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I capolavori del museo Archeologico coinvolti in avvincenti storie tinte di mistero protagonisti nell’antologia “Delitti al Museo” (Giallo Mondadori) al centro di una nuova campagna social del Mann: suggestivo video-racconto tra letteratura e arte

La Venere Callipigia, uno dei capolavori più famosi del museo Archeologico nazionale di Napoli, coinvolta in una delle storie in “Delitti al Museo” (Giallo Mondadori) (foto Luigi Spina)

C’è un gatto che si aggira per il museo Archeologico nazionale di Napoli di cui conosce ogni segreto, e osserva il mondo da un’angolazione privilegiata quella del Giardino della Vanella. Si scopre così che la Venere Callipigia, la Tazza Farnese, i Tirannicidi ed altri capolavori del Mann sono coinvolti in avvincenti storie tinte di mistero. Succede questo e molto altro in “Delitti al Museo” (Giallo Mondadori, 2019): il volume, a cura di Franco Forte e Diego Lama, comprende dieci racconti firmati da noti giallisti italiani (Diego Lama, Diana Lama, Andrea Franco, Stefano Di Marino, Carlo Martigli, Giulio Leoni, Romano De Marco, Antonio Fusco, Luigi Guicciardi, Serena Venditto) ed ambientati nelle sale dell’Archeologico: da venerdì 20 novembre 2020, il libro sarà al centro di una nuova campagna social lanciata dal Museo in questa fase di chiusura. Sulla pagina Facebook del Mann sarà possibile trovare, così, una connessione ideale tra letteratura ed arte: l’introduzione al libro sarà ripercorsa in un suggestivo video-racconto, che permetterà ad una voce narrante, in pochi minuti, di attraversare gli ambienti oggi chiusi dell’Archeologico; nelle “puntate” successive, sempre programmate di martedì e venerdì, spazio a brevissimi inserti video realizzati da alcuni scrittori in novanta secondi. Non mancheranno focus diretti sui testi, con post di poche righe di sintesi “emozionale” in abbinamento alle immagini. 

In “Delitti al Museo” un gatto si aggira per le sale del Mann e osserva quanto succede (foto Mann)
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La copertina del libro “Delitti al Museo” (Giallo Mondadori)

Delitti al Museo. Il museo Archeologico nazionale di Napoli nella sua sede monumentale custodisce secoli di storia e infinite storie. Un paradiso per i turisti, un inferno per gli investigatori. Lo sa bene Sebastiano “Bas” Salieri, illusionista e ricercatore dell’occulto, alle prese con il macabro assassinio rituale di un vecchio amico e la scomparsa di un prezioso manufatto. Napoli è una città di enigmi, che le sono connaturati fin da epoche lontane. Come scoprono Martino da Barga, frate francescano inviato dal pontefice a indagare su una sacerdotessa che forse è una strega, e monsignor Attilio Verzi, chiamato a risolvere il caso di un omicidio commesso con un antico pugnale. Enigmi che aleggiano intorno a opere d’arte. Come la statua di Venere che ossessiona un’artista, ignara che qualcuno è pericolosamente attratto da lei. La stessa statua in qualche modo collegata alla morte di un accademico inglese, un nuovo rompicapo per il commissario Veneruso. Dagli anni Trenta, quando il ritrovamento di un reperto “impossibile” innesca sviluppi imprevedibili, fino ai giorni nostri, che sia per una brutale esecuzione tra la folla dei visitatori, per un delitto perpetrato nella sezione egizia, o per l’inspiegabile presenza notturna di un uomo seduto a fissare un certo oggetto, il centro di tutto è sempre uno e uno solo: il Mann.

Statuette esposte nella sezione Egizia del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Studio Guicciardini e Magni)

Filo conduttore della campagna social “Delitti al Museo” sarà la riscoperta dei reperti del Mann, secondo una diversa chiave di lettura creativa: non soltanto opere d’arte, ma anche Sezioni (in primis quella Egizia, che si caratterizza per la sua aura di mistero) e manufatti preziosi, come la lamina orfica che corredava un’antica sepoltura del IV sec. a.C. Non a caso, la promozione dell’antologia “Delitti al Museo” rientra negli interventi definiti dal direttore del Mann, Paolo Giulierini, e realizzati nell’ambito del progetto “Museo Accessibile” (coordinamento scientifico: prof. Ludovico Solima, università della Campania “Luigi Vanvitelli”/ framework operativo: PON Cultura e sviluppo- FESR 2014/2020): “La valorizzazione delle pagine della silloge permette di ampliare le maglie dell’accessibilità al patrimonio dell’Archeologico. Un’accessibilità che, in fase di pandemia, si connota sempre più come piattaforma cognitiva e digitale da condividere”. 

Il film documentario di Doriana Monaco “Agalma”, vita al museo Archeologico nazionale di Napoli, in anteprima nella sala “Notti Veneziane – L’Isola degli Autori” alla 17.ma edizione delle Giornate degli Autori di Venezia 77

La locandina del film documentario “Agalma” di Doriana Monaco

“Agalma”, vita al museo Archeologico nazionale di Napoli,  film documentario scritto e diretto da Doriana Monaco con le voci di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni, selezionato alla 17.ma edizione delle Giornate degli Autori di Venezia 77, sarà proiettato in anteprima assoluta mercoledì 9 settembre 2020 alle 21.30 nella sala “Notti Veneziane – L’Isola degli Autori” (via Pietro Buratti 1, Lido di Venezia). Prodotto da Antonella Di Nocera (Parallelo 41 Produzioni) e Lorenzo Cioffi (Ladoc) con il museo Archeologico Nazionale di Napoli diretto da Paolo Giulierini, produzione esecutiva di Lorenzo Cioffi e Armando Andria, con il contributo di Regione Campania e la collaborazione di Film Commission Regione Campania, il film è  frutto  di tre anni di lavoro sulla quotidianità  di uno dei più importanti musei del mondo, che ha aperto le porte alla giovane regista allieva di FilmaP – Atelier di cinema del reale di Ponticelli.  “Agalma” è anche un omaggio al classico  “Viaggio in Italia” di  Roberto Rossellini, oggi più che mai significativo: al centro del racconto c’è  il rapporto segreto e sempre nuovo che nasce tra i visitatori e le meraviglie dell’antichità greco-romana, ma anche il respiro appassionato di chi pianifica ogni giorno la vita del museo. Tutto fa emergere il Mann come un grande organismo produttivo, che rivela la sua natura di cantiere materiale e intellettuale. In squadra con la regista, i fonici Filippo Puglia e Rosalia Cecere, il compositore Adriano Tenore, gli aiuti regia Marie Audiffren ed Ennio Donato e per la post produzione la montatrice Enrica Gatto e la colorist Simona Infante. Il film ha ricevuto la menzione speciale al Perso Lab 2019.

Sinossi. Nell’illusoria immobilità del grande edificio borbonico che ospita il Museo Archeologico Nazionale, un vortice di attività offre nuovo respiro a statue, affreschi, mosaici e reperti di varia natura. Il film osserva ciò che accade ogni giorno negli ambienti del museo, soffermandosi sulla quotidianità dei lavoratori, alle prese con interventi delicatissimi che necessitano di cura e tempo, e manutenzione costante. Le opere che vivono e vibrano da secoli sono monitorate come corpi viventi. Tutto ciò accade mentre giungono visitatori da ogni parte del mondo, popolando le numerose sale espositive sotto l’occhio apparentemente impassibile delle opere che sono protagoniste e spettatrici a loro volta del grande lavorio umano. Tutto fa emergere il museo come grande organismo produttivo, che rivela la sua natura di cantiere materiale e intellettuale. Agalma (dal greco “statua”, “immagine”) coglie la bellezza del Museo non solo nell’evidenza dei suoi incantevoli tesori di arte classica, ma anche nelle relazioni intime e invisibili che si realizzano al suo interno.

Doriano Monaco regista del film documentario “Agalma” (foto Angelo Antolino)

Il direttore Paolo Giulierini sul set del film “Agalma” di Doriana Monaco (foto Angelo Antolino)

Sul set del film documentario “Agalma” sul Mann di Doriana Monaco (foto di Angelo Antolino)

Restauratori sul set del film documentario “Agalma” di Doriana (foto Angelo Antolino)

Note di regia. “Prima di varcare la soglia del museo Archeologico”, scrive la regista Doriana Monaco, “avevo individuato come centro della mia ricerca la natura frammentaria delle opere classiche e, di conseguenza, del mondo antico. Il film nasceva con l’intento di avvicinarmi il più possibile a quel mondo e a quelle opere, ponendo l’accento sul fatto che si trattasse per lo più di reperti “riemersi in superficie”, quasi mai integri, che nel corso dei secoli hanno subito continue metamorfosi fisiche e interpretative anche attraverso l’azione del restauro. Il punto di partenza è stato dunque rendere visibili questi frammenti su corpi di statue, ceramiche, affreschi e mosaici. Superfici irregolari, crepe, corrosioni, pezzi mancanti sono diventati segni specifici della narrazione. Con mia sorpresa quando sono approdata al museo lo scenario era tutt’altro che immobile, in virtù dei numerosi cambiamenti in corso che mi hanno catapultato in un universo dinamico. Seguire la vita del museo per quasi tre anni mi ha dato l’opportunità di scoprire un universo altrimenti inaccessibile – penso al mondo sommerso dei depositi – e filmare momenti memorabili come lo spostamento della scultura dell’Atlante Farnese, il ritorno della statua di Zeus dal Getty Museum o l’allestimento della mostra sulla Magna Grecia nelle sale con i pavimenti costituiti dai mosaici di Pompei”. E continua: “L’archeologia come materia viva, dunque, ecco uno dei temi del film. La necessità era quella di trovare una chiave che sovrapponesse lo sguardo archeologico a quello cinematografico, depurandolo dall’elemento divulgativo che spesso accompagna i documentari archeologici per affidare il più possibile il racconto a trame visive. Un’altra traccia di riferimento è stata un fotogramma del film Viaggio in Italia di Roberto Rossellini in cui la protagonista Katherine, interpretata da Ingrid Bergman, si ritrova al cospetto della scultura colossale dell’Ercole Farnese. La visita di Katherine/Bergman all’interno del museo Archeologico avviene, per usare le parole di Giuliana Bruno nel suo Atlante delle emozioni, “attraverso un contatto viscerale, quasi fisico, con sculture che arrivano a turbare il suo animo”. A quello sguardo ho affidato il simbolo del percorso di scoperta e iniziazione. Ed è in qualche modo ciò che vorrei che lo spettatore provasse entrando in relazione con questi oggetti tramite “uno sguardo che si fa contatto”, vederli il più vicino possibile. Un’ulteriore stratificazione è conferita dal testo in voice over che attraversa il film, costruito sul racconto in prima persona di alcune opere del museo, letto da Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni. Nel mondo antico era consuetudine che le statue recassero iscrizioni in prima persona, di modo che fosse l’opera stessa a dire da chi era stata realizzata e per quale ragione. Ho mutuato così il linguaggio archeologico della descrizione dell’opera rielaborandolo a favore del racconto. Zeus ci parla di un ritrovamento, Atlante di una metamorfosi, Hermes della sua condizione di frammento, le danzatrici del mito che si mette in scena, mentre i Tirannicidi sono spettatori a loro volta delle vicissitudini umane che si agitano nel museo. Agalma è la relazione tra l’opera e chi la osserva e ne è osservato. Lo sguardo della statua diviene luogo di possibilità interpretative, punti di vista e nuove visioni che si riflettono nello sguardo del visitatore a sua volta intercettato dal cineocchio, rievocando il ruolo performativo che la cultura greco-romana riconosceva alle immagini”.

Il ministro Franceschini, il generale della Guardia di Finanza Carrarini e il direttore Giulierini applaudono il ritorno in Italia dello “Zeus in trono”

Le opere ci parlano. Zeus in trono. La statua risale al I secolo a.C. e rappresenta l’iconografia classica del dio greco. Proviene probabilmente dalle acque del golfo flegreo. Un lato è ricoperto da incrostazioni marine, l’altro lato è liscio, si ipotizza seppellito nella sabbia. Dal 1992 al 2017, dopo essere finita in un giro di ricettatori, è stata esposta al Getty Museum di Los Angeles. Nel 2012, in seguito all’analisi di un frammento di marmo ritrovato a Bacoli, si è accertata la corrispondenza con lo spigolo del bracciolo del trono di Zeus. La statua ha fatto ritorno nel giugno 2017 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli per poi trovare la sua dimora definitiva al Castello di Baia.

Lo spostamento dell’Atlante Farnese sul set di “Agalma” (foto Angelo Antolino)

Atlante Farnese. La statua, in marmo, raffigura il titano Atlante che sorregge sulle spalle con estrema fatica la sfera celeste, sulla quale sono rappresentate le costellazioni. Rinvenuta nelle terme di Caracalla, a Roma, intorno al 1546, non si conosce il suo autore ma si sa che è una copia romana di un originale greco databile attorno al II sec. d.C. La statua, per un breve periodo esposta nell’atrio centrale del museo, si trova ora nella Sala della Meridiana. Il film ne ha seguito il delicato spostamento.

Hermes, busto in terracotta, nella collezione Magna Grecia al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Mann)

Hermes. Il busto maschile di terracotta è parte del nuovo allestimento permanente dedicato alla Magna Grecia. Fa parte dei reperti ritrovati a Canosa di Puglia ed era molto probabilmente di destinazione funebre. Le ali presenti sul copricapo fanno pensare che si tratti di Hermes, il messaggero delle divinità.

Una lastra della Tomba delle Danzatrici scoperta a Ruvo di Puglia, oggi nella collezione Magna Grecia del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Graziano Tavan)

Le Danzatrici. Il 15 novembre 1833 fu scoperta a Ruvo di Puglia una tomba, detta delle Danzatrici per il soggetto della sua decorazione pittorica. Cinque anni dopo la scoperta, le lastre furono staccate dalle pareti della tomba e vendute al Real Museo Borbonico. La rappresentazione del corteo delle danzatrici che incedono con le braccia intrecciate rievoca la danza rituale presente nel mito di Teseo che assume, in ambito funerario, la funzione simbolica di evocare il “passaggio di stato” dalla vita alla morte.

Il gruppo dei Tirannicidi nella collezione Farnese del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Graziano Tavan)

I Tirannicidi. Le due sculture in marmo, parte della collezione Farnese, furono rinvenute nella Villa Adriana e giunsero a Napoli nel 1790. Si tratta di una delle tante copie romane realizzate nel ll secolo a.C. degli originali greci in bronzo. Rappresentano Armodio e Aristogitone che liberarono Atene dalla tirannide diventando così i simboli della democrazia ateniese. Si tratta delle prime due sculture della storia dell’arte arte greca che rappresentano personaggi realmente esisti.