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Verona. Nella sede della soprintendenza a San Fermo viene riproposta la mostra “I Mondiali di Italia ’90 e la scoperta della necropoli romana” arricchita di ulteriori contenuti e del catalogo. Ingressi contingentati. Visite guidate nei pomeriggi di giovedì e venerdì

verona_sabap_mostra-i-mondiali-di-italia-90_locandinaDurante le festività natalizie non siete riusciti a vedere la mostra “I Mondiali di Italia ’90 e la scoperta della necropoli romana”, allestita tra il 17 dicembre 2021 e il 9 gennaio 2022 negli spazi di Porta Palio (vedi Verona. Con un anno di ritardo (causa Covid e lockdown) apre a Porta Palio la mostra “I Mondiali di Italia ’90 e la scoperta della necropoli romana” per celebrare il trentennale della scoperta della necropoli romana di Porta Palio lungo la via Postumia, più di 1400 sepolture, durante i lavori dei Mondiali Italia ’90 | archeologiavocidalpassato)? Poco male. Ci sarà ora una nuova opportunità. La mostra “I Mondiali di Italia ’90”, realizzata grazie alla sinergia tra il Comune di Verona (Assessorato al Turismo e ai Rapporti UNESCO), la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio delle province di Verona Rovigo e Vicenza e l’università di Pavia, viene ora riproposta nella sede della Soprintendenza, in piazza San Fermo 3 a Verona, arricchita di ulteriori contenuti: dall’8 giugno al 26 agosto 2022. Il percorso si articolerà lungo il Chiostro minore del complesso di San Fermo e lungo lo scalone di ingresso agli Uffici, offrendo ai visitatori la possibilità di apprezzare i suggestivi spazi monumentali dell’edificio. Il giorno dell’inaugurazione, che sarà martedì 7 giugno 2022, alle 12, si potrà sfogliare il catalogo della mostra di Porta Palio, appena pubblicato, che a breve sarà disponibile anche in formato digitale scaricabile on line dai siti delle istituzioni coinvolte: “I Mondiali di Italia ‘90 e la scoperta della necropoli romana. Un progetto espositivo per il trentennale della scoperta della necropoli di Porta Palio”, a cura di Brunella Bruno, Ettore Napione, Francesca Picchio. La mostra sarà aperta con accesso libero tutti i giorni dal lunedì a venerdì dalle 10 alle 13, previa registrazione in portineria e per gruppi di max 5 persone.

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Archeologi al lavoro nello scavo al cantiere del sottopasso di Porta Palio a Verona nel 1990 (foto Sabap-Vr)

L’esposizione ripercorre, attraverso una serie di pannelli, la storia della scoperta della necropoli romana della via Postumia, avvenuta durante i lavori infrastrutturali per i Mondiali di Italia 90. I resti archeologici delle oltre mille tombe recuperate -senza dubbio uno dei nuclei sepolcrali più importanti finora noti in una città romana- offrono un suggestivo racconto dei riti e delle credenze funerarie dei Veronesi dei primi secoli dell’età imperiale. Saranno esposti gli oggetti di corredo che accompagnavano i defunti e per la prima volta presentati al pubblico urne di pietra, resti di monumenti funerari, cippi e lapidi che illustreranno, con le loro testimonianze epigrafiche, le formule usate nelle dediche funerarie.

verona_archeonaute_logoVisite guidate il giovedì e venerdì, dalle 15 alle 17, a cura dell’Associazione Archeonaute per gruppi anche superiori, con prenotazione obbligatoria all’indirizzo archeonaute@gmail.com. Informazioni. Ritrovo nel chiostro minore del complesso di San Fermo. Due turni: alle 15 e alle 16. Durata: 1 ora circa. Costo: 5 euro a persona. Prenotazione obbligatoria. Posti limitati.

Verona. Con un anno di ritardo (causa Covid e lockdown) apre a Porta Palio la mostra “I Mondiali di Italia ’90 e la scoperta della necropoli romana” per celebrare il trentennale della scoperta della necropoli romana di Porta Palio lungo la via Postumia, più di 1400 sepolture, durante i lavori dei Mondiali Italia ’90

La locandina della mostra “I Mondiali di Italia ’90 e la scoperta della necropoli romana” a Porta Palio di Verona dal 17 dicembre 2021 al 9 gennaio 2022

È passato un anno, di pandemia e di chiusure. Ma stavolta ci siamo: venerdì 17 dicembre, alle 16.30, all’interno di Porta Palio a Verona, apre il percorso espositivo “I Mondiali di Italia ’90 e la scoperta della necropoli romana” (17 dicembre 2021 – 9 gennaio 2022), pensato appunto l’anno scorso per celebrare il trentennale della scoperta della necropoli romana di Porta Palio lungo la via Postumia, più di 1400 sepolture, durante i lavori dei Mondiali Italia ’90 (vedi Verona. Nel trentennale della scoperta della necropoli romana di Porta Palio lungo la via Postumia, più di 1400 sepolture, durante i lavori dei Mondiali Italia ’90, mostra archeologica di Comune e Soprintendenza, rinviata per Covid-19. Intanto un video promo | archeologiavocidalpassato). Era il 20 dicembre 1989 quando, durante i lavori per la realizzazione dei sottopassi per i Mondiali ‘Italia ’90, gli archeologi cominciarono a trovare le prime sepolture della necropoli romana di Porta Palio che alla fine dello scavo archeologico saranno appunto più di 1400. Di qui l’anno scorso l’idea del soprintendente Vincenzo Tiné e dell’assessore ai Rapporti Unesco Francesca Toffali di celebrare la speciale ricorrenza con la realizzazione di una mostra, frutto appunto della collaborazione tra il Comune di Verona – assessorato Rapporti Unesco e la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. Ora la mostra diventa realtà.

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Archeologi al lavoro nello scavo al cantiere del sottopasso di Porta Palio a Verona nel 1990 (foto Sabap-Vr)

L’esposizione ripercorre le tappe delle scoperte archeologiche del 1990, ricordando i protagonisti e descrivendo le caratteristiche delle necropoli di Porta Palio, di via Albere e della Spianà. Questi grandi cimiteri popolari veronesi hanno significativamente incrementato le conoscenze scientifiche sui rituali di sepoltura di età romana, riservando anche alcune sorprese. Tra queste le modalità anomale di sepoltura per persone giovani morte in modo improvviso o violento e alcuni corredi che fanno intravedere l’orgoglio dei defunti di appartenere a genealogie risalenti ai Veneti antichi. La mostra è curata, per la Soprintendenza, da Brunella Bruno e Giulia Pelucchini; per il Comune di Verona da Ettore Napione, responsabile dell’ufficio UNESCO; per l’Università di Pavia, da Francesca Picchio, coordinatrice scientifica del laboratorio DAda LAB che, assieme a Francesca Galasso, ha elaborato i disegni, i modelli tridimensionali e le ricostruzioni digitali. La mostra del 2021 si svolgerà in collaborazione con la Società di Mutuo Soccorso di Porta Palio.

Peter Hudson e Giuliana Cavalieri Manasse seguono lo scavo archeologico nel cantiere del sottopasso di Porta Palio (foto Sabap-Vr)

In occasione dei Mondiali del 1990, il sindaco Gabriele Sboarina aveva colto l’occasione di modernizzare la viabilità di accesso allo stadio al fine di migliorare la viabilità complessiva di Verona. Per uno strano, ma non imprevedibile, destino, quell’adeguamento urbanistico e infrastrutturale coincise con la scoperta di un lungo tratto della via Postumia antica, proveniente dall’arco dei Gavi (l’odierno corso Cavour). La via romana era qui associata ad una grande necropoli, databile tra il I e il III secolo d.C. e riservata per lo più ai ceti popolari. Quegli scavi ebbero come protagonisti il direttore del Nucleo Operativo di Verona della Soprintendenza Archeologica del Veneto, Giuliana Cavalieri Manasse, e l’archeologo inglese Peter J. Hudson per la cooperativa Multiart, incaricata di eseguire le indagini. Il quadro delle scoperte avvenute tra il 1990 e il 1991 è impressionante anche nei numeri. L’area presso Porta Palio, scavata su una superficie di 3500 mq, ha messo in luce 536 sepolture, costituite per l’87% da incinerazioni e per il 17% da inumazioni. La zona nell’area della Spianà, tra via Prima traversa Spianà (a Nord) e via Albere (a Sud), indagata su una superficie di 8600 mq, ha portato all’identificazione di 807 tombe: 766 incinerazioni e 41 inumazioni. Tra il 2008 e il 2009 furono portate alla luce altre 104 sepolture, quasi tutte ad incinerazione, proseguendo lungo via Albere.

Verona. Cangrande della Scala, Signore di Verona, non fu assassinato, ma morì per una rara malattia genetica: la Glicogenosi tipo II. Lo svela un’indagine genetica mai eseguita prima sul DNA di una mummia. La notizia nell’anno dantesco: fu proprio Cangrande a ospitare per primo il Sommo Poeta in esilio

La statua di Cangrande nell’allestimento al museo di Castelvecchio di Verona voluto da Carlo Scarpa (foto musei civici verona)
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Un’immagine di dante e di Cangrande Signore di Verona (foto da http://www.larchetipo.com)

Non è stato assassinato. Cangrande della Scala, Signore di Verona, il 22 luglio 1329, proprio nei giorni della raggiunta conquista di Treviso, morì, appena trentottenne, per una rara malattia genetica, precisamente la Glicogenosi tipo II ad esordio tardivo, che lo portò alla morte in soli tre giorni. A svelarlo sono state le analisi condotte dal Laboratorio di Genomica funzionale del Dipartimento di Biotecnologie dell’università di Verona, diretto dal professor Massimo Delledonne. Una indagine genetica mai eseguita prima sul DNA di una mummia. E la notizia viene data proprio nell’anno dantesco. Fu proprio Cangrande (“il gran lombardo”) a ospitare a Verona il Sommo Poeta in esilio, e per questo Dante ne fu sempre riconoscente (in una lettera, Epistola XIII, gli dedicò l’ultima cantica della Divina Commedia), e così lo ricorda nel Canto XVII del Paradiso: “Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che ’n su la scala porta il santo uccello; / ch’in te avrà sì benigno riguardo, / che del fare e del chieder, tra voi due, / fia primo quel che tra li altri è più tardo”. I risultati della storica indagine sono stati presentati a Verona, al museo di Storia Naturale, dal sindaco Federico Sboarina e dall’assessore alla Cultura Francesca Briani. Presenti il direttore dei Musei civici Francesca Rossi. Ad illustrare la ricerca, per l’università di Verona Massimo Delledonne, Dipartimento di Biotecnologie e Alessandro Salviati – Dipartimento di Biotecnologie; per l’università di Firenze David Caramelli, Dipartimento di Biologia. Presenti Ettore Napione dell’Ufficio Unesco del Comune di Verona, che ha curato parte dei riscontri storici dello studio, e Leonardo Latella del museo di Storia Naturale.

Presentazione dei risultati del DNA di Cangrande: da sinistra, l’assessore Francesca Briani, il sindaco Gabriele Sboarina, la direttrice dei musei Francesca Rossi (foto comune di verona)

“Una giornata storica per la città di Verona”, sottolinea il sindaco Sboarina. “Attraverso uno studio genetico mai eseguito prima su campioni di mummia risalenti a 700 anni fa è stato possibile svelare molti aspetti della vita e della morte di una delle figure storiche più importanti della nostra città. La morte di Cangrande oggi non è più un mistero. Contrariamente a quanto sospettato per secoli, il Signore di Verona non fu assassinato, ma morì per cause naturali o, più correttamente, per una malattia genetica. Un risultato straordinario, frutto di un lavoro di squadra importante, che ha visto collaborare in stretta sinergia il Comune di Verona, con la direzione dei Musei civici, e le università di Verona e Firenze. Il primo risultato concreto dopo la firma, a gennaio 2020, del protocollo tra Comune e università, per una collaborazione stretta e operativa volta a sviluppare innovazione, sostenibilità ed efficienza in più settori e per valorizzare il patrimonio storico-culturale della città. Infatti è stato possibile chiarire, con prove scientifiche documentate, nell’anno del 700 anniversario dalla morte di Dante, aspetti ancora segreti della vita del grande Signore della Scala, amico del Sommo Poeta”.  “Si mette così la parola fine”, afferma l’assessore alla Cultura del Comune di Verona, Francesca Briani, “a uno dei misteri che ancora circondano la Signoria Scaligera, la famiglia che accolse l’esiliato Dante in città e che il poeta ricorda nella Divina Commedia. Un processo scientifico emozionante che, per la prima volta, ha portato all’osservazione approfondita del DNA di Cangrande. Un secondo step di studio che, dopo l’acquisizione dei campioni realizzata nel 2004, completa il percorso di analisi sulla mummia del principe scaligero, dandoci la possibilità identificare nuove ed interessanti informazioni storiche sulla sua vita e, in particolare, sulla morte. Questo progetto scientifico rappresenta uno dei principali appuntamenti calendarizzati nel corso di quest’anno in occasione delle celebrazioni dantesche”. “La scelta di affidare i resti di Cangrande della Scala al museo di Storia Naturale”, sottolinea la direttrice dei Musei civici di Verona, Francesca Rossi, “venne dettata dal fatto che la conservazione dei materiali biologici richiede particolari accortezze, già previste per le collezioni del Museo, in particolari quelle zoologiche. Attraverso questo straordinario progetto è stato finalmente possibile completare il percorso di analisi sui reperti custoditi dal 2004 e giungere a risultati scientifici certi, che svelano le cause della morte di Cangrande della Scala”.

Lo staff scientifico coinvolto nelle ricerche sul DNA di Cangrande insieme agli amministratori di Verona (foto comune di verona)

Il DNA di Cangrande è stato estratto in collaborazione con il Laboratorio di Antropologia Molecolare e Paleogenetica dell’università di Firenze, coordinato dal prof. David Caramelli e dalla prof.ssa Martina Lari, esperti nell’estrazione di DNA antico. Questo sforzo congiunto fra gli esperti del museo di Storia Naturale e università di Verona e di Firenze ha permesso di dimostrare come sia possibile analizzare con altissima precisione i geni di un DNA così antico, sfruttando procedure diagnostiche all’avanguardia, per giungere a una diagnosi clinica certa, anche quando le fonti storiche sono scarse. Utilizzando le nuove tecnologie di sequenziamento diagnostico applicate nei più avanzati centri di ricerca a persone malate per migliorare la diagnosi, la prognosi e la cura delle malattie a base genetica, è stato possibile non solo ricostruire l’informazione custodita nel DNA di Cangrande della Scala, ma anche riconoscere le condizioni patologiche che hanno determinato la sua morte.

Verona, Luigi Cavadini, La salma di Cangrande nel sepolcro, 1921, stampa moderna da lastra negativa su vetro alla gelatina al bromuro d’argento (foto museo di Castelvecchio)

Il progetto DNA Cangrande. Il progetto DNA Cangrande affonda le sue radici nella ricerca avviata nel 2004 dall’allora direzione dei civici Musei, in collaborazione con le Soprintendenze territoriali competenti, l’università di Verona, l’università di Pisa, l’Azienda Ospedaliera di Verona. La direzione Musei promosse e coordinò l’apertura dell’arca funebre di Cangrande della Scala. La ricognizione portò ad identificare il corpo mummificato dello scaligero, più o meno nelle condizioni in cui era già stato rinvenuto all’interno della cassa nell’apertura del 1921 (per i seicento anni della morte di Dante Alighieri). Le ricerche scientifiche avviate nel 2004 furono parte integrante della mostra “Cangrande della Scala. La morte e il corredo di un principe nel medioevo europeo”, allestita al museo di Castelvecchio (per cura di Paola Marini, Ettore Napione, Gianmaria Varanini) e diedero vita nel 2006 alla pubblicazione scientifica “Il corpo del principe: ricerche su Cangrande della Scala” (curato da Ettore Napione).

La mummia di Cangrande nella ricognizione del 2004 (foto Umberto Tomba)

Nel 2004 fu effettuata dal prof. Gino Fornaciari dell’università di Pisa un’autopsia sulla salma dello scaligero, estraendo per scopo di studio dei campioni biologici (fegato, tessuti, parti ossee), che furono poi depositati al Museo di Storia Naturale. Questi studi fornirono nuove prospettive rispetto agli interrogativi sino ad allora irrisolti riguardanti lo stato di salute, le fattezze e le circostanze della morte del signore scaligero. Diedero, inoltre, impulso per approfondimenti e revisioni che furono la premessa indispensabile di significative conoscenze in campo storico, artistico e scientifico. Nel 2004 non fu possibile avviare la ricerca sul DNA (aveva costi esorbitanti), ma oggi i progressi tecnici consentono di recuperare informazioni dai campioni biologici estratti nel 2004, ottenendo molecole sufficientemente integre per affrontare l’analisi dell’intero genoma, riducendo al minimo gli artefatti e i danni dovuti a contaminazioni e allo scorrere del tempo.

La tomba di Cangrande alle Arche scaligere di Verona (foto comune di verona)

Cangrande è stato signore di Verona tra il 1308 e il 1329. La sua fama è dovuta anche all’elogio che gli tributa Dante Alighieri nel XVII canto del Paradiso. Le fonti che ne descrivono l’aspetto fisico, il carattere e la propensione al comando sono quasi tutte di carattere encomiastico, a partire da quel De Scaligerorum origine dello scrittore Ferreto de’ Ferreti che, secondo un topos letterario ricorrente, immagina che già nell’amplesso del concepimento fosse avvertito come creatura straordinaria, latore attraverso i sogni alla madre della sua grande personalità, quale Cane che con i latrati avrebbe atterrito il mondo: At tua, post dulces Veneris sopita labores, / Mater, in amplexu cari difusa mariti, / Membra fovebat ovans, blandaque in imagine somni / Visa sibi est peperise canem, qui fortibus armis / Terrebatque suis totum latratibus orbem. La distruzione degli archivi della Signoria ha costretto gli storici a leggere in filigrana molte fonti di questo tipo (o all’opposto altre di carattere denigratorio), tutte viziate da scopi di propaganda, con riferimenti, per esempio, alla personalità forte e all’altezza fuori della media. La ricostruzione del genoma di Cangrande può consentire di disporre di elementi oggettivi circa la persona fisica e le predisposizioni del condottiero, così da sviluppare con il gruppo di lavoro del progetto una comparazione inedita tra fonti diverse, fornendo anche informazioni curiose sul carattere e sui gusti dello scaligero.

Il calco del monumento funebre di Cangrande (foto saccomani)

L’obiettivo finale è duplice: a) fornire nuove chiavi di lettura o integrare quelle esistenti sulla figura di Cangrande, comparando tutti i dati a disposizione; b) costituire attraverso questa esperienza un modello operativo di approccio alla Storia in presenza di analisi del DNA, con gruppo di lavoro misto tra genetisti e storici, che possa essere un riferimento di metodo per altre ricerche future. La scoperta della rara anomalia genetica, chiamata glicogenosi, tipo II, ha necessitato di un controllo speciale delle fonti per verificare le tracce delle sue possibili conseguenze nella vita di Cangrande (affaticamento, dolori muscolari e delle ossa). Il setaccio operato da Ettore Napione, anche su testi letterari meno frequentati (quali il De gestis Italicorum post Henricum VII Cesarem di Albertino Mussato), ha messo in luce piccoli indizi compatibili con questa patologia, relativi a soste forzate nel corso di tragitti a cavallo abbastanza brevi, ad improvvisi malesseri e, forse, anche alla preferenza per l’uso dell’arco in luogo della spada (che comportava un impegno muscolare meno vigoroso e più controllabile).

Arca di Cangrande: particolare della statua giacente del Signore di Verona (foto Roberto Mizzon e Valentino Cordioli)

Conferme storiche. In ambito storico sono riportati alcuni dei momenti più critici della salute di Cangrande. Prima crisi, il 17 settembre 1314, all’età di 23 anni, dopo una cavalcata veloce il Signore di Verona è costretto a lasciare il cavallo e viene trasferito su un carro. Seconda crisi, il 25 agosto 1320, a 29 anni, ferito ad una coscia fu trasportato all’accampamento, dove si riprese e ritornò in battaglia. In realtà, dalle autopsie effettuate sul corpo non sono state riscontrate cicatrici sulla coscia, ciò fa supporre si trattasse di altri sintomi, sempre riconducibili alla malattia. Terza crisi, il 4 luglio 1325, all’età di 34 anni, in una cavalcata da Verona verso Vicenza Cangrande fu colto da improvviso malore e fu riportato a Verona, dove peggiorò, rimanendo tra la vita e la morte per dieci giorni e poi malato per mesi. Quarta crisi, il 18 luglio 1329 si ammala e dopo tre giorni muore. Era il 22 luglio 1329, Cangrande aveva 38 anni.

Particolare della mummia di Cangrande nella ricognizione del 2004 (foto Umberto Tomba)

Analisi del DNA di Cangrande della Scala. Il DNA di Cangrande è stato estratto in collaborazione con il Laboratorio di Antropologia molecolare e Paleogenetica dell’università di Firenze, coordinato dal prof. David Caramelli e dalla prof.ssa Martina Lari, esperti nell’estrazione di DNA antico. Una prima estrazione, eseguita su frammenti di fegato, ha rivelato un’altissima concentrazione di DNA derivante da microrganismi contaminanti di origine più moderna. La presenza così esigua di DNA umano che ne rimaneva (meno dell’1%) non ha reso possibile proseguire con il sequenziamento clinico. È stata quindi effettuata una seconda estrazione da un piccolo frammento di falange. Anche in questo caso la quantità di DNA estratto è stata ricca di DNA contaminante ma la percentuale di DNA umano si è rivelata decisamente più alta: 23%. Il Laboratorio di Genomica funzionale dell’università di Verona guidato dal prof. Massimo Delledonne ha dunque deciso di applicare una tecnica di laboratorio attualmente utilizzata per la diagnosi clinica di pazienti affetti da malattie genetiche che ha permesso di catturare in modo specifico i circa 35 milioni di basi del DNA che contengono i geni umani, eliminando così il DNA contaminante. Cangrande è stato quindi sequenziato come se si trattasse di un paziente dei nostri giorni, e l’analisi bioinformatica degli 83 milioni di sequenze prodotte ha portato alla ricostruzione del 93.4% dei suoi geni, un valore davvero molto elevato.

Immagini tratte dal video sulla ricostruzione del volto di Cangrande effettuata dal professor Peter Vanezis (Department of Forensic Medical Science,The Forensic Science Service, London, Department of Forensic Medicine and Science, University of Glasgow – Museo di Castelvecchio, 2004)

La malattia. Le analisi bioinformatiche effettuate hanno portato all’identificazione di circa 25mila “varianti genetiche” (un numero atteso, nella norma) che sono state classificate utilizzando associate alle informazioni disponibili nelle apposite banche dati fra cui quella del National Institute of Health americano, per effettuare una vera e propria analisi diagnostica del condottiero scaligero alla ricerca di dettagli che potessero ricostruirne la “cartella clinica”. Questa classificazione ha permesso di identificare 249 varianti associate a malattie che sono state analizzate manualmente dal dott. Alessandro Salviati, genetista medico del Laboratorio di Genomica Funzionale, che ha riconosciuto due mutazioni diverse nel gene dell’enzima lisosomiale α-glucosidasi acida, un enzima deputato alla degradazione del glicogeno per la produzione di energia. La malattia che deriva dalla disfunzione di questo enzima è una glicogenosi, in questo caso la Glicogenosi tipo II (malattia di Pompe, deficienza di α-glucosidasi acida, deficienza di maltasi acida).

La statua equestre originale di Cangrande spostata dall’Arca al museo di Castelvecchio (foto Umberto Tomba)

Nei casi ad esordio tardivo, come quello riconducibile a Cangrande, la malattia si evidenzia in una scarsa resistenza alla fatica fisica, difficoltà respiratoria, debolezza muscolare e crampi, fratture ossee spontanee e cardiopatia. La morte dei pazienti adulti è spesso quasi improvvisa, come accaduto a Cangrande, deceduto dopo solo tre giorni di malattia. Alcune opere storiche hanno messo in luce piccoli indizi compatibili con questa patologia, relativi a soste forzate nel corso di tragitti a cavallo abbastanza brevi, ad improvvisi malesseri e, forse, anche alla preferenza per l’uso dell’arco rispetto alla spada. Il quadro clinico della morte di Cangrande è pertanto compatibile con la malattia di Glicogenosi tipo II ad esordio tardivo. Il medico di Cangrande, nel tentativo di contrastare questa debolezza, somministrò dosi eccessive di digitale (una sostanza utilizzata come cardio tonico) e questo fece pensare ad un avvelenamento, tanto che il medico venne impiccato di lì a poco. Oggi sappiamo che quella somministrazione era ben lungi dall’intento di avvelenare il Principe.

Verona. Nel trentennale della scoperta della necropoli romana di Porta Palio lungo la via Postumia, più di 1400 sepolture, durante i lavori dei Mondiali Italia ’90, mostra archeologica di Comune e Soprintendenza, rinviata per Covid-19. Intanto un video promo

Lo scavo della necropoli romana di Porta Palio a Verona lungo la via Postumia nel 1990 (foto Sabap-Vr)

20 dicembre 1989: durante i lavori per la realizzazione dei sottopassi per i Mondiali ‘Italia ‘90” gli archeologi cominciarono a trovare  le prime sepolture della necropoli romana di Porta Palio. Alla fine dello scavo archeologico saranno più di 1400 le sepolture riportate alla luce. Nel trentennale di quell’importante scoperta archeologica, resa possibile dai lavori di realizzazione delle infrastrutture per i campionati mondiali di calcio del 1990 (sottopasso di Porta Palio, opere in via Albere e circonvallazione dello stadio “Marcantonio Bentegodi”), il soprintendente Vincenzo Tiné e l´assessore ai Rapporti Unesco Francesca Toffali hanno deciso di celebrare la speciale ricorrenza con la realizzazione di una mostra, frutto appunto della collaborazione tra il Comune di Verona – assessorato Rapporti Unesco e la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza.

La locandina della mostra “Verona i Mondiali ’90 e la scoperta della necropoli romana”

La mostra “Verona i Mondiali ’90 e la scoperta della necropoli romana” ripercorre le tappe delle scoperte archeologiche del 1990, ricordando i protagonisti e descrivendo le caratteristiche delle necropoli di Porta Palio, di via Albere e della Spianà. È curata, per la Soprintendenza, da Brunella Bruno e Giulia Pelucchini, per il Comune di Verona da Ettore Napione, responsabile dell´ufficio UNESCO, per l’università di Pavia, da Francesca Picchio, coordinatrice scientifica del laboratorio DAda LAB che, assieme a Francesca Galasso, ha elaborato i disegni, i modelli tridimensionali e le ricostruzioni digitali. “Queste grandi necropoli – sottolineano – hanno significativamente incrementato le conoscenze scientifiche sui rituali di sepoltura di età romana, riservando anche alcune sorprese. Tra queste le modalità anomale di sepoltura per persone giovani morte in modo improvviso o violento e alcuni corredi che fanno intravedere l’orgoglio dei defunti di appartenere a genealogie risalenti ai Veneti antichi”. La mostra del 2021 si svolgerà in collaborazione con la Società di Mutuo Soccorso di Porta Palio.

La vernice della mostra, nel ricordo dei mondiali e di quei giorni precedenti il Natale 1989, quando le ruspe del cantiere stradale intaccarono le antiche sepolture, era programmata nella sede di porta Palio per il 22 dicembre 2020, ma per le restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19 l’esposizione è stata rimandata alla primavera del 2021, in una data che sarà definita appena possibile. In attesa dell’inaugurazione, il Comune di Verona e la Soprintendenza hanno pubblicato un video-trailer che anticipa i contenuti dell’esposizione: “Puntiamo ad attirare la curiosità del pubblico e sollecitare la memoria collettiva su uno degli episodi principali della storia della città e della sua archeologia alla fine del XX secolo”.

Il percorso della via Postumia trovato dagli scavi del 1989 al di sotto del piano stradale di corso Cavour a Verona (foto Sabap-Vr)
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Peter Hudson e Giuliana Cavalieri Manasse seguono lo scavo archeologico nel cantiere del sottopasso di Porta Palio (foto Sabap-Vr)

Storia degli scavi. In occasione dei Mondiali del 1990, il sindaco dell’epoca Gabriele Sboarina aveva colto l´occasione di modernizzare la viabilità di accesso allo stadio per migliorare la viabilità complessiva di Verona. Per uno strano, ma non imprevedibile, destino, quell’adeguamento urbanistico e infrastrutturale coincise con la scoperta di un lungo tratto della via Postumia antica, proveniente dall’arco dei Gavi (l’odierno corso Cavour). La via romana era qui associata ad una grande necropoli, databile tra il I e il III secolo d.C. e riservata per lo più ai ceti popolari. Quegli scavi furono seguiti dal direttore del Nucleo Operativo di Verona della Soprintendenza Archeologica del Veneto, Giuliana Cavalieri Manasse, e dall’archeologo inglese Peter J. Hudson per la cooperativa Multiart, incaricata di eseguire le indagini.

Archeologi al lavoro nello scavo al cantiere del sottopasso di Porta Palio a Verona nel 1990 (foto Sabap-Vr)

Il bilancio delle scoperte avvenute tra il 1990 e il 1991 è impressionante anche nei numeri. L’area presso Porta Palio, scavata su una superficie di 3500 mq, ha messo in luce 536 sepolture, costituite per l’87% da incinerazioni e per il 17% da inumazioni. La zona nell’area della Spianà, tra via Prima traversa Spianà (a Nord) e via Albere (a Sud), indagata su una superficie di 8600 mq, ha portato all’identificazione di 807 tombe: 766 incinerazioni e 41 inumazioni. Tra il 2008 e il 2009, proseguendo lungo via Albere, furono portate alla luce altre 104 sepolture, quasi tutte ad incinerazione.