Il museo nazionale di Matera è il primo museo nazionale italiano ad offrire fotografie delle sue collezioni in open access: i 74 vasi italioti della collezione Rizzon possono essere visualizzati online. In tutto 735 fotografie

Dall’inizio dell’anno 2022 il museo nazionale di Matera, che nasce dall’unione del museo Archeologico nazionale “Domenico Ridola” e il museo nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata di Palazzo Lanfranchi, è il primo museo nazionale italiano ad offrire fotografie delle sue collezioni in open access sotto licenza CC BY! Ora i 74 vasi italioti, 63 apuli e 11 lucani, della prestigiosa collezione Rizzon, una delle più famose del museo, acquisita dallo Stato Italiano nel 1990 e studiata dai ricercatori di tutto il mondo, possono essere visualizzati online sul sito web dedicato al link: https://magnagrecia.huma-num.fr/s/matera-rizzon/. In tutto sono 735 fotografie che permettono a tutti, visitatori e ricercatori, di osservare i vasi da tutte le angolazioni e in primo piano. La licenza Creative Commons “CC BY”, scelta dal museo, permette a chiunque di scaricare e utilizzare le fotografie gratuitamente per qualsiasi scopo, a condizione che le immagini siano adeguatamente accreditate.

Martine Denoyelle (INHA)
“L’apertura dei contenuti culturali online, iniziata da qualche grande istituzione più di dieci anni fa e oggi rappresentata in 49 Paesi nel mondo”, spiega Martine Denoyelle, conservatrice dell’istituto nazionale di Storia dell’Arte (INHA) di Parigi, “si è confermata pienamente come il futuro della diffusione delle conoscenze e come il rafforzamento dei legami tra i musei e un suo pubblico allargato. In Italia, c’è solo, fino ad oggi, un grande museo ad avere adottato l’Open Content, il museo Egizio di Torino. L’iniziativa avviata da Fabien Bièvre-Perrin e dalla direzione del Museo archeologico di Matera offre quindi un modello innovativo, che certamente darà una visibilità eccezionale alle collezioni archeologiche del museo e al dinamismo attuale della sua politica”.
Dall’istituzione del museo nazionale di Matera alla fine del 2019, il progetto è stato in costante evoluzione. È stato lanciato nel 2020 tramite una collaborazione tra il nuovo museo nazionale di Matera e il Centre Jean Bérard di Napoli, dopo un incontro tra Annamaria Mauro, direttrice del museo; Claude Pouzadoux, allora direttrice del Centre Jean Bérard; e Fabien Bièvre-Perrin, allora ricercatore Marie Sklodowska Curie Individual Fellowship all’École française de Rome / Centre Jean Bérard nell’ambito del suo progetto “Feminicon” (ora professore associato presso il centro di ricerca HisCAnt-MA, université de Lorraine). In relazione alla riorganizzazione della collezione Rizzon all’interno del museo nazionale di Matera, quest’ultima è stata scelta per guidare questo originale e innovativo progetto di banca dati in open access. Dopo una campagna fotografica condotta nel gennaio 2021, il sito è stato messo online nell’aprile 2021, sotto una licenza CC BY-SA-NC. Dallo scorso dicembre le fotografie sono sotto licenza CC BY, uno sviluppo senza precedenti in Italia per un museo nazionale.
Pompei. Ancora scoperte a Porta Ercolano: all’interno di due botteghe artigiane gli scheletri di cinque pompeiani – tra cui un bambino – in fuga dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Hanno trovato la morte dove speravano di salvarsi

Scavo a Porta Ercolano di Pompei: Il ritrovamento di cinque giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio
Stavano scappando dall’inferno del Vesuvio del 79 d.C., si erano riparati all’interno di una bottega artigiana, una scelta per loro fatale: quello che doveva essere il loro rifugio sicuro è diventata la loro tomba. Duemila anni dopo Pompei ci restituisce un altro tassello di storia quotidiana, di momenti di vita e di morte. Gli archeologi nel corso di una campagna di scavo nell’area di Porta Ercolano hanno riportato alla luce cinque scheletri di giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio: lì vicino resti di oggetti in oro, vasellame e un urceus (contenitore) del prezioso garum, quella che oggi chiamiamo “colatura di alici”; e poi zappe, forse usate dai giovani per scavarsi un cunicolo tra la cenere e i lapilli oppure lasciate lì, secoli dopo, dai saccheggiatori di tombe. Siamo dunque ancora a Porta Ercolano di Pompei, una zona che si sta rivelando particolarmente ricca, tra necropoli e area produttiva. Un anno fa, lo ricordiamo, qui era stata trovata la tomba di una donna sannitica, quindi del periodo in cui il nucleo abitato di Pompei non era ancora stato romanizzato. E poche settimane fa l’annuncio della scoperta dei resti di un giovane sepolto in una tomba, con tanto di corredo funerario, risalente a quasi 400 anni prima della devastante eruzione che cancellò le antiche Pompei, Ercolano e Stabiae (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/07/06/pompei-stupisce-ancora-nella-necropoli-di-porta-ercolano-scoperta-tomba-a-cassa-del-iv-secolo-a-c-con-corredo-funerario-completo-un-anno-fa-la-stessa-area-restitui-una-tomba-sannitica-che-fa-luce/).

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei

Lo scavo della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs
Sono queste le ultime scoperte della campagna di ricerca a Porta Ercolano della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs. I ritrovamenti particolarmente interessanti di sepolture e botteghe crea non poche problematiche. Gli archeologi dovranno infatti rispondere a ulteriori interrogativi sulla organizzazione, gestione e trasformazione, di questo intreccio tra spazio funerario e commerciale nell’area suburbana di Porta Ercolano. “Queste ultime scoperte”, sottolinea il soprintendente Massimo Osanna, “confermano come Pompei riservi continue sorprese. Sapevamo che in questa zona esisteva una prolifera attività produttiva. E qui abbiamo trovato le botteghe dei vasai, fuori le mura, perché questa produzione implicava rumore, fumi, scarti di lavorazione. Credevamo che queste attività fossero state altamente indagate, poiché la zona fu oggetto di scavo già nell’800 con l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Invece, qui, abbiamo trovato ancora tracce delle attività che si svolgevano e, con la fortuna che deve sempre assistere l’archeologo, abbiamo trovato anche tombe dell’epoca sannitica, risalenti alla fine del V, e inizio del IV secolo. Le indagini che seguiranno ci daranno informazioni su come in quell’epoca cambia il popolamento di Pompei”.
I cinque scheletri, tra cui quello di bambino, sono stati trovati nel cantiere di scavo di due botteghe artigiane. Secondo Claude Pouzadoux, direttrice del Centre Jean Bérard, questi cinque pompeiani erano probabilmente in fuga dall’eruzione del 79 d.C. e avevano cercato rifugio in uno di questi locali, dove invece sono rimasti intrappolati e sono morti. “Purtroppo”, continua, “questo luogo è stato devastato dai tombaroli tra la fine ‘700 e gli inizi ‘800, scavatori clandestini alla ricerca di oggetti preziosi e metalli. Il loro passaggio ha scomposto le ossa delle cinque vittime, che ora ci apprestiamo a ricomporre e a studiare. Ai saccheggiatori dell’epoca sfuggirono tre monete d’oro (tre aurei datati 74 e 77/78 d.C.) e un fiore in foglia d’oro, probabilmente un pendente di collana. E poi ci sono vasi di diverse forme, alcuni anneriti dalla cottura. E c’è anche un’anfora dal collo allungato, un urceus, tipico contenitore per il garum, l’apprezzata ‘colatura di alici’ che ancora oggi viene prodotta dai pescatori della costiera amalfitana, come saporita salsa di pesce, un gustoso condimento della cucina meridionale”.
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