“Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”: il parco archeologico del Colosseo propone un viaggio alla scoperta delle abitazioni succedutesi sul colle nel corso dei secoli. Quarta puntata: la Domus Tiberiana, il primo palazzo

Dall’età arcaica e ancora in parte fino alla fine del XIX secolo il colle su cui nacque Roma fu una zona prevalentemente “residenziale”. La vocazione abitativa del Palatino culminò nel I secolo d.C. con la costruzione dei palazzi imperiali: essi si identificarono così strettamente con il colle su cui sorgevano, che il suo nome latino, Palatium, è ancora oggi utilizzato in molte lingue moderne con il significato di “edificio residenziale”. Il parco archeologico del Colosseo propone “Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”, viaggio alla scoperta delle abitazioni – e dei loro abitanti – che nel corso dei secoli si sono succedute sul colle Palatino. In questa quarta puntata si parla della Domus Tiberiana, il primo palazzo.

Tra le residenze imperiali del Palatino la Domus Tiberiana è sicuramente la meno conosciuta dal pubblico e dagli stessi archeologi. A rendere “misterioso” questo grande e complesso edificio ha contribuito anche il suo destino rinascimentale: nel XVI secolo infatti la Domus fu coperta ed in parte obliterata dal verde degli Horti Farnesiani, costruiti dal cardinale Alessandro Farnese, che ancora ricoprono il versante Nord-occidentale della collina.

Gli scavi archeologici, di conseguenza, si sono limitati quasi sempre alle parti marginali dell’edificio: ricordiamo l’enorme lavoro svolto da Pietro Rosa – l’archeologo incaricato da Napoleone III, che aveva acquistato i Giardini Farnese – che a partire dal 1861 la scavò sistematicamente per circa 10 anni e ne mise in luce i versanti meridionale ed orientale, e soprattutto quello settentrionale, con le imponenti sostruzioni che raggiungono i 20 metri di altezza e che ancora oggi fungono da spettacolare quinta per il Foro Romano.


Uno dei corridoi della Domus Tiberiana sul Palatino, il cosiddetto Criptoportico Neroniano, in una foto d’epoca Alinari
Ancora in parte da indagare e da interpretare sono gli intricati piani inferiori, dentro i quali sono inglobati resti di numerose case aristocratiche di età repubblicana. Proprio queste domus costituirono il primo nucleo della Domus Tiberiana, a partire da quella di Tiberio Claudio Nerone, padre dell’imperatore omonimo; questa casa fu forse la stessa abitata da Germanico, da Claudio, prima di diventare imperatore, e da Caligola, che secondo le fonti ingrandì la Domus Tiberiana ampliandola “fino al Foro”. Quello di Caligola, che, per uno strano scherzo del destino, proprio in un criptoportico della sua Domus fu ucciso nel 41 d.C., fu il primo grande impulso costruttivo della Domus Tiberiana, che non fu mai, per architettura e cronologia, un edificio unitario, ma che si formò progressivamente grazie a una serie di ampliamenti successivi, assumendo un aspetto monumentale solo a partire dall’imperatore Claudio e poi con Nerone.

In quest’epoca le antiche domus furono infatti inglobate in un grande basamento (di metri 50 x 45 circa) circondato da un quadriportico, che fu collegato all’area del Foro da una scalinata monumentale. Ad epoca claudia si datano anche la grande vasca circondata da giardini, scavata a partire dal 2005, sulla terrazza degli Horti Farnesiani ed il criptoportico messo in luce nella stessa area: esso ha infatti restituito una conduttura di piombo con inciso il nome dell’imperatore.

Con la costruzione del Palazzo Flavio la Domus Tiberiana perse la sua centralità e assunse un ruolo maggiormente funzionale; Domiziano, e poi Traiano ed Adriano continuarono però a curarla, ampliandola, tra l’altro, sul versante Nord con le poderose sostruzioni; vi abitarono anche gli Antonini, e Commodo la ristrutturò dopo un incendio. La vicinanza con il Foro e con la parte ancora abitata della città la fecero preferire alle altre residenze palatine nel corso del Medioevo se, ancora nell’VIII secolo d.C., vi abitò anche Papa Giovanni VII, figlio di Platone, curator dei Palazzi Imperiali.
“Sulle tracce di Nerone”: un itinerario in sei tappe proposto dagli archeologi del parco archeologico del Colosseo tra Palatino, valle del Colosseo e Colle Oppio alla ricerca dei resti della “nuova Roma” voluta da Nerone: si inizia con il Criptoportico, uno degli ambienti più decorati del Palatino
“Sulle tracce di Nerone” con il parco archeologico del Colosseo: un nuovo itinerario che si snoda tra Palatino, valle del Colosseo e Colle Oppio alla ricerca dei resti della “nuova Roma” – pretesa Nerapolis – che Nerone avrebbe voluto rifondare durante il suo principato. Dal 20 maggio 2020 ogni mercoledì sera gli archeologi del Parco Federica Rinaldi e Alessandro D’Alessio svelano una delle 6 tappe del percorso che parte con il cosiddetto Criptoportico neroniano, prosegue nei cosiddetti “Bagni di Livia”, approfondisce il tema delle decorazioni pavimentali marmoree e giunge a toccare quella che forse potrebbe essere la sala da pranzo rotonda e rotante descritta dalle fonti. Da qui l’affaccio sulla valle del Colosseo, un tempo occupata dallo stagno e dal vestibolo della Domus Aurea, il cui padiglione principale era collocato sul Colle Oppio.
La prima tappa “sulle tracce di Nerone” è al lungo Criptoportico: comunemente attribuito proprio a Nerone, è “davvero” neroniano? Si chiedono gli archeologi. “In realtà no. Questo criptoportico, uno dei tanti che collegava spazi e ambienti riccamente decorati sul Palatino, faceva già parte del complesso della Domus Tiberiana. Se non già Tiberio e Caligola, Claudio e specialmente Nerone trasformarono infatti i diversi nuclei delle domus tardo-repubblicane e primo-imperiali qui esistenti in un palazzo architettonicamente unitario. Il Criptoportico era quindi un passaggio sotterraneo, illuminato da finestre a bocca di lupo, che collegava diversi settori dal clivo Palatino alle Case di Livia e di Augusto: Nerone non fece altro che ampliarlo (è stata calcolata una lunghezza di ben 130 metri!) e decorarlo con pavimenti a mosaico bianco e nero e meravigliosi stucchi. Un’anticipazione che farà piacere a chi ci segue: una parte di questi stucchi, con cassettoni, elementi vegetali ed eroti, non appena riapriremo al pubblico, sarà musealizzato all’interno del Museo Palatino e potrà tornare così ad essere ammirato da tutti”-
Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica: dopo “The Zen Domus” con The Zen Circus sul Palatino tra Domus Flavia e Domus Augustana, seconda puntata con Clavdio dagli Horti Farnesiani

Il cantautore romano Clavdio sul Palatino per la seconda puntata di Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica (foto PArCo)
Non solo arte, storia e poesia: il Parco archeologico del Colosseo si apre alla musica. È tutto pronto per il secondo appuntamento di StarWalks – Quando il PArCo incontra la musica, il progetto innovativo e unico nel suo genere, ideato e realizzato coinvolgendo artisti musicali di primo piano, per incuriosire e avvicinare chi finora si è tenuto lontano da parchi archeologici e musei, attraverso il racconto e le sensazioni dei musicisti ospiti. L’appuntamento è per venerdì 8 maggio 2020 con Clavdio, al secolo Claudio Rossetti, il cantautore romano che inizierà la sua visita dalle pendici del colle Palatino. il cantautore romano Clavdio, lo speaker di Rai Radio2 Pierluigi Ferrantini e l’archeologo del PArCo Andrea Schiappelli si muovono lungo il colle Palatino, partendo dai resti del ramo secondario dell’acquedotto che portava l’Aqua Claudia nei palazzi imperiali, per raggiungere il palazzo degli imperatori Tiberio e Claudio e dare vita a una live session sulla terrazza degli Horti Farnesiani. La voce del cantautore, rappresentante illustre del quartiere Alessandrino, rinsalda il rapporto tra il PArCo e il resto della città, e fa riflettere sul legame tra Roma e i suoi abitanti, divisi tra amore infinito e difficoltà quotidiane, tra maestosità del centro e intimità delle periferie. [Puntata registrata prima del DPCM sul Coronavirus]
Il progetto StarWalks – Quando il PArCo incontra la musica è stato lanciato venerdì 24 aprile 2020 sul canale YouTube del Parco archeologico del Colosseo e sui canali social di Rai Radio2. La prima puntata della prima serie, dal titolo “The Zen Domus”, è stata registrata [prima del DPCM sul Coronavirus] sul colle Palatino negli spazi della Domus Flavia e della Domus Augustana, sedi del Palazzo degli imperatori romani, con scorci mozzafiato sulla valle del Circo Massimo: ospiti per l’occasione The Zen Circus, intervistati da Pierluigi Ferrantini. Dal momento della pubblicazione il video ha raggiunto quasi 2000 visualizzazioni, confermando il successo annunciato di un format che innova il rapporto con il pubblico e in particolare con quella fascia di pubblico giovane compresa tra i 15 e i 25 anni più difficile da coinvolgere.
#iorestoacasa. Nel Foro Triangolare di Pompei la base di una statua di Marco Claudio Marcello dà l’occasione al direttore Osanna di raccontare la storia del nipote prediletto di Augusto
Il Parco archeologico di Pompei è chiuso, si sa. Ma nel rispetto dell’impegno #iorestoacasa ecco una nuova “pillola” per gli appassionati. Nel Foro Triangolare di Pompei si possono ripercorrere delle tracce significative della storia romana. In questo nuovo video il Direttore Generale Massimo Osanna, partendo dalla base della statua sulla quale poggiava la sua statua, ci racconta la storia di Marco Claudio Marcello, un personaggio di grande rilievo per la storia di Roma del I secolo a.C. Marco Claudio Marcello, figlio di Gaio Claudio Marcello, console nel 50 a.C., e di Ottavia minore, sorella dell’imperatore Augusto, di cui era il nipote prediletto. La sua importanza crebbe quando fu chiaro che era uno dei primi candidati alla successione di Augusto. E per scavalcare Tiberio nella linea di successione il suo cursus honorum fu “accelerato” di 10 anni per decreto del Senato del 24 a.C. Ma fu inutile. L’anno dopo, il 23 a.C., Marcello morì a Baia a soli 19 anni. Virgilio lo ricorda nel VI libro dell’Eneide: “Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello”. Si racconta che quando Virgilio lesse ad Augusto in anteprima i versi dell’Eneide che parlavano del defunto Marcello, Ottavia svenne per l’emozione.
1937-2017: ottant’anni fa veniva aperta al pubblico la visita delle rovine di villa Jovis, il primo palazzo imperiale romano, il “nido di falco” voluto da Tiberio su un promontorio dell’isola di Capri davanti alla penisola sorrentina. Fu scavata dall’archeologo Amedeo Maiuri che si ha lasciato una romantica descrizione
Ottant’anni: tanti ne sono passati dall’apertura al pubblico di villa Jovis, la residenza ufficiale dell’imperatore Tiberio, sul promontorio del versante orientale di Capri, isola particolarmente cara al successore di Augusto, tanto che qui fece costruire altre undici ville. Ma fu villa Jovis quella più amata, per il clima mite e gli ampi panorami. Quando il sito archeologico di villa Jovis fu aperto al pubblico era il 1937, anno speciale perché scadeva il bimillenario della nascita dell’imperatore Augusto, celebrato con grande enfasi e solennità dal regime fascista. Il recupero e la riscoperta della residenza imperiale fu affidata a un maestro dell’archeologia, quell’Amedeo Maiuri che, dopo aver scavato con successo nell’Egeo, assumendo anche la direzione del museo Archeologico di Rodi, dal 1924 era stato nominato soprintendente alle Antichità di Napoli e del Mezzogiorno, nonché direttore del museo Archeologico di Napoli. Quando all’inizio degli anni Trenta del Novecento Maiuri venne a Capri il sito di villa Jovis, come lui stesso avrebbe scritto nel 1938 sul Corriere della Sera, “era un cumulo informe di macerie da cui erompevano, quasi paurosamente, le occhiaie vuote delle volte delle cisterne: fulmini, nembi e terremoti, abbattendosi su quel picco di roccia, avevano scrollato le mura della gran fabbrica e sulle malte sgretolate i venti avevano seminato una prodigiosa macchia di ginestre e allevato qualche querciuolo contornato; la grande rampa che saliva all’umile chiesetta aveva sepolto la parte migliore del palazzo; corridoi, logge, terrazze erano coperti da magri filari di vigna; all’ingresso un torracchione sgretolato, la Torre del Faro, quella che aveva dato con il suo crollo un sinistro presagio di morte, pencolante sull’abisso, e di quell’abisso la leggenda aveva fatto la rupe del sangue, della carneficina. Il mito di Tiberio riviveva in quella selvaggia e deserta solitudine, e uomini e natura sembravano congiurare a rendere il suo nome più esecrabile”.
La prima campagna di scavo iniziò nell’inverno 1932-1933. In pochi anni, è ancora Maiuri a scrivere, “le ricerche al gran sole di Capri, o al soffio rabbioso dello scirocco, hanno fatto di questa tragica e muta rovina uno dei più grandiosi complessi che la romanità ci abbia dato. E l’imperatore che non ha lasciato fama di gran costruttore e al quale si faceva anzi colpa di estrema parsimonia di opere pubbliche, ci ha dato invece un superbo esempio di organicità struttiva e architettonica che non è possibile non attribuire a suo personale gusto e a una deliberata volontà preordinatrice. Era facile quassù fare opera di grandiosa scenografia architettonica, di superflua magnificenza, e invece ci troviamo dinanzi alla rude e austera saldezza di una rocca, di una cittadella attanagliata alla rupe, di un palazzo abbarbicato al nudo sasso come un eremo di solitudine o un castello di difesa. E tutto appare subordinato ad una rigorosa, razionale funzionalità delle strutture, con una serrata logica di ideazione e di esecuzione: le immense cisterne affondate nel vivo della roccia, che occupano tutto il cuore del palazzo come il mastio di un castello; il quartiere del bagno degno di un ospite imperiale collegato direttamente a quelle cisterne; il quartiere degli alloggi del seguito disposti lungo i corridoi di servizio dei quattro piani del palazzo, come altrettante celle monastiche d’una badia di frati; la grande sala di ricevimento in forma di esedra-ninfeo; la sua stanza, la più remota e appartata, al di sotto della più alta terrazza del belvedere, proprio ai piedi della chiesetta; e il quartiere della loggia, dell’ambulatio imperiale, aerea, sospesa sulle rupi, tutt’aperta sull’immenso scenario del golfo di Napoli. Segno e suggello infine del soggiorno imperiale – conclude Maiuri la sua descrizione – la torre massiccia del Faro, piantata sul crinale delle rupi, in modo da non servire solo di faro ai naviganti. Ma da lanciare segnalazioni e messaggi al vicino Capo di Sorrento e al più lontano porto di Miseno dove ormeggiavano al sicuro, pronte ai comandi, le navi della flotta tirrena”.
Per raggiungere il promontorio di monte Tiberio e ammirare le rovine della splendida villa Jovis e conoscere le tecniche geniali di costruzione dei romani bisogna affrontare una salita di 45 minuti a piedi dalla famosa Piazzetta tra giardini di ville e viste su Marina Grande. Vicino all’ingresso della villa si trova il cosiddetto “salto di Tiberio”, una scogliera di 297 metri, che, secondo la leggenda, era da dove Tiberio faceva gettare sotto i suoi nemici. Villa Jovis, considerata il primo palazzo imperiale romano e un importante testimone dell’architettura romana del primo secolo, copre una superficie di 7mila metri quadrati. Dall’alto del promontorio il panorama è mozzafiato: a nord, il blu del Golfo di Napoli e l’isola di Ischia fino a Punta Campanella; a sud, il centro di Capri. “Già la scelta del luogo era d’eccezione”, scriveva Maiuri. “I romani amavano disporre le loro ville a mezza costa o lungo il litorale, in vista di una valle o a specchio della marina, innanzi ad aspetti sereni e dolci di colli e di piano o entro seni anfrattuosi di mare; e Capri pur aspra e petrosa aveva dovizia di questi luoghi, e Augusto aveva scelto per sé il più agevole, il più comodo, la bella spianata tutta verde di selva e di vigneti di Palazzo a mare, presso la marina; Tiberio volle invece per sé il picco più solitario, le rupi più abissali, il luogo più remoto da ogni altro abitato, e vi costruì il suo nido di falco. Fu una villa fortezza, più castello che palazzo, più eremo che magione imperiale; a guardarla oggi con la sua gran mole che copre il cocuzzolo del monte, si direbbe il vecchio castello di un signore feudale che imponesse chissà quale odioso diritto di preda ai naviganti: e fu invece la casa di un imperatore che consolidò saldamente sul mare e sulla terra l’impero di Augusto”.
A Rimini week end con il Festival del Mondo Antico nel segno di Augusto: passato e presente a confronto, tra cultura e potere. Incontri, visite guidate, laboratori

L’Arco di Augusto a Rimini durante una visita organizzata dal Festival del Mondo antico
Da queste parti Augusto, il divo Augusto, l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto, è di casa: a Rimini è un cittadino illustre. Figlio adottivo di un altro illustre romano, Gaio Giulio Cesare, la cui statua – a ricordo del passaggio del Rubicone – campeggia nella piazza centrale di Rimini, quella piazza Tre Martiri che altro non è che il prestigioso foro della romana Ariminum, colonia latina fondata già nel 268 a.C. in una posizione strategica all’inizio della pianura, che poi sarebbe diventata testa-terminale di altrettante strategiche vie consolari (la Flaminia, nel 220 a.C., da Roma ad Ariminum; la Emilia, nel 187 a.C., da Ariminum a Piacenza; la Popilia-Annia, 132 a.C., da Ariminum a Trieste via Ravenna-Adria-Padova-Altino-Aquileia). Ma Augusto qui è di casa per aver impreziosito la città con monumenti che ancora oggi possiamo ammirare, come il grande Arco (di Augusto, appunto) e il ponte di Tiberio (che completò il progetto iniziato dal primo imperatore romano).
Non stupisce quindi che proprio nel bimillenario della morte di Augusto (14 d.C. – 2014) Rimini abbia impostato la 16. Edizione del Festival del Mondo Antico (dal 20 al 22 giugno) nel segno di Augusto: passato e presente a confronto tra cultura e potere. Al centro della manifestazione, dal titolo “Un ponte oltre gli imperi: 14-2014, duemila anni di storia”, che affronta trasversalmente i grandi temi del sapere umano con un occhio al turismo culturale del territorio ricco di testimonianze antiche (non dimentichiamo il complesso archeologico della Domus del Chirurgo, del III secolo d.C..), c’è il ponte sul fiume Marecchia, costruito – come si diceva -, per volontà di Augusto nel 14 d.C., anno della sua morte, e terminato dal suo successore Tiberio: il titolo del festival è eloquente, con un impegnativo sottotitolo “un ponte sul porto collega mari e terre, crea più varchi sul confine, traccia i passaggi e dispone gli approdi, riduce le distanze sopra lo scorrere del tempo”.
“Tre giorni densi di appuntamenti”, assicura Luigi Malnati, direttore generale per le Antichità del Mibact, “per vivere pienamente l’archeologia, come scienza storica seria non come spettacolo, divulgandola con un approccio corretto: né in modo esotico né solo per addetti ai lavori”. Tomaso Montanari, Sandro De Maria, Claudio Strinati, Maurizio Bettini ma anche Michele Mirabella, Lia Celi, Giovanni Brizzi e Ivano Marescotti sono solo alcuni dei nomi presenti, in una kermesse che coniuga il dibattito ai concerti, il reading alle tavole rotonde, senza contare le visite al Museo della città di Rimini, con l’allestimento della nuova sezione archeologica. Accanto a studiosi di varie discipline ed esperti del mondo greco e romano, presenza tra le più attese è quella del soprintendente ai Beni culturali di Roma Umberto Broccoli, che sarà al Festival domenica 22 per “parlare di Augusto cercando da un lato di non santificarlo, dall’altro di non renderlo troppo umano, ma dando il senso del presente”. Un’occasione dunque per tessere legami tra ieri e oggi, nel tentativo di trovare nella storia significati e suggestioni ancora attuali. Ne è convinto Massimo Pulini, assessore alla Cultura di Rimini, che con l’Istituto per i Beni artistici dell’Emilia Romagna organizza il Festival: “Il mondo antico è sorgente di simboli e pensieri, così come lo è il ponte di Augusto con i suoi 2000 anni che rimanda all’idea di cucitura, ed è molto più di un collegamento tra due rive, ma un passaggio, un modo per comunicare”.
Arricchisce il Festival del Mondo antico la sezione “Vacanze romane”, che propone visite guidate ai tesori antichi del territorio. Sabato 21 e domenica 22 giugno alle ore 11, 17, 21 si possono visitare La Domus del Chirurgo e le domus di Ariminum, visita guidata al sito archeologico di piazza Ferrari e alle testimonianze delle abitazioni di età imperiale raccolte al Museo della Città. Sempre sabato 21 e domenica 22 giugno ma alle ore 10.30 e 16.30 c’è “Le pietre raccontano”, visita guidata al lapidario romano a cura degli studenti del Liceo Classico “G. Cesare”. Sabato 21 e domenica 22 giugno alle ore 16, 17, 18, 19 e alle 21, 22, 23 con “Rimini in barchetta …” si può “visitare” il ponte di Tiberio a bordo di un catamarano a motore passando tra le arcate del bimillenario Ponte di Tiberio per ammirare pietre, simboli, possenza e fascino senza tempo del monumento riminese più amato dai viaggiatori. Posti disponibili 10. In caso di un numero di partecipanti inferiore a 6 l’uscita verrà effettuata con barche a remi. A cura dell’Associazione Marinando. È richiesta prenotazione telefonica (tel. 0541.704415 e 329.2103329). Offerta libera. Sabato 21 alle 21 si va alla scoperta del Museo della Città con “Augusto e la sua Rimini”: nelle sale del Museo si incontra Ottaviano Augusto rappresentato nel ritratto marmoreo che lo identifica con i suoi caratteri fisiognomici. Da lì inizia il percorso che attraversa anche le testimonianze della Città profondamente modificata da Augusto e monumentalizzata. A cura di Monia Magalotti.
Anche quest’anno il Festival può contare sulla collaborazione della casa editrice Il Mulino: l’idea è quella di passare dal libro al dialogo diretto con gli autori, in un continuo scambio di informazioni non solo a fini divulgativi ma anche dispensando qualche curiosità. E quindi accanto a temi relativi al rapporto tra il potere e la cultura, o il potere e le donne, o ancora sul mutamento degli imperi, ci sono incursioni su questioni più leggere, come la cucina ai tempi di Augusto. Ultimo ma non meno importante tassello della manifestazione, il Piccolo Mondo Antico Festival, la sezione dedicata ai più piccoli: qui bambini e ragazzi incontreranno il fascino della storia attraverso archeologia sperimentale, giochi e racconti animati.
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