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Sgonico (Ts). “Tina Jama Open Day + Laboratori”: due visite guidate gratuite agli scavi con archeologi e speleologi; e attività di archeologia sperimentale

Dieci giorni fa, il 15 ottobre 2025, a Trieste sono stati presentati i risultati delle nuove indagini nelle grotte preistoriche del Carso (vedi Trieste. Per l’80mo anniversario del Club Alpinistico Triestino al Magazzino 26 “Nuove indagini nelle grotte preistoriche del Carso. Dati recenti e prospettive di ricerca”. Ecco alcune anticipazioni dei relatori alla luce delle ricerche archeologiche dopo alcuni decenni di inattività | archeologiavocidalpassato). E tra queste anche la grotta Tina Jama, sul Monte Lanaro nel Carso triestino, nel comune di Sgonico, dove è in corso la terza campagna di scavi in concessione ministeriale. Per condividere con la cittadinanza e far conoscere l’importanza dei rinvenimenti, sono state organizzate due visite guidate gratuite agli scavi. Sabato 25 ottobre 2025, “Tina Jama Open Day + Laboratori”: gli archeologi dell’università Ca’ Foscari di Venezia, responsabili dei lavori, e gli speleologi del Club Alpinistico Triestino condurranno i visitatori all’esplorazione del sito della grotta Tina Jama. Ritrovo alle 10 e alle 14 al parcheggio alla base del sentiero numero 5A per il Lanaro, collocato circa 300 m a nord dell’agriturismo Milič Zagrski ( https://www.miliczagrski.com/ ). La risalita alla grotta richiede circa mezz’ora di cammino per persone allenate. Si consigliano abbigliamento e calzature adeguate. Prenotazione obbligatoria: È previsto un numero massimo di 30 persone per visita guidata. Per prenotare scrivere a: federico.bernardini@unive.it

Sempre il 25 ottobre 2025, all’agriturismo Milič Zagrski presso Sagrado/Zagradec si svolgeranno attività di archeologia sperimentale, come la scheggiatura della selce, l’accensione del fuoco, la lavorazione delle conchiglie e dell’osso per la produzione di monili e strumenti di uso quotidiano. Inoltre, si potrà partecipare a una prova pratica di tiro con arco e propulsore preistorico con il TES (Tecnico Educatore Sportivo) della UISP, Roberto Cappellina e immergersi nei suoni della preistoria grazie a una capanna sonora realizzata prendendo spunto dal lavoro di ricerca svolto dall’archeologo Simone Pedron dell’associazione Trame di Storia che cura il museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore e il museo dell’Uomo di Val Rosna. Età consigliata dai 6 anni in su. Il laboratorio, a cura di Alessandra Maria Rodriguez, vedrà protagonisti esperti di archeologia sperimentale Marco del Piccolo, Giuliano Bastiani e Marco Rodriguez.

Trieste. Per l’80mo anniversario del Club Alpinistico Triestino al Magazzino 26 “Nuove indagini nelle grotte preistoriche del Carso. Dati recenti e prospettive di ricerca”. Ecco alcune anticipazioni dei relatori alla luce delle ricerche archeologiche dopo alcuni decenni di inattività

In occasione del suo ottantesimo anniversario il Club Alpinistico Triestino propone “Nuove indagini nelle grotte preistoriche del Carso. Dati recenti e prospettive di ricerca”, un appuntamento dedicato alle nuove indagini nelle grotte preistoriche del Carso, che segnano la ripresa delle ricerche archeologiche dopo alcuni decenni di inattività. Questo incontro, mercoledì 15 ottobre 2025, alle 17.30, inserito nella rassegna “Una luce sempre accesa”, promossa e organizzata dal Comune di Trieste – assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo, si tiene nella sala Luttazzi del Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste. Saranno presentati i risultati di recenti ricerche in ambiente speleologico del Carso triestino: gli scavi condotti su concessione del ministero della Cultura dal dipartimento di Studi umanistici dell’università Ca’ Foscari Venezia, in collaborazione con l’Institute of Archaeology ZRC SAZU, dal Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam e dall’Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia dell’università di Siena, e le indagini direttamente eseguite dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia nell’ambito della propria programmazione lavori. Le presentazioni illustreranno grotte e ripari sotto roccia in corso di studio, importanti archivi paleo-ambientali che permettono di ricostruire la preistoria del territorio, dal tempo degli ultimi cacciatori-raccoglitori fino al periodo dei castellieri. L’incontro porrà inoltre l’accento sull’importanza delle grotte come patrimonio da studiare, conservare e rispettare, con un occhio di riguardo alla comunità speleologica che le frequenta. Un’occasione unica per conoscere i progressi della ricerca e riflettere sul valore delle grotte come archivi naturali e culturali da preservare per le future generazioni.

Introducono Franco Gherlizza (presidente del Club Alpinistico Triestino); Franco Riosa (direttore della Scuola di Speleologia “Ennio Gherlizza” del CAT). Relatori: Roberto Micheli (soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia); Manuela Montagnari Kokelj (già dipartimento di Studi umanistici, università di Trieste); Federico Bernardini (dipartimento di Studi umanistici, università Ca’ Foscari Venezia, Multidisciplinary Laboratory, “The Abdus Salam” International Centre for Theoretical Physics); Elena Leghissa (ZRC SAZU, Institute of Archaeology – Ljubljana); Francesco Boschin (dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’Ambiente, unità di ricerca di Preistoria e Antropologia, università di Siena); Andrea Pessina (soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Ancona e di Pesaro e Urbino).

Scavi archeologici nella grotta di Jama Blok a Gobrovizza sul Carso (foto cora società archeologica)

ROBERTO MICHELI, funzionario archeologo della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia: “Documentare l’oscurità: le grotte del Carso tra conoscenza e tutela archeologica”. “Le grotte sono uno dei fenomeni più caratteristici del paesaggio carsico che ha origine dalla dissoluzione chimica delle rocce carbonatiche da parte dell’acqua”, spiega Micheli. “Questi spazi vuoti che si estendono alle volte in estesi reticoli nelle profondità delle masse calcaree sono stati colmati nel tempo dal deposito di materiali diversi, quali blocchi di frana, ciottoli e concrezioni, e da sedimenti vari. A questo processo naturale va aggiunto l’apporto e le trasformazioni prodotte dall’azione della presenza umana: le cavità naturali sono state utilizzate sin da un momento molto antico della storia dell’uomo come abitazione, ricovero per gli animali e luogo di sepoltura o di culto. Nell’area del Carso, dove la concentrazione delle grotte è, come è noto, molto alta – continua Micheli -, le ricerche archeologiche hanno preso avvio già nella seconda metà dell’Ottocento al tempo delle prime esplorazioni nelle cavità ipogee, quando iniziò a svilupparsi la moderna speleologia. Da quel tempo molte grotte carsiche sono state indagate con il proposito di trovare le tracce dell’uomo preistorico e ciò ha determinato un susseguirsi di rinvenimenti e scavi dei depositi antropici delle cavità che ha consentito di raccogliere una considerevole massa di materiali archeologici di varie epoche, spesso però non sono associati a dati affidabili del contesto di provenienza.

Scavi archeologici nella grotta di Tina Jama sul Carso (foto gigliola antonazzi)

“Queste attività hanno determinato in molti casi il danneggiamento o addirittura la distruzione di importanti stratigrafie archeologiche sepolte. Dopo più di un secolo e mezzo di ricerche archeologiche nelle grotte del Carso – sottolinea Micheli – abbiamo acquisito molte informazioni sulla storia profonda di questo territorio, ma ancora numerose questioni rimangono aperte e senza apparente soluzione. Le grotte e i loro depositi di riempimento sono, infatti, degli eccezionali archivi paleo-ambientali e geologici, ma, allo stesso tempo, sono importanti testimonianze sulla storia antica dell’uomo e delle relazioni con l’ambiente e le sue risorse. Dopo molti anni di sospensione delle ricerche archeologiche nelle grotte del Carso, l’avvio di nuove indagini con un approccio multidisciplinare e l’applicazione di metodi accurati di scavo stratigrafico ci stanno svelando la ricchezza dei depositi archeologici sepolti nelle cavità e tutta la complessità del mondo ipogeo frequentato dall’uomo nel corso della preistoria”.

Cuspide di freccia dalla grotta 7 di Capodanno (foto cora società archeologica)

Cuspide di freccia dalla grotta Tina Jama (foto gigliola antonazzi)

MANUELA MONTAGNARI KOKELJ, già dipartimento di Studi umanistici, università di Trieste: “C.R.I.G.A. – Catasto Ragionato Informatico delle Grotte Archeologiche, banca dati delle scoperte e degli studi precedenti le nuove indagini nel Carso triestino”. “I dati sulla frequentazione delle cavità del Carso triestino (e del resto della Regione) da parte di uomini e animali in antico, dalla Preistoria al Medioevo”, spiega Montagnari Kokeli, “sono attualmente riuniti nel C.R.I.G.A. – Catasto Ragionato Informatico delle Grotte Archeologiche, accessibile online sul sito del Catasto Speleologico Regionale: https://catastogrotte.regione.fvg.it/pagina/100/criga. C.R.I.G.A. nacque alla fine degli anni 1990 inizialmente come Progetto Grotte, progetto scientifico a carattere interdisciplinare dell’università di Trieste, per rispondere a una domanda di interesse archeologico: è possibile risalire alle motivazioni delle scelte insediative, apparentemente piuttosto selettive, fatte da gruppi umani diversi che nel corso della Preistoria avevano lasciato tracce della loro presenza nel Carso triestino? Questa domanda portò a una revisione sistematica delle pubblicazioni scientifiche e divulgative e dei dati d’archivio, sia storico-archeologici che geologico-naturalistici, e alla contestuale verifica sul terreno delle caratteristiche geologiche, geomorfologiche e idrogeologiche delle cavità naturali antropizzate. Nel 2020 – conclude – un Accordo attuativo Regione Autonoma FVG-Università di Trieste permise di sviluppare la banca dati a scala regionale, con il coinvolgimento di altri enti di ricerca, musei e gruppi speleologici, e di inserire i risultati nel Catasto Speleologico Regionale. Questa versione aggiornata di C.R.I.G.A. costituisce, dunque, una premessa importante per gli sviluppi futuri della ricerca”.

Indagini archeologiche nelal grotta di Tina Jama sul Carso (foto gigliola antonazzi)

Grande lama di selce dalla grotta di Tina Jama sul Carso (foto di gigliola antonazzi)

Cuspide di freccia dalla grotta Tina Jama (foto gigliola antonazzi)

Scavi archeologici in una nicchia nella grotta di Tina Jama sul Carso (foto gigliola antonazzi)

FEDERICO BERNARDINI, dipartimento di Studi umanistici, università Ca’ Foscari Venezia, Multidisciplinary Laboratory, The “Abdus Salam” International Centre for Theoretical Physics; ELENA LEGHISSA, ZRC SAZU, Institute of Archaeology – Ljubljana; FRANCESCO BOSCHIN, dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’Ambiente, unità di ricerca di Preistoria e Antropologia, università di Siena, “Tre anni di scavi alla Grotta Tina Jama”. Nel corso dell’incontro saranno presentati i risultati delle ricerche archeologiche presso la grotta Tina Jama, sul Monte Lanaro nel Carso triestino, dove è in corso la terza campagna di scavi in concessione ministeriale. “Le indagini hanno restituito resti che coprono un arco cronologico molto ampio, dal Mesolitico fino all’età dei Castellieri, contribuendo a chiarire aspetti fondamentali della preistoria recente nell’area adriatica nord-orientale”, spiega il direttore dello scavo, Federico Bernardini. In particolare, gli studi si sono concentrati sui livelli dell’età del Bronzo e del Rame finale (III millennio a.C.), un periodo chiave per l’evoluzione tecnologica, culturale e sociale in Europa. “I dati preliminari suggeriscono che il Carso fosse in stretto rapporto con la Cultura di Cetina in Dalmazia e al contempo con le culture coeve dell’Italia nord-orientale e dell’Europa centrale, tra cui Polada e Gata-Wieselburg”, aggiunge Elena Leghissa. Lo studio dei resti ossei (umani e non) viene condotto dall’unità di ricerca di Preistoria e Antropologia del DSFTA dell’università di Siena. “Per quanto riguarda le ossa umane, sarà interessante analizzare alcune possibili tracce di macellazione, presenti su un frammento di cranio, tramite l’utilizzo di un microscopio digitale portatile che restituisce immagini 3D della superficie degli oggetti osservati. Questo studio potrà gettare nuova luce sulle antiche pratiche funerarie. Lo studio dei resti faunistici fornirà invece informazioni sulle modalità di sfruttamento delle risorse animali da parte delle popolazioni pre- e protostoriche. In particolare possono essere ricostruiti aspetti che riguardano da un lato l’uso della grotta, a dall’altro le pratiche di allevamento e venatorie sul Carso Triestino”.

Frammento di vaso neolitico stile “Danilo” dalla grotta di Tina Jama sul Carso (foto gigliola antonazzi)

ANDREA PESSINA, soprintendente Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Ancona e di Pesaro e Urbino, “Nuovi dati da alcune cavità di interesse preistorico del Carso triestino”. “Nella primavera 2025 la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per il Friuli Venezia Giulia – ricorda Pessina – ha condotto una serie di sondaggi in alcune cavità di possibile interesse archeologico ubicate nel territorio del Comune di Sgonico (Trieste). Le ricerche – della durata di 6 settimane – sono state finanziate interamente dal ministero per la Cultura e sono state effettuate dagli specialisti della ditta CORA di Trento, con la preziosa collaborazione di volontari dei Gruppi speleologici locali.

Scavi archeologici nelal grotta 7 di Capodanno sul Carso (foto cora società archeologica)

“La prima cavità interessata dalle indagini – spiega Pessina – è la Grotta 7 di Capodanno, censita con il n. 4796 del Catasto Speleologico regionale, una cavità posta ad una quota di 305 m slm, costituita da un basso vano discendente (in nessun punto della grotta è ora possibile stare eretti) la cui volta segue l’andamento degli strati. La cavità era stata individuata intorno al 1990 e segnalata per la prima volta da Franco Gherlizza su Spelaeus 2, 2019, Club Alpinistico Triestino. La grotta è risultata fin da subito di indubbio interesse per il deposito preistorico che conserva; già nel corso delle operazioni di rilevamento speleologico erano stati trovati frammenti ceramici di impasto e fattura diversi, misti però a materiale di chiara origine più recente. La masiera, che delimita in parte il fondo della dolina sulla quale si apre la grotta, si presentava parzialmente ricoperta da terreno di riporto proveniente dall’interno della cavità, terreno che negli anni ha restituito frammenti ceramici, industrie litiche e resti di faune. L’esame di questo materiale aveva portato al riconoscimento di una frequentazione databile al Mesolitico recente (industrie litiche caratterizzate dalla presenza di trapezi e tecnica del microbulino) e di una occupazione riferibile al Neolitico antico (ceramiche peculiari dell’aspetto di Vlaska).

Scavo della dolina della grotta 7 di Capodanno sul Carso (foto cora società archeologica)

“Nel corso della campagna di scavo 2025 – continua Pessina – sono state effettuate, una serie di indagini stratigrafiche mirate a verificare la presenza, la natura e la potenza di stratificazioni di interesse archeologico, nonché recuperare campionature utili ad un primo inquadramento cronologico, geo-archeologico e paleo-ambientale. Gli scavi 2025 hanno portato al recupero di altri materiali riferibili a queste fasi di occupazione, contenuti però in un deposito rimaneggiato dalle attività di animali fossatori e dalla costruzione della masiera. Di particolare interesse la segnalazione di ossidiana, la cui provenienza è in corso di determinazione. È questa una delle cavità che risulta nel Carso aver restituito il maggior numero di attestazioni di ossidiana (ad oggi sono 3 le segnalazioni da qui note). La presenza di un potente strato di crollo della volta con massi di grandi dimensioni, nonostante l’impegno dei gruppi speleologici, non ha consentito l’esplorazione dei depositi interni. Le ricerche sono pertanto proseguite nel centro della dolina con l’apertura del Sondaggio 1 che ha restituito evidenze di frequentazioni antropiche, tra cui una cuspide di freccia in selce, frammenti ceramici e resti faunistici ed è stata registrata la presenza di blocchi allineati che potrebbero indicare l’esistenza di una struttura. Sui campioni prelevati sono in corso datazioni al carbonio 14.

Scavi archeoloici nelal grotta Jama Blok di Gabrovizza sul Carso (foto cora società archeologica)

Frammenti ceramici dalla grotta Jama Blok di Gabrovizza sul Carso (foto cora società archeologica)

“Nella Grotta Jama Blok di Gabrovizza, ora accatastata dalla Commissione Grotte Eugenio Boegan con il numero PRCS 28909 – fa sapere Pessina -, le indagini hanno invece interessato sia l’interno della cavità, ove risulta di particolare interesse il riconoscimento di peculiari depositi che indicano un suo utilizzo durante la preistoria per la stabulazione di caprovini, sia il fronte esterno, ove è stato aperto un sondaggio (Sondaggio 3) della profondità di oltre 3 metri, che non ha però ancora raggiunto i più antichi livelli di frequentazione antropica. La stratigrafia messa in luce si presenta di particolare interesse: numerosi i livelli che documentano le fasi di frequentazione dell’area esterna della grotta per attività di caccia (cuspidi di freccia e faune selvatiche), fenomeni di crollo parziale della grotta per eventi sismici o fenomeni di degrado climatico, seguiti da nuovi episodi di frequentazione per usi sepolcrali e di stabulazione degli animali. In attesa di poter studiare i materiali culturali rinvenuti, sono stati raccolti campioni per analisi polliniche, geo-archeologiche e datazioni al Carbonio 14, di cui a breve si conosceranno gli esiti. Si potrà così disporre di una stratigrafia documentata accuratamente sotto ogni aspetto e ricostruire le diverse fasi della preistoria regionale, spesso ad oggi note solo genericamente. A conclusione degli scavi, in entrambe le grotte è stata organizzata una visita aperta al pubblico per presentare i primi risultati delle ricerche alla quale hanno partecipato gli amministratori di Sgonico e decine di membri dei gruppi speleologici locali”.

Trieste. Un raro pugnale risalente all’età del Rame di più di 4000 anni fa è stato rinvenuto nella grotta Tina Jama nel Carso Triestino a Sgonico, insieme ad abbondanti resti ceramici e manufatti in pietra grazie: i risultati della campagna di scavo condotta dall’università Ca’ Foscari Venezia. Nuova luce sulla preistoria dell’Alto Adriatico

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Pugnale in rame a codolo risalente alla seconda metà del III millennio a.C. al momento del rinvenimento nella grotta Tina Jama nel Carso Triestino a Sgonico (foto di Federico Bernardini)

Un raro pugnale risalente all’età del Rame di più di 4000 anni fa è stato rinvenuto nella grotta Tina Jama nel Carso Triestino a Sgonico, insieme ad abbondanti resti ceramici e manufatti in pietra grazie alla campagna di scavo condotta dall’università Ca’ Foscari Venezia, in concessione di scavo per il ministero della Cultura – soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con l’Institute of Archaeolgy – Research Centre of the Slovenian Academy of Sciences and Arts, il Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam e l’università di Siena. L’eccezionale scoperta è stata presentata mercoledì 23 ottobre 2024, a Trieste a Palazzo Economo, sede della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia, alla presenza di Monica Hrovatin, sindaca di Sgonico; Andrea Pessina, segretario regionale del MiC per il FVG; Roberto Micheli, funzionario per la soprintendenza ABAP FVG; Federico Bernardini, professore di Metodologia della ricerca archeologica al dipartimento di Studi umanistici dell’università Ca’ Foscari Venezia; ed Elena Leghissa, dell’Institute of Archaeolgy, Research Centre of the Slovenian Academy of Sciences and Arts.

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La campagna di scavo nella grotta di Tina Jama (Ts) è condotta dall’università Ca’ Foscari Venezia, in concessione di scavo per il ministero della Cultura – soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia (foto unive/sabap fvg)

Le nuove indagini hanno permesso di ricostruire con metodologie di scavo moderne, la storia delle regioni dell’Adriatico nord-orientale in un lungo arco cronologico compreso tra circa 9000 e 4000 anni fa. “Lo scavo presso la grotta Tina Jama, condotto da un team italo-sloveno”, ha affermato il direttore dello scavo Federico Bernardini, “mira a chiarire diversi aspetti della preistoria recente delle regioni adriatiche nord-orientali, adottando un approccio moderno e rigoroso. Al contempo, offre un’importante esperienza formativa per studenti italiani e internazionali”. Ed Elena Leghissa ha aggiunto: “Gli scavi presso la grotta Tina Jama hanno rivelato strati dell’età del Bronzo e del Rame finale, risalenti alla seconda metà del III millennio a.C., cruciali per comprendere le trasformazioni tecnologiche, culturali e sociali dell’Europa di quel periodo. Il proseguimento degli scavi approfondirà le relazioni tra le diverse facies culturali del III millennio a.C. nell’area del Caput Adriae”. Secondo Federico Bernaridini ed Elena Leghissa “Il ritrovamento di un raro pugnale in rame, risalente alla seconda metà del III millennio a.C., è un evento eccezionale che solleva interrogativi sull’uso della grotta, dato che manufatti così preziosi sono generalmente rinvenuti in contesti sepolcrali”.

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L’ingresso della grotta Tina Jama nel Carso Triestino a Sgonico – Zgonik, non lontano dalla cima del monte Lanaro/Volnik (foto unive / sabap fvg)

I risultati degli scavi e il pugnale in rame. Non lontano dalla cima del monte Lanaro/Volnik, nella grotta Tina Jama, nel Comune di Sgonico – Zgonik, nel Carso triestino, le ricerche italo-slovene in corso stanno permettendo di ricostruire con metodologie di scavo moderne la storia delle regioni dell’Adriatico nord-orientale in un lungo arco cronologico compreso tra circa 9000 e 4000 anni fa. Sta infatti per concludersi la seconda campagna di scavi, condotta su concessione ministeriale sotto la direzione di Federico Bernardini del Venice Centre for Digital and Public Humanities e del Centro Studi Archeologia Venezia dell’università Ca’ Foscari Venezia, in collaborazione con l’Institute of Archaeolgy, Research Centre of the Slovenian Academy of Sciences and Arts, il Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam, l’università di Siena e la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia. Le ricerche sono state realizzate anche grazie alla collaborazione con i proprietari del terreno Marino Pernarcich e Paola Zivec, nonché le aziende agricole Marucelli Omar e Milič Zagrski, che con il loro entusiastico supporto e il fondamentale sostegno logistico hanno reso possibile l’attività di ricerca sul campo.

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Fase della campagna di scavo nella grotta di Tina Jama (Ts) è condotta dall’università Ca’ Foscari Venezia, in concessione di scavo per il ministero della Cultura – soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia (foto unive/sabap fvg)

Gli scavi, che segnano una ripresa delle indagini archeologiche nelle grotte del Carso dopo alcuni decenni di inattività, hanno permesso di raggiungere livelli attribuibili all’età del Rame nei quali è stato rinvenuto un raro pugnale in rame risalente a più di 4000 anni fa, oltre ad abbondanti resti ceramici e manufatti in pietra. È stata scoperta inoltre una struttura in lastre e blocchi di pietra che chiudeva l’ingresso della grotta in un periodo probabilmente compreso circa tra il 2000 e il 1500 a.C., la cui funzione è ancora misteriosa ma forse connessa a scopi funerari, come potrebbero far pensare alcuni frammenti di crani umani in parte ad essa associati. Tuttavia la struttura potrebbe essere stata creata anche per riparare l’interno della grotta dai venti di bora.

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Resti ossei rinvenuti nello scavo della grotta di Tina Jama (Ts) condotto dall’università Ca’ Foscari Venezia, in concessione di scavo per il ministero della Cultura – soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia (foto unive/sabap fvg)

Prima della creazione di questa struttura, i materiali ceramici raccolti e la presenza di un focolare suggeriscono che la cavità venne frequentata da gruppi la cui cultura materiale suggerisce stretti contatti con l’area dalmata nella seconda metà del III millennio a.C. (cultura di Cetina). Il pugnale in rame proviene da questi livelli; esso presenta una lunghezza di poco meno di 10 cm e una forma a foglia con codolo. Simili reperti non trovano confronti puntuali in Italia mentre il manufatto della Tina Jama può essere confrontato con simili reperti provenienti da un famoso sito palafitticolo nei pressi di Ljubljana in Slovenia, le palafitte di Dežman/Deschmann.

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Punta di freccia in selce rinvenuta nello scavo della grotta di Tina Jama (Ts) condotto dall’università Ca’ Foscari Venezia, in concessione di scavo per il ministero della Cultura – soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia (foto unive/sabap fvg)

Materiali portati in superficie da animali, tra cui punte di freccia in selce, lunghe lame dello stesso materiale prodotte a pressione, un manufatto in ossidiana (vetro vulcanico importato dal sud Italia o dal centro Europa), asce in pietra levigata, altri manufatti litici e ceramici e ornamenti in conchiglia dimostrano che la grotta è stata frequentata per millenni e fanno ben sperare per le future campagne di scavo.

Trieste. “Oltre Aquileia. La conquista romana del Carso (II-I sec. a.C.)”: una mostra e un congresso sulla conquista e sulla romanizzazione dei territori a Est di Aquileia tra II e I secolo a.C., con un’attenzione particolare per l’altopiano del Carso, posto tra Italia e Slovenia

La locandina della mostra “Oltre Aquileia. La conquista romana del Carso (II-I sec. a.C.)” dal 16 ottobre 2021 al 28 febbraio 2022

“Oltre Aquileia. La conquista romana del Carso (II-I sec. a.C.)”: una mostra da poco inaugurata al museo Scientifico Speleologico della Grotta Gigante e al Centro Visite della Riserva Naturale Regionale della Val Rosandra, con Federico Bernardini archeologo e ricercatore di Ca’ Foscari tra i curatori, e un congresso internazionale di due giorni (10-11 novembre 2021) al France Prešeren theatre a Bagnoli della Rosandra di San Dorligo della Valle (Ts), durante il quale sarà assegnata la borsa di studio finanziata dalla Fondazione Pietro Pittini e dedicata a studenti dell’università Ca’ Foscari Venezia e della Scuola Interateneo di Specializzazione in Beni Archeologici (SISBA), per le nuove tecnologie applicate alla ricerca storica e archeologica. La mostra (16 ottobre 2021 – 28 febbraio 2022) racconta una fase fino a poco tempo fa quasi sconosciuta dal punto di vista archeologico: la conquista e la romanizzazione dei territori a est di Aquileia tra II e I secolo a.C., con un’attenzione particolare per l’altopiano del Carso, posto tra Italia e Slovenia. 

Modelli tridimensionali di una dedica al Timavo posta ad Aquileia dal console del 129 a.C. Gaio Sempronio Tuditano in occasione del trionfo sui Giapidi, celebrato a Roma a seguito delle campagne vittoriose contro diverse popolazioni dell’arco alpino orientale, tra cui i Taurisci. Acquisizione fotogrammetrica di V. Macovaz (foto unive)
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Cartina dei territori romani e degli Istri lungo le coste dell’Alto Adriatico, elaborata da M. Belak (foto unive)

Come ben illustrato nella cartina elaborata da M. Belak, si possono apprezzare le regioni adriatiche nord-orientali subito dopo la fondazione di Aquileia: il territorio romano e quello occupato dagli Istri e da altre popolazioni indigene. Mentre nel riquadro in alto a destra è rappresentata l’estensione schematica del territorio romano all’inizio del II secolo a.C. In mostra una selezione di reperti archeologici provenienti da due dei più antichi accampamenti militari romani noti, identificati nei pressi di Trieste e le cui origini risalgono alla fase immediatamente successiva alla fondazione di Aquileia nel 181 a.C. Oltre ai reperti dai siti triestini, il percorso espositivo include armi e manufatti da accampamenti e campi di battaglia oggi posti in territorio sloveno, materiali di confronto, modelli del terreno, epigrafi e manufatti stampati in 3D. Tra questi si possono vedere i modelli tridimensionali di una dedica al Timavo posta ad Aquileia dal console del 129 a.C. Gaio Sempronio Tuditano in occasione del trionfo sui Giapidi, celebrato a Roma a seguito delle campagne vittoriose contro diverse popolazioni dell’arco alpino orientale, tra cui i Taurisci.

Scavo di un tratto della fortificazione esterna di San Rocco, vista da Nord-Est, con il suo articolato sistema di difesa (foto di S. Furlani / unive)
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Anfora vinaria dal relitto “Grado 2” (forma greco-italica tarda; seconda metà III-inizio II secolo a.C.) (foto di M. Raccar)

I siti triestini oggetto di studio e scavo includono un grande accampamento militare di oltre 13 ettari, identificato sul colle di San Rocco, posto nei pressi della linea di costa tra Muggia e Trieste, e un altro sito fortificato di dimensioni minori a Grociana piccola sull’altopiano carsico, in collegamento visivo con il grande accampamento costiero. Grazie al telerilevamento laser da aeromobile, una tecnologia rivoluzionaria per lo studio del paesaggio antico, è stato possibile rimuovere virtualmente la vegetazione di un vasto settore della provincia di Trieste permettendo l’identificazione di queste due antichissime basi militari romane. Agli occhi degli studiosi sono apparse vaste strutture di fortificazione rettangolari o di forma regolare ma anche divisioni del terreno, percorsi stradali e altro ancora. Questi elementi, investigati tramite ricognizioni e scavi e integrati dallo studio delle fonti antiche, consentono di rileggere sotto una nuova luce la storia del Carso e delle regioni limitrofe tra II e I secolo a.C. Lo studio degli accampamenti triestini è di grande importanza per ricostruire una fase di svolta nella storia del territorio e l’origine dell’architettura militare romana. Negli accampamenti sono state trovate armi, anfore, ceramiche, monete, picchetti da tenda e numerosissimi chiodi pertinenti ai sandali militari (le cosiddette calighe). Degno di nota, a testimonianza dell’antichità del sito, il ritrovamento di un numero relativamente elevato di anfore importate dalla zona tirrenica, da Lazio e Campania, che giungevano colme di vino per rifocillare i guerrieri impegnati nei territori altoadriatici.

Armi romane da Grad presso Šmihel in Slovenia (prima metà del II secolo a.C.), conservate nel museo nazionale Sloveno (foto di T. Lauko / museo nazionale Sloveno)
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Ipotesi ricostruttiva di un tratto della fortificazione esterna di San Rocco (disegno di G. Zanettini)

I siti fortificati triestini, in uso dal II fino a circa la metà del I secolo a.C., testimoniano i primi scontri su uno dei confini strategici della Repubblica Romana. Secondo le fonti antiche, all’inizio del II secolo a.C. gli Istri occupavano la fascia costiera triestina oltre che la penisola istriana. I primi scontri tra Romani e Istri avvennero già prima della fondazione di Aquileia, ma l’Istria venne sottomessa solo grazie a una guerra combattuta tra il 178 e 177 a.C. Lo storico romano Tito Livio ci ha lasciato una cronaca di quegli avvenimenti, raccontando che gli Istri nel primo anno di guerra sarebbero riusciti a occupare un accampamento romano costruito nell’area di Trieste, forse identificabile con i resti scoperti proprio sul colle di San Rocco. Tuttavia, i Romani lo avrebbero riconquistato con pochissime perdite perché gli Istri invece di difenderlo si sarebbero ubriacati con il vino trovato al suo interno. Tutta l’area carsica continuò tuttavia a essere territorio di confine politicamente instabile e terreno di battaglie fino alla metà del I secolo a.C. Oltre al percorso espositivo, gli studiosi hanno creato anche un sito internet oltreaquileia.it, dove è possibile reperire informazioni sull’evento, interagire con modelli 3D di manufatti archeologici e, soprattutto, accedere liberamente al catalogo trilingue dell’esposizione che sarà anche scaricabile.

Modello del terreno derivato da dati laser dell’altura di San Rocco con una ricostruzione della planimetria del sito basata sulle strutture visibili nei dati laser e in fotografie aeree. Elaborazione di F. Bernardini (foto unive)

Il 10 novembre 2021, al teatro France Prešeren, Bagnoli della Rosandra – Boljunec, si terrà il congresso internazionale “The Roman conquest beyond Aquileia (II-I century BC)”. L’incontro è dedicato allo studio dell’espansione militare romana nei territori a Est di Aquileia nel II e I secolo a.C. Studiosi italiani, sloveni, croati e austrici presenteranno e discuteranno i risultati dei loro recenti studi. I nuovi dati archeologici derivanti da ricerche condotte negli accampamenti triestini, sul colle di San Giusto (Trieste) e in siti prevalentemente militari posti in territorio sloveno e croato saranno confrontati con le informazioni fornite dalle fonti letterarie ed epigrafiche nel tentativo di approfondire la conoscenza di questa fase storica e dell’archeologia militare tardo-repubblicana. L’11 novembre 2021 si terrà invece un’escursione ai siti militari triestini e una visita guidata alla mostra “Oltre Aquileia. La conquista romana del Carso (II-I secolo a.C.)”.