluppo e alla conoscenza della filiera “cultura – innovazione”, che si svolge il 6 e il 7 ottobre 2022 al Real Collegio di Lucca, al quale il ministero della Cultura presenterà un corposo programma di incontri, laboratori pratici e uno spazio espositivo istituzionale. La soprintendenza ABAP di Verona partecipa alla manifestazione in collaborazione con il Comune di Negrar di Valpolicella nell’ambito del workshop promosso dal Segretariato generale ministero della Cultura, tra le 14 e le 18.20 di giovedì 6 ottobre 2022, sul tema “Collaborazione pubblico-privato per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale”: l’alleanza pubblico-privato per nuovi modelli di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale e per la condivisione degli aspetti finanziari, organizzativi e della governance, aperti al coinvolgimento delle comunità sociali e produttive locali: i progetti del ministero della Cultura.

Panoramica del sito archeologico della Villa dei Mosaici a Negrar (foto graziano tavan)

Il soprintendente Vincenzo Tinè e il sindaco Roberto Grison alla presentazione della campagna di scavo alla Villa dei Mosaici (foto Comune di Negrar)
Ore 14.25 Focus 2 | “Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella. La collaborazione pubblico-privato per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio archeologico” a cura della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza in collaborazione con il Comune di Negrar di Valpolicella. Intervengono Vincenzo Tinè, soprintendente ABAP per le province di Verona Rovigo e Vicenza; e Roberto Grison, sindaco di Negrar di Valpolicella. Per partecipare è necessario iscriversi agli appuntamenti del MiC: https://www.lubec.it/scheda-di-iscrizione-lubec-2022.html

Gianni De Zuccato, archeologo della Soprintendenza di Verona, sullo scavo della Villa dei Mosaici di Negrar (foto Comune di Negrar)
Nel 2017 la Soprintendenza ABAP di Verona è tornata ad operare nel Comune di Negrar di Valpolicella (Vr), dove fin dal 1886 furono scoperte le tracce di una grande villa di epoca romana. Una campagna di prospezioni sistematiche e i successivi scavi estensivi, realizzati con la collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Negrar di Valpolicella e dell’università di Verona nel 2021 e nel 2022, hanno portato alla luce le strutture murarie e pavimentali di una grande villa rustica del III secolo d.C. L’intervento di scavo è stato reso possibile da un accordo di partenariato pubblico-privato tra la Soprintendenza, il Comune di Negrar di Valpolicella e i proprietari dei terreni – l’Azienda Agricola La Villa di Benedetti Matteo e Simone e la Società Agricola Franchini srl -, che hanno messo a disposizione i terreni di proprietà, rinunciando a indennità di occupazione e premi di rinvenimento e hanno sostenuto parte delle spese dello scavo e delle coperture provvisorie.

La dama ingioiellata, uno dei due tondi con figura umana del mosaico pavimentale del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)
Ulteriori finanziamenti del ministero della Cultura e del Bacino Imbrifero Montano dell’Adige hanno consentito di completare lo scavo archeologico sull’intera superficie di estensione della villa. Vaste superfici musive con motivi geometrici e rappresentazioni figurate sono state portate in luce, meritando alla villa di Negrar la denominazione di “Villa dei Mosaici”. È in corso di definizione il progetto per la valorizzazione come area archeologica attrezzata per la pubblica fruizione, grazie ad un importante finanziamento del MiC. L’ubicazione di questa villa romana in una splendida posizione tra i filari dei vigneti di uve Valpolicella destinate alla produzione dei celebri vini, costituisce, infatti, un valore aggiunto alla potenzialità attrattiva del sito archeologico. Adeguatamente valorizzato con strutture e percorsi attrezzati per la visita, l’area archeologica potrà diventare un nuovo luogo della cultura straordinariamente evocativo del paesaggio antico.
Paestum. Tempio di Nettuno: con l’ArtBonus finanziato un progetto di monitoraggio dei micro-movimenti con sensori di tecnologia avanzata. E un nuovo scavo svela la storia del lungo cantiere, tra il VI e V sec. a.C., tra progettazione e ripensamenti


Il progetto ArtBonus “Il tempio di Nettuno si muove – partecipa ad un viaggio unico al mondo!” premiato alla XVI edizione di LuBeC – Lucca Beni Culturali 2020 perché nella top ten dei progetti ArtBonus più votati (foto pa-paeve)
Sensori di tecnologia avanzata per rilevare micro-movimenti del tempio di Nettuno, il monumento più famoso dell’area archeologica di Paestum, un vero e proprio emblema del mondo classico: progetto innovativo grazie alla co-progettazione tra Parco archeologico e Dipartimento di Ingegneria Civile dell’università di Salerno, e alla campagna di raccolta fondi sul portale “ArtBonus”. In tutto 18 sensori sul tempio di Nettuno a Paestum che stanno dando i primi risultati. Per ora si tratta di test eseguiti da un team di esperti coordinati dal direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel, e dal prof. Luigi Petti dell’università di Salerno. Il progetto mira a monitorare il comportamento dinamico del monumento per comprendere meglio come esso potrà essere tutelato in futuro – non solo in caso di sisma, ma anche da agenti atmosferici e condizioni meteorologiche nel contesto più ampio dei cambiamenti climatici. L’intervento, incentrato sul meglio conservato e più famoso monumento dell’antica Poseidonia-Paestum, costruito nel V sec. a.C., è stato finanziato con l’aiuto di sostenitori privati attraverso la piattaforma ArtBonus del ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo: le donazioni di due importanti mecenati, D’Amico D&D Italia Spa e Sorrento Sapori e Tradizioni Srl, che hanno aderito al progetto ArtBonus “Il tempio di Nettuno si muove – partecipa ad un viaggio unico al mondo!”, con una donazione complessiva di 110mila euro nel 2019. Lo scorso 8 ottobre 2020, il progetto di raccolta fondi è stato premiato alla XVI edizione di LuBeC – Lucca Beni Culturali 2020 rientrando nella top ten dei progetti ArtBonus più votati su scala nazionale.

Dopo la fase test, ora si lavora a una rete di controllo con l’installazione di altri sensori lungo il basamento del tempio. Il sistema è in grado di misurare movimenti, anche minimi, del monumento, come per esempio vibrazioni create dal vento o dal traffico stradale e ferroviario. Oltre allo studio dell’effetto immediato delle condizioni meteorologiche, antropiche, geologiche e sismiche sul tempio, i dati serviranno a elaborare un modello che aiuterà a prevenire possibili deterioramenti strutturali. Il montaggio del sistema è affiancato da attività di scavo stratigrafico volte a rispondere ad alcuni punti interrogativi che ancora oggi riguardano il monumento più emblematico dell’antica Paestum. “Una volta completato il sistema”, annuncia il direttore, “i dati saranno messi a disposizione di tutti sulla rete. Da qualsiasi posto nel mondo, con un pc o uno smartphone si potranno seguire in tempo reale i micro-movimenti e vibrazioni del tempio di Nettuno. Si tratta di un esempio di un’integrazione virtuosa tra tutela, ricerca, fruizione e partecipazione di donatori e sostenitori. Tutto ciò è stato possibile grazie a un lavoro a più mani che ha coinvolto oltre ai funzionari del Parco, anche Università italiane e straniere, istituti di ricerca e imprenditori locali che hanno finanziato buona parte del progetto e a cui va il nostro ringraziamento”.

“Il progetto è anche un’occasione per tornare sulla storia complessa del tempio nell’antichità, in particolare riguardo eventuali presenze più antiche”, commenta il direttore. “L’ultimo saggio stratigrafico sulle fondazioni del tempio risale a più di 60 anni fa e all’epoca non è stato documentato secondo gli standard di oggi. I nuovi scavi sono pertanto fondamentali per approfondire la nostra conoscenza del monumento, anche alla luce di recenti riletture dell’alzato, che suggeriscono l’esistenza di un più antico progetto architettonico, che pare sia stato cambiato in corso d’opera. Ma sono ipotesi che attendono una precisazione attraverso indagini stratigrafiche”.
Delle problematiche ancora aperte e dei primi risultati dei nuovi scavi ci parla il direttore Gabriel Zuchtriegel in un video di inizio novembre 2020. “Il tempio di Nettuno – ricorda – è uno dei più famosi monumenti del mondo classico, ma come a volte accade con questi monumenti emblematici si pensa siano molto studiati. In realtà non è così. Ci sono ancora tante domande aperte. I nuovi scavi che stiamo facendo in questo momento cercano di contribuire a dare qualche risposta. E le domande che ci sono, oltre la questione a quale divinità era dedicato il tempio, perché anche questo non lo sappiamo ancora, sono legate soprattutto alla storia del monumento. Noi vediamo un tempio, però stiamo scoprendo sempre più che in realtà qui dentro si nascondono più templi. Se vogliamo c’è un primo progetto, poi ci sono ripensamenti, ci sono cambiamenti di progetto, e quello che vediamo alla fine – il grande tempio di Nettuno – sta alla fine di un lungo processo di vari decenni, probabilmente di idee, di riprogrammazioni, di cambiamenti, e questa affascinante storia del cantiere è quella che cerchiamo di recuperare con gli scavi ma anche attraverso degli studi dell’architettura. Un primo indizio di questa lunga storia del cantiere del tempio di Nettuno – continua – lo abbiamo nel podio. E questa è una recente scoperta dell’archeologo Peter Mertens che nessuno aveva mai visto. In realtà il livello superiore del podio, quello ultimo, è costituito di solito da un grande blocco più o meno quadrato sotto la colonna e poi una lastra intermedia e così via. Al di sotto però c’è un ritmo totalmente diverso con dei lunghi blocchi: perché questo livello è legato a un primo progetto – come ha dimostrato Mertens – che prevedeva che sopra le giunture dell’ultimo livello c’erano le colonne, ed erano 8 colonne per 19. Questa è un’ipotesi ha bisogno ancora di verifiche, però era probabilmente quanto rimaneva di un primo progetto molto più simile ai templi della fase precedente, per esempio il tempio di Atena. Ovviamente la forma del tempio era completamente diversa, perché se c’erano più colonne sulla stessa lunghezza vuol dire che le colonne erano più piccole e tutto il tempio era un po’ più basso e aveva un’altra proporzione complessiva”.

Lo scavo al tempio di Nettuno promette di diventare sempre più interessante. “Abbiamo i tre gradini del podio – riprende Zuchtriegel – al di sotto dei quali doveva essere il livello di calpestio antico. Tutto quello che viene al di sotto di quel livello era la fondazione: lo scavo ha rivelato fino a sette livelli di blocchi, parte dei quali non si vedevano perché erano sotto terra. Insieme al tempio è cambiata anche un po’ la topografia del luogo. In antico c’era un piano di calpestio che dovrebbe corrispondere a quello evidenziato dallo scavo, ma necessitano ancora verifiche col prosieguo delle ricerche. A un certo punto gli antichi abitanti di Paestum decidono di costruire il tempio e quindi scavano una trincea di fondazione, dove sono stati posti i blocchi della fondazione che escono fuori dal piano di calpestio fino al settimo livello. Al di sopra ci sono i tre gradini del podio, sull’ultimo dei quali poggiano le colonne. Per completare l’opera devono portare il livello di calpestio all’altezza del settimo livello dei blocchi. E questo spiegherebbe perché tutto intorno al tempio di Nettuno e anche alla cosiddetta Basilica c’è come una piccola salita che crea come una collinetta su cui sorge il tempio. Per fare questo riempimento viene portato materiale: terra, pietre e un po’ di ceramica che era materiale di scarto, e che noi abbiamo ritrovato nello scavo nella Us8, che sta per Unità stratigrafica 8. Studiando questi materiali di risulta dovremmo avere un’indicazione su quando è avvenuta questa azione, e ci dà un termine post quem ovviamente per la fondazione: cioè vuol dire che dopo questa azione è stato terminato il tempio. Ora guardando lo stile del tempio siamo verso la metà del V secolo, cioè nella fase classica. Sono soprattutto le colonne, i capitelli, la forma dei capitelli, quindi la parte superiore delle colonne che ci danno la datazione paragonandoli ad altri e, come ho detto prima, arriviamo verso il 470-60 a.C. E cosa ci dicono i materiali ritrovati? Dovrebbero spiegarci la lunga storia del cantiere. Tra i materiali recuperati dallo scavo dell’US8 c’è soprattutto ceramica, ma anche ossa e altri materiali che vengono da questi strati. C’è una lekythos a fondo piatto di produzione corinzia. Ce lo dice soprattutto l’argilla di questo colore particolare, ma anche la decorazione che si vede ancora un po’, ed è un vaso abbastanza antico così come questa coppetta che ci porta nel VI secolo. Però è sempre l’oggetto più recente che data uno strato. Immaginate lo strato come un sacco chiuso in un certo momento e l’ultimo pezzo che metto nel sacco mi dice quando è stato chiuso. Nel caso dell’Us8 – lo studio è ancora in corso – direi che potrebbe dare un’indicazione una coppa, quindi un vaso aperto per bere con due anse, una coppa di tipo ionico B2 direi che ci porta un po’ più giù cronologicamente: verso la fine del VI – inizi V sec. a.C. Ma siamo ancora qualche decennio prima del momento in cui probabilmente hanno fatto i capitelli. Quindi questi materiali sono importanti non solo perché sono belli ma soprattutto per la storia che ci raccontano del cantiere che inizia probabilmente – stando ai dati che abbiamo finora – nella fase tardo-arcaica, la stessa fase in cui viene costruito il tempio di Atena, il tempio di Hera alla foce del Sele, la tomba del Tuffatore, e si progetta un grande tempio secondo Mertens con 8 per 19 colonne. Questi materiali sono di quella fase. Poi quando hanno già costruito almeno la parte delle fondazioni, cambiano idea e dicono: noi vogliamo un tempio più moderno, 6 colonne per 14 colonne. Il tempio diventa più alto, cambia un po’ tutta l’immagine, l’estetica dell’edificio, ed ecco il nostro tempio di Nettuno”.
Come si possono preparare musei e parchi archeologici all’epoca post-Covid? Se ne parla a LuBeC 2020 di Lucca con la presentazione di due ricerche della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali: “I musei invisibili” e “Analisi dell’impatto Covid-19”

Come prepararsi all’epoca del post-Covid? Cosa deve fare il settore dei beni culturali per riemergere dalla crisi che ha rivoluzionato, forse per sempre, i modelli di gestione e di fruizione del sistema culturale italiano? La Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali, istituto di formazione e ricerca del MiBACT dedicato ai temi della cura e della gestione del patrimonio culturale, ha promosso due indagini diverse che saranno presentate nel corso di LuBeC 2020, il salone dei beni culturali in programma l’8 e il 9 ottobre 2020 a Lucca. La presentazione delle ricerche avrà luogo al Real Collegio di Lucca venerdì 9 dalle 9.30 alle 13, con un’introduzione di Alessandra Vittorini, neodirettore della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali, e di Christian Greco, direttore del museo Egizio di Torino nonché membro del consiglio scientifico della Fondazione (per partecipare agli incontri in presenza, iscrizione necessaria su www.lubec). “La presenza a LuBeC è una straordinaria occasione per avviare un confronto su temi così urgenti come quelli della gestione museale nel post Covid”, dice Vittorini, che dal primo settembre ha lasciato la soprintendenza per l’Aquila e i comuni del Cratere per assumere la guida della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali. “Con le nostre attività di studio e ricerca riteniamo di poter contribuire al dibattito e all’innovazione nel campo delle politiche culturali, con l’ambizione di portare la Fondazione – nata come Scuola di alta formazione – a rafforzare il suo ruolo di centro di competenze per lo studio dei problemi del settore e di advisor a favore del Ministero e delle altre istituzioni”.


Cartelli di avviso a fare attenzione in epoca post-Covid al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Due – come si diceva – le indagini diverse ma complementari promosse dalla Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali: una indagine dal titolo “I Musei invisibili. Visioni di futuro per i Musei italiani per il dopo emergenza Covid-19” ed una “Analisi dell’impatto Covid-19 sulle politiche di valorizzazione e fruizione dei parchi archeologici”. La prima ha fatto emergere una serie di scenari possibili, una volta usciti dall’attuale pandemia, inerenti la gestione museale ed una serie di proposte operative provenienti da oltre 650 professionisti e specialisti dei beni culturali. La seconda si è misurata con i dati reali di fruizione nei parchi archeologici nel “periodo di riapertura sperimentale”, così come disposto dalle linee guida per la riapertura dei musei e dei luoghi della cultura statali. L’emergenza sanitaria ha reso urgente anche la necessità di fornire nuovi servizi di formazione a distanza. Una sfida accolta dalla Fondazione, che in pieno lockdown ha saputo portare a termine lo sviluppo della propria piattaforma (fad.fondazionescuolapatrimonio.it) per soddisfare in tempo utile questa domanda. Una buona pratica che verrà illustrata giovedì 8, nel corso dell’incontro “La formazione a distanza secondo noi” (a partire dalle 16), che presenterà una riflessione sulle prospettive future della formazione digitale.
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