Archivio tag | Casa delle Vestali

Roma. Con gli esperti del parco archeologico del Colosseo alla scoperta dei mosaici presenti tra Foro Romano e Palatino: quarta e ultima tappa nella Casa delle Vestali con i mosaici a tessere disposte a stuoia

roma_foro-romano_casa-delle-vestali_rampa-metallica_mosaico-con-inserti-marmorei_foto-PArCo

Foro Romano, Casa delle Vestali, rampa metallica lungo il lato ovest dell’abitazione: mosaico a tessere bianche disposte a stuoia intervallate da inserti marmorei policromi (foto archivio PArCo)

Il parco archeologico del Colosseo propone un nuovo itinerario on line tra Foro Romano e Palatino, a cura di Federica Rinaldi, Alessandro Lugari e Francesca Sposito, per scoprire che cosa state si sta calpestando in una visita, per capire in quale edificio e ambiente vi state muovendo, per riconoscere i pavimenti antichi in marmi policromi e in mosaico che decoravano gli edifici pubblici, ma anche e soprattutto le case private e i palazzi. In questo quarto appuntamento, l’itinerario digitale chiude il percorso all’interno della Casa delle Vestali alla scoperta dei suoi pavimenti. Dopo aver passeggiato attorno al cortile della Casa delle Vestali, aver visitato la nuova esposizione permanente ospitata presso gli ambienti che si aprono lungo il versante meridionale dell’abitazione, aver proseguito in direzione del braccio occidentale, si giunge all’uscita del percorso interno alla Casa delle Vestali. Proseguendo lungo la rampa metallica che supera il dislivello con il tempio rotondo nel lato ovest, guardando proprio sotto la rampa è possibile notare un piccolo ma prezioso frammento di mosaico che risale ad una delle prime sistemazioni della Casa, databile ad epoca tardo-repubblicana.

roma_foro-romano_casa-delle-vestali_rampa-metallica_mosaico-con-inserti-marmorei_dettaglio_foto-PArCo

Foro Romano, Casa delle Vestali, rampa metallica lungo il lato ovest dell’abitazione: mosaico bianco con tessere disposte a stuoia e inserti marmorei policromi, particolare (foto archivio PArCo)

“Il mosaico – spiegano gli archeologi del PArCo – è completamente diverso da quelli che abbiamo visto all’interno della Casa e che abbiamo datato alla piena età imperiale: è un tessellato bianco, realizzato con tessere di forma quadrangolare e rettangolare, queste ultime disposte a creare il motivo di una stuoia o di una intelaiatura a canestro. La superficie è impreziosita da inserti di marmi policromi tra i quali si riconoscono l’africano, il cipollino, il porfido verde, il greco scritto. Rinvenuto nel corso degli scavi realizzati da Giacomo Boni agli inizi del Novecento, venne delimitato da mattoni disposti a coltello e le parti mancanti sono state integrate con una malta cementizia rossa”.

roma_palatino_casa-dei-grifi_mosaico-con-inserti-policromi_foto-PArCo

Palatino, Casa dei Grifi, piano superiore: mosaico bianco con tessere disposte a stuoia e inserti policromi, particolare (foto archivio PArCo)

“Il motivo delle tessere rettangolari disposte a formare una stuoia impreziosita da frammenti di marmi colorati – continuano gli archeologi del PArCo – è tipico dell’età tardo-repubblicana e dal II-I secolo a.C. si ritrova sul Palatino all’interno della Casa dei Grifi e nella cosiddetta Casa repubblicana accanto alla Scalae Caci, di cui vi mostriamo in foto alcuni interessantissimi particolari”.

roma_palatino_casa-repubblicana_mosaico-con-inserti-policromi_foto-PArCo

Palatino, Casa repubblicana accanto alle Scalae Caci: mosaico bianco con tessere disposte a stuoia e inserti policromi, particolare (foto archivio PArCo)

“A testimonianza di come anche nell’antichità il gusto fosse assai mutevole, questo tipo di mosaico sparisce completamente già a partire dal I secolo d.C.: la moda cambia, e il mosaico verrà soppiantato da pavimentazioni marmoree, spesso disposte a formare combinazioni geometriche, come quella che abbiamo visto nella sala di rappresentanza della Casa delle Vestali (i cosiddetti sectilia pavimenta). Questo dato – concludono – è molto importante perché consente agli specialisti di datare in maniera abbastanza puntuale i mosaici con tessere cosiddette a stuoia“.

Roma. Con gli esperti del parco archeologico del Colosseo alla scoperta dei mosaici presenti tra Foro Romano e Palatino: terza tappa, verso l’uscita della Casa delle Vestali

roma_foro-romano_casa-delle-vestali_corte-centrale_tessellato-nero-bordato-fascia-bianca_foto-PArCo

Casa delle Vestali al Foro Romano: corte centrale, braccio occidentale. Pavimento tessellato nero bordato da una fascia di tessere bianche, a filari paralleli, in fase con il muro in laterizio, originariamente rivestito da lastre marmoree, di cui si intravedono alcune porzioni della parte inferiore (foto Archivi PArCo)

Il parco archeologico del Colosseo propone un nuovo itinerario on line tra Foro Romano e Palatino, a cura di Federica Rinaldi, Alessandro Lugari e Francesca Sposito, per scoprire che cosa state si sta calpestando in una visita, per capire in quale edificio e ambiente vi state muovendo, per riconoscere i pavimenti antichi in marmi policromi e in mosaico che decoravano gli edifici pubblici, ma anche e soprattutto le case private e i palazzi. In questo terzo appuntamento, l’itinerario digitale prosegue all’interno della Casa delle Vestali alla scoperta dei suoi pavimenti e, Dopo aver passeggiato attorno al cortile della Casa delle Vestali ed aver visitato la nuova esposizione permanente ospitata presso gli ambienti che si aprono lungo il versante meridionale dell’abitazione, la passeggiata prosegue verso l’uscita in direzione del braccio occidentale. Prima di uscire utilizzando la rampa che supera il dislivello tra la Casa e l’area del tempio rotondo di Vesta, non si può non notare, in fase con un muro in opera laterizia, una porzione di pavimento a mosaico a tessere nere decorato da un’ampia fascia a tessere bianche.

roma_foro-romano_casa-delle-vestali_corte-centrale_tessellato-nero_pulitura_foto-PArCo

Casa delle Vestali al Foro Romano: corte centrale, braccio occidentale. Pulitura del pavimento tessellato bianco-nero propedeutica alle operazioni di restauro (foto Archivi PArCo)

“La fattura irregolare delle tessere, molto simili a quelle nere di basalto della corte”, raccontano gli archeologi del PArCo, “assegna il pavimento all’avanzata età imperiale. Anche questo mosaico rientra tra le scoperte effettuate da Giacomo Boni agli inizi del XX secolo, e anche in questo caso, come abbiamo imparato a vedere, il perimetro del pavimento e della sua preparazione, ancora visibile, è stato cordolato da mattoni disposti a coltello. Più recenti e datati al 2018 sono gli interventi di manutenzione condotti dal PArCo nell’ambito della Carta del Rischio dei mosaici e pavimenti marmorei interventi che hanno ripristinato il livello conservativo del pavimento garantendone l’integrità”.

Roma. Con gli esperti del parco archeologico del Colosseo alla scoperta dei mosaici presenti tra Foro Romano e Palatino: seconda tappa, il vano quadrangolare della Casa delle Vestali

roma_foro-romano_mosaici-casa-delle-vestali_ambulacro_foto-PArCo

Casa delle Vestali, nel Foro romano: ambulacro, pavimento a lastre marmoree con disposizione irregolare (foto Archivi PArCo)

Il parco archeologico del Colosseo propone un nuovo itinerario on line tra Foro Romano e Palatino, a cura di Federica Rinaldi, Alessandro Lugari e Francesca Sposito, per scoprire che cosa state si sta calpestando in una visita, per capire in quale edificio e ambiente vi state muovendo, per riconoscere i pavimenti antichi in marmi policromi e in mosaico che decoravano gli edifici pubblici, ma anche e soprattutto le case private e i palazzi. In questo secondo appuntamento, l’itinerario digitale prosegue all’interno della Casa delle Vestali alla scoperta dei suoi pavimenti e, dopo aver visto i mosaici nella corte o giardino della casa, stavolta arriviamo fino di fronte al grande vano quadrangolare che si trova sul lato breve orientale del cortile, rialzato rispetto all’area circostante.

roma_foro-romano_mosaici-casa-delle-vestali_tablino_foto-PArCo

Casa delle Vestali nel Foro Romano: il cosiddetto tablino. Veduta d’insieme dell’opus sectile in marmi policromi decorato da uno schema geometrico con quadrati entro quadrati sulla diagonale e piccole “punte di lancia” sulla diagonale (foto Archivi PArCo)

“L’ingresso dell’ambiente”, spiegano gli archeologi del PArCo, “è rivestito da un pavimento a lastre marmoree policrome con disposizione irregolare, di età tardo-imperiale. Scoperto da Giacomo Boni agli inizi del XX secolo, il lastricato è stato inglobato in un massetto in cementizio in epoca moderna, oggetto di continue manutenzioni. Saliamo ora i pochi gradini che separano il lastricato dal grande ambiente di rappresentanza, che era sontuosamente rivestito da marmi policromi, sia a parete che a terra. Di essi purtroppo oggi non rimangono che esigui frammenti, che rappresentano tuttavia una testimonianza importante dell’originaria decorazione dell’ambiente”.

roma_foro-romano_mosaici-casa-delle-vestali_tablino_opus-sectile_foto-PArCo

Casa delle Vestali nel Foro Romano: il cosiddetto tablino con opus sectile marmoreo. Particolare della decorazione geometrica difficilmente leggibile a causa della fratturazione delle lastre, avvenuta già a seguito del rinvenimento nel 1884 (foto Archivi PArCo)

“Il pavimento – continuano – è costituito da un opus sectile realizzato con l’uso di marmo portasanta, pavonazzetto, cipollino, breccia corallina e giallo antico, combinati assieme per formare un disegno geometrico con quadrati entro quadrati sulla diagonale e piccole “punte di lancia” sulla diagonale. Il tipo di disegno e la qualità dei marmi datano il pavimento tra il I ed il II secolo d.C. Il pavimento è stato manomesso già in antico, probabilmente a partire dall’età severiana o comunque dopo il grande incendio del 192 d.C.: i vari tratti conservati infatti non rispettano lo schema decorativo originario, e presentano grandi rappezzi realizzati con lastrame marmoreo”.

roma_foro-romano_mosaici-casa-delle-vestali_tablino_opus-sectile_resti-all-esterno_foto-PArCo

Casa delle Vestali al Foro Romano: il cosiddetto tablino. Veduta dei frammenti in opus sectile marmoreo allettati nel moderno massetto in cocciopesto (foto Archivi PArCo)

“Diversamente dagli altri ambienti della casa, questo pavimento non venne mai indagato da Giacomo Boni, ma fu scoperto dal Lanciani, che lo riportò in luce nel 1884. Oggi le porzioni di pavimentazione superstite – concludono – sono state inglobate in un moderno pavimento in cocciopesto e vengono protette dai nostri restauratori quando le temperature, sia in estate che in inverno, raggiungono un livello di allerta”.

Roma. Il parco archeologico del Colosseo propone un percorso on line tra Foro Romano e Palatino alla scoperta dei mosaici presenti nei templi, nelle basiliche civili, nelle domus e nei palazzi: si inizia con la Casa delle Vestali

Un bellissimo pavimento musivo presente nel percorso di visita tra Foro Romano e Palatino (foto PArCo)

Il parco archeologico del Colosseo propone un nuovo itinerario on line tra Foro Romano e Palatino, a cura di Federica Rinaldi, Alessandro Lugari e Francesca Sposito, per scoprire che cosa state si sta calpestando in una visita, per capire in quale edificio e ambiente vi state muovendo, per riconoscere i pavimenti antichi in marmi policromi e in mosaico che decoravano gli edifici pubblici, ma anche e soprattutto le case private e i palazzi. Appuntamento ogni lunedì sera sui canali social del PArCo. “Spazieremo dal II-I sec. a.C. fino al VI-VII secolo d.C. per imparare a riconoscere le tecniche di decorazione pavimentale presenti nei templi, nelle basiliche civili, nelle domus e nei palazzi”, spiegano gli archeologi del PArCo. “Al termine del percorso pubblicheremo una mappa interattiva agganciata al nostro sistema webGIS per la manutenzione dei mosaici e sulla quale sono disegnati i “poligoni” dei mosaici e dei pavimenti visibili dal nostro pubblico: cliccando su ogni poligono in prossimità di uno di questi, apparirà una scheda che vi aiuterà a individuare il pavimento e a leggerne un po’ di storia”.

Casa delle Vestali, veduta di un tratto della corte centrale e delle vasche: mosaico a tessere nere di basalto disposte su file parallele (Archivio Parco archeologico del Colosseo)

La prima puntata del nuovo itinerario online ci porta nella Casa delle Vestali, situata nel cuore del Foro Romano, che fu la dimora delle vergini Vestali, sacerdotesse dedite al culto della dea Vesta. “I rivestimenti pavimentali all’interno della Casa”, spiegano gli archeologi del PArCo, “sono collocati sia in ambienti all’aperto, come la corte, sia in spazi chiusi, come la sala di rappresentanza ad est, e abbracciano un lungo periodo cronologico dal I al IV secolo d.C. almeno, testimoniando i numerosi restauri che l’edificio ha conosciuto nel corso del tempo. Nel quartiere in cui insiste la dimora si conserva inoltre anche un importante lacerto di pavimento, tra i più antichi perché ancora di età Repubblicana”.

Casa delle Vestali, mosaico a tessere nere della corte centrale: particolare in cui si distinguono i mattoni disposti a coltello a delimitare i bordi del frammento musivo e la graniglia nera disposta recentemente lungo il perimetro per impedire la ricrescita della vegetazione infestante (Archivio Parco archeologico del Colosseo)

“Seguendo il percorso di visita – continuano -, appena entrati nella corte o giardino della casa, dove sono state recentemente riattivate le vasche, si riconoscono porzioni di un mosaico a tessere nere di basalto, piuttosto grandi e di taglio irregolare, disposte su file parallele. La fattura grossolana, unita alla conoscenza delle grandi ristrutturazioni documentate nel cortile della casa, consentono di datare il tessellato al III-IV secolo d.C., in epoca costantiniana, insieme al rivestimento in tessellato bicromo dell’ambulacro che scopriremo lungo il percorso. Il tessellato nero si conserva in 5 porzioni, ma originariamente doveva rivestire l’intero cortile. A seguito del ritrovamento, effettuato da Giacomo Boni nel 1902, i lacerti pavimentali sono stati delimitati da mattoni disposti a coltello e le parti mancanti integrate con malta cementizia. Questi tratti di mosaico sono stati restaurati tra il 2018 e il 2019 e attorno ai loro bordi è stata distribuita della breccia grigio-nera per impedire la ricrescita della vegetazione infestante”.

Roma. Tramonti al Foro Romano: eccezionale apertura con visite libere alla Casa delle Vestali. Disponibile anche una visita guidata

La piscina della Casa delle Vestali al Foro Romano al tramonto (foto PArCo)

Giovedì 30 settembre 2021, a partire dalle 18.30 per gruppi di massimo 20 persone, entrando al Foro Romano dall’Arco di Tito e percorrendo la via Sacra sarà possibile raggiungere la Casa delle Vestali all’imbrunire. Questa eccezionale apertura è possibile grazie alla conclusione di lavori di conservazione con l’allestimento degli ambienti della casa delle vergini sacerdotesse, incaricate della custodia del focolare sacro della città.

roma_foro-romano_casa-vestali_pistrinum_foto-PArCo

Ambiente D della Casa delle Vestali al Foro Romano: frammenti di catillus e di due metae pertinenti a più di una macina a clessidra (mola versatilis) in pietra lavica (foto PArCo)

Gli spazi adesso visitabili – tra cui spicca la stanza della macina in pietra lavica, interpretata subito dopo la scoperta come la stanza in cui le sacerdotesse di Vesta realizzavano la mola salsa, una focaccia sacra per i culti legati ai riti cui officiavano – circondano il cortile del complesso dove si erge il tempio circolare che custodiva il fuoco sacro. Visite libere alle 18.45, 19, 19.10, 19.20 con il solo accompagno alla Casa delle Vestali. Alle 18.40 è disponibile anche una visita guidata con CoopCulture della durata di 1 ora al costo di 5 euro + 1 euro prenotazione. Per i possessori di Membership card prenotazione gratuita e visita guidata ridotta al costo di 4 euro. Si accede con qualunque biglietto di ingresso in corso di validità (24h Colosseo – Foro Romano – Palatino e Full Experience, valido 48h), previa prenotazione al costo di 1 euro. Prenotazione obbligatoria per un massimo di 20 persone a turno di visita. Clicca qui per prenotare. / 06.39967700 (call center attivo tutti i giorni dalle 10 alle 15).

Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel tredicesimo appuntamento il viaggio parte dal Tempio di Vesta e dalla Casa delle Vestali, nel Foro Romano, e giunge alle Barberini Corsini Gallerie nazionali per scoprire la storie di queste sacerdotesse, custodi del fuoco sacro

Il cortile della Casa delle Vestali (Atrium Vestae) nel Foro Romano (foto PArCo)

Tredicesimo appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), Palazzo Barberini al Quirinale, il parco archeologico di Priverno (residenze private), il parco archeologico di Ostia Antica (Sinagoga), Santa Maria Maggiore a Ninfa (Lt), il complesso di Massenzio sulla via Appia, Palazzo Farnese a Caprarola (Vt), il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte dal Foro Romano, più precisamente dal Tempio di Vesta, appena restaurato, e dalla Casa delle Vestali, da poco aperta al pubblico con un nuovo percorso, per giungere in via delle Quattro Fontane alle gallerie nazionali Barberini Corsini, dove approfondire la storia di queste sacerdotesse, che da sempre suscita interesse e curiosità tra gli appassionati del mondo antico.

Il tempio di Vesta nel Foro Romano a Roma (foto PArCo)

“Le sei Vestali, il cui compito principale era la cura dell’ignis perpetuus, il fuoco che ardeva giorno e notte all’interno del tempio di Vesta, simbolo del sacro focolare della città”, ricordano gli archeologi del PArCo, “costituivano l’unico sacerdozio femminile della Roma antica. Scelte tra le discendenti delle più illustri famiglie della città (in origine solo tra quelle appartenenti al patriziato), le Vestali erano reclutate tra bambine di età compresa fra i 6 e i 10 anni, ed avevano l’obbligo di esercitare il sacerdozio vivendo nell’Atrium Vestae, ovvero la dimora situata presso il tempio, per 30 anni”.

Statua di Vestale conservata nella Casa delle Vestali (Atrium Vestae) nel Foro Romano (foto PArCo)

“Sempre vestite di bianco, con una lunga stola e un corto mantello di lana – continuano -, le Vestali legavano ogni giorno i capelli in un’acconciatura che le donne romane sfoggiavano solo nel giorno del loro matrimonio: sei trecce strette sul capo a cui si avvolgevano bende che ricadevano sui lati. Le Vestali erano le uniche donne romane a non essere sottoposte alla tutela del pater familias, potevano inoltre disporre autonomamente dei propri beni e testimoniare in giudizio senza giuramento. E se un condannato a morte incontrava una Vestale sulla sua strada era graziato”.

La piscina nella Casa delle Vestali (Atrium Vestae) nel Foro Romano (foto PArCo)
roma_palazzo-barberini_vergine-tuccia_volto-velato_foto-PArCo

“La Velata”, statua della vestale Tuccia, conservata a Palazzo Barberini a Roma (foto PArCo)

“Questi diritti erano bilanciati da altrettanti doveri”, spiegano gli archeologi del PArCo: “se una Vestale lasciava spegnere il sacro fuoco era punita a colpi di verga dal Pontefice Massimo; se violava il voto di castità la punizione era durissima: intoccabile perché sacra, la Vestale veniva seppellita viva in una cella sotterranea, condannata ad una morte lenta e terribile. La storia ci ricorda il supplizio di più di 15 Vestali, di frequente immolate come capro espiatorio per placare gli dei in caso di guerre, epidemie o altre situazioni di crisi. Ma le fonti ci tramandano anche i casi di Vestali scampate alla condanna: la più nota è la vergine Tuccia che, ingiustamente accusata, chiese di provare la sua innocenza raccogliendo l’acqua del Tevere in un setaccio, e ci riuscì grazie alla protezione della dea Vesta”.

La vergine Tuccia di Andrea Mantegna, tavola conservata alla National Gallery di Londra (foto PArCo)
roma_palazzo-barberini_vergine-tuccia_la-velata_2_foto-PArCo

“La Velata” di Antonio Corradini, scultura conservata a Palazzo Barberini a Roma (foto PArCo)

“La storia di Tuccia”, spiegano gli archeologi del PArCo, “ispirò in epoca post antica numerose opere d’arte che la raffigurano spesso come simbolo di castità; famosa è la tavola di Andrea Mantegna conservata alla National Gallery di Londra. La rappresentazione più nota in scultura è invece probabilmente quella di Antonio Corradini, conservata a Palazzo Barberini e nota come “La Velata”. La statua si distingue per il velo impalpabile che la ricopre, che genera onde e viluppi su tutto il corpo e aderisce al ventre con finissime increspature. Il setaccio sul fianco sinistro ci permette di identificare la donna rappresentata con la Vestale Tuccia. Corradini ha privilegiato il punto di vista frontale mentre la parte retrostante è appena abbozzata; ciononostante, a seconda del punto di vista, la statua offre scorci sempre nuovi e suggestivi”.

“La Velata”, scultura di Antonio Corradini che rappresenta la vestale Tuccia, conservata a Palazzo Barberini a Roma (foto PArCo)

“La Velata suscitò grande ammirazione nel pubblico dell’epoca tanto da guadagnarsi più di un articolo sul “Diario ordinario”, giornale allora in voga, che il sabato pubblicava le notizie più rilevanti della città. Tra queste, nel settembre 1743, viene comunicata la visita allo scultore da parte di Giacomo III pretendente al trono d’Inghilterra. Quattro anni dopo, la scultura tornò agli onori della cronaca, messa in vendita al prezzo di 4 mila scudi. Forse a causa del prezzo elevato o per “l’invidia dei Romani” come sostiene Pier Leone Ghezzi in una caricatura, nessuno la comprò, Corradini partì per Napoli, la statua – concludono – fu trasferita al piano terra di Palazzo Barberini, e probabilmente acquistata dai Barberini stessi a un prezzo più vantaggioso dopo la morte dell’artista”. Per informazioni su Barberini Corsini Gallerie Nazionali e sulle modalità di visita si visiti il sito ufficiale https://www.barberinicorsini.org/.

Roma. Il sabato al via “La Luna al Colosseo” visite guidate incentrate sulla scoperta dei sotterranei. E nei mercoledì di luglio “Tramonti al Foro” alla Casa delle Vestali

“La Luna al Colosseo”: al sabato sera visite guidate all’anfiteatro flavio (foto PArCo)

Riparte il ciclo di visite guidate “La Luna sul Colosseo” con un’edizione completamente rinnovata e, per la prima volta, sarà possibile visitare la Casa delle Vestali nel Foro Romano rischiarata dalle luci del tramonto. Queste le iniziative estive promosse dal parco archeologico del Colosseo, a partire da questa settimana.

La Luna al Colosseo: per il 2021 visite guidate con focus sui sotterranei/ipogei appena aperti al pubblico (foto PArCo

“La Luna sul Colosseo 2021 – I Sotterranei”, il sabato dalle 20 alle 24. Da sabato 17 luglio 2021, e fino al 30 ottobre 2021, si riprende con “La Luna sul Colosseo”, in collaborazione con Electa, a partire dalle 20.10 e per gruppi di massimo 20 persone. Appuntamento annuale di grande successo che sa costantemente rinnovarsi, per questa edizione “La Luna sul Colosseo” incentra il percorso sulla scoperta dei sotterranei. Il nuovo e suggestivo itinerario è reso possibile dal recente restauro dell’intera superficie degli spazi che ospitavano belve, gladiatori e apparati scenici. PRENOTAZIONI: https://www.coopculture.it/events.cfm?id=177. Durante l’itinerario si dipana il racconto della topografia della valle dove è stato costruito il Colosseo mentre, attraversando l’area dei sotterranei, si scoprono i materiali con cui è stato costruito l’anfiteatro che hanno permesso di superare lo scorrere del tempo, le funzionalità e le regole che lo rendevano una straordinaria macchina dello spettacolo. Il percorso prosegue lungo il corridoio perimetrale al piano dell’arena passando di fronte all’Edicola della Via Crucis ricostruita con i frammenti ottocenteschi originari e si conclude sul piano stesso dell’arena, con uno straordinario affaccio sugli ipogei e con uno sguardo a 360° sull’immensità degli spalti, che accoglievano più di 60mila spettatori, disegnati nella notte dalle luci e dalle ombre delle cavità dei fornici.

“Tramonti al Foro”: aperture serali al mercoledì della Casa delle Vestali (foto PArCo)

“Tramonti al Foro”, mercoledì 14, 21 e 28 luglio 2021, ore 19.15-20.45.  Inedita e da non perdere è l’apertura serale della Casa delle Vestali. Da mercoledì 14 luglio 2021 a partire dalle 19.20 per gruppi di massimo 20 persone, e per i restanti mercoledì di luglio (21 e 28), entrando al Foro Romano dall’Arco di Tito e percorrendo la via Sacra si giunge alla Casa delle Vestali sotto i colori dell’imbrunire. PRENOTAZIONI: https://www.coopculture.it/events.cfm?id=1802. Anche questa eccezionale apertura è possibile grazie alla conclusione di lavori di conservazione con l’allestimento degli ambienti della casa delle vergini sacerdotesse, incaricate della custodia del focolare sacro della città. Gli spazi adesso visitabili – tra cui spicca la stanza della macina in pietra lavica, interpretata subito dopo la scoperta come la stanza in cui le sacerdotesse di Vesta realizzavano la mola salsa, una focaccia sacra per i culti legati ai riti cui officiavano – circondano il cortile del complesso dove si erge il tempio circolare che custodiva il fuoco sacro.

Roma. Dal 6 luglio il percorso di visita al Foro Romano si arricchisce del settore SE dell’Atrium Vestae, la Casa delle Vestali, con un nuovo allestimento museale

Un suggestivo scorcio della Casa delle Vestali (Atrium Vestae) nel Foro Romano (foto PArCo)

Con il nuovo allestimento museale per gli ambienti occupati dalle vergini sacerdotesse, incaricate della custodia del focolare sacro della città e di altri riti connessi con il culto domestico, si ampliano gli spazi espositivi e si arricchisce il percorso di visita del PArCo nel Foro Romano. Dal 6 luglio 2021, dopo nuove indagini archeologiche e accurati interventi di restauro conservativo, torna a rivivere il complesso della Casa delle Vestali: diventa finalmente accessibile un nuovo percorso di visita che consentirà la fruizione del settore sud-orientale dell’Atrium Vestae, da tempo chiuso al pubblico.

Il cortile della Casa delle Vestali (Atrium Vestae) nel Foro Romano

Il settore SE della Casa delle Vestali e l’allestimento museale. La Casa delle Vestali, o Atrium Vestae, venne messa in luce da Rodolfo Lanciani nel corso degli scavi eseguiti negli anni 1882-1884. “In particolare”, ricordano gli archeologi del PArCo, “gli ambienti, ora aperti al pubblico, sono stati rinvenuti in seguito alla rimozione del grande muro di recinzione degli Orti Farnesiani e degli strati di interro, caratterizzati da uno spessore anche di venti metri rispetto al piano di calpestio antico. Subito dopo la scoperta ebbero inizio i lavori di sistemazione delle strutture e dei reperti lapidei rinvenuti, parte dei quali, successivamente esposti nell’Antiquarium forense, sono ora allestiti negli ambienti del settore SE, dopo un accurato intervento di recupero conservativo durato dal 2013 al 2020”.

La pianta della Casa delle Vestali nel Foro Romano (foto PArCo)

“Le recenti indagini archeologiche hanno consentito di acquisire nuovi dati sulle vicende che hanno interessato il complesso architettonico”, spiegano gli archeologi del PArCo. “Il rinvenimento del suolo naturale subito sotto i piani pavimentali imperiali conferma che il lato Est dell’Atrium a Sud dell’antica Via Nova, prima delle ristrutturazioni neroniane conseguenti all’incendio del 64 d.C., doveva essere verosimilmente occupato dal bosco sacro, il Lucus Vestae. Alla fase neroniana-flavia si possono ascrivere alcune strutture murarie rinvenute nel corso delle indagini più recenti nel settore SE, sia in corrispondenza del cd. mezzanino sia al piano terra e che sono state successivamente inglobate nelle strutture traianee databili intorno al 110-113 d.C. Nella fase traianea gli ambienti posti al pianterreno (A-E) dovevano avere funzioni residenziali e di rappresentanza.  Sostanzialmente fino almeno al IV secolo d.C. il piano inferiore restò pressoché immutato”.

Ambiente D della Casa delle Vestali al Foro Romano: frammenti di catillus e di due metae pertinenti a più di una macina a clessidra (mola versatilis) in pietra lavica (foto PArCo)

“Fin dal rinvenimento, l’ambiente D è stato interpretato come pistrinum, ovvero mulino, data la forma circolare e il ritrovamento (probabilmente all’interno o nei pressi) di alcuni elementi frammentari pertinenti a più di una macina a clessidra (mola versatilis) in pietra lavica: due frammenti di catillus e due metae frammentarie di diverso diametro”, raccontano gli archeologi del PArCo. “Nonostante l’opinione comunemente condivisa in letteratura, che viene in genere associata ad una delle funzioni svolte dalle Vestali, ossia la preparazione della mola salsa, composta da farina di farro e sale, alcune considerazioni di tipo tecnico-costruttivo sembrano escludere la correlazione di questa struttura con l’installazione di un mulino. Probabilmente si deve ai primi anni del XX secolo l’allestimento della meta al centro della struttura circolare”.

Una statua di vestale nel Foro Romano (foto PArCo)

La mola salsa. Secondo le fonti le tre Vestali Massime un giorno su due, durante il periodo dal 7 al 14 maggio, mettevano le spighe di farro, far, in cesti da mietitori; quindi procedevano alla tostatura, alla frantumazione e alla molitura delle spighe. Aggiungendo sale cotto e sale grezzo ai Lupercalia (15 febbraio), ai Vestalia (9 giugno) e alle Idi di settembre (13 settembre), le Vestali facevano la mola salsa, sparsa su tutti gli animali condotti al sacrificio pubblico e su ogni offerta fatta agli dei. Da questo rito preliminare del sacrificio proviene il termine immolare, letteralmente cospargere di mola.

Per celebrare il Natale di Roma maratona da cinque cantieri di restauro con Alfonsina Russo, direttrice del Parco archeologico del Colosseo: gli stucchi del Colosseo, l’Arco di Costantino, l’area del Tempio di Vesta, la Basilica Emilia, e l’Arco di Settimio Severo. E un arrivederci alla vicina riapertura del PArCo

Panorama del Foro Romano (foto PArCo)

Maratona tra i cantieri di restauro nel cuore di Roma antica: è quanto proposto dal Parco archeologico del Colosseo per celebrare il Natale di Roma. Cinque dirette curate dalla direttrice Alfonsina Russo che di volta in volta ha dialogo con i restauratori impegnati sul monumento specifico. Per la responsabile del PArCo è stata anche l’occasione per anticipare qualche evento, come il convegno on line il 9 giugno sui restauri al Tempio di Vesta nel Foro romano o il riallestimento della Casa delle Vestali per il 21 giugno, o per sottolineare la linea green negli interventi di restauro, ribandendo che nel PArCo i prodotti chimici sono banditi. Ma soprattutto è stata l’occasione per dare un arrivederci a prestissimo, al 26 aprile 2021, quando il parco archeologico del Colosseo sarà riaperto al pubblico.

Prima tappa: i restauri degli stucchi del fornice Nord del Colosseo. Per la prima volta si sale sui ponteggi per avvicinarci a quel che resta degli stucchi che decoravano le superfici voltate e quelle della lunetta di questo angolo dell’anfiteatro. Tra il 1500 e il 1600 i grandi artisti, che da poco avevano scoperto le “grottesche” della Domus Aurea (tra tutti uno dei più brillanti allievi di Raffaello, Giovanni da Udine), riprodussero su disegni e altri supporti anche gli stucchi del Colosseo, consegnando a noi un patrimonio inestimabile di informazioni, altrimenti perdute. “Proprio grazie ai disegni di Giovanni da Udine, allievo di Raffaello, che nel ‘500 aveva visitato il Colosseo e aveva disegnato gli stucchi”, spiega Alfonsina Russo, “possiamo ricostruire anche quali erano i temi: temi legati a Dioniso, la divinità protettrice dei teatri e degli spettacoli”. Il restauro è appena iniziato. “Si procede innanzitutto con la pulizia”, spiega la restauratrice, “per conoscere meglio le modalità meno invasive per gli stucchi e capire il livello di degrado, dovuta anche alla vicinanza esterna con un’area particolarmente trafficata e a un punto del monumento in cui si incanalano diverse correnti che  trasportano molti inquinanti, e a materiali sovrapposti dovuti a interventi precedenti”. Di questi stucchi, anticipa Russo, “faremo anche le analisi proprio per capire se sono della stessa tipologia di materiale degli stucchi del passaggio di Commodo, nell’ingresso a Sud. E anche per inquadrarli meglio cronologicamente. Gli stucchi dovevano già esserci all’inizio, quando il monumento venne inaugurato nell’80 d.C.. E quindi dobbiamo immaginare che quest’area doveva essere completamente ricoperta da stucchi. Successivamente, nell’importante restauro che fecero i Severi tra la fine del II e l’inizio del III sec. d.C., vennero restaurate anche queste decorazioni con elementi cassettonati, un motivo che influenzò molto la scuola di Raffaello. Al centro della volta c’è un grande riquadro dove probabilmente era raffigurato Dioniso, e una serie di riquadri laterali con le Menadi e i Satiri. Da quello che è rimasto, possiamo immaginare una decorazione di grande raffinatezza. Del resto – non dimentichiamolo mai – questo era l’anfiteatro imperiale, il Colosseo era l’anfiteatro dell’imperatore, perciò tutto ciò che veniva realizzato – compresa la decorazione – era di altissimo livello”. Il cantiere andrà avanti per un mese. E poi si sposterà sui fornici laterali che pure presentano una decorazione a stucco.

Seconda tappa: i restauri dell’Arco di Costantino. Si sale al settimo piano dei ponteggi. Con le restauratrici diamo un’occhiata ai diversi tipi di malta e ai loro utilizzi. “Oggi analizziamo le tecniche di restauro e in particolare le stuccature”, sottolinea Alfonsina Russo. “Il cantiere è in una fase abbastanza avanzata del lavoro. I restauratori hanno ripulito i rilievi dallo sporco, e ora stanno passando alla fase della stuccatura. Si procede con diversi tipi di malte con colori diversi, calda chiara, fredda, calda scura e rossa, a seconda del colore del marmo. Si mescolano i colori fino a trovare una tonalità che si armonizzi con i marmi. Quindi è un lavoro molto importante e molto delicato che darà proprio l’aspetto finale del restauro dell’arco”. Queste malte sono realizzate con calce idraulica, molto resistente all’acqua. “Le malte”, spiegano le restauratrici, “le mischiamo con delle cariche inerti, polveri di marmo di diversi colori, e le setacciamo per avere una granulometria che si adatti alla superficie del marmo e a una tonalità. Nello stendere le malte cerchiamo di fare in modo che non ci siano ristagni d’acqua e favoriamo gli scoli, per evitare attacchi biologici, sigillando tutte le crepe”. Il restauro dell’arco di Costantino è alle fasi finali. “Lo seguiamo da febbraio (vedi Roma. Prime tre dirette dal cantiere di restauro dell’Arco di Costantino con le archeologhe Francesca Rinaldi ed Elisa Cella del Parco archeologico del Colosseo: la topografia del monumento e l’apparato figurativo dall’attico ai tondi adrianei al fregio costantiniano | archeologiavocidalpassato). L’arco di Costantino è uno dei monumenti più importanti del nostro parco archeologico, connesso alla via Trionfale che collega poi l’arco di Tito e l’arco di Settimio Severo”.

Terza tappa: area del Tempio di Vesta. Il direttore Alfonsina Russo mostra i restauri degli elementi architettonici del tempio e rivela alcune anticipazioni sul convegno dedicato all’Aedes Vestae e sul prossimo 21 giugno 2021. Siamo nel cuore di Roma, siamo nell’area della Casa delle Vestali, e dietro c’è il Tempio di Vesta. “In questo cantiere”, mostra Alfonsina Russo, “si stanno ripulendo i pezzi che fanno parte del tempio. Dopo aver partecipato virtualmente al cantiere del Tempio di Vesta (vedi Roma. Archeologi e restauratori del parco archeologico del Colosseo raccontano il cantiere di restauro del Tempio di Vesta nel Foro romano. E a primavera giornata di studi internazionali sull’Aedes Vestae | archeologiavocidalpassato), ora seguiamo questo nuovo cantiere allestito per pulire altri pezzi, frammenti di marmo, che facevano parte sempre del Tempio, e che nell’anastilosi realizzata tra il 1929 e il 1930 non sono stati utilizzati. Intanto vi segnalo che il 9 giugno 2021, proprio in occasione delle Vestalia, organizzeremo un convegno proprio sui lavori che stiamo portando avanti sul Tempio di Vesta e questo nuovo cantiere. In quell’occasione il convegno sarà on line e quindi tutti potranno seguire i vari interventi. E speriamo poi che il 21 giugno 2021, in occasione del Solstizio d’estate, di poter inaugurare la Casa delle Vestali con un nuovo allestimento: sarà una sorpresa”.  I frammenti di marmo sono trattati con il biocida. “Qui è tutto eco-compatibile”, spiega la restauratrice, “perché i prodotti chimici nel PArCo non si possono utilizzare. Questo biocida si spruzza tre o quattro volte. In qualche caso interveniamo con il micro trapano dove ci sono dei residui. E non si fa nient’altro”.

Quarta tappa: la Basilica Emilia. Stavolta scopriamo insieme il progetto di restauro ecosostenibile portato avanti con gli enzimi e condotto con Enea e piccole imprese. La Basilica Emilia è la più antica Basilica, fondata nel 179 a.C. da Marco Fulvio Nobiliore e Marco Emilio Lepido. Qui è aperto un cantiere di pulitura di un fregio che risale alla fase augustea. “Questo progetto utilizza degli enzimi, tutto eco-sostenibile, tutto naturale”, fa presente Alfonsina Russo. “È un progetto speciale che coinvolge anche micro imprese proprio per sostenerle in questo momento molto difficile dal punto di vista economico”.  Il restauro prevede interventi guidati dalla eco-sostenibilità, per il monumento con materiali originali dell’opera, per l’ambiente e per operatori e restauratori. “Il progetto ha avuto una piccola battuta di arresto dovuta alla pandemia”, ricorda la restauratrice, “ma ora è potuto ripartire grazie alla collaborazione delle piccole imprese e delle istituzioni. Abbiamo così potuto utilizzare un prodotto di nuova generazione a base di enzimi stabilizzati in una matrice di nanoparticelle. E vediamo che nelle prove effettuate la carica batterica si è completamente abbattuta. Questi interventi sono stati veramente di successo. E grazie alla collaborazione con Enea abbiamo la possibilità di testare un additivo tratto dalla pianta del fico d’India che conferisce solidità e compattezza alle malte di restauro. E ancora grazie alla collaborazione con una piccola impresa siciliana possiamo testare un compost riformulato a base di oli essenziali che ci consentirà di rimuovere le patine che nel PArCo  sono molto presenti e avrà un’azione deterrente nella formazione di nuove patine. Nella sua globalità il progetto vuole incoraggiare questi interventi per arrivare a una pratica di questo tipo di interventi fornendo strumenti tecnici e scientifici ma anche amministrativi perché un’istituzione come il PArCo possa pensare a una gestione sostenibile degli interventi di restauro e a una loro esecuzione anche con procedure di appalto”.

Quinta e ultima tappa: per la prima volta in diretta dal cantiere di restauro dell’Arco di Settimio Severo. Si sale sui ponteggi per guardare da vicino i rilievi sul fronte nord-occidentale del monumento che sarà oggetto di importanti lavori per i prossimi 7 mesi. “Siamo in un luogo unico, straordinario: siamo al quinto piano del ponteggio di restauro dell’Arco di Settimio Severo, fronte verso il Campidoglio”, interviene Alfonsina Russo. “Qui ci sono i grandi pannelli che narrano le Guerre partiche per le quali venne realizzato l’arco che narrava le gesta appunto di Settimio Severo nel 203 d.C. Il cantiere è iniziato da circa un mese e ne durerà altri sette, quindi fino all’autunno inoltrato. E perciò avremo modo di seguire più volte i lavori. Questo monumento non si restaurava da moltissimi anni e non eravamo mai potuto essere così vicini ai rilievi per vedere il loro stato di conservazione. Purtroppo i rilievi sono molto deteriorati, però si possono ancora riconoscere i vari particolari. Queste erano come delle grandi pitture che venivano portate durante i trionfi per raccontare le gesta dell’imperatore in guerra. E sono state poi riprodotte in scultura sugli archi. Raccontano nei minimi dettagli le varie tappe della guerra contro i Parti”. Il cantiere è ancora in una fase di studio. “Stiamo testando varie tipologie di pulitura per alleggerire le croste nere”, spiega il restauratore, “e l’utilizzo di strumentazioni laser per la pulitura molto delicata. Inoltre abbiamo testato due prodotti biocida per vedere quale dà una risposta migliore. Possiamo notare anche dei restauri antichi, come le cerchiature in bronzo poste nell’Ottocento, o integrazioni in cemento di inizi Novecento. Sulla base delle colonne verrà sperimentato il bio-consolidamento con enzimi: l’intervento durerà circa due mesi”.

Roma. Archeologi e restauratori del parco archeologico del Colosseo raccontano il cantiere di restauro del Tempio di Vesta nel Foro romano. E a primavera giornata di studi internazionali sull’Aedes Vestae

L’arcobaleno incornicia il Foro romano nel giorno della chiusura del cantiere di restauro del tempio di Vesta (foto PArCo)

Un arcobaleno ha salutato la fine dei lavori di restauro del Tempio di Vesta nel Foro Romano. “Mentre si smontano i ponteggi e il monumento torna pian piano completamente visibile”, raccontano archeologi e restauratori del parco archeologico del Colosseo che hanno seguito i tre mesi di lavori, e annunciano una buona notizia: “Stiamo organizzando una giornata internazionale di studi dedicata proprio all’Aedes Vestae che, con i buoni auspici della Dea (leggi Covid permettendo), sì terra il 1º Marzo 2021”.

Il Tempio di Vesta, l’Aedes Vestae, nel Foro romano (foto PArCo)

Il tempio di Vesta, nel Foro romano, è il fulcro del complesso monumentale legato al culto di Vesta, culto antichissimo e risalente già al secondo re di Roma Numa Pompilio, più volte ricostruito a causa dei numerosi incendi e infine restaurato, nelle forme visibili ancora oggi, dall’imperatrice Giulia Domna verso la fine del II secolo d.C. Dal podio circolare in opera cementizia rivestito in marmo, si innalzavano colonne con capitelli corinzi. L’interno accoglieva il braciere con il fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, simbolo dell’eternità di Roma e del suo destino di impero universale. La forma circolare era forse ispirata a quella delle capanne di epoca arcaica, con un foro al centro del tetto conico per far uscire il fumo. All’interno del tempio era anche conservato il Palladio, piccolo simulacro di Atena-Minerva, portato a Roma, secondo la leggenda, da Enea e simbolo della nobiltà della stirpe romana. Accanto al tempio è la casa delle Vestali, sacerdotesse dedicate al culto di Vesta e alla sorveglianza del fuoco sacro, l’unico sacerdozio femminile di Roma. In numero di sei e provenienti da famiglie patrizie, dovevano osservare il loro servizio per 30 anni, conservando la verginità, pena la morte. In cambio godevano di molti privilegi (si spostavano in carro in città e disponevano di posti riservati negli spettacoli).

Tutto è iniziato il 30 settembre 2020. E non è stato un caso. Il 30 settembre 1930 a seguito dei numerosi incendi, crolli e spoliazioni che ne avevano compromesso l’intera struttura, Alfonso Bartoli, direttore dell’Ufficio Scavi del Palatino e del Foro Romano, ordinò la ricostruzione del Tempio sulla base di un modello in gesso al vero, poi smontato. A distanza di 90 anni, il 30 settembre 2020, l’archeologa Federica Rinaldi insieme a tutto lo staff del cantiere inizia il racconto dei lavori di restauro avviati alla riapertura, in giugno 2020, del parco archeologico del Colosseo dopo il lockdown.

roma_tempio-di-vesta_restauri-1929-1930_foto-PArCo

Immagini d’archivio dei restauri e ricostruzione per anastilosi del Tempio di Vesta negli anni 1929-30 (foto PArCo)

La funzionaria archeologa del PArCo Giulia Giovanetti e Dimosthenis Kosmopoulos, archeologo e collaboratore del PArCo, ci raccontano le ricerche che hanno accompagnato il cantiere di restauro del Tempio di Vesta, iniziato nel 2019, per conoscere meglio il monumento e la sua storia. “Oggi ci troviamo di fronte al monumento che non è come ci è stato trasmesso dal mondo antico”, spiega Giovanetti. “Infatti noi operiamo un restauro su un monumento che è stato completamente ricostruito all’inizio del ‘900, tra gli anni Venti e gli anni Trenta. Questa ricostruzione utilizzò una serie di elementi antichi che erano stati rinvenuti nei dintorni del tempio del quale si conservava esclusivamente il basamento circolare e nulla degli elevati. Dalle foto di archivio del primo Novecento si vede bene che molti dei frammenti architettonici che erano stati disposti tra Otto e Novecento nell’area del tempio in realtà erano già stati studiati, catalogati e posizionati per tentare di ricostruire l’elevato del tempio. Il tempio di Vesta è uno dei monumento del Foro romano che aveva restituito e conservato tantissimi elementi architettonici, e quindi già Rodolfo Lanciani alla fine dell’Ottocento e lo stesso Giacomo Boni decisero di studiarne gli elementi. A quel tempo tuttavia si decise che c’erano troppe incertezze per proporre una ricostruzione completa e quindi si accantonò il progetto di ricostruzione. In un’altra foto d’archivio si vede che è già stato realizzato il restauro, ma gli elementi ricostruiti sono posizionati in modo differente da come li vediamo attualmente. Si vede infatti che il tempio dei Dioscuri si trova a lato delle colonne del tempio di Vesta. E un’altra foto ci rivela che fu realizzato un modello in gesso al naturale preliminarmente al restauro e alla ricostruzione vera e propria. Quindi da una collazione delle fonti scritte e fotografiche ricostruiamo che il modello in gesso fu realizzato in una certa posizione, ma che poi una volta demolito la ricomposizione del tempio fu fatta rivolgendo le colonne verso la piazza del Foro, quindi nella posizione attuale.

roma_tempio-di-vesta_cantiere-restauro-2020_foto-PArCo

Le impalcature per il restauro del Tempio di Vesta nel Foro romano nel 2020 (foto PArCo)

“Questa ricomposizione, ritenuta importante fin dall’Ottocento ma poi accantonata, fu realizzata in periodo fascista sostenuta da motivazioni ideologiche, di propaganda politica, di connessione con l’antichità, in particolare con Vesta: perciò – conclude Giovanetti – si decise di recuperare e portare avanti il progetto. E ne parlarono diffusamente i quotidiani dell’epoca. E il 21 ottobre 1929 il grande architetto Gustavo Giovannoni fu chiamato a seguire questo restauro e il cantiere vero e proprio”. Dalla ricerca d’archivio al di fuori del parco archeologico del Colosseo Dimosthenis Kosmopoulos ha scovato un documento in cui si dice che si consigliava proprio ai giovani architetti lo studio dei molti frammenti a terra. “C’è stato anche un lungo dibattito sull’orientamento del tempio di Vesta, e alla fine ha prevalso la scelta verso il Campidoglio per una situazione più ottimale dal punto di vista altimetrico del terreno. E si scopre anche – una curiosità – che i lavori furono sospesi per un periodo per consentire al direttore dei lavori di allestire il matrimonio del principe ereditario. Comunque lo studio d’archivio ci permette di essere più precisi sulle scelte e sull’uso dei materiali per il restauro”.

Nel terzo appuntamento l’archeologa Federica Rinaldi, direttrice del Colosseo, è in compagnia dell’archeologa Francesca Caprioli (PhD, ricercatrice e docente in collaborazione con Sapienza Università di Roma e UCLA), esperta del tempio di Vesta, che focalizza soprattutto la funzione simbolica del tempio che molto dipende dalla sua forma. “La forma architettonica del tempio di Vesta rimane invariata fin dalla sua origine”, spiega Caprioli. “Ovidio ci dice nelle Metamorfosi che è legata alla forma della terra. L’Aedes Vestae si caratterizza fin da subito per essere non un tempio ma un aedes vero e proprio, un sacrarium, quindi una custodia dell’ignis aeternus, del fuoco sacro che poi nella propaganda augustea si dice venisse direttamente da Enea, dalla città di Troia, proprio per garantire questo imperium sine fine che da allora per tutta la durata dell’impero romano doveva ardere all’interno di questo sacrario. La forma quindi rotonda e anche la sua caratteristica di custodire il fuoco sono testimoniati sia dall’elevato architettonico (il decor) sia dal nome stesso, aedes, che ha la stessa radice di edificio, viene dal verbo greco che significa bruciare, ha la stessa etimologia di aestas (estate), e della stessa Vesta (la greca Estia), e ancora di ustionare: quindi è la casa del fuoco. Questa casa del fuoco era quindi prima una capanna dalla forma circolare, e poi piano piano è stata monumentalizzata mantenendo sempre la forma rotonda e, anche nell’elevato, il concetto di capanna e di contenitore (del fuoco). Le monete ci testimoniano la conservazione della forma dei secoli. E si arriva all’incendio del 14 a.C. quando Augusto ricostruisce il sacrario di Vesta dandogli un aspetto leggermente diverso. Compare un podio sagomato su cui si impostavano le colonne. Questa iconografia augustea, di cui non abbiamo testimonianza, viene reiterata dopo l’incendio del 64 d.C. con l’intervento di Tito e Domiziano, e verrà in qualche modo fissata dalla metà del I sec. d.C. Com’era dunque il tempio di Vesta? Un edificio rotondo con 20/22 colonne con fusto rudentato, cioè riempite per un terzo dell’altezza del fusto (ricorderebbe – secondo alcuni studiosi – il gusto dell’incannucciata della capanna). Probabilmente si vuole dare l’idea di uno spazio chiuso, protetto. Le colonne esterne hanno due lati scalpellati proprio per l’introduzione delle transenne. I capitelli sono a foglie d’acanto, che simboleggiano il trionfo sulla morte, secondo l’iconografia scelta da Augusto dal linguaggio ellenistico per celebrare anche il suo trionfo sulla morte di Cesare. Questi capitelli mostrano un respiro di epoca flavia, e attraverso i confronti tipologici, è stato possibile attribuirli a un’officina corrente che in qualche modo restaura il tempio anche nella seconda metà del II sec. d.C. Il materiale del tempio è fortemente restaurato anche in antico: quindi è un materiale che reitera l’iconografia flavia per almeno tutto il II sec. d.C. in un’officina di stile corrente non particolarmente brillante per la qualità e che però in qualche modo porta avanti l’aspetto del tempio dell’inizio I sec. d.C.”

roma_foro_romano_tempio_vesta_federica-rinaldi_foto-PArCo

Federica Rinaldi, con una restauratrice, sui ponteggi del cantiere del Tempio di Vesta nel Foro romano (foto PArCo)

“Quello che non sembra essere stato restaurato in antico”, continua Caprioli, “sono i soffitti e anche il fregio che mostra gli instrumenta sacra: si vede il bucranio con le infulae (bende di lana bianca con cui si cingeva il capo dei sacerdoti, delle vestali e delle vittime sacrificali), l’urceulus (piccola brocca), il culter (coltello), la securis (ascia), la scatola dove si contenevano gli incensi. E si vede anche una patera, un altro culter, un ramo d’olivo con le drupe, e un’idria che era fondamentale nel culto curato dalle Vestali. Questo fregio sembra contestuale con un periodo che viene definito di stile proto-severiano, quindi simile al linguaggio architettonico del Pantheon: quindi anche questo aspetto potrebbe essere ascritto al restauro del tardo II sec. d.C. L’aedes Vestae guarda il tempio della diva Faustina, eretto nel 141 d.C. dall’imperatore Antonino Pio e dedicato alla moglie Faustina, e solo nel 161 d.C., alla morte dell’imperatore, dedicato a entrambi. Antonino Pio si è caratterizzato molto per la pietas, virtù che in qualche modo legava l’uomo attraverso la religio con le divinità, ed era anche ricordato come restitutum aedum sacrum: ciò è importante, perché Antonino Pio scelse per la costruzione del suo tempio, l’ultimo del Foro romano, la posizione proprio davanti l’antico tempio di Vesta. Ci sono due testimonianza che possono far pensare agli Antonini per il restauro del tempio di Vesta. Una è un medaglione in bronzo di Faustina che riproduce l’imperatrice come vestale maxima che sacrifica davanti a un tempio rotondo, sicuramente il tempio di Vesta. L’altra è il famoso medaglione d’argento di Iulia Domna che mantiene la stessa iconografia, su cui si basa la vulgata proprio per l’ultimo restauro del tempio che è quello che vediamo. Quindi dallo studio degli elementi architettonici del tempio di Vesta cogliamo un linguaggio di II secolo. Nel 191 d.C. fu danneggiato da un altro incendio, e fu di nuovo restaurato e ci sono dei frammenti che confermano questo rapporto modello-copia: quindi si perpetua in qualche modo un modello iniziato in età augustea. Era un simbolo, e questo simbolo appunto fu conservato vivo perché doveva essere come una sorta di miracolo sempre in piedi, sempre uguale, sempre del medesimo aspetto dall’epoca augustea fino, per lo meno, al 396, quando abbiamo l’ultima testimonianza dell’aedes Vestae: monumento della stabilità e dell’aeternitas dell’impero”.

roma_foro_romano_tempio_vesta_cantiere_foto-PArCo

Il cantiere di restauro del Tempio di Vesta nel Foro romano (foto PArCo)

roma_foro_romano_tempio_vesta_smontaggio-ponteggi_foto-PArCo

Smontaggio dei ponteggi del cantiere di restauro del Tempio di Vesta (foto PArCo)

Nel quarto appuntamento, avviandosi ormai il cantiere alla conclusione dei lavori, Federica Rinaldi, funzionario archeologo e Angelica Pujia, funzionario restauratore, illustrano le attività di restauro fino qui condotte. “Siamo di nuovo sui ponteggi. Stesso tempio, stesso tempio, diverse condizioni delle superfici”, inizia a spiegare Angelica Pujia. “Siamo arrivati quasi alla fine dei lavori, grazie a Irene Giuliani e al team di restauratrici che ha guidato. Come tutti gli interventi di restauro, anche questo è stata un po’ una sfida. Abbiamo avuto la possibilità di osservare il tempio dal basso, e quindi abbiamo ipotizzato alcune forme di degrado. Salire sul ponteggio però ci ha permesso di confrontare quello che era stato il degrado che noi avevamo individuato con la reale condizione di questo manufatto. Manufatto che è composto da materiali differenti con storie conservative estremamente diverse. L’anastilosi del tempio risale a circa novant’anni fa. Abbiamo materiali che sono stati preparati per la ricostruzione del tempio, come il travertino, e materiali invece come il marmo che hanno avuto un storia conservativa ben più lunga, perché fanno parte del monumento originale. Questo intervento ci ha permesso di verificare lo stato delle superfici rispetto a uno stato di partenza molto differente, e quindi materiali in opera da poco tempo rispetto a quelli antichi. E poi è stato interessante vedere il modo in cui i vari materiali sono stati rimontati, quali sono stati i metodi per la ricostruzione, e in che modo i materiali originali hanno reagito a queste sollecitazioni. Sono stati quindi elaborati metodi di pulitura, di consolidamento differenti non solo per i diversi materiali, ma anche per i diversi stati di conservazione che gli stessi materiali avevano nelle parti alte e nelle parti basse, e quindi sottoposti a fattori di degrado differenti. Abbiamo cercato di intervenire senza modificare più di tanto l’impostazione degli anni Trenta, ma restituendo l’idea filologica di un tempio nella sua forma architettonica.

roma_foro_romano_tempio_vesta_staff-tecnico_foto-PArCo

Lo staff che ha seguito il cantiere di restauro del Tempio di Vesta nel Foro romano (foto PArCo)

“Il restauro, oltre ad allungare la vita del bene culturale, è anche un momento di conoscenza. E quindi alla fine di ogni restauro le nostre conoscenze sono ampliate, e questo anche grazie al dialogo delle diverse figure professionali coinvolte, che hanno messo in relazione le notizie storico-artistiche con i risultati delle indagini scientifiche ma anche le informazioni sul sistema di ancoraggio dei singoli elementi. E abbiamo potuto anche fare il punto sulle condizioni strutturali del monumento. Abbiamo dovuto fare i conti con il travertino, usato nella ricostruzione, e con il marmo, usato dagli antichi, ma anche con i materiali usati per mettere insieme marmo e travertino, come il cemento: materiali che ora non utilizziamo più perché hanno proprietà meccaniche troppo differenti dai materiali antichi. Ma ormai sono interventi storicizzati che fanno parte del monumento”.