Egitto. Ad Alessandria ovest scoperte mummie “con la lingua d’oro” dalla missione egiziano-dominicana guidata da Kathleen Martinez, impegnata al Tempio di Taposiris Magna (Grande tomba di Osiride). Trovate 16 tombe nella roccia con mummie di epoca greco-romana, cartonnage, amuleti in oro, e maschere funerarie in marmo

Scoperte mummie “con la lingua d’oro” di duemila anni fa che doveva servire al defunto a parlare con Osiride, il dio dell’Oltretomba e della sopravvivenza dopo la morte. Lo stato di conservazione delle mummie è cattivo, molte sono parziali o danneggiate, ma quando gli archeologi della missione egiziano-dominicana dell’università di Santo Domingo guidata da Kathleen Martinez, impegnata presso il Tempio di Taposiris Magna (Grande tomba di Osiride) ad Alessandria occidentale, hanno visto il luccichio uscire dalla bocca dei resti della mummia, si sono resi conto dell’eccezionalità della scoperta. La missione, come ha annunciato il ministero del Turismo e delle Antichità egiziano, ha riportato alla luce 16 sepolture nelle tombe scavate nella roccia (pozzi funerari), molto diffuse in epoca greco-romana. All’interno di questi pozzi un certo numero di mummie in cattivo stato di conservazione. Alcuni elementi della mummificazione ci portano a datarle all’epoca greco-romana, come i resti di cartonnage dorato oltre ad amuleti di lamina d’oro a forma di lingua che veniva posta nella bocca della mummia in uno speciale rituale per garantire la loro capacità di parlare nell’aldilà davanti al tribunale di Osiride.

Tra le mummie più interessanti tra quelle ritrovate, ha spiegato Kathleen Martinez, ce ne sono due che hanno conservato i resti di pergamene e parti del cartonnage: la prima con resti di doratura e con decorazioni dorate che mostrano il dio Osiride, il dio dell’aldilà, mentre l’altra mummia indossa una corona, ornata di corna, e il serpente cobra sulla fronte. Il petto della mummia mostra una decorazione dorata che rappresenta l’ampia collana da cui pende la testa di un falco, simbolo del dio Horus.

Khaled Abo El Hamd, direttore generale delle Antichità di Alessandria, ha affermato che durante questa campagna la missione ha fatto una serie di scoperte archeologiche, la più importante delle quali è una maschera funeraria per una donna, otto fiocchi d’oro che rappresentano le foglie di un corona e otto maschere di marmo risalenti all’epoca greco-romana, e queste maschere mostrano l’alta maestria nella scultura e la rappresentazione dei lineamenti dei suoi proprietari. “Vale la pena ricordare che negli ultimi dieci anni la missione ha recuperato importanti reperti archeologici che hanno cambiato la nostra percezione del Tempio di Taposiris Magna: all’interno delle mura del tempio sono state trovate alcune monete con il nome e l’effige della regina Cleopatra VII, e poi molti frammenti di statue che si ritiene decorassero i giardini del tempio, oltre alla rilevazione di elementi delle fondamenta del tempio, che dimostrano siano state costruite dal re Tolomeo IV”.
Egitto. Nella necropoli di Saqqara la missione egiziana scopre 100 sarcofagi inviolati e sigillati di 2500 anni fa, 40 statue dorate di Ptah Soker, 20 scatole di legno di Horus, e poi statuette, amuleti, ushabti e 4 maschere in cartonnage dorato. I sarcofagi andranno tra il Grand Egyptian Museum, il National Museum of Egyptian Civilization, il museo della Nuova Capitale Amministrativa e il museo Egizio di piazza Tahrir. Le mummie al National Museum of Egyptian Civilization


Il ministro al Turismo e alle Antichità Khaled el Anani parla davanti alla distesa di sarcofagi scoperti a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquities)
Cento sarcofagi in legno di 2500 anni fa, inviolati e sigillati, ancora in ottime condizioni, contenenti mummie ben conservate, alcune accompagnate con ricchi ornamenti all’interno di pozzi funerari; quaranta statue (alcune dorate) di Ptah Soker, dio della necropoli di Saqqara, venti scatole di legno del dio Horus, due statue di “Phnomus “, una alta 120 cm e l’altra 75 cm, in legno di acacia. Oltre a numerose statuette, amuleti, ushabti e 4 maschere in cartonnage dorato. I ritrovamenti risalgono all’epoca delle dinastie dal VI al IV secolo a.C. e alla dinastia dei Tolomei (IV-I sec. a.C.). È l’ultima scoperta archeologica della missione egiziana dalla necropoli di Saqqara annunciata dal ministro al Turismo e alle Antichità Khaled el Anani alla presenza del maggiore generale Ahmed Rashid, governatore di Giza; l’ambasciatore Badr Abdel Aty, assistente ministro degli Affari Esteri per gli Affari Europei; Mostafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità; il maggiore generale Atef Moftah, supervisore del Grand Egyptian Museum e l’area circostante, e Ahmed Ghoneim, CEO del National Museum of Civilization; Al-Tayeb Abbas, viceministro per gli Affari archeologici presso il Grand Egyptian Museum, e un certo numero di funzionari del ministero, oltre ad alcuni personaggi pubblici e artisti egiziani.

L’area di Saqqara – nota al mondo per la piramide a gradoni di Djoser – non finisce mai di stupire. “È la terza grande scoperta fatta negli ultimi tre anni di campagna di scavo nella stessa zona da archeologi egiziani nell’ambito di una missione egiziana”, ha sottolineato con un certo orgoglio il segretario dello Sca, Mostafa Waziri. “Un’area già nota per i ricchi ritrovamenti in passato, come le tombe dei nobili, in cui è stata ritrovata la sacra necropoli di gatti, animali e uccelli. Senza dimenticare la grande scoperta fatta questa primavera della tomba di Wahty, un sacerdote della V dinastia, che ha fatto il giro del mondo”.

La pulitura delle statue di Ptah Soker scoperte a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquities)
È toccato al ministro Khaled el Enani introdurre la scoperta con la proiezione di un cortometraggio sui momenti del ritrovamento. “Questa nuova scoperta rappresenta una continuazione dell’ultima scoperta annunciata lo scorso ottobre, e non siamo certo alla fine della ricerca. Altri ritrovamenti saranno annunciati a breve. Ma prima dobbiamo completare l’estrazione dei sarcofago già individuati per poter poi continuare l’esplorazione dei pozzi al momento ostruiti proprio dalle casse di legno”. I cento sarcofagi appena scoperti saranno distribuiti tra il Grand Egyptian Museum, il National Museum of Egyptian Civilization, il museo della Nuova Capitale Amministrativa e il museo Egizio di piazza Tahrir. Quelli che saranno trasferiti in quest’ultimo museo arricchiranno la mostra di sarcofagi aperta per celebrare il 118° anniversario della fondazione del museo.

“La scoperta che oggi illustriamo”, ha ribadito il ministro, “non sarà l’ultima nel 2020. Il dottor Zahi Hawass mi ha informato pochi giorni fa di un nuovo ritrovamento a Saqqara. Ma ci vorranno alcune settimane per poterlo presentare al mondo. Lo faremo entro la fine di dicembre o l’inizio del 2021. Ed entro l’anno – ha continuato – apriremo le gallerie Centrale e delle Mummie nel museo nazionale della Civiltà Egizia: evento che sarà accompagnato da una grande parata per trasportare le mummie reali dal museo Egizio di Tahrir alla loro nuova sede”.

I tecnici procedono alla radiografia della mummia durante la presentazione della scoperta archeologica a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquities)
Durante la presentazione della scoperta archeologica, è stato aperto un sarcofago e la mummia al suo interno è stata scansionata con una radiografia. Il segretario dello Sca, Mostafa Waziri, ha sintetizzato il risultato dell’esame radiografico: “Si tratta di un maschio, la sua altezza oscillava tra 165 e 175 cm, era in buona salute durante la sua vita e probabilmente è morto tra i 40 anni e 45 anni”.
#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 20.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco si sofferma sul sarcofago di Tabekenkhonsu, tipico sarcofago femminile del Terzo Periodo Intermedio
Col 20.mo appuntamento delle “Passeggiate del direttore” siamo ancora nel Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco ci presenta i sarcofagi femminili descrivendo il sarcofago di Tabekenkhonsu esposto nella galleria dei Sarcofagi del museo Egizio di Torino. “Il nome della defunta – spiega Greco – è scritto su una colonna in geroglifico preceduto dagli appellativi “l’Osiride e la signora della casa”, “cantatrice di Amon-Ra signore degli dei”, seguito da “djed es” “ella dice” con alcune formule funerarie. La fattura di questo sarcofago molto raffinato si vede nella resa dei geroglifici e dei dettagli. Ad assicurarci che si tratta di un sarcofago femminile sono le due mani stese, anche se qui ne rimane solo una. E poi ci sono due orecchini che adornano i lobi delle orecchie. Sul davanti si vede una treccia finemente intrecciata che ci ricorda la parrucca di Merit. La parrucca è in blu egizio: pigmento artificiale ottenuto dalla malachite con l’aggiunta di natron che aveva un processo di doppia ossidazione e che gli egizi chiamavano “fatto come di lapislazzuli”. Il fatto che qui non sia più così brillante è dovuto non solo all’invecchiamento ma anche alla vernice che ne ha alterato la valenza cromatica. Questa capigliatura tipica femminile è decorata con due fasce orizzontali. Molto evidente è anche la resa dei seni. Al di sotto delle falde della parrucca vi sono quelle che sembrano due rosette e indicano i seni. Quindi mani stese, seni, orecchini, tutti elementi tipici femminili”.
Come nel sarcofago di Butehamon c’è un collare a giorno “wsekh” con due teste di falco che rappresentano il dio Horus. “Evidente l’horror vacui con questa decorazione fittissima che deve trasferire al sarcofago tutti gli elementi indispensabili per la sopravvivenza del defunto nell’aldilà. Innanzitutto è interessante osservare nella parte centrale il succedersi di scarabei e dischi solari. Lo scarabeo è il simbolo del dio sole di giorno. Tra l’altro qui lo scarabeo è reso con la testa di ariete. L’ariete è invece la forma del dio sole di notte. Quindi qui le due “keperu”, le due manifestazioni del dio sole sono fuse assieme. Al centro di nuovo la dea Nut, la dea del cielo notturno e immediatamente sopra la testa della dea Nut vediamo il simbolo stellato del cielo stesso, anche questo reso in blu egizio. Una parte della superficie del simbolo del cielo è stata danneggiata permettendoci di cogliere la brillantezza del blu che non è stato alterato dallo strato di vernice. Interessante è la tecnica. Alcune figure come lo scarabeo, il simbolo stesso del cielo, ma anche le ali della dea Nut sono in rilievo. Quindi il blu egizio non veniva usato semplicemente come pigmento ma anche in rilievo quasi a rendere una tridimensionalità all’interno della decorazione stessa. E poi la parte immediatamente sopra il simbolo del cielo, dove al centro c’è lo scarabeo, ci ricorda anche un altro aspetto fondamentale della religione egizia: l’unità solare osiriaca, perché mentre al centro c’è lo scarabeo ai due lati troviamo seduto in trono il dio Osiride. Di nuovo il dio sole e il dio Osiride, che sono questo “necer aa”, questo grande dio, i quali devono fare in modo che non solo il corpo del defunto venga preservato ma che anche egli possa poi raggiungere la barca del dio sole e prendere parte al periplo eterno attorno alla terra assieme a lui”.
#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: con l’undicesimo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, ci fa conoscere la cosiddetta Unità Solare Osiriaca, attraverso l’esame di sarcofagi antropomorfi in legno e in pietra
L’undicesimo appuntamento con le “Passeggiate del direttore” ci fa conoscere la cosiddetta Unità Solare Osiriaca, un concetto, come ben spiega il direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco, si sviluppa nel Nuovo Regno. Per introdurre l’argomento Greco ci ricorda come veniva definita una persona nell’Antico Egitto e quindi perché erano state elaborate per fare in modo di garantire al defunto di vivere e sopravvivere nell’Aldilà. C’era il ba, “l’anima”, che veniva rappresentato come un uccello con testa antropomorfa e poteva viaggiare da una parte all’altra della falsa porta. C’era il ka, la “forza vitale”, l’alter ego. C’era il corpo, che doveva essere preservato e trasfigurato con la mummificazione. E poi vi era il nome, che aveva una valenza molto importante: bisognava che il nome venisse ricordato, bisognava anzi che i passanti che si trovavano davanti alla tomba leggessero ad alta voce il nome per farlo vivere per sempre. E si arriva così, con il Nuovo Regno, con la definizione di Unità Solare Osiraca. Proprio quando cambia anche la forma dei sarcofagi che diventano antropomorfi. Nella cassa si evidenzia tutta la valenza di Osiride, sovrano d’Egitto, morto e risuscitato, ora sovrano dell’Oltretomba al quale il defunto vuole essere accomunato. “Osiride – e colui che vuole essere accomunato a Osiride –“, spiega Greco, “deve innanzitutto fare in modo che il proprio corpo venga conservato. Ecco quindi non solo la presenza di Osiride ma anche le divinità canopiche, Hapi e Qebehsenuf, Imset e Duamutef, che sono i quattro figli di Horus, e poi c’è Anubi, il dio Sciacallo che deve portare il defunto nell’Aldilà. Quindi il sarcofago è un cosmogramma, quel luogo in cui tutti gli elementi fondamentali della religione antico-egizia trovano spazio e, grazie ai testi che sono scritti, si fa in modo che il corpo venga preservato. Perché solo se il corpo è preservato, come è scritto nel capitolo 151 del Libro dei Morti, il defunto può sopravvivere nell’Aldilà”. Una volta che l’obiettivo è stato raggiunto, cioè che la cassa e il sarcofago riescono a preservare il defunto, arrivati sul coperchio il defunto deve avere la forza di essere trasfigurato e di poter viaggiare con il dio Sole e prendere parte al periplo solare. Le due divinità, Osiride e Ra, hanno un ruolo fondamentale nel determinare la vita dell’Antico Egitto. Osiride garantirà la sopravvivenza nell’Aldilà, il Sole con il suo periplo continuo garantisce che sulla terra ci sia maat “ordine” e che la terra possa continuare a vivere. Ecco quindi che il sarcofago con elementi osiriaci ed elementi solari garantisce che con la “nuova nascita” il defunto possa continuare a vivere: è l’Unità Solare Osiriaca”.

Il sarcofago di Djehutymes in granito rosa di Assuan al museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)
I sarcofagi antropomorfi compaiono dalla XVII dinastia. E non sono solo in legno ma anche in pietra. Al museo Egizio di Torino ci sono due esemplari meravigliosi in granito rosa di Assuan. Il sarcofago di Djehutymes, intendente del tempio di Amon a Karnak durante l’epoca di Ramses II, circa il 1250 a.C., e, di fronte a lui, il sarcofago della moglie, Isis, che ha il titolo di cantatrice di Amon, come dimostra il sistro che tiene in mano, titolo di una sacerdotessa molto comune in questo periodo”, descrive Greco. “Qui si vedono solo i due coperchi, dove si capisce che la policromia doveva rendere questi sarcofagi ancora più spettacolari. Sono imponenti e maestosi. Ma sono anche una testimonianza importante per quanto riguarda il collezionismo e la formazione della nostra collezione”. Questi due sarcofagi – ricorda il direttore – furono ritrovati da Antonio Lebolo, un piemontese nel 1819, e Lebolo penetrò probabilmente all’interno della tomba tebana TT32 che Djehutymes aveva fatto preparare per sé e la sua famiglia. “Lebolo dentro questa tomba non trovò solo questi sarcofagi di età ramesside, ma scoprì anche che la tomba fu riutilizzata in età romana, tra Traiano e Adriano. La tomba e il suo corredo venne suddiviso tra vari collezionisti, così oggi al museo Egizio vediamo reperti che appartengono alla prima occupazione di età ramesside, ma anche un sarcofago di età adrianea, che appartiene al piccolo Petamenofi. Ma i sarcofagi della famiglia di Petamenofi e le mummie della sua famiglia sono sparse per tutta Europa: i nonni al British Museum, i genitori a Parigi, cugini e fratelli a Berlino, e la zia al museo nazionale di Antichità di Leida”.
Antico Egitto. Scoperta a Tebe-Luxor dalla missione spagnola che opera al recupero del tempio funerario di Thutmosi III, la tomba di un alto funzionario di corte del Terzo Periodo Intermedio con un bel cartonnage

I resti del tempio funerario di Thutmosi III a Deir el Bahari sulla riva occidentale del Nilo a Tebe-Luxor
L’Egitto non finisce mai di stupire: scoperta a Tebe-Luxor la tomba di un alto dignitario dei faraoni risalente al Terzo Periodo Intermedio. Durante la nona campagna di scavo, la missione archeologica spagnola, diretta dall’egittologa Myriam Seco Ælvarez, ha scoperto a Tebe, sulla riva ovest di Luxor in Egitto, una tomba risalente agli inizi del Terzo Periodo Intermedio, vale a dire dell’XI-X sec. a.C.. La sepoltura, alla fine di un breve pozzo, è stata ritrovata lungo la facciata esterna del muro meridionale del tempio funerario del faraone della XVIII dinastia Thutmosi III (1490/68 -1425 a.C.), a Deir el-Bahari, vicino al tempio funerario di Hatshepsut. Lo ha reso noto il ministero delle Antichità egiziano. “La tomba, molto piccola, 80 centimetri di altezza e 60 di larghezza, è in ottimo stato”, assicura Mahmoud Afifi, direttore del Dipartimento delle Antichità locale. “Al suo interno è stato trovato un sarcofago deteriorato con una mummia ben conservata di un alto funzionario di corte, Amon-Renef “Servitore della Real Casa”, avvolto in una bel cartonnage colorato”.

Il bel cartonnage dell’alto funzionario Amon-Renef scoperto nella tomba lungo la facciata esterna del tempio di Thutmosi III dalla missione spagnola di Myriam Seco
“Abbiamo trovato la nicchia al di fuori del perimetro sud del muro del tempio”, racconta Seco che dal 2008 è co-direttore della missione che ha l’arduo compito di recuperare il tempio funerario del più grande faraone di tutti i tempi. “Il sarcofago antropomorfo è stato mangiato dalle termiti. Si sono conservati solo un poco dei piedi e del viso. Al suo interno, però, è stato trovato un cartone molto fragile, che mantiene ancora la sua vivida decorazione: è una vera bellezza”. Il rivestimento di cartonnage è stato usato nell’Antico Egitto a partire dal Primo periodo intermedio per realizzare le maschere funerarie. È stato proprio dallo studio preliminare del cartonnage che si è potuto sapere qualcosa di più preciso sul proprietario della sepoltura. “Vi sono riportati tutti gli elementi della religione egizia. Appaiono i simboli solari, come il disco solare o il cobra; le dee protettive Iside e Nefti con le loro ali spiegate; i quattro figli di Horus incaricati di custodire le viscere del defunto; i falchi protettori sempre con le ali spiegate”. E poi ricorda l’egittologa sivigliana: “Abbiamo anche trovato associati degli oggetti ascrivibili al Terzo Periodo Intermedio. Per questo gli studi preliminari collocano la sepoltura intorno all’XI-X secolo a.C. Ma necessitano ovviamente studi più approfonditi”. Intanto sappiamo che il defunto si chiamava Amon-Renef e portava il titolo di “Servitore della Real Casa”. È stata una figura importante nella corte: si prendeva cura di tutto.
Il poco spazio disponibile nella tomba ha complicato il lavoro degli archeologi. “Immaginate le posture scomode che hanno dovuto adottare i due restauratori che hanno lavorato nella nicchia, con l’ulteriore difficoltà che si doveva muoversi, entrare e uscire senza toccare il cartonnage” riprende la direttrice Seco. “Abbiamo lavorato per una settimana per rimuovere il cartonnage intatto”. Durante il delicato processo, gli esperti hanno coperto la maschera funeraria con una garza, prima di essere recuperata e inviata al laboratorio. “Ora è fondamentale intervenire sul cartone con l’iniezione di prodotti che ne garantiscano la conservazione. Dovremo farlo prima della fine della campagna di scavo”.
I faraoni tornano a Napoli. Dopo sei anni di chiusura riapre la sezione Egiziana del museo Archeologico di Napoli, 1200 reperti, la più antica collezione egizia d’Europa nata nel 1821 come Real Museo Borbonico

Il cosiddetto “Neoforo farnese”, forse il primo oggetto egiziano acquisito dal Museo di Napoli, primo in Europa ad avere una collezione egiziana
I faraoni tornano a Napoli. Dopo sei anni di assenza. E tornano non in un luogo qualsiasi ma nella prima città europea in cui avevano trovato “casa”. Riapre infatti l’8 ottobre 2016 la sezione egiziana del museo Archeologico nazionale di Napoli (Mann), oltre 1200 reperti e un nuovo allestimento progettato dal Mann e dall’università l’Orientale di Napoli, completamente ripensato per la più antica collezione d’Europa rispetto al precedente, datato alla fine degli anni Ottanta. È questa la terza tappa del grande progetto “Egitto Pompei” presentato a febbraio (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/03/01/egitto-passione-antica-da-torino-a-pompei-a-napoli-tre-sedi-per-un-grande-progetto-espositivo-egitto-pompei-grazie-alla-collaborazione-inedita-tra-enti-diversi-legizio/), iniziato al museo Egizio di Torino con la mostra “Il Nilo a Pompei” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/03/09/egitto-pompei-al-museo-egizio-di-torino-la-prima-tappa-del-progetto-con-la-mostra-il-nilo-a-pompei-nella-nuova-sala-asaad-khaled-per-la-prima-volta-gli-affreschi-del-tempio-di-isid/), e continuata a Pompei con l’allestimento nella Palestra Grande (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/04/18/egitto-pompei-seconda-tappa-del-progetto-alla-palestra-grande-di-pompei-si-materializza-la-dea-sekhmet-itinenario-egizio-negli-scavi-dal-tempio-di-iside-alle-domus-con-affreschi-egittizzanti/). E ora Napoli dove l’Egitto, come si diceva, non è una novità. Fu infatti il “Real Museo Borbonico di Napoli” il primo tra i grandi musei europei a istituire una sezione dedicata alle antichità egizie. Era il 1821 e l’allora direttore, Michele Arditi, inaugurò “Il Portico dei Monumenti Egizi”, facendovi confluire l’interessante collezione Borgia, il Naoforo Farnese (forse il primo oggetto egiziano acquisito dal Museo di Napoli) e svariati reperti rinvenuti in Campania in contesti archeologici di epoca romana, descritti l’anno successivo da Giovanbattista Finati in una Guida per la visita delle collezioni. “Naoforo” (“portatore di tempio”) è un termine utilizzato dagli egittologi per indicare un tipo di scultura, tipica proprio dell’arte egiziana, che rappresenta un personaggio che tiene davanti a sé un tabernacolo contenente una figura o degli emblemi divini. A Napoli sarebbero seguiti a ruota nel 1823 Berlino, nel 1824 Torino e Firenze, nel ‘26 il Museo del Louvre a Parigi e nel 1830 i Musei Vaticani. Il primo nucleo delle collezioni del Cairo è del 1858, e l’attuale museo cairota è “solo” del 1902.
Dunque, la più antica collezione egizia d’Europa, divenuta con gli acquisti successivi anche la più importante e ricca d’Italia dopo Torino, torna finalmente a essere esposta al pubblico dall’8 ottobre 2016 – a sei anni dalla chiusura delle sale – nella sezione Egiziana del museo Archeologico nazionale di Napoli. Una conferma del processo di profondo rinnovamento avviato al Mann dal nuovo direttore Paolo Giulierini, che, pochi mesi fa, ha pure inaugurato la splendida sala dedicata ai “Culti Orientali”: entrambi eventi conclusivi dell’importante progetto “Egitto Pompei”, condotto in collaborazione tra il museo Egizio di Torino, la soprintendenza di Pompei e appunto il museo napoletano. La collezione napoletana, oltre 1200 oggetti di una raccolta davvero unica, formatasi in gran parte prima della spedizione napoleonica, conta importanti parti di mummie e sarcofagi, vasi canopi, numerosi e preziosi ushabty, sculture affascinanti come il monumento in granito di Imen-em–inet o la cosiddetta “Dama di Napoli”, statue cubo e statue realistiche, stele e lastre funerarie di notevole fattura, cippi di Horus e papiri.
Con gli egittologi del Mann cerchiamo di conoscere meglio la collezione Egiziana. Il percorso si snoda nelle sale del seminterrato del museo napoletano, oggetto di specifici interventi per il controllo microclimatico e illuminotecnico. Ora l’allestimento è tematico e rilegge i materiali del museo svelando il fascino della grande civiltà egizia: “il faraone e gli uomini”, “la tomba e il suo corredo”, “la mummificazione”, “la religione e la magia”, “la scrittura e i mestieri”, “l’Egitto e il Mediterraneo antico”. Un’ampia sezione introduttiva presenta – anche attraverso l’esposizione di falsi settecenteschi, di calchi ottocenteschi e di esempi dell’arredo antico – le vicende della sezione e delle sue raccolte, preziose testimonianze di storia del collezionismo egittologico. È qui infatti che il visitatore si imbatte nella figura del cardinale Stefano Borgia che animato da interesse storico e antiquario e agevolato dal suo ruolo di Segretario di Propaganda Fide, tra il 1770 e il 1789, implementò la collezione di famiglia di numerose antichità orientali dando vita a una vera e propria raccolta di “tesori dalle quattro parti del mondo”. Ereditata in parte dal nipote Camillo (che non fu certo in buoni rapporti con il governo pontificio, accusato tra l’altro d’essere tra i responsabili dell’invasione francese del Lazio), la raccolta fu acquistata nel 1815 da Ferdinando IV di Borbone. Quindi si incontra il veneziano Giuseppe Picchianti e la moglie, contessa Angelica Drosso, che all’indomani delle campagne napoleoniche in Egitto e delle sensazionali scoperte nella valle del Nilo, in pieno XIX secolo, furono tra quegli avventurieri e collezionisti pronti a recarsi nelle terre dei faraoni a caccia di reperti preziosi, animati dalla speranza di facili profitti. In un viaggio durato sei anni, misero insieme una raccolta notevolissima che tentarono di vendere prima al re di Sassonia e poi al Museo di Napoli, che tuttavia ne acquistò solo una parte nel 1828. Insoddisfatto dal ricavato, un mese dopo, Picchianti donò la restante collezione allo stesso museo, a patto d’essere assunto come custode e restauratore delle antichità egizie (fece anche alcuni interventi sulle mummie), non mancando di approfittare del suo ruolo per sottrarre alcuni oggetti rivenduti poi al British Museum.

Una tavola del fumetto “Nico e l’indissolubile problema… egizio” del grande disegnatore disneyano Blasco Pisapia
Nuova guida e album a fumetti. Particolarmente attenta nei contenuti e nella grafica, arricchita da contributi multimediali è la didattica con l’aggiunta di una guida dedicata, in un nuovo formato editoriale, a cura di Electa. È infine una vera sorpresa l’albo a fumetti, dedicato alla sezione Egiziana del Mann (Electa) appositamente creato dal grande Blasco Pisapia per invitare i piccoli visitatori a scoprire le meraviglie racchiuse nel museo. All’architetto e fumettista napoletano – che ha collaborato con le principali case editrici italiane di libri per ragazzi e che da vent’anni è autore completo Disney Italia/Panini – si devono dunque i testi e i disegni di “Nico e l’indissolubile problema… egizio”. Il fumetto rientra nel progetto Obvia ideato da Daniela Savy (università Federico II di Napoli) e da Carla Langella (Seconda università di Napoli) con il quale il museo Archeologico nazionale di Napoli vuole proporre nuove modalità di fruizione e valorizzazione delle opere d’arte al di fuori dei consueti confini dei musei e dei siti culturali.
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