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Fara in Sabina (Ri). Il Carro del Principe di Eretum torna a casa. Ultimati la ristrutturazione e l’allestimento di Palazzo Brancaleoni, sede del museo civico Archeologico, si inaugura la sala dedicata al corredo della Tomba XI di Colle del Forno con il Carro del Principe, trafugato nel 1970 e restituito dalla Ny Carlsberg di Copenaghen nel 2016

fara-sabina_archeologico_nuove-sale_inaugurazione_locandinaIl Carro del Principe di Eretum torna a casa. Sabato 16 marzo 2024 il museo civico Archeologico di Fara in Sabina apre le sue porte al corredo funerario della Tomba XI della Necropoli di Colle del Forno e al suo reperto più celebre: il Carro del Principe di Eretum. Dopo un anno di lavori di ristrutturazione e di allestimento degli spazi museali di Palazzo Brancaleoni, verranno inaugurate le nuove sale dedicate all’esposizione dei preziosi materiali del VII sec. a.C., che qui troveranno una permanente collocazione. Il recupero, il restauro, la fruizione e valorizzazione del prezioso ritrovamento sono stati resi possibili dal lavoro sinergico del Comune di Fara in Sabina e della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti. Lo sforzo per consegnare alla comunità questo antico tesoro è intimamente legato alle vicende del suo “ritorno” in patria, che rendono ancora più significativa l’appartenenza di questi preziosi beni al suo territorio. Si era infatti persa traccia di gran parte del corredo del Carro di Eretum, saccheggiato e illecitamente esportato, fino a quando le autorità italiane hanno identificato tale patrimonio all’interno delle collezioni della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen e, dopo anni di trattative, grazie all’intervento del Comando TPC dei Carabinieri, hanno ottenuto indietro quanto a breve tutti potranno ammirare. L’evento avrà inizio alle 16 alla Collegiata di Sant’Antonino di Fara in Sabina (piazza del Duomo) con la conferenza di presentazione della Sala della Tomba XI di Eretum, per proseguire dalle 17 a Palazzo Brancaleoni, sede del museo Archeologico, con l’inaugurazione dei nuovi spazi museali.

rieti_palazzo-dosi_mostra-strada-facendo-il-lungo-cammino-del-carro-di-eretum_locandinaUn’anticipazione di questo evento atteso da anni c’era stata nel 2021 con l’allestimento della mostra “Strada facendo. Il lungo cammino del Carro di Eretum”, prima in Palazzo Dosi a Rieti e poi a Roma al museo nazionale Romano. Erano passati più di quarant’anni da quando la Tomba XI di Eretum (Colle del Forno – Montelibretti) era stata trafugata dai clandestini e venduta sul mercato antiquario. Il meraviglioso corredo della famiglia reale che governò l’antica città sabina, alleata di Veio e ben nota ai Romani per essersi a lungo opposta alla loro conquista, è tornato in patria dal museo Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen che lo aveva acquistato ed esposto nelle sue sale. In quell’occasione per la prima volta i reperti provenienti dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen e quelli conservati nel museo civico Archeologico di Fara in Sabina venivano presentati insieme nella mostra a cura di Alessandro Betori, Francesca Licordari e Paola Refice, con l’allestimento progettato da Daniele Carfagna. Un percorso articolato in tre sale di esposizione conduceva il visitatore indietro nel tempo fino al VII secolo a.C., per scoprire – col commento di una colonna sonora originale – uno spaccato significativo della civiltà sabina attraverso i corredi funerari della stirpe del misterioso e potente principe di Eretum. Sono passati altri tre anni, ma ora il carro del principe di Eretum è tornato definitivamente a casa.

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Il carro principesco di Eretum, trafugato da Fara in Sabina, quando era esposto al Ny Calsberg Glyptotek di Copenhagen (foto sabap-ri)

Il Cnr ha eseguito gli scavi nella necropoli di Colle del Forno, che comprende 40 tombe, a due riprese, 1971-1977 (Centro di Studio per l’Archeologia Etrusco-Italica) e 2003-2009 (Iscima). Il materiale della necropoli, compresa la tomba XI, è in studio da parte di Paola Santoro, dirigente di ricerca Cnr emerito, e di Enrico Benelli Cnr-IsMed che hanno eseguito un’ampia consulenza scientifica sia in occasione del restauro (effettuato nei laboratori del museo nazionale Romano, dalla restauratrice Marina Angelini), sia per l’esposizione del 2021, nella scelta dei materiali e nella redazione dei testi dei pannelli e dei cartellini. La maggior parte dei resti dei carri vennero trovati nel corso di uno scavo clandestino eseguito nel 1970, che ha portato alla dispersione di buona parte del corredo sul mercato antiquario illegale. La maggior parte dei pezzi furono acquistati dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen; nel 1979 Paola Santoro cominciò a sospettare che quegli oggetti comparsi improvvisamente a Copenaghen provenissero dalla tomba (che lei aveva trovato nel 1973, già devastata, e aveva potuto raccogliere solo una piccola parte dei materiali, quelli sopravvissuti al saccheggio del 1970). Nel 1995 il confronto fra i pezzi ha potuto dare la certezza della provenienza; in seguito i Carabinieri, nel corso delle indagini sull’attività di uno dei più noti trafficanti di opere d’arte, Giacomo Medici, hanno trovato tutta la documentazione relativa al contrabbando dei materiali. Da qui è partita una lunga procedura legale internazionale, che ha portato alla restituzione del materiale allo Stato italiano nel 2016 (vedi Il carro del principe sabino di Eretum, in lamine dorate (VII-VI sec. a.C.), protagonista della mostra “Testimoni di civiltà – L’art. 9 della Costituzione. La tutela del patrimonio culturale della Nazione”, aperta a Roma alla Camera dei Deputati con i reperti recuperati dal nucleo tutela patrimonio culturale dei carabinieri | archeologiavocidalpassato). La tomba XI non apparteneva solo al “principe” (cioè il signore che possedeva i due carri), ma c’era tutta la famiglia, per molte generazioni, dall’inizio del VII secolo a.C. alla fine del IV secolo a.C. (quindi circa 4 secoli di uso). Il ritorno del materiale da Copenaghen, la riunione con quello scavato da Paola Santoro, e il nuovo restauro hanno permesso di scoprire tante novità, che aiuteranno a capire la storia di questa tomba, molto più complicata di quanto si pensasse in origine.

Il carro del principe sabino di Eretum, in lamine dorate (VII-VI sec. a.C.), protagonista della mostra “Testimoni di civiltà – L’art. 9 della Costituzione. La tutela del patrimonio culturale della Nazione”, aperta a Roma alla Camera dei Deputati con i reperti recuperati dal nucleo tutela patrimonio culturale dei carabinieri

Il carro principesco di Eretum, trafugato da Fara Sabina, quando era esposto al Ny Calsberg Glyptotek di Copenhagen

Le lamine dorate del carro di Eretum recuperate dai carabinieri

Il prezioso carro da battaglia del principe sabino era il pezzo forte del corredo funebre, uno status symbol che doveva giacere accanto al suo signore, nella necropoli di Eretum, città sabina dell’antico Lazio, oggi Fara Sabina. Ma non c’era solo il principesco carro, in lamine dorate, che mani abilissime di artisti ciprioti o fenici nel VII-VI sec. a.C. avevano sbalzato, decorandole con figure di animali veri o fantastici, dai grandi uccelli ad ali spiegate alle sfingi, dai leoni che mangiano cerbiatti alle leonesse che coccolano i loro cuccioli. Nel corredo c’erano anche gioielli, il pettorale d’oro del principe, armi, scudi, cinture, bronzi, ceramiche. Il riposo del principe sabino è stato violato più di 25 secoli dopo. I tombaroli, siamo negli anni ’70 del secolo scorso, hanno depredato la tomba nella necropoli di Colle.  E i suoi tesori presero la via dell’estero acquisiti dai mercanti più in auge e spregiudicati di quegli anni, Robert Hecht con base a Parigi e Giacomo Medici a Ginevra. E finirono a Copenaghen, al Ny Calsberg Glyptotek, che nel 1971 per il solo corredo del principe staccò un assegno di 1.264.752 franchi svizzeri. Non stupisce che per anni il museo danese si sia rifiutato di restituire all’Italia il tesoro di Eretum, comprato a caro prezzo.  Ma per fortuna il clima è cambiato. E grazie a un accordo siglato dal Mibact con il Ny Calsberg Glyptotek di Copenhagen, il prezioso corredo funebre del principe sabino di Eretum completo del suo celeberrimo calesse nel 2017 è tornato a casa. “Una crisi trasformata in opportunità”, commenta soddisfatto il ministro della cultura Dario Franceschini e che apre un capitolo di collaborazioni con il museo danese. In cambio delle restituzioni l’Italia infatti si è impegnata a prestare a Copenaghen anche per lunghi periodi, altri gioielli del suo patrimonio, che in Danimarca troveranno una vetrina adeguata e in qualche caso anche i restauri che in patria non si era ancora riusciti a fare o completare. Il primo prestito partirà, dal 1° novembre 2018, e arriverà dal Museo di Vulci, anticipa ancora Alfonsina Russo. Sarà composto da alcuni reperti della “Tomba delle mani d’argento”, ai quali si aggiungono oggetti provenienti da depositi votivi, sempre di Vulci, e corredi delle necropoli di Capena, Crustumerium e Fidene, che verranno anche restaurati dagli esperti della istituzione danese.

Il manifesto della mostra “Testimoni di civiltà” alla Camera dei Deputati

Prima di tornare nei luoghi di origine le lamine dorate del carro del principe sabino di Eretum, riassemblate per l’occasione, è il protagonista della mostra “Testimoni di civiltà  – L’art. 9 della Costituzione. La tutela del patrimonio culturale della Nazione”, aperta dal 24 gennaio al 28 febbraio 2018 dalle 10 alle 18 (apertura dal lunedì al venerdì) nella “Sala della Lupa” di Palazzo Montecitorio, promossa con il sostegno della Camera dei Deputati ed organizzata dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. La mostra vuole celebrare il settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Legge Fondamentale dello Stato Italiano, attraverso l’esposizione di un’importante selezione di opere recuperate da questo Reparto Speciale dell’Arma dei Carabinieri, grazie ad attività investigative, all’azione della “Diplomazia culturale” o alle operazioni di messa in sicurezza del patrimonio culturale colpito dagli eventi sismici del 2016 che hanno interessato l’Italia centrale. In mostra 14 importanti opere, molti i reperti archeologici, tra le quali spicca il carro di Eretum, per la prima volta esposto in Italia dopo il recente rimpatrio dalla Danimarca.

La Triade Capitolina trafugata da Guidonia nel 1992 e recuperata a Livigno dai carabinieri

Può anche essere ammirato il noto gruppo scultoreo “Triade Capitolina”, rinvenuto negli anni ’90 nel corso di scavi clandestini, nonché la grande tela d’altare di Giovan Battista Tiepolo della chiesa di San Filippo Neri di Camerino, messo in sicurezza a seguito dei drammatici eventi sismici che si sono verificati in Italia nel 2016. La “Triade Capitolina” fu ritrovata quasi integra a Guidonia (Roma) nel 1992 al parco dell’Inviolata, dove ora sorge una discarica. Dopo il ritrovamento, la Triade subì alterne vicende. Fu infatti trafugata, e due anni dopo, nel 1994, fu recuperata a Livigno dal nucleo investigativo dei Carabinieri e posta nel museo Archeologico di Palestrina. Infine è stata ricollocata nella sua legittima sede di Guidonia-Montecelio. E ora è temporaneamente esposta nella mostra di Roma. La Triade di Guidonia dovrebbe risalire all’età tardo-antonina (188 – 217 d.C.), epoca dell’imperatore romano Caracalla. Il gruppo scultoreo, in marmo lunense, rappresenta Giove, Giunone e Minerva, cari a quel culto tipicamente romano volto ad identificare la grandezza di Roma anche dal punto di vista religioso. Le tre divinità sono sedute su un unico trono. Giove, al centro, con lo scettro nella sinistra ed un fascio di fulmini nella mano destra; alla sua sinistra Giunone velata, con diadema, scettro nella sinistra e patera nella destra; alla sua destra Minerva con elmo corinzio, il braccio destro, mancante, che doveva essere sollevato per sostenere l’elmo. Tre piccole Vittorie alate incoronano le divinità, Giove con una corona di quercia, Giunone di petali di rosa, Minerva di alloro. Ai loro piedi gli animali della tradizione sacra: l’aquila, il pavone e la civetta.

La testa di Tiberio rubata dal museo di Sessa Aurunca nel 1944

La testa di Druso Minore recuperata negli Usa

Gli straordinari ritratti dell’imperatore Tiberio e del figlio Druso Minore, entrambe sculture del I sec. d.C., ci ricordano invece di un furto lontano nel tempo. Le due sculture furono sottratte dal museo di Sessa Aurunca (Caserta) nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, e sono state recuperate negli Stati Uniti d’America solo nel 2017. Le lunghe e complesse indagini che hanno portato i carabinieri del comando tutela patrimonio culturale al recupero dei due ritratti marmorei sono partite dall’esame di una pubblicazione del 1926, sullo scavo archeologico dell’antico teatro romano di Sessa Aurunca. All’interno della pubblicazione è stato possibile acquisire notizie sul ritrovamento di 4 teste in marmo. Tra queste, c’erano anche quelle di Tiberio e di Druso. Dopo il furto infatti la testa di Tiberio approdò negli Stati Uniti e infine fu acquistata da un collezionista che la espose al museo di New York nel 2004. Dopo l’esposizione newyorkese i carabinieri rintracciarono il collezionista che decise di restituire il marmo all’Italia. La testa di Tiberio è tornata in Italia il 19 gennaio 2017.  La testa di Druso scomparve mentre le truppe alleate stavano risalendo lo stivale, probabilmente sottratta dalle truppe algerine al seguito dei francesi, che la trasportarono in Nord Africa. Di qui più tardi Druso finì a Parigi, dove venne venduto all’asta finendo nel 2004 tra le opere del Cleveland museum of Art, in Ohio, il quale ha concordato in aprile 2017 la sua restituzione con il ministero dei Beni Culturali. E dal settembre 2017 è tornata in Italia.

Il rilievo funerario palmireno trafugato dalla Siria e ritrovato ad Asti

Finora abbiamo “riscoperto” capolavori archeologici trafugati dall’Italia e rintracciati all’estero dove erano finiti attraverso i canali del mercato antiquario illegale. Ma in mostra alla Camera dei Deputati troviamo anche un bel rilievo funerario palmireno. Perché? Se il patrimonio culturale italiano è stato oggetto di spoliazioni, l’Italia è a sua volta tappa o terminale del traffico illegale di reperti archeologici dal Vicino Oriente, martoriato ormai da molti anni da conflitti che hanno messo in crisi il controllo capillare del territorio. Così il nucleo tutela del patrimonio culturale dei carabinieri interviene anche per smantellare il mercato antiquario clandestino in entrata. Come è il caso di questo rilievo funerario palmireno, esportato clandestinamente dalla Siria e sequestrato in un’abitazione privata ad Asti nel 2011.