“A tavola con i Romani della Decima Regio”: incontro con la cucina degli antichi romani a Zenson di Piave nel Trevigiano
A scorrere il menù si capisce subito che si ha a che fare con uno chef particolare, “acculturato” potremmo dire, che ci porta a fare un tuffo indietro nei millenni. E così quando domenica 6 novembre 2016, alle 12.30, gli ospiti di Terre Grosse, azienda agricola di Zenson di Piave (Tv), si siederanno a tavola per il pranzo, dovranno immaginarsi di essere comodamente distesi su dei triclini pronti a degustare prelibatezze alla moda nella Roma imperiale di duemila anni fa. “A tavola con i Romani della Decima Regio” è infatti l’evento promosso dall’associazione Companatiche, che ha collaborato anche con il museo Archeologico nazionale di Altino. Francesca Lamon e Marta Sperandio propongono un ”Pranzo romano” con piatti abbinati a una selezione di vini a cura di Terre Grosse. Apre la Gustatio, vero e proprio antipasto molto diffuso nel mondo romano, ricco di verdure e in cui non mancava mai l’uovo sodo: Companatiche propongono, abbinate al Grapariol, focaccine di farro monococco e ricotta di capra (a Roma chiamate libum), zucca al forno, olive condite, uova con garum (la più famosa salsa dei romani, a base di pesce). Quindi verrà proposto col Raboso frizzante il puls di farro monococco, una zuppa densa servita su pane integrale. Il puls era una sorta di poltiglia di farine, da molti studiosi ritenuto un antenato del pane). E si arriva finalmente alle Primae mensae (le portate principali), qui accompagnate da un Sauvignon: si inizia con il minutal (letteralmente “tritato di carne”) qui presentato come polpette di pesce al miele; seguono i bocconcini di formaggio fresco speziato, il moretum che era un tipico formaggio alle erbe che i romani spalmavano sul pane. Chiude un tris di rape. Con il Verduzzo dorato si chiude questo pranzo con una omelette dolce: l’ova spongia ex lacte con pere al vino. Per i commensali l’associazione Companatiche ha previsto anche dei momenti culturali: Francesca Lamon e Marta Sperandio illustreranno alcune curiosità sull’alimentazione romana con tavole esplicative, mentre l’archeologa Alessandra Cuchetti presenterà “Racconti sulla romanizzazione del territorio veneto”. Per prenotare: companatiche@gmail.com. Costo di partecipazione 27 euro.
Pompei. Ancora scoperte a Porta Ercolano: all’interno di due botteghe artigiane gli scheletri di cinque pompeiani – tra cui un bambino – in fuga dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Hanno trovato la morte dove speravano di salvarsi

Scavo a Porta Ercolano di Pompei: Il ritrovamento di cinque giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio
Stavano scappando dall’inferno del Vesuvio del 79 d.C., si erano riparati all’interno di una bottega artigiana, una scelta per loro fatale: quello che doveva essere il loro rifugio sicuro è diventata la loro tomba. Duemila anni dopo Pompei ci restituisce un altro tassello di storia quotidiana, di momenti di vita e di morte. Gli archeologi nel corso di una campagna di scavo nell’area di Porta Ercolano hanno riportato alla luce cinque scheletri di giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio: lì vicino resti di oggetti in oro, vasellame e un urceus (contenitore) del prezioso garum, quella che oggi chiamiamo “colatura di alici”; e poi zappe, forse usate dai giovani per scavarsi un cunicolo tra la cenere e i lapilli oppure lasciate lì, secoli dopo, dai saccheggiatori di tombe. Siamo dunque ancora a Porta Ercolano di Pompei, una zona che si sta rivelando particolarmente ricca, tra necropoli e area produttiva. Un anno fa, lo ricordiamo, qui era stata trovata la tomba di una donna sannitica, quindi del periodo in cui il nucleo abitato di Pompei non era ancora stato romanizzato. E poche settimane fa l’annuncio della scoperta dei resti di un giovane sepolto in una tomba, con tanto di corredo funerario, risalente a quasi 400 anni prima della devastante eruzione che cancellò le antiche Pompei, Ercolano e Stabiae (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/07/06/pompei-stupisce-ancora-nella-necropoli-di-porta-ercolano-scoperta-tomba-a-cassa-del-iv-secolo-a-c-con-corredo-funerario-completo-un-anno-fa-la-stessa-area-restitui-una-tomba-sannitica-che-fa-luce/).

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei

Lo scavo della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs
Sono queste le ultime scoperte della campagna di ricerca a Porta Ercolano della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs. I ritrovamenti particolarmente interessanti di sepolture e botteghe crea non poche problematiche. Gli archeologi dovranno infatti rispondere a ulteriori interrogativi sulla organizzazione, gestione e trasformazione, di questo intreccio tra spazio funerario e commerciale nell’area suburbana di Porta Ercolano. “Queste ultime scoperte”, sottolinea il soprintendente Massimo Osanna, “confermano come Pompei riservi continue sorprese. Sapevamo che in questa zona esisteva una prolifera attività produttiva. E qui abbiamo trovato le botteghe dei vasai, fuori le mura, perché questa produzione implicava rumore, fumi, scarti di lavorazione. Credevamo che queste attività fossero state altamente indagate, poiché la zona fu oggetto di scavo già nell’800 con l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Invece, qui, abbiamo trovato ancora tracce delle attività che si svolgevano e, con la fortuna che deve sempre assistere l’archeologo, abbiamo trovato anche tombe dell’epoca sannitica, risalenti alla fine del V, e inizio del IV secolo. Le indagini che seguiranno ci daranno informazioni su come in quell’epoca cambia il popolamento di Pompei”.
I cinque scheletri, tra cui quello di bambino, sono stati trovati nel cantiere di scavo di due botteghe artigiane. Secondo Claude Pouzadoux, direttrice del Centre Jean Bérard, questi cinque pompeiani erano probabilmente in fuga dall’eruzione del 79 d.C. e avevano cercato rifugio in uno di questi locali, dove invece sono rimasti intrappolati e sono morti. “Purtroppo”, continua, “questo luogo è stato devastato dai tombaroli tra la fine ‘700 e gli inizi ‘800, scavatori clandestini alla ricerca di oggetti preziosi e metalli. Il loro passaggio ha scomposto le ossa delle cinque vittime, che ora ci apprestiamo a ricomporre e a studiare. Ai saccheggiatori dell’epoca sfuggirono tre monete d’oro (tre aurei datati 74 e 77/78 d.C.) e un fiore in foglia d’oro, probabilmente un pendente di collana. E poi ci sono vasi di diverse forme, alcuni anneriti dalla cottura. E c’è anche un’anfora dal collo allungato, un urceus, tipico contenitore per il garum, l’apprezzata ‘colatura di alici’ che ancora oggi viene prodotta dai pescatori della costiera amalfitana, come saporita salsa di pesce, un gustoso condimento della cucina meridionale”.
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