Cortona. A un mese dalla chiusura della mostra “Luci dalle tenebre. Dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei” al Maec, conferenza di Luigi Donati con considerazioni conclusive sulla mostra e presentazione del catalogo

La mostra “Luci dalle tenebre. Dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei” al museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona (Maec) si è chiusa il 12 settembre 2021: in assoluto la prima mostra dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco con reperti giunti dai più prestigiosi Musei italiani, una esposizione interamente dedicata alle tecniche di illuminazione e ai rituali connessi nell’epoca etrusca (vedi Cortona. Ancora poche settimane per visitare la mostra “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei” al MAEC – museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona, la prima mostra dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco | archeologiavocidalpassato). A distanza di poco più di un mese sabato 16 ottobre 2021, alle 16, in sala Medicea di Palazzo Casali a Cortona, sede del Maec, “Considerazioni conclusive sulla mostra Luci dalle tenebre” a cura del prof. Luigi Donati, lucumone dell’Accademia Etrusca di Cortona. Seguirà la presentazione del catalogo. Green pass e prenotazione obbligatori: 0575637235 – prenotazioni@cortonamaec.org.

In mostra, grazie alla collaborazione di docenti dei maggiori atenei italiani e di studiosi di fama internazionale, si sono potuti ammirare gli oggetti che testimoniano le tecniche di illuminazione naturale e gli strumenti di illuminazione artificiale usati dagli Etruschi. Dal celebre lampadario etrusco in bronzo già custodito nelle sale del Maec, stupefacente e prezioso strumento di illuminazione artificiale antica, all’eccezionale prestito dal Mann di Napoli: una statua ritrovata a Pompei rappresentante un efebo, cui è dedicato uno speciale allestimento nella sala dei Mappamondi. La statua in bronzo è alta circa un metro e mezzo e rappresenta un adolescente con un candelabro che svolgeva il ruolo di accoglienza per gli ospiti illustri nelle dimore dell’antichità. Una intera sezione è stata dedicata ai sistemi di illuminazione collegati alla cultura nuragica, sviluppata nella Sardegna preromana, ed una sezione, particolarmente ricca, è stata riservata ad alcune delle più prestigiose realizzazioni rinvenute nella città di Pompei – legata al mondo etrusco da antichi vincoli di dipendenza – fra cui – come si diceva – la splendida statua di efebo lampadoforo rinvenuta integra in una ricca dimora di via dell’Abbondanza.
Cortona. Ancora poche settimane per visitare la mostra “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei” al MAEC – museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona, la prima mostra dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco

È in assoluto la prima mostra dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco e offre un percorso attraverso reperti provenienti dai più prestigiosi Musei italiani. C’è ancora qualche settimana di tempo, fino al 12 settembre 2021, per visitare la mostra “Luci dalle tenebre. Dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei” al museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona (Maec). “Il tema dell’illuminazione nel mondo etrusco, nelle sue varie applicazioni, non era mai stato affrontato in una sede museale”, spiegano i tre curatori Luigi Donati, Vittorio Mascelli, Paolo Bruschetti. “È una grossa lacuna alla quale il museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona intende provvedere con questo evento, suggerito dalla volontà di offrire al pubblico dei visitatori un quadro esauriente sul complesso tema della luce e dei lumi, che tanta parte ha avuto nello sviluppo delle varie civiltà e quindi anche di quella etrusca, valorizzando ancora una volta la presenza di un pezzo unico di cui dispone. Se, infatti, nel 2016 il Maec ospitava la mostra “Etruschi, maestri di scrittura” (vedi A Cortona la mostra “Etruschi maestri di scrittura. Cultura e società nell’Italia antica”. Per la prima volta assieme i più importanti testi in etrusco: dalla mummia di Zagabria alla Tabula Cortonensis, dalla Tegola di Capua alle lamine auree di Pyrgi, dal Cippo di Perugia al fegato di Piacenza. Tutte le novità su una scrittura in parte ancora avvolta dal mistero | archeologiavocidalpassato), nata intorno ad uno dei pezzi scrittori più importanti del mondo etrusco, la Tabula Cortonensis acquisita nel 1992, anche questa mostra è originata dalla presenza, nel medesimo museo dove fa mostra di sé dal 1842, del famosissimo “lampadario” bronzeo, un capolavoro unico dell’arte toreutica degli etruschi”.

“La mostra – continuano i curatori – vuole quindi accompagnare il visitatore attraverso questo affascinante viaggio nel tempo, illustrando le varie soluzioni escogitate per sfruttare la luce naturale negli ambienti chiusi, ed in particolare nelle abitazioni, via via che l’architettura diveniva più complessa: la porta, la finestra, l’abbaino o il lucernario, il timpano aperto oppure l’atrio od il cortile interno. Largo spazio viene quindi dato ai vari metodi e agli strumenti specifici, fissi o mobili, adottati dagli antichi per produrre delle luci artificiali che consentissero di vincere le tenebre della notte, ma anche di lavorare in luoghi permanentemente oscuri come le gallerie minerarie, le tombe ipogee, oppure di garantire un sistema di segnali luminosi a distanza con finalità strategiche per il controllo del territorio. Ma il percorso espositivo allarga lo sguardo anche sull’altra sponda del Tirreno, a quell’isola Argyróphleps che, stando a Platone, verrà poi chiamata Sardò dal nome della sposa di Tyrrenòs, l’eroe eponimo dei Tirreni d’Etruria ed era abitata, secondo Strabone, dall’antico popolo dei Tyrrhenoi omonimi di questi ultimi. Tradizioni mitistoriche entrambe, dalle quali emerge il ricordo di una comunanza molto stretta fra le due sponde del mare, oggi confermata dall’archeologia con le testimonianze che si vanno infittendo nel corso del primo millennio a.C.. In linea con uno dei principi fondanti del Maec, vale a dire quello di una divulgazione larga ma al contempo di alto profilo”, ricordano Donati, Mascelli e Bruschetti, “vi è anche una sezione didattica che, mediante la creazione di copie tridimensionali degli strumenti da illuminazione esposti nelle vetrine, permette di comprenderne il funzionamento. Le repliche tridimensionali consentono anche di ricreare od integrare strumenti non conservatisi fino a noi perché composti con materiali estremamente deperibili come elementi vegetali o cera”.

“Il percorso si conclude con l’esposizione di splendidi manufatti bronzei per l’illuminazione provenienti da Pompei, che fu fondata probabilmente dagli stessi Etruschi con l’ausilio di maestranze locali, come dimostrerebbero la pianta della città ed i materiali che gli scavi stanno mettendo in luce nei livelli più antichi. Quelli qui presentati, tutti strumenti di età romana rimasti in uso nelle abitazioni della città vesuviana fino alla tragica eruzione del 79 d.C., stanno ad indicare il filo ideale che si mantenne vivo nei secoli, sempre teso a coniugarne la funzionalità con l’attenzione al valore ornamentale. Spiccano fra di essi due pezzi. Il primo è una lucerna trilicne (a tre fuochi) con sirena realizzata in stile arcaizzante, quasi a voler richiamare esplicitamente un legame ideale da parte degli abitanti della Pompei romana con quei remoti antenati ai quali si deve la nascita della città. Il secondo – concludono i curatori – è l’Efebo di via dell’Abbondanza: una statua in bronzo a grandezza quasi naturale riadattata ad uso porta-lampade, col quale si chiude la mostra rimandando idealmente all’epos omerico, a quei “giovinetti d’oro su piedistalli ben costruiti che recavano in mano fiaccole accese e facevano lume durante la notte ai convitati nella sala”, incontrati da Ulisse nella reggia di Alcinoo”.
Cortona. Tornano al Maec le grandi mostre internazionali: apre “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei”, la prima dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco, che celebra anche il legame tra etruschi e Pompei. Tra i reperti esposti, il celebre lampadario etrusco e l’efebo lampadoforo da via dell’Abbondanza

Al museo Archeologico nazionale di Napoli si imballa l’Efebo di via dell’Abbondanza (foto mann)

L’Efebo di via dell’Abbondanza arriva al museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona (foto mann)
Le operazioni di imballaggio sono iniziate intorno al 25 maggio. I tecnici del museo Archeologico di Napoli si sono presi cura dell’Efebo di via dell’Abbondanza, uno dei bronzi più famosi provenienti da Pompei, conservato al Mann, per spedirlo in assoluta sicurezza con destinazione Cortona, dove è stato accolto il 1° giugno dai tecnici del Maec, il museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona. Perché al Maec? È lì che è in allestimento la grande mostra “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei”, della quale proprio l’Efebo bronzeo è il simbolo e il testimonial.

Tornano dunque le grandi mostre di rilievo internazionale al Maec di Cortona. “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei”, dal 5 giugno al 12 settembre 2021, a Palazzo Casali, è in assoluto la prima mostra dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco e offre un percorso attraverso reperti provenienti dai più prestigiosi Musei italiani. Per la prima volta una esposizione interamente dedicata alle tecniche di illuminazione e ai rituali connessi nell’epoca etrusca. In mostra, grazie alla collaborazione di docenti dei maggiori atenei italiani e di studiosi di fama internazionale, gli oggetti che testimoniano le tecniche di illuminazione naturale e gli strumenti di illuminazione artificiale usati dagli Etruschi. Dal celebre lampadario etrusco in bronzo già custodito nelle sale del Maec, stupefacente e prezioso strumento di illuminazione artificiale antica, all’eccezionale prestito dal Mann di Napoli: una statua ritrovata a Pompei rappresentante un efebo, cui è dedicato uno speciale allestimento nella sala dei Mappamondi. La statua in bronzo è alta circa un metro e mezzo e rappresenta un adolescente con un candelabro che svolgeva il ruolo di accoglienza per gli ospiti illustri nelle dimore dell’antichità. Una intera sezione è dedicata ai sistemi di illuminazione collegati alla cultura nuragica, sviluppata nella Sardegna preromana, ed una sezione, particolarmente ricca, è riservata ad alcune delle più prestigiose realizzazioni rinvenute nella città di Pompei – legata al mondo etrusco da antichi vincoli di dipendenza – fra cui – come si diceva – la splendida statua di efebo lampadoforo rinvenuta integra in una ricca dimora di via dell’Abbondanza.

Le tematiche cardine: la “luce divina”; la luce naturale e le tecniche per un’illuminazione ecologica e naturale degli ambienti; le tecniche di illuminazione artificiale attraverso gli strumenti in bronzo, ferro o ceramica. Il progetto favorisce un notevole avanzamento nel campo della conoscenza della società etrusca in ambito internazionale ma soprattutto permette al grande pubblico di conoscere i modi e i tempi con cui i nostri avi illuminavano le loro abitazioni in modo ecologico ed ecosostenibile attraverso l’uso di risorse rinnovabili, invitando i visitatori ad una profonda riflessione sui temi dell’ecologia mondiale. Uno spazio ampio e dettagliato è rivolto alla didattica, con modelli tridimensionali ed effetti suggestivi inseriti in una stanza immersiva con l’utilizzo della realtà aumentata e una copia del lampadario etrusco interattivo che permette di conoscere in modo innovativo alcuni degli aspetti di questo importante reperto. La mostra si avvale della collaborazione degli uffici periferici del ministero della Cultura, in primis le Direzioni Regionali dei Musei delle varie regioni cui fanno capo i musei prestatori, e le soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio territorialmente competenti. In particolare la Direzione Regionale della Toscana e la soprintendenza ABAP delle province di Siena Arezzo Grosseto, da sempre legate a Cortona e al Maec e attive nella promozione delle varie attività proposte dal museo. Va quindi ricordato il rapporto intercorso fra il Maec e l’Accademia Etrusca con la Fondazione Luigi Rovati di Milano, con la quale è stato sottoscritto di recente un atto di intesa: la collaborazione con la Fondazione nella circostanza di questa mostra costituisce la prima occasione di contatto scientifico fra i due Istituti.

“La mostra Luci dalle tenebre è anche una nuova occasione per celebrare il legame fra gli Etruschi e Pompei”, dichiara l’assessore alla Cultura, Francesco Attesti. “Per questo ringraziamo il direttore del Mann, Paolo Giulierini, con cui abbiamo fattivamente collaborato. Dopo la riapertura del nostro museo, adesso è il momento di guardare avanti – prosegue Attesti – e lo facciamo con audacia, perché programmare una mostra in un periodo ancora non facile è senza dubbio una sfida, una sfida che dobbiamo vincere per il rilancio del nostro territorio attraverso politiche culturali e turistiche”. Gli fa eco il vice lucumone dell’Accademia Etrusca, Paolo Bruschetti: “È un’occasione straordinaria per celebrare la ripresa delle attività culturali che sono state fortemente colpite – assieme alla vita sociale ed economica, oltre che sanitaria – dalle limitazioni alla fruizione di musei, biblioteche e più in generale tutti i luoghi nei quali si vive l’esperienza culturale del nostro Paese. È anche l’occasione per riprendere un discorso interrotto ormai da alcuni anni, che vede protagonista la nostra città con l’offerta di occasioni di grande rilievo internazionale. Ed è infine un mezzo per riproporre Cortona come meta di un percorso nazionale che tanti visitatori apprezzano e condividono con noi. Non dimentichiamo infine che fra pochi anni saranno compiuti i tre secoli di vita e di attività dell’Accademia”.

Una sala del museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona (foto maec)
“Accanto al nostro celebre Lampadario”, dichiara il presidente del comitato tecnico del Maec, Nicola Caldarone, “altri reperti si uniranno provenienti dai più prestigiosi musei etruschi, in particolare da Firenze, Perugia, Tarquinia, Villa Giulia di Roma per lanciare un segnale significativo di vita nuova e di speranze per il futuro dell’umanità. Il passaggio da una stagione fredda e buia a un’altra radiosa era salutato già nell’antichità con le suggestive celebrazioni della fiamma, auspichiamo che questo passaggio possa avvenire al più presto possibile, rispetto al difficile momento che stiamo vivendo”. Chiude il sindaco Luciano Meoni: “Siamo orgogliosi di poter offrire ai visitatori di Cortona una mostra di alto livello. Si tratta del primo importante evento culturale dopo questi mesi difficili che ci hanno costretto a far slittare questo evento. Non tutto il male vien per nuocere, come in questo caso, infatti la mostra si presenta ancora più ricca rispetto a quanto era stato previsto nel 2020”.
Il “Satiro ebbro” di Ercolano ha lasciato per la prima volta il Mann per Los Angeles: dopo il restauro sarà protagonista nel 2019 al Getty Museum della grande mostra “Rediscovering the Villa dei Papiri at Herculaneum: Early Excavations, New Discoveries” con altri capolavori in bronzo ercolanesi che dialogheranno con le copie volute da Paul Getty

Il “Satiro ebbro” in bronzo, una delle più famose statue provenienti dalla Villa dei Papiri di Ercolano, capolavoro conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli
Ai primi di ottobre il “Satiro ebbro” in bronzo, una delle più famose statue provenienti dalla Villa dei Papiri di Ercolano, per la prima volta ha lasciato il museo Archeologico nazionale di Napoli (vedi il video https://www.museoarcheologiconapoli.it/it/2017/11/mann-stories-satiro-ebbro/): destinazione il Getty Museum di Los Angeles, negli Usa, per essere sottoposto a indagini conoscitive e a restauro da parte del Getty Antiquities Conservation Department in collaborazione con l’Ufficio Restauro del Mann. Quattro mesi di interventi e poi il “Satiro ebbro” sarà l’indiscusso protagonista della mostra “Rediscovering the Villa dei Papiri at Herculaneum: Early Excavations, New Discoveries” in programma al Getty Villa Malibù dal 19 giugno 2019 al 28 ottobre 2019. L’arrivo in California della statua del “Satiro ebbro” di Ercolano ha aperto un intenso programma di collaborazione tra il Mann e il Getty.
Il 31 ottobre 2018 nella villa-museo di Malibù si è aperta infatti la mostra “Underworld: Imagining the Afterlife”, incentrata sul culto mitologico dell’aldilà, al centro della quale troneggia il monumentale Cratere di Altamura o dell’Inferno, attribuito al Pittore di Licurgo (IV sec. a.C.), capolavoro conservato al Mann, da due anni nell’istituzione californiana che ha finanziato un delicato intervento di restauro. “Il vaso racconta la vita nell’aldilà, ma anche le storie degli uomini che lo hanno maneggiato, come un personaggio assai singolare, Raffaele Gargiulo che da mercante d’arte e impiegato al museo per oltre sessant’anni, dal 1820, provvedeva personalmente ai restauri senza però segnalare le zone di intervento”, spiega l’archeologa Luisa Melillo, responsabile dell’Ufficio Restauro del Mann, che da dieci anni cura la collaborazione con il Getty. “Gargiulo faceva tutto con la terracotta e ridisegnava le figure in base a pitture vascolari analoghe. Era bravissimo ma ora grazie alle tecnologie del Getty siamo riusciti ad evidenziare la mappa dei rimaneggiamenti”. E poi, come si diceva, a giugno 2019 la grande mostra sulla Villa dei Papiri nel Getty Museum che, come è noto, il petroliere Paul Getty nel 1954 realizzò (all’epoca come abitazione personale, poi dal 1974 trasformata in museo delle sue collezioni di arte antica) ispirandosi proprio alla Villa dei Papiri di Ercolano.

Il “bellissimo Efebo”, come lo definì Amedeo Maiuri, scoperto il 25 maggio 1925 in via dell’Abbondanza a Pompei
Il direttore del Mann, Paolo Giulierini, è particolarmente soddisfatto della partnership tra il Mann e il Getty Museum. Il rapporto con l’istituzione americana è iniziato nel 2007 con un accordo del Mibact, in base al quale il Department of Conservation of Antiquities d’intesa con l’Ufficio restauro del Mann ha già recuperato alcune statue tra cui l’Efebo da Via dell’Abbondanza e l’Apollo Saettante (attualmente nella Sala del Plastico di Pompei) e il colossale Tiberio da Ercolano ora nell’atrio. La direzione Giulierini ha rinnovato e ampliato la collaborazione del Mann con il Getty Museum di Los Angeles, l’unico museo degli Stati Uniti dedicato esclusivamente all’esposizione e allo studio dell’arte e della cultura greca, romana ed etrusca: “In questi anni – ricorda il direttore – non solo è stato possibile restaurare opere che, pur famose, non era possibile esporre, ma la partnership ha offerto al nostro museo un’importantissima vetrina per il pubblico statunitense e più in generale i numerosissimi visitatori provenienti da tutto il mondo che frequentano il Getty Museum”. Ma il 2019 vedrà il Mann impegnato non solo con gli Usa. “Nello stesso periodo della mostra a Los Angeles – annuncia Giulierini – creeremo all’Ermitage di San Pietroburgo un exhibit su Pompei, poi porteremo le opere di Canova da San Pietroburgo a Napoli. E il 20 maggio riapriremo al Mann la sezione della Magna Grecia”.

Villa Getty a Malibu (Los Angeles, California, Usa),: si ispira alla Villa dei Papiri di Ercolano. In testa alla piscina c’è la copia del Satiro ebbro
Il “Satiro ebbro” decorava il lato occidentale della grande piscina posta al centro del peristilio della Villa dei Papiri di Ercolano (vedi il video del Mann https://es-la.facebook.com/MANNapoli/videos/live-dal-mann-il-satiro-ebbro-verso-gli-statesun-nuovo-progetto-di-collaborazion/247137536150564/), mentre l’estremità orientale era occupata dalla statua raffigurante un “Satiro dormiente”; entrambe le opere riprendevano e sviluppavano la tematica dionisiaca già presente nell’atrio della lussuosa residenza, decorato con una serie di statuette di sileni e satiri. Secondo alcuni studiosi la statua ercolanese si ispirerebbe a un’opera di tradizione lisippea databile al primo quarto del III sec. a.C.; per altri, invece, la scultura avrebbe tratto ispirazione da un’opera piuttosto famosa, a giudicare dal vasto numero di repliche esistenti, creata in Asia Minore che rientrerebbe nel filone del “rococò” dell’arte tardo ellenistica. Nella mostra “Rediscovering the Villa dei Papiri at Herculaneum: Early Excavations, New Discoveries” il “Satiro ebbro” non sarà solo. Nella villa californiana arriveranno una dozzina di opere originali conservate nel Mann che dialogheranno con le copie che il magnate fece realizzare negli anni ’70. Come conferma Timothy Potts, direttore di Villa Getty: “Le statue originali della Villa dei Papiri avranno un posto d’onore nelle nostre sale e si specchieranno nelle loro copie sulle piscine, esattamente dov’erano nella villa di Pisone, in base alla mappa di Karl Weber”. Fu proprio Weber, infatti, che al fianco del direttore degli scavi di Ercolano, Roque de Alcubierrre, tra il 1752 e gli anni successivi realizzò le uniche piante dell’edificio antico. “A Malibu – continua Giulierini – sarà possibile ammirare pure le statue dei Corridori e quelle di due Danzatrici in bronzo, oltre ad alcuni busti, affreschi e papiri. Parteciperanno all’iniziativa la Biblioteca nazionale di Napoli, dalla quale partiranno alcuni papiri ercolanesi, e il Parco archeologico di Ercolano, dove tutto ebbe inizi
Nobile e solenne: l’Efebo di via dell’Abbondanza ti accoglie nel tablino della domus ricostruita a Vetulonia per la mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma” insieme a una quadreria con i pinakes, piccoli affreschi staccati dalle case pompeiane. E poi l’angolo della musica con l’Apollo Citaredo e il giardino arricchito da fontane, erme, oscilla e statue

Rendering dell’allestimento del tablino a cura dell’arch. Luigi Rafanelli per la mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma” a Vetulonia
Ti affacci all’uscio e lui, l’Efebo di via dell’Abbondanza, è lì che ti accoglie, il suo sguardo pensoso, il suo portamento solenne, “nell’armonica disposizione del corpo e nella nobile compostezza del volto”, come sottolinea Simona Rafanelli, direttore del museo Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia dove, nella mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei” (aperta fino al 5 novembre; catalogo de “L’Erma” di Bretschneider), è stata ricreata una domus pompeiana, con un centinaio di reperti provenienti dalle colonie romane dell’area vesuviana, Pompei, Ercolano, Stabia, e conservati al museo Archeologico nazionale di Napoli. Dopo aver fatto la conoscenza con gli ambienti che davano sull’atrio, il luogo più rappresentativo e privato della domus (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/08/15/nellatrio-di-una-domus-pompeiana-a-vetulonia-nella-mostra-larte-di-vivere-al-tempo-di-roma-si-scoprono-tesori-e-oggetti-comuni-degli-ambienti-del-cuore-di-una-cas/),continuiamo il nostro viaggio nel tempo e nello spazio sempre accompagnati dall’archeologa Luisa Zito entrando nel tablino, “l’ambiente più importante della mostra”, spiega l’architetto Luigi Rafanelli, che ha curato l’allestimento, “perché ospita il famosissimo Efebo in bronzo, che campeggia al centro di esso, ed è decorato alle pareti da affreschi che formano una immaginaria quadreria”. L’Efebo, a Vetulonia, diversamente da quando era esposto al Paul Getty Museum di Los Angeles (ultima tappa straniera prima del suo rientro in Italia), non è circoscritto da uno spazio delimitato e definito, ma è libero da tutte le parti, in modo che può essere visto e goduto (circostanza eccezionale) dai visitatori a 360°, come sospeso nel tempo e nello spazio. “Non c’è altra luce nella stanza – continua Luigi Rafanelli – se non quella speciale che lo illumina, e il chiarore che proviene dalle pareti con gli affreschi è soffuso e non se ne percepisce la provenienza”.

L’archeologa Luisa Zito davanti all’Efebo di via dell’Abbondanza nella mostra di Vetulonia (foto Graziano Tavan)
Era in piedi, nell’atrio della domus di Publius Cornelius Tages, una delle più grandi di Pompei, quando fu trovato da Amedeo Maiuri in quel lontano 25 maggio 1925. “E se oggi possiamo ammirare l’Efebo in tutta la sua bellezza”, ricorda l’archeologa Zito, “è perché quando ci fu l’eruzione la grande casa era in ristrutturazione, e quindi – come si fa ancora oggi – il padrone aveva provveduto a spostare nel grande atrio parte della mobilia, proteggendola con teli. Così è stato anche per l’Efebo che deve proprio la sua sopravvivenza al suo ricovero negli spazi aperti dell’atrio che non conobbero il crollo dei piani superiori della domus”. Alla preservazione eccezionale della patina bronzea – continua Simona Rafanelli -, al di sotto di una superficiale doratura, dovette inoltre contribuire il tessuto abbondante con il quale l’Efebo, con i due sostegni per le lampade in forma di tralci vegetali, di cui era stato munito, ed unitamente ad altri pregiati arredi bronzei recuperati accanto alla statua, era stato completamente avvolto. In mostra, però, l’Efebo presenta un solo sostegno portalampade: “L’altro”, precisa Zito, “era in uno stato di conservazione precario, che ha consigliato la sua non esposizione”. La statua fu realizzata tra il 20 e il 10 a.C. in una bottega artigiana pompeiana che ha riadattato a uso portalampade un bronzo greco che si rifaceva ai canoni del V sec. a.C. con riferimenti diversi: “La lieve torsione del corpo è di ispirazione policletea”, spiega Zito, “mentre il volto ha analogie con l’Athena Lemnia di Fidia”.

Donna con filo: intonaco dipinto dalla Casa di Giuseppe II di Pompei, oggi al Mann (foto Graziano Tavan)
Rapiti da tanta bellezza notiamo solo ora la calda atmosfera che ci ha accolti nel tablino: le dolci note di un flauto riempiono tutta la sala e si diffondono fino al giardino. “È un’antica musica etrusca”, precisa Zito. Proprio Simona Rafanelli con il maestro e compositore Stefano Cocco Cantini da anni sta studiando gli antichi strumenti emersi dagli scavi archeologici e le fonti coeve per recuperare suoni e ritmi della musica etrusca (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2014/03/05/dalle-tombe-dipinte-di-tarquinia-alla-musica-perduta-degli-etruschi-a-firenze-live-coinvolgente-con-letruscologa-simona-rafanelli-e-il-jazzista-stefano-cocco-contini/). Sulle note degli antichi etruschi l’occhio comincia a scorrere sulle pareti decorate del tablino, l’ambiente di rappresentanza della casa, che qui ospita una eccezionale quadreria, composti da sedici bellissimi quadri-affreschi, provenienti da Pompei e dall’area vesuviana. “L’allestimento”, interviene Luigi Rafanelli, “suggerisce l’idea di come erano sistemati, nella “pinacoteca” di una villa romana/pompeiana i piccoli dipinti (pinakes) che rappresentavano soggetti mitologici , domestici, naturalistici, con una tecnica pittorica mutuata dai greci. In questo modo diventava uno spazio fantasioso pieno di immagini, da cui l’abitante e l’ospite si sentivano avvolti, così per il visitatore odierno costituisce una immaginifica messa in scena per ritornare con la mente a quei luoghi e a quei tempi”. Gli affreschi, come fa notare l’archeologa Zito, sono stati staccati da soggetti più grandi e ricomposti senza rispettare la sequenza originale ma rispondendo al gusto estetico dell’epoca borbonica. “In questa maniera”, stigmatizza Fiorenza Grasso, “gli scavatori borbonici distruggevano i complessi decorativi da cui i singoli soggetti (amorini, scorci di paesaggi, uccelli, …) erano tratti, e solo in rarissimi casi si ordinava un preventivo disegno dell’intera decorazione”. Gli affreschi o, meglio, i quadretti-affresco nel tablino ricreato di Vetulonia, appartengono per la maggior parte al cosiddetto IV stile pompeiano, definito anche “stile fantastico” che si sviluppa negli ultimi decenni di vita di Pompei prima dell’eruzione: “si torna all’illusione spaziale ottenuta con arditi scorci, quinte sceniche, portici e architetture complesse, baroccheggianti nella fase claudio-neroniana e di ispirazione teatrale”.

Statua in bronzo di Apollo con la lira dalla Casa di Apollo di Pompei, oggi al Mann (foto di Giorgio Albano, Mann)
Dal tablino, attraverso una grande apertura, si accede al portico in cui è posto l’angolo della musica, forse la disciplina più importante della paideia (educazione) giovanile. Il tema della musica è sviluppato in una vetrina con reperti eccezionali. Si è subito rapiti dall’Apollo citaredo in bronzo: “Prima della scoperta dell’Efebo di via dell’Abbondanza”, ricorda Zito, “questa era la più importante scultura in bronzo rinvenuta a Pompei”. Nudo, con le gambe incrociate, il capo reclinato, il braccio sinistro disteso lungo il corpo e in mano il plettro, mentre il destro piegato a reggere la lira poggia su un pilastrino; capelli raccolti sopra la nuca, occhi resi con la tecnica dell’ageminazione: lega d’argento per la cornea e rame per l’iride. “La domus dove fu scoperto l’Apollo, che da allora è ricordata come la casa del Citaredo”, continua Zito, “fu scavata tra il 1810 e il 1840, all’estremità dell’insula VII”. Accanto all’Apollo citaredo, un sistro, caratteristico strumento in bronzo molto comune nelle cerimonie in onore di Iside, Cibele e Dioniso; e un prezioso flauto in bronzo, argento e avorio: era usato dai musicisti nei funerali, ai banchetti e nelle rappresentazioni teatrali.

Rendering della vista dal tablino sul giardino chiuso dalla riproduzione del grande affresco della domus pompeiana del Bracciale d’oro

Venere accovacciata: piccola statua in marmo dalal Casa del triclino a Pompei, oggi al Mann (foto Giorgio Albano, Mann)
E siamo nel giardino, che chiude il nostro viaggio nel tempo e nello spazio. “Nelle pareti che delimitano idealmente uno spazio aperto”, precisa Luigi Rafanelli, “è riportata graficamente una scena continua di giardino”. È la riproduzione del grande affresco della Domus pompeiana del Bracciale d’oro. “Nella trasformazione della casa, con la nuova moda ellenistica”, spiega Grasso, “il giardino diventa il luogo più adatto per creare sfarzosi giochi d’acqua, importanti scenografie evocative, del mondo nilotico e bacchino da godere distesi negli adiacenti letti triclinari all’aperto”, Al centro del nostro giardino vediamo una vasca-fontana (labrum) in marmo bianco da Pompei: le fontane erano parte importante della ornamentazione del giardino, immancabilmente abbinate a erme, oscilla e statuette marmoree e bronzee. Anche nell’ideale giardino ricreato a Vetulonia troviamo alcune erme (pilastrini con sopra un busto di Dioniso), gli oscilla (i caratteristici dischi in marmo a vari soggetti o maschere teatrali che venivano appesi lungo il peristilio e, perciò, oscillavano al vento), alcune statuette: “Bellissima”, indica Zito, “la piccola Venere accovacciata, in marmo, oggi bianco, ma in origine dipinta: all’altezza del seno sono ancora visibili tracce di colore rosso. La Venere al bagno decorava l’impluvio dell’atrio della Domus del Triclinio: questa copia miniaturistica si rifà, come moltissime altre trovate, alla Venere lavantem sese realizzata nel III sec. a.C. da Doidalsas di Bitinia ed esposta nel tempio di Giove, nel portico di Ottavia a Roma”. In primo piano il rigoglioso giardino ricostruito con essenze arboree (finte) presenti all’epoca, chiuso da una staccionata a maglie romboidali, molto comune nella recinzione di orti e giardini. Superiamo anche questo cancelletto, e torniamo alla Vetulonia dei giorni nostri.
(3 – fine; i precedenti post il 7 agosto e il 15 agosto 2017)
“L’Arte di Vivere al tempo di Roma”: ricreata al museo “Isidoro Falchi” di Vetulonia una domus pompeiana con cento preziosi reperti dal museo Archeologico di Napoli e una star assoluta: l’Efebo di via dell’Abbondanza, la più bella statua mai trovata a Pompei

L’Efebo di via dell’Abbondanza nel suggestivo allestimento della mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma” al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia (foto Graziano Tavan)
Un cancelletto di legno. Apparentemente insignificante. Eppure è un’autentica “porta del tempo”: di qui noi, di là il mondo degli antichi romani. Basta varcarlo per fare un salto indietro nel tempo di duemila anni. Benvenuti nella casa di un antico pompeiano, accolti da un personaggio speciale: l’Efebo di via dell’Abbondanza. Ma questa domus, fate bene attenzione, non si trova a Pompei, bensì a Vetulonia, importante centro della dodecapoli etrusca. All’interno del museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia è stata infatti ricreata una vera domus pompeiana grazie alla collaborazione della direttrice del “Falchi”, Simona Rafanelli, con il direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, Paolo Giulierini. Ecco dunque la mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei” (aperta fino al 5 novembre; catalogo de “L’Erma” di Bretschneider; vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/05/20/pompei-trasloca-in-etruria-notte-speciale-dei-musei-a-vetulonia-con-la-mostra-larte-del-vivere-al-tempo-di-roma-i-luoghi-del-tempo-nelle-domus-di-pompei/), con un centinaio di reperti provenienti dalle colonie romane dell’area vesuviana, Pompei, Ercolano, Stabia, e per la maggior parte conservati nei magazzini del Mann. “Abbiamo cercato gli oggetti da prestare per questa mostra”, ricorda Valeria Sampaolo, conservatore delle collezioni del Mann, “nei magazzini, locali protetti da pesanti cancelli dove sono conservati tesori di bronzi, ceramica e vetro. Con Simona Rafanelli abbiamo selezionato quanto potesse essere più significativo per facilitare la ricostruzione ideale di ambienti analoghi a quelli rimessi in luce dalle ricerche vetuloniesi. I visitatori possono così percepire di quante comodità gli antichi fossero riusciti a circondarsi, e a quali livelli di tecnica e di artigianato si fosse giunti nel I sec. d.C. attraverso oggetti reali, concreta e tangibile testimonianza del passato”. Reperti così importanti (alcuni usciti per la prima volta dal Mann) che, per dissipare l’incredulità manifestata dai primi visitatori sorpresi da tanta qualità, gli organizzatori sono stati “costretti” a porre un cartello bilingue all’ingresso “Sono tutti pezzi originali”.

Visione assonomentrica del progetto di allestimento della mostra “Arte di Vivere al tempo di Roma” dell’architetto Luigi Rafanelli
Entriamo dunque a scoprire “L’Arte di Vivere” di senechiana memoria in questa ricca domus pompeiana. Ci accompagna un’ospite speciale, l’archeologa Luisa Zito. Apriamo il cancelletto, ed eccoci nel I sec. d.C. I pavimenti musivi della domus sono stati riprodotti nei minimi dettagli per un allestimento, curato dall’architetto Luigi Rafanelli, “immersivo” ed “emozionale”, per solleticare più sensi del visitatore: dalla vista all’udito, e, per i fortunati presenti all’inaugurazione, all’olfatto. “Quel giorno – ricorda Zito – nel giardinetto cui si accede dal tablino c’erano piante vere (ora sostituite da riproduzioni per ovvi motivi tecnici) che inondavano le stesse fragranze simili a quelle apprezzate dagli antichi pompeiani”. Per ricreare queste atmosfere, “ridare vita agli oggetti domestici, e restituire splendore alle straordinarie opere d’arte, di pittura e scultura, presenti in mostra”, spiega Luigi Rafanelli, “si è ricostruita parzialmente, in due stanze del museo, una domus pompeiana: nella prima, sono stati localizzati ambienti dedicati a banchetto, simposio, cucina, dispensa, toeletta, che si affacciano sull’atrio, con al centro l’impluvio; nella seconda, sono riproposti tre ambienti: uno interno, il tablinum; uno interesterno, il portico; uno esterno, il giardino, in sequenza scenografica”. La casa pompeiana qui è intesa dall’architetto allestitore non come semplice contenitore di un’antologia di pezzi archeologici, ma come luogo dove è (ri)messa in scena L’Arte di Vivere dei romani, il teatro della rappresentazione delle attività domestiche, comprese quelle artistiche e culturali, fondamentali nello stile di vita di quel tempo.
(1 – continua)
Serata speciale a Vetulonia con “Archeologia sotto le stelle”: l’archeologa Luigia Melillo svela i segreti dell’Efebo di via dell’Abbondanza, star della mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma” al museo Etrusco “Isidoro Falchi”

L’Efebo di via dell’Abbondanza star della mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma” al museo Etrusco “Isidoro Falchi” e protagonista della rassegna “Archeologia sotto le stelle” a Vetulonia
“Quel lontano 25 maggio del 1925, trascorsi ormai molti anni dalla importante scoperta della statua bronzea dell’Apollo della Casa del Citarista nel 1859”, scrive Simona Rafanelli direttore del museo civico Etrusco “Isidoro Falchi” di Vetulonia, nel catalogo della mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma” (L’Erma di Bretschneider), “proprio quando (sono parole dell’archeologo Amedeo Maiuri, all’epoca direttore degli scavi a Pompei) … poteva sembrare che il suolo della distrutta città … non ci riserbasse più … alcun’altra opera di vero pregio artistico, riemerge, dal cuore di una delle maggiori abitazioni signorili di Pompei, aperta su via dell’Abbondanza con ben tre ingressi, una straordinaria statua in bronzo di dimensioni di poco inferiori al vero, degna di essere annoverata (annotava ancora Maiuri) tra le più importanti scoperte della città dissepolta: l’Efebo di via dell’Abbondanza”. L’Efebo era riemerso dal cumulo di cenere e lapilli che per quasi duemila anni l’aveva occultata agli occhi del mondo e tornava ad offrirsi agli attoniti occhi degli astanti come un fanciullo “non più adolescente”, dal corpo nudo di radiosa bellezza (la magistrale descrizione di Maiuri), in cui l’armonico e perfetto sviluppo delle membra, agili e snelle e già adusate … all’esercizio della palestra, ci rivela la figura di un giovanetto atleta offerente, immortalato nel gesto di offerta, fatto con l’ancora timida e reverente grazia della divina giovinezza.
L’Efebo di via dell’Abbondanza, protagonista assoluto della mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei” al museo “Isidoro Falchi”, per ammirare il quale vale un viaggio a Vetulonia, è anche il protagonista del secondo appuntamento di “Archeologia sotto le stelle 2017: conversazioni in piazza sui temi della mostra “L’Arte di Vivere al tempo di Roma”, rassegna promossa dal museo civico di Vetulonia, dal Comune di Castiglione della Pescaia e dai Musei della Maremma. Venerdì 4 agosto 2017, alle 21.15, in piazza a Vetulonia, “Focus sull’Efebo di Via dell’Abbondanza” con Luigia Melillo, responsabile ufficio Restauro del museo Archeologico nazionale di Napoli. Con Melillo sarà interessante ripercorrere le vicende che hanno interessato l’Efebo dalla sua scoperta fino all’ultimo restauro curato dal Paul Getty Museum di Los Angeles prima del suo arrivo a Vetulonia. Così si scopre che il primo restauro risale ancora al 1925 quando furono ricongiunte le parti staccate degli arti inferiori, ricomposto l’avambraccio destro e creata una solida armatura interna che desse stabilità alla statua. Ma solo nel 1996, di fronte alle precarie condizioni statiche della statua, quando si procedette allo smontaggio dell’Efebo, si scoprì che, come scrive Luigia Melillo, “per dare stabilità all’armatura interna e per fornire una superficie d’appoggio compatta su cui fissare i frammenti da ricomporre, le gambe e parte delle cosce furono riempite di cemento, principale causa delle precarie condizioni statiche dell’Efebo”. Ma è solo una delle tante curiosità legate alla grande scoperta fatta da Amedeo Maiuri nel 1925.
La serata si chiude al museo. Al termine dell’incontro con Luigia Melillo è possibile partecipare a un brindisi dolce/salato a prezzo speciale nel Borgo (Info 0564 948058). Ma la rassegna “L’Archeologia sotto le stelle” offre anche l’occasione veramente ghiotta, tra le ore 22 e le 23, di partecipare a visite guidate con l’archeologo alla mostra evento 2017 “L’Arte di Vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei”.
Pompei “trasloca” in Etruria. Notte speciale dei Musei a Vetulonia con la mostra “L’arte del vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei”: protagonista assoluto l’Efebo di Via dell’Abbondanza con molti altri capolavori concessi dal Mann

Il “bellissimo Efebo”, come lo definì Amedeo Maiuri, scoperto il 25 maggio 1925 in via dell’Abbondanza a Pompei
“Improvvisamente”, era il 25 maggio 1925, “veniva in luce la testa e la parte superiore del corpo di una statua bronzea che si rivelò subito quale opera di incomparabile bellezza”: così scriveva l’archeologo Amedeo Maiuri, soprintendente alle Antichità di Napoli e del Mezzogiorno dal 1924 al 1961, sulla scoperta dell’Efebo di Via dell’Abbondanza a Pompei. “Rimosso tutt’intorno lo strato di lapillo e di cenere che l’aveva sepolta e fortunatamente preservata tra la rovina delle cadenti murature, un bellissimo Efebo emerse a grado a grado con la sua calda patina di bronzo dal grigio uniforme strato dei materiali eruttivi e parve all’attonita e commossa meraviglia degli astanti, quasi una divina apparizione, una bellezza viva e palpitante miracolosamente risorta dalla morta città”. Quel “bellissimo Efebo” di via dell’Abbondanza, capolavoro indiscusso della statuaria in bronzo restituita da Pompei, copia romana di originale greco del V sec. a.C., è il protagonista assoluto di una speciale Notte dei Musei a Vetulonia. Alle 18, di sabato 20 maggio 2017, al museo Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia, viene infatti inaugurata la mostra evento “L’arte del vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei” che rimarrà aperta fino al 5 novembre. “Unica ad oggi, fra le città etrusche, ad ospitare la più bella statua di Pompei, come la definì l’archeologo Amedeo Maiuri all’indomani della sua scoperta”, sottolinea con orgoglio la direttrice del museo, Simona Rafanelli, “Vetulonia rappresenta oggi la destinazione del celeberrimo Efèbo dalla via dell’Abbondanza, dopo quella di Pompei, sul suolo nazionale, e le tappe estere segnate dalla Corea e dal Giappone e, infine, dal Paul Getty Museum di Los Angeles, da dove la splendida statua in bronzo è rientrata nel 2012”.
Riemerso dalle ceneri, che ancora ricoprivano i vani della ricca domus pompeiana di Publius Cornelius Tages, aperta sulla via dell’Abbondanza e da allora nota anche come “Casa dell’Efebo”, lo straordinario fanciullo di bronzo, utilizzato come porta-lampade per far luce fra il tablino (sala di rappresentanza) e il triclinio (sala da pranzo) estivo, ritornò alla luce – come detto – il 25 maggio del 1925 per mano dell’archeologo Amedeo Maiuri. Il lungo e complesso restauro, durato per quasi un secolo, si è svolto fra Campania, Toscana e Stati Uniti d’America. “Un’opportunità e un privilegio”, continua Rafanelli, “il senso intrinseco della mostra di Vetulonia. Il privilegio, concesso in primo luogo dal direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, Paolo Giulierini, e dal curatore capo delle collezioni, Valeria Sampaolo, di collaborare con il principale museo archeologico d’Italia, per allestire una mostra che vanta la prerogativa di ospitare, per la prima volta in Toscana, una selezione straordinaria di reperti provenienti da Pompei e dalle altre importanti realtà dell’area vesuviana (Ercolano e Stabia) e conservati a Napoli sin dal tempo della loro scoperta”. Particolarmente soddisfatto il sindaco di Castiglione della Pescaia, Giancarlo Farnetani: “Questa mostra è un evento culturale di prim’ordine che segna un’ulteriore e significativa tappa lungo un itinerario di sviluppo, capace di coniugare cultura, sport, turismo, economia. Obiettivo primario è quello di candidare Castiglione della Pescaia al ruolo di destinazione ambita, mèta ideale dei turisti e luogo privilegiato per i residenti, sviluppando le potenzialità del territorio a 360 gradi tramite un’offerta che tenga conto delle risorse marittime, agroalimentari, artistiche, archeologiche di una terra che reca in sé tutte le possibilità per attrarre sempre nuove e molteplici fasce di turisti”. Guarda il video:
Pompei dunque “trasloca” in Etruria. La mostra “L’arte di vivere al tempo di Roma. I luoghi del tempo nelle domus di Pompei”, argomento al quale Seneca dedicò uno dei suoi celebri Dialoghi (De vita beata), come ben illustra Simona Rafanelli sul sito dei Musei della Maremma (www.museidimaremma.it) , “si dispiega attraverso i diversi linguaggi espressivi (pittura a fresco, scultura, toreutica, ceramica, vetro) che creano la trama del racconto espositivo, dipanato entro i confini di una residenza immaginaria, articolata, al pari di un’abitazione reale, negli spazi riservati alle attività pratiche e speculative. Spazi ideali eletti a luoghi del tempo nei quali si snodano le tappe del vivere quotidiano, ispirate dagli interessi e dalle occupazioni che dettano i tempi dell’otium nella sua dimensione domestica. Negli ambienti di una casa romana”. Al museo di Vetulonia, continua la direttrice, “entro i confini di uno spazio chiuso, rievocato intorno a un atrio custodito dalle divinità domestiche, alcuni arredi, come il portalucerne o i candelabri in bronzo, scandiscono, con i tempi del giorno, il percorso di visita. In corrispondenza delle vetrine, un’apertura, intesa come una falsa porta, introduce metaforicamente agli altri vani della domus, cui alludono gli oggetti esposti, ai quali è affidata la descrizione della toeletta maschile e femminile, dell’allestimento della tavola, dell’organizzazione della cucina-dispensa”.
La ricostruzione di uno spazio esterno si traduce poi nella suggestiva allusione a un giardino, inteso come luogo della cultura, dell’educazione dei giovani alle Arti delle Muse e popolato da arredi marmorei quali la statuetta di Venere al bagno, le erme, gli oscilla, le maschere teatrali, le riproduzioni di animaletti da cortile, come la tartaruga o il coniglietto, sul fondo di un immaginario tablinum, luogo di eccellenza di una domus, arredato a imitazione di una sorta di “quadreria” dell’antichità. “Qui il varco centrale aperto sul portico”, fa notare Rafanelli, “diviene la cornice reale e fantastica atta a inquadrare, stagliata sulla quinta di paesaggio offerta dal giardino, la statua dell’Efebo lychnophoros (portatore di lampada), ove si concentra, nella morbida flessione del corpo e nell’espressione meditativa del volto, il significato intrinseco della mostra”.
La mostra affronta anche il rapporto dell’area vesuviana con l’arte greca. In nostro aiuto interviene ancora Simona Rafanelli: “Osservatorio privilegiato per cogliere il senso dell’arte di vivere – nel concetto in sé e nella mostra di Vetulonia – sono quei brani di un fraseggiare al contempo didascalico e allusivo rappresentati dai frammenti delle pitture a fresco che formano il compendio del lascito, assolutamente unico e per questo ancor più prezioso, delle domus di Pompei e delle altre città del comprensorio vesuviano. Ogni aspetto che, nell’educazione dei giovani aristocratici, concorreva a comporre la sintesi riuscita della loro formazione, plasmata sulla paidéia greca, trova la più alta espressione nella gestualità delle figure, sottratte per sempre al filo di una narrazione sinottica per divenire icone assolute di un gesto bloccato nella fissità dell’istante nel quale sono state immortalate. Così la piccola filatrice, intenta nell’occupazione emblematica dell’attività domestica, diviene simbolo sempiterno di quella occupazione, nella quale risiede il significato più profondo della presenza e dell’identità della donna romana, eterna Lucrezia, nel cuore della dimora signorile”.
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