Dopo oltre tre mesi di chiusura a Roma hanno riaperto i cancelli le Terme di Caracalla il più grande complesso termale dell’antichità giunto fino a noi, un’oasi di bellezza e maestosità nel cuore di Roma. Quattro giorni la settimana, per un massimo di 380 persone al giorno: “Esperienza nuova, più intima”
L’Adagietto della sinfonia n°5 di Gustav Mahler nel video prodotto dalla soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma all’indomani della chiusura di tutti i monumenti per l’emergenza sanitaria rendeva bene lo stato d’animo di tutto il personale, dalla soprintendente all’ultimo addetto, che da un giorno all’altro ha dovuto chiudere le porte ai visitatori. Ma quell’arrivederci con l’impegno ad “accudire” il patrimonio nel silenzio degli spazi culturali era un segnale di speranza. La soprintendenza speciale di Roma, diretta dal soprintendente speciale Daniela Porro, ha lavorato incessantemente per mettere a punto il piano strategico e consentire ai visitatori di fruire nella maniera più ampia possibile dell’area archeologica e del parco reso ancora più affascinante dopo tre mesi di chiusura obbligata. I dispositivi di sicurezza sono stati allestiti, il termoscanner è stato installato all’ingresso, i percorsi sono stati stabiliti per garantire la salvaguardia della salute: tutto è stato preparato per riaprire sabato 13 giugno 2020 i varchi di accesso alle Terme di Caracalla, un’oasi di bellezza e maestosità nel cuore di Roma.
Alle 9 in punto di sabato 13 giugno 2020, dopo oltre tre mesi, i cancelli delle Terme di Caracalla si sono riaperti per accogliere i primi visitatori con i nuovi percorsi rimodulati alla luce delle misure di sicurezza anti Covid-19. Un obiettivo importante per la soprintendenza speciale di Roma diretta dal soprintendente speciale Daniela Porro. “Le Terme di Caracalla tornano a essere il luogo della bellezza e del benessere di Roma”, dichiara il soprintendente Daniela Porro. “Non solo un sito archeologico tra i più importanti e imponenti della Capitale, ma anche un parco verde e lussureggiante, dove poter godere insieme di cultura e quiete. Le Terme spalancano di nuovo le loro porte all’insegna della sicurezza, rivolgendosi ancora di più ai romani e a tutti coloro che desiderano conoscerne il fascino eterno”. E il direttore del sito, Marina Piranomonte: “È un modo nuovo per visitare le Terme, per godere di questo luogo magico in una dimensione più intima e rarefatta. Un’occasione per i visitatori di apprezzare ogni dettaglio delle maestose architetture, dei raffinati mosaici, dei celebri giardini e degli spazi solenni e carichi di storia”.

Il percorso “a senso unico” previsto per le visite delle Terme di Caracalla nel dopo Covid-19 (foto SSABAP-Roma)
Indossando mascherine e rispettando il distanziamento fisico di un metro i visitatori tornano ad essere i benvenuti nel più grande complesso termale dell’antichità giunto fino a noi. In questa fase di ripartenza il complesso archeologico è aperto quattro giorni a settimana dal giovedì alla domenica con orario prolungato dalle 9 alle 19.15, ultimo ingresso alle 18.30 (i biglietti potranno essere acquistati esclusivamente on line sul sito http://www.coopculture.it) per godere al massimo del parco e immergersi nell’area monumentale e scoprirne angoli segreti e preziosi mosaici. È possibile accedere alle Terme in gruppi contingentati di massimo 10 persone ogni 15 minuti consentendo l’ingresso a 40 visitatori ogni ora. Nell’arco della giornata potranno entrare un massimo di 380 persone e, vista la grandezza dell’area del giardino, i visitatori potranno fermarsi tra le aiuole progettate da Rodolfo Lanciani a inizio Novecento e godere della bellezza della natura delle Terme di Caracalla oltre che ammirare l’opera contemporanea di Michelangelo Pistoletto “Il terzo Paradiso” senza preoccuparsi del tempo che scorre. Il percorso obbligato nell’area archeologica vera e propria è invece contingentato. Dunque meno di 400 visitatori al giorno. Ben altri sono i numeri a cui il complesso termale era abituato nell’antichità quando poteva accogliere fino a 8000 persone al giorno oppure, in tempi recenti, gli oltre 250mila turisti all’anno. Come ha sottolineato il direttore del monumento Marina Piranomonte “le vestigia delle Terme di Caracalla ci insegnano il valore della resilienza e la loro capacità di adattarsi alle vicende della storia e a resistere. Le visite in questo nuovo contesto saranno molto più intime, quasi contemplative dando la possibilità a chi verrà alle Terme di Caracalla di immergersi nella silente maestosità delle sue architetture. Un’esperienza nuova per tutti anche e soprattutto per i romani che potranno riscoprire una parte importante della loro storia e della loro città. Abbiamo tutti bisogno di riconciliarci in qualche modo con l’antichità e le terme di Caracalla vi aspettano”.
“Le Thermae Antoninianae”, spiegano in soprintendenza speciale, “un complesso straordinario per dimensioni e decorazioni, rappresentano uno dei grandi edifici imperiali meglio conservati dell’antichità. Furono costruite nella parte meridionale di Roma su iniziativa dell’imperatore Marco Aurelio Antonino Bassiano, detto Caracalla, figlio di Settimio Severo, che inaugurò l’edificio centrale nel 216 d.C. La pianta rettangolare è tipica delle “grandi terme imperiali”: non solo un edificio per il bagno, lo sport e la cura del corpo, ma anche un luogo per il passeggio e lo studio. Il blocco centrale, quello destinato propriamente alle Terme, è disposto su un unico asse lungo il quale si aprono in sequenza il calidarium, il tepidarium, il frigidarium e la natatio. Ai lati, disposti simmetricamente e raddoppiati, le due palestre e gli spogliatoi. Nel recinto che circonda l’area centrale erano presenti le cisterne e le due biblioteche simmetriche, a Sud, due grandi esedre, a Ovest e a Est, e gli accessi principali e le tabernae inserite nello spazio perimetrale, Nord. I sotterranei erano il fulcro della vita del complesso, il luogo in cui lavoravano centinaia di schiavi e di operai specializzati in grado di far funzionare l’ingegnosa macchina tecnologica delle Terme. Conservati per circa due chilometri, i sotterranei erano un dedalo di gallerie carrozzabili dove si trovavano oltre ai depositi di legname, l’impianto di riscaldamento, costituito da forni e caldaie, un impianto idrico, un mulino e il Mitreo, uno dei più grandi conservati nella città di Roma, in cui è ancora oggi riconoscibile la fossa sanguinis, probabilmente utilizzata per i rituali di iniziazione degli adepti del culto. Il Mitreo è parte integrante del complesso termale e denota la forte vicinanza della famiglia dei Severi ai culti di origini orientali”. In attesa di una visita “dal vivo”, eccone una virtuale con un video realizzato per il Natale di Roma, lo scorso 21 aprile 2020, dalla soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma: una visita guidata comodamente da casa alle maestose Terme di Caracalla.
Roma. A Palazzo Altemps i capolavori scultorei dell’antichità classica dialogano con le opere del grande artista del Novecento, Medardo Rosso, con la prima mostra monografica a lui dedicata, che mette in luce una delle specificità del percorso artistico di Rosso: la citazione dell’antico e il tema della copia
“Quanti ‘grandi maestri’ sarebbero sconosciuti e non avrebbero prodotto nulla, se gli antichi non li avessero preceduti?”, scriveva Medardo Rosso. E proprio a questo grande artista del Novecento italiano il museo nazionale Romano apre le rinascimentali sale di Palazzo Altemps di Roma, dove sono esposti capolavori scultorei dell’antichità classica, dopo aver consolidato negli anni recenti l’accoglienza di progetti che hanno messo in relazione l’arte contemporanea con gli spazi del museo. Fino al 2 febbraio 2020 è aperta a Palazzo Altemps la mostra “Medardo Rosso”, la prima mostra monografica dell’artista a Roma, organizzata con il Polo Museale di Milano per l’arte moderna e contemporanea, che documenta come il grande artista abbia posto le basi, tra il 1890 e il 1910, al pensiero moderno sull’idea di copia non più intesa come riproduzione, ma come interpretazione: anticipando le avanguardie artistiche del Novecento. Il confronto con le opere della collezione di sculture antiche di Palazzo Altemps ha consentito ai curatori – Paola Zatti, conservatrice della Galleria d’Arte Moderna di Milano, e Francesco Stocchi, curatore del Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam – di mettere in luce una delle specificità del percorso artistico di Rosso: la citazione dell’antico e il tema della copia. “Le opere in cera, gesso e bronzo”, scrive Daniela Porro, direttore del museo nazionale Romano, “i materiali più congeniali a Rosso nella rappresentazione di quello che egli stesso definì “spazio fuggitivo della frazione di un secondo” vengono esposte accanto alle fotografie realizzate dall’artista. A partire soprattutto dalla fine dell’Ottocento, la fotografia assume per Rosso il senso di una ricerca autonoma e compiuta, occasione di uno studio sulla materia e sulla luce, ormai svincolato dal confronto con il vero. Ma il carattere originale dell’esposizione è conferito dal tema del dialogo con l’antichità”.
“Nel primi cinque anni del Novecento, viaggiando per l’Europa (Lipsia, Berlino, Dresda)”, continua Porro, “il Maestro scopre collezioni da cui attinge ed esegue copie dall’antico seguendo i costumi dell’epoca, secondo una pratica che ha origini secolari. L’artista riproduce copie da più di venticinque modelli, realizzando oltre cento sculture, prevalentemente in cera e bronzo, a testimonianza dell’attenzione che portava nei confronti dell’antichità e di quei caratteri moderni inviolabili nei secoli. Il problema della copia rappresenta infatti un carattere centrale nella storia dell’arte classica, al punto che per buona parte della sua storia si è identificato con essa”. Nell’Ottocento nacque proprio in Germania una vera e propria scienza nella scienza che prese il nome di Kopienkritik, diventato presto l’approccio metodologico dominante rispetto allo studio di sculture romane classiche. La pratica di Rosso nei confronti dell’antico si iscrive in questo clima storico, in cui l’artista è consapevole di eseguire per lo più copie di copie di opere dell’antichità fino al Rinascimento, inserendole in contesti innovativi. La mostra intende approfondire questi aspetti, dimostrando al tempo stesso come la citazione di Rosso dell’antico non si limiti a un esercizio di mera copia: la sua è piuttosto da intendersi come opera autonoma e consapevole, posta di sovente a confronto diretto con l’originale antico, o più spesso proponendo innovative forme di presentazione di sue opere affiancate a copie dall’antico da lui stesso realizzate. Tali soluzioni allestitive, oltre a rispondere a specifiche esigenze di “miseen-scène” tipicamente appartenenti al concetto di scultura di Rosso, avevano come fine ultimo di creare un confronto serio tra le sue opere e quelle di artisti antichi e contemporanei, dimostrando come il lavoro di alcuni di essi fosse realmente radicato nei canoni dell’arte antica. Ciò a testimonianza, come affermava Rosso stesso, che “le opere della seconda Grecia, sua succursale, del Rinascimento, sottosuccursale di questa (senza parlare della sotto-sottosuccursale di queste catalogata giustamente come “Impero”, completamente fermacarte del signor Antonio Canova) sono tra le epoche più chiuse nell’oggettivismo”.
Bambina ridente – Rieuse – Grande rieuse – Enfant au soleil – Enfant juif – Enfant malade – Uomo che legge – Ecce puer sono i modelli selezionati per seguire l’elaborazione del soggetto che con Medardo Rosso prende vita, in rapporto con la luce e con la materia, divenendo ogni volta un’opera a se stante: un originale. I soggetti dall’antico Antioco III – Niccolò da Uzzano – Memnone – Vitellio – San Francesco, creano invece un rimando incrociato con le antiche sculture custodite a Palazzo Altemps, portando anche su queste nuova luce. Le opere di Rosso spingono a una rilettura della pratica della copia in epoca antica e della storia del collezionismo nel Rinascimento e nell’età barocca, narrata dalla raccolta del Museo. Come avviene per alcuni grandi pittori e scultori tra Otto e Novecento (si pensi in particolare a Degas e Brancusi), esporre le fotografie di Rosso accanto alle sue opere in bronzo, cera o gesso non ha solo un valore documentario ma rappresenta un supporto alla comprensione della sua idea di scultura. La fotografia era per Rosso occasione di manipolazione della materia e della luce, ormai svincolata dal confronto col reale: Rosso fotografa le sue opere per intervenire poi con viraggi, ingrandimenti, scontornature, collages, tracce di materia pittorica, tagli e abrasioni, fino ad accettare l’intervento del caso e dell’errore. Esposte nelle sue mostre accanto alle sculture e pubblicate in libri e riviste, le fotografie devono essere considerate a tutti gli effetti vere e proprie opere di Rosso, e consegnano alla storia un artista che ha saputo vedere ben al di là del suo tempo, verso le manipolazioni dell’immagine che caratterizzano la nostra contemporaneità.
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