Vetulonia. Ultimi giorni per visitare la mostra “A tempo di danza. In Armonia Grazia e Bellezza” al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi”: con la direttrice Simona Rafanelli speciale visita guidata tra i capolavori esposti

Veduta d’insieme della prima sala della mostra “A passo di danza” al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia (foto graziano tavan)

Locandina della mostra “A tempo di danza. In armonia grazia e bellezza” al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia dal 1° luglio al 6 novembre 2022
Se non l’avete ancora fatto e ne avete la possibilità, andate a Vetulonia (Gr) al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” a visitare la mostra “A tempo di danza. In Armonia Grazia e Bellezza”, che chiude (salvo proroghe dell’ultimo momento) domenica 6 novembre 2022. Un percorso espositivo con capolavori di fama mondiale concessi in prestito dal principale museo archeologico d’Italia, il Mann di Napoli, e dalla celeberrima Accademia delle Belle Arti di Carrara. Il tema dell’esposizione è rappresentato dalla danza e in particolare dalla declinazione al femminile di questa straordinaria arte performativa. Ma se non ce la fate, ecco una speciale visita guidata che la direttrice del MuVet, Simona Rafanelli, ha concesso ad archeologiavocidalpassato.
“La mostra nasce da un desiderio in primo luogo: un desiderio, condiviso con il sindaco Elena Nappi del nostro Comune di Castiglione della Pescaia, di reagire al momento storico di grande buio, di ansia, di dolore, di malattia, di guerra, esaltando il lato positivo della vita stessa e del cosmo – potremmo dire -, un lato positivo che di comune intento abbiamo voluto porre nella parte femminile dell’umanità, una parte cui spetta da sempre, fin dall’antico, il ruolo di generare la vita e con essa la bellezza e insieme alla bellezza un aspetto peculiare dell’arte performativa che è la danza. Se pensiamo che il feto nel grembo della madre inizia la sua vita muovendosi danzando nel liquido amniotico, o – come sottolineato anche nel mito – che i cureti danzano per nascondere il pianto di Zeus bambino sul monte Ida, è un qualcosa la danza che nasce insieme alla bellezza, all’armonia, all’aspirazione alla perfezione, alla grazia, con l’uomo stesso e soprattutto proprio con la donna. Se la pace la bellezza la vita sono donna più che uomo, ebbene con questa mostra l’abbiamo voluto sottolineare ed esaltare.

La danzatrice dalla Villa dei Papiri di Ercolano, le foto di Luigi Spina e le tempere di Antonio Canova nella prima sala della mostra “A passo di danza” al museo di Vetulonia (foto graziano tavan)

La danzatrice dalla villa dei Papiri a Ercolano conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)
“La mostra, i cui temi sono proprio la bellezza e la danza, ha preso vita grazie alla collaborazione con due enti di cultura straordinari che hanno creduto in questa idea, in questo progetto, senza guardare alle piccole dimensioni e alla dimensione semplicemente civica del museo di Vetulonia. Hanno voluto sposare il sogno che era dietro la costruzione di questa esposizione. Parlo del museo Archeologico nazionale di Napoli che, dopo averci donato con l’Efebo dalla via dell’Abbondanza cinque anni fa, nel 2017, la statua più bella di Pompei, ora per noi, per questa mostra, fa uscire dalle sale dedicate alla Villa dei Papiri di Ercolano la più bella delle cinque, cosiddette dal Winckelmann, “danzatrici”. In questa danzatrice lo schema greco della donna col peplo si spezza per prendere vita in un passo e in un gesto iconico della ballerina, col ginocchio piegato, la veste sollevata con un lembo, e soprattutto il braccio alzato a far ruotare una ghirlanda, una corona con cui danzare. Uno studio, grazie al confronto con le tempere di Antonio Canova, ha restituito l’identità di danzatrici a queste giovani fanciulle.

Danzatrice in un affresco da villa di Ercolano conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)

In mostra a Vetulonia una riproduzione delle Danzatrici, tempere di Antonio Canova (foto graziano tavan)
“Esce la danzatrice del Mann insieme a cinque affreschi dalle ville romane di Ercolano e di Pompei: una danzatrice da una villa di Ercolano, villa d’otium dei romani del tempo, che mi ripete il gesto con la mano e le dita chiuse sollevate al di sopra della testa; e altre quattro figure danzanti, due menadi volanti straordinarie racchiuse nel giro di danza sul fondo nero che Antonio Canova sogna e ripropone nelle sue tempere di cui abbiamo tre riproduzioni fotografiche nell’allestimento di scena della mostra, e accanto due figure volanti di Eros e Psiche, corpo e anima, uniti nell’abbraccio d’amore cui lo stesso Canova dedicherà le sue opere.

La danzatrice di Antonio Canova tra le foto di Lugi Spina nella mostra “A tempo di danza” al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia (foto graziano tavan)

La danzatrice di Antonio Canova nella mostra “A passo di danza” al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia (foto graziano tavan)
“Perché Canova? Perché questo tema che attraversa il tempo e dà il titolo alla mostra, che attraversa i secoli a tempo di danza, in armonia grazia e bellezza, parte da opere dell’antichità classica di I sec. d.C. e arriva ad Antonio Canova. Si passa il testimone a quel grande maestro di opere neoclassiche che già si vestono di vene di romanticismo. Il gesso della danzatrice di Canova con le mani sui fianchi prestato da un altro ente straordinario che è l’Accademia delle Belle arti di Carrara arriva da noi. Anche questo per la prima volta esce dall’Accademia per entrare in questa mostra e raccogliere il testimone dalla danzatrice ercolanense del Mann. È una danzatrice che fu dichiarata nei primi dell’Ottocento la donna più bella del mondo col volto di Josephine de Beauharnais che Canova presentò sulle soglie del XIX secolo nel Salone delle Esposizioni di Parigi e che fece innamorare il mondo intero. Questa donna incede leggiadra, a passo di danza rivelando compiutamente nella fragilità del gesso, nelle ombre che richiamano il colore dei corpi connessi nella carne, parla e racconta la fragilità stessa e la precarietà della vita dell’individuo e del mondo del cosmo intero.

La Tersicore di Antonio Canova riprodotta da TorArt con il robot antropomorfo della Robotor per la mostra “A tempo di danza” al museo di Vetulonia (foto graziano tavan)
“Accanto a queste due figure un’altra opera di Antonio Canova, di cui si celebra il bicentenario quest’anno dalla morte, la musa della danza e del canto corale, la divina Tersicore, dal greco τέρπω (“dar piacere, rallegrare”) e χoρός (“danza”), collegata alla stessa valenza e traduzioni dei termini della danza: χoρός vuol dire anche gioia, la stessa radice di Χαρά (“gioia”): Tersicore la ritroviamo proposta ad accogliere i visitatori nella prima delle due sale della mostra, quella incentrata sulla danza. Eccola la Tersicore, ricavata da un blocco in marmo di Carrara come l’originale di Canova conservato nella Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo nel Parmense, che sta impugnando una cetra: canta, balla, si muove, suona. È stata realizzata nei tempi contemporanei ripetendo oggi quella volontà di moltiplicare la memoria, che è nello stesso pensiero, nelle corde di Antonio Canova che quando amava un soggetto lo replicava in diversi materiali, tempera, gesso, marmo, all’infinito in varie dimensioni. Così noi oggi nel contemporaneo la sua Tersicore scolpita dal robot antropomorfo della Robotor a opera della TorArt, giovane azienda carrarese. Eccola riprodotta oggi dal robot come la Canova a perpetuare la memoria del maestro.

Alla mostra “A tempo di danza” le danzatrici, antiche e neoclassiche, dialogano con le fotografie di Luigi Spina, mostra nelal mostra (foto graziano tavan)
“E ancora. Ultime due chicche in questa sala. Da una parte la mostra nella mostra realizzata dal fotografo più grande, oggi a livelli mondiali, capace di dialogare con le opere antiche, Luigi Spina. Le cui opere fotografiche sono esposte in maniera permanente nello stesso museo Archeologico nazionale di Napoli. Luigi Spina partecipa con 11 foto-quadro a dialogare nella mostra, a narrare le opere antiche.
“Oltre alla mostra nella mostra realizzata dal fotografo Luigi Spina, capace di instaurare un silente quanto profondo dialogo interpretativo con i dettagli dell’opera antica di I sec. d.C., con quella in gesso di Antonio Canova, un’ultima osservazione va dedicata alla quinta scenografica teatrale ospitata nello spazio della mostra – anche questo evento culturale metafora del teatro per tutti gli eventi collegati alla mostra stessa – una scena con figure danzanti dell’antichità.

Lo “spazio” teatrale alle spalle della danzatrice dalla Villa dei Papiri di Ercolano nella prima sala della mostra del museo di Vetulonia (foto graziano tavan)
“Sul fondo le cinque danzatrici dalla Villa dei Papiri di Ercolano del Mann: a sinistra, la cosiddetta fanciulla, ragazza di Loconia, dello scultore greco Callimaco, conservata in Grecia, accanto alla quale si libra nel vortice della danza una delle ballerine che adornavano le pareti della tomba dipinta del Triclinio, nella necropoli dei Monterozzi a Tarquinia. E ancora sull’altro lato della scena la splendida danzatrice affrescata sulla cosiddetta villa d’ozio di Cicerone a Pompei che ripete il gesto della danzatrice in bronzo di Ercolano: con la sinistra solleva un lembo della veste e con la destra in alto a tenere, anziché una ghirlanda, un altro lembo con cui danzare. E l’ultima figura, la cosiddetta fanciulla danzante del Palazzo Medici Riccardi a Firenze, quindi una ripetizione in età tarda post neoclassica che integra pezzi antichi e di restauro. Questa quinta scenica realizza la metafora e la realtà di un palcoscenico fulcro degli eventi culturali correlati a questa mostra, allestiti in scena tra questi capolavori per l’intera durata dell’esposizione.
“La seconda sala della mostra è un box dedicato alla bellezza. Un’esaltazione della bellezza che abbiamo voluto realizzare nel progetto dell’architetto Luigi Rafanelli ponendo sull’asse della diagonale due figure della dea della bellezza Venere, esaltate, come nella diagonale della danza della prima sala, lungo un percorso che parte dall’antichità classica, dalla Venere della collezione Farnese conservata sempre nel museo Archeologico nazionale di Napoli, accoccolata, mentre esce dal bagno: indossa soltanto un bracciale, un’armilla; un prezioso vasetto, l’alabastron, contenitore di profumi con i quali si deterge, si unge la pelle del corpo, quindi le carni e le chiome, acconciate nel consueto nodo di Afrodite.

Veduta d’insieme della seconda sala, dedicata alla bellezza, della mostra “A tempo di danza” al museo Archeologico di Vetulonia (foto graziano tavan)

“Venere Italica”, gesso di Antonio Canova in mostra al museo Archeologico di Vetulonia (foto graziano tavan)
“Da questa statua dalla collezione Farnese del Mann si passa sul fondo lungo la medesima diagonale alla Venere cosiddetta Italica, scolpita in gesso da Canova e realizzata anche qui su richiesta dell’esaudimento di un sogno: era stata appena – diciamo così – trafugata dagli Uffizi di Firenze la Venere de’ Medici, opera antica, d’età romana, in marmo, e il re d’Etruria chiede ad Antonio Canova di realizzare una Venere che andasse a sostituire quella antica: una copia della Venere de’ Medici. Questa copia non verrà fatta perché l’autore, il maestro Canova, risponde “Io non realizzo, non eseguo copie. Io creo. Intrigo il mio animo dell’antico, dello studio, della conoscenza dell’antico, per creare, per dar vita a forme che respirano di antico ma che riproducono al contempo la contemporaneità, l’età moderna”. Così è per questa Venere straordinaria che rappresenta l’aspetto pudico dell’eros, dell’amore, e si raccoglie nel suo fragile corpo da adolescente, nudo, e al contempo cerca di celare la sua nudità in questa figura riprodotta in piedi, nell’angolo della sala, proprio a raccogliere nella fragilità e nello splendore delle carni, del gesso etereo, che raccoglie il testimone con l’antico e dialoga con le foto-quadro di Spina, esaltando il momento più bello della creazione dell’opera e la sua vita che attraversa il tempo.

La Venere accoccolata Farnese e, sulla diagonale, la Venere Italica di Antonio Canova nella mostra “A passo di danza” di Vetulonia (foto graziano tavan)
“Vediamo ancora una volta come riflessa in uno specchio al centro l’immagine della Venere antica che viene realizzata a Roma nello stesso I sec. d.C. da artisti, scultori del marmo romani, che si ispirano all’originale greco in bronzo dell’artista greco Doidalsas di età ellenistica. Doidalsas realizza in bronzo una Venere, che qui viene esaltata nel fulgore, nel biancore, nella rigidità del marmo chiamato la materia degli dei proprio perché ferma, immobile, eterna come eterno è il divino contro la precarietà, la fragilità tutta terrena del gesso. Questa immagine di Venere, replicata in poche copie importanti nel I sec., viene conservata, se pur mutila in molte sue parti nei maggiori musei d’Italia e d’Europa. Sto parlando di Napoli, di Roma, del Louvre di Parigi. Guardate la bellezza di queste due donne. L’una, una bellezza eterna tutta divina, quella della Venere accoccolata della collezione Farnese; l’altra, quella della fragile Venere, definita dal poeta Ugo Foscolo una bellissima donna, che Foscolo chiede di baciare perché innamorato del suo volto, delle sue membra. E gli viene concesso.

Gli ingrandimenti delle cinque gemme della collezione Farnese esposte nella mostra “A tempo di danza” di Vetulonia (foot graziano tavan)
“Una bellezza che viene esaltata ancor più all’interno di questo spazio da cinque piccoli capolavori: le gemme cameo della medesima collezione Farnese, di cui fa parte la Venere accoccolata, concesse in prestito dallo steso museo Archeologico nazionale di Napoli. In sintesi questi cinque micro capolavori che sono le gemme farnesi, raccontano lo stesso tema della mostra: al suono del flauto dell’auletrix, la suonatrice di aulos, il doppio strumento a fiato, dove il suo ondeggiare, lento, ritmato, si vede soltanto nell’eco che questo moto trasferisce alle volute ondeggianti del mantello che ricade intorno al suo corpo nudo. Si muovono e danzano due menadi: l’una col tirso, l’altra con la testa rovesciata nello schema celeberrimo della scultura di Scopas, quindi greca. Dall’altra parte una gemma riproduce il medesimo schema della Venere Farnese accoccolata dopo il bagno, ricoperta come un cielo dal manto che deve avvolgerle il corpo. E l’ultima a celebrare quale corrispettivo ipostasi terrena o semidivina della bellezza dell’Afrodite dea per il momento dell’unione tra Leda e Zeus sotto le spoglie di un cigno dal cui miracoloso connubio nascerà Elena, la donna più bella del mondo, specchio di quella bellezza assoluta ed eterna che solo Venere dall’antichità al neoclassicismo di Canova può per noi come per tutti da sempre rappresentare”.
Archeologia sotto le stelle a Vetulonia. Marco Hagge presenta il catalogo della mostra-evento “A tempo di DANZA. In Armonia, Grazia e BELLEZZA. Dalle meraviglie del Museo archeologico Nazionale di Napoli alle opere di Antonio Canova, figlie del cuore”
Sarà Marco Hagge, scrittore e giornalista, storico coordinatore di “Bellitalia”, la rubrica della Rai sui Beni Culturali del nostro paese, a presentare sotto le stelle di piazza Vatluna a Vetulonia una serata speciale promossa dal Comune di Castiglione della Pescaia e la direzione scientifica del museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia nell’ambito di “Archeologia sotto le stelle”: appuntamento mercoledì 10 agosto 2022, alle 21.30, per la presentazione del catalogo della mostra-evento “A tempo di DANZA. In Armonia, Grazia e BELLEZZA. Dalle meraviglie del Museo archeologico Nazionale di Napoli alle opere di Antonio Canova, figlie del cuore”. La serata sarà anche l’occasione per ricordare anche a tutti gli sponsor che, “protagonisti silenziosi” della mostra evento, hanno reso possibile con il loro sostegno e il loro lavoro, la realizzazione di questo straordinario quanto ambizioso progetto espositivo. Intervengono all’incontro Elena Nappi, sindaco di Castiglione della Pescaia; Simona Rafanelli, direttore scientifico del MuVet; Torart, azienda realizzatrice della riproduzione in marmo di Carrara della Tersicore di Canova. A seguire visite guidate alla mostra evento con le archeologhe dello staff del museo. Evento gratuito. Prenotazione gradita. Info e prenotazioni: 0564.927241 (da martedì a domenica, 10-14 e 15-19).
Vetulonia. Al museo Archeologico “Isidoro Falchi” arriva la vetrina olografica “Così lontano, così vicino. Tutto a Vetulonia, Vetulonia per tutti”, che permette al MuVet di riportare a casa, seppur virtualmente, quei reperti fondamentali per la conoscenza di Vatl, oggi conservati in altri musei
Qualche appassionato ha già avuto modo di vederla alla Borsa mediterranea del turismo archeologico (25-28 novembre 2021, Paestum) dove ha “debuttato” nello stand della Toscana, scelta a rappresentare i progetti di eccellenza della Regione per l’anno 2021, e poi a Tourisma, Salone dell’Archeologia e del Turismo culturale (17-18-19 dicembre 2021, Firenze). Parliamo della vetrina olografica “Così lontano, così vicino. Tutto a Vetulonia, Vetulonia per tutti”, un prototipo unico concepito in Italia e realizzato in Spagna, grazie al contributo della Fondazione CR Firenze e alla preziosa collaborazione del DIDA-Dipartimento di Architettura dell’università di Firenze. E sabato 16 aprile 2022, alle 16, viene inaugurata nel museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia. Aprono i saluti istituzionali di Elena Nappi, sindaco Comune di Castiglione della Pescaia; Chiara Lanari, assessorato alla Cultura della Regione Toscana; Francesco Tapinassi, direttore Toscana Promozione Turistica. Dalle 16.20, intervengono Adriano Maggiani, vice-presidente istituto nazionale di Studi Etruschi e Italici; Cecilia Maria Roberta Luschi e Alessandra Vezzi del dipartimento di Architettura (DIDA) dell’università di Firenze; Simona Rafanelli, Maria Francesca Paris e Costanza Quaratesi del MuVet-museo civico Archeologico “Isidoro Falchi”. A seguire brindisi a cura di Ais-Associazione Italiana Sommelier Toscana.

La vetrina olografica inserita nel percorso espositivo del museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia (foto da maremmaoggi.net)
“La vetrina arriva finalmente “a casa” e prende posto all’interno del nostro percorso espositivo”, spiega Simona Rafanelli, direttrice del Muvet, “arricchendolo delle più recenti tecnologie impiegate nella proiezione olografica, grazie a un progetto che iniziato nel 2021 proseguirà nell’anno in corso e che consentirà di valorizzare alcuni reperti riconnettendoli al loro contesto archeologico di provenienza, come nel caso della stele funeraria del principe guerriero Auvele Feluske”. E continua: “Il progetto “Così lontano, così vicino” permetterà inoltre al MuVet di riportare a casa, seppur virtualmente, alcuni di quei reperti fondamentali per il racconto storico e archeologico dell’antica Vatl, oggi conservati in altre sedi museali. Si potrà così finalmente ricomporre il patrimonio locale e offrire, attraverso il recupero di quegli oggetti “vicini e lontani”, il racconto completo e pienamente comprensibile della etrusca Vetulonia, un racconto coerente e, grazie alle innovazioni tecnologiche sperimentate, sempre più accessibile a tutti i segmenti di pubblico”.
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