Napoli. “Un re, una capitale, un presepe”: nella sala della Villa dei Papiri, al museo Archeologico nazionale, il presepe continuum dell’Associazione Presepistica Napoletana dedicato a Carlo III di Borbone e ai primi scavi di Ercolano e Pompei

Presepe continuum 2022 al Mann: la scena che illustra la Natività inserita nella cronaca dei primi scavi borbonici a Ercolano e Pompei (foto graziano tavan)

Presepe continuum 2022 al Mann: la scena che illustra il trasporto delle antichità alla Reggia di Portici con la creazione del Museo Ercolanese (foto graziano tavan)

Presepe continuum 2022 al Mann: la scena che illustra il re Carlo di Borbone che sfoglia il volume sulle Antichità Ercolanesi e affronta il piano di rinnovamento del regno di Napoli (foto graziano tavan)

Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, davanti al presepe continuum 2022 (foto graziano tavan)
Un re, una capitale, un presepe: un continuum con l’antico. Nella sala della collezione Villa dei Papiri, al museo Archeologico nazionale di Napoli, nelle festività si può ammirare il presepe che l’Associazione Presepistica Napoletana ha dedicato, quest’anno, a Carlo III di Borbone: la suggestiva installazione si divide in tre scene diverse, che narrano i primi ritrovamenti archeologici nelle città vesuviane del Settecento. L’allestimento non è un presepe bensì lo storytelling presepiale dei primi scavi a Ercolano e Pompei durante il regno di Carlo di Borbone e del riflesso che le riscoperte ebbero sui presepi allestiti a corte e nelle case della nobiltà napoletana della seconda metà del Settecento in poi. A raccontarlo le trasposizioni presepiali di pitture, bronzi e sculture scelti tra le collezioni del Mann. Capolavori che rivivono nelle scene e nelle figure senza tempo del presepe napoletano, a testimonianza dei valori identitari straordinari. A questi si affiancano i personaggi della storia e primi tra tutti Carlo di Borbone, con gli uomini e le donne che lo accompagnarono nell’avventura archeologica e non solo. Dall’erudizione antiquaria alla divulgazione scientifica, l’allestimento è un focus sul piano del rinnovamento che Carlo di Borbone volle attuare per il regno di Napoli a partire dalla Capitale e di cui l’archeologia e la pubblicazione dei ritrovamenti divennero uno dei cardini più importanti.
“Il Mann ha sempre creduto che le identità della città non fossero solo quelle antiche ma anche quelle più recenti”, spiega ad archeologiavocidalpassato.com Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli.

Presepe continuum 2022 al Mann: riproduzione frammento affresco delle Villa dei Misteri di Pompei (foto graziano tavan)
“Una di queste è sicuramente il presepe attorno al quale si incontrano tutti i napoletani ma che è anche oggetto di visione e di ricerca da parte di turisti e da parte di interessati. Quest’anno abbiamo presentato una ricostruzione eccezionale dei momenti degli scavi di Carlo di Borbone tra Ercolano e Pompei, e in particolare la villa dei Papiri. Ci sono dettagli incredibili come il sovrano che sfoglia il primo volume delle Antichità di Ercolano; citazioni colte con personaggi che hanno la stessa raffigurazione delle statue della villa dei Papiri; ma soprattutto tante antichità che vengono portate in giro e vengono messe dentro le casse dai personaggi. Quindi è una storia nella storia senza scordarsi naturalmente che il simbolo del presepio è un simbolo di rinascita e di vita nuova per tutti”.

Presepe continuum 2022 al Mann: le lavandaie, che si ispirano alle Danzatrici dalla villa dei Papiri di Ercolano (foto graziano tavan)
“Il progetto di quest’anno”, illustra per archeologiavocidalpassato.com Enzo Nicolella, direttore artistico dell’Associazione Presepistica Napoletana, “nasce da un’esigenza, quella di aver avuto come disponibilità la sala della villa dei Papiri per allestire il nostro presepe annuale qui all’interno del museo Archeologico, come facciamo dal 2018. I nostri allestimenti hanno sempre un taglio archeologico, quindi le opere, i capolavori delle collezioni museali diventano la naturale trasposizione presepiale di pastori. E quindi ecco che bronzi affreschi mosaici e anche marmi diventano delle figure presepiali che raccontano storie che sono anche diverse da quelle che vengono poi direttamente dai canoni evangelici e che sono piuttosto storie legate a quella che è stata l’evoluzione del presepe attraverso il riflesso di tutto quello che è il mondo dell’Archeologia, in particolare stando all’interno del Mann.

Presepe continuum 2022 al Mann: il pozzo di Enzechetta (foto graziano tavan)
“Quindi si parte in questo allestimento dal Pozzo di Enzechetta che viene visitato nel 1738 da Roque Joaquín de Alcubierre, che era un colonnello dell’esercito borbonico, che era stato – come è noto – incaricato di fare i rilievi per la realizzazione della villa di Portici. Il Pozzo di Enzechetta insieme a quello di Spinetta danno poi l’avvio ufficiale allo scavo sistematico di Ercolano.

Presepe continuum 2022 al Mann: riproduzione di vasellame, lucerne e bronzi dagli scavi di Ercolano e Pompei (foto graziano tavan)
“Noi abbiamo riprodotto affreschi, elementi di minuterie, oggetti in bronzo, le lucerne, e tutto il vasellame realizzato in scala minuziosamente rispetto a quello in originale, e tutto quello che era poi il riflesso di queste riscoperte sul presepe.

Presepe continuum 2022 al Mann: la famiglia reale in visita agli scavi (foto graziano tavan)
“C’è la famiglia reale in visita agli scavi, ci sono i personaggi che hanno contribuito alla realizzazione del piano di rinnovamento di Carlo di Borbone che pone per il nuovo regno a partire dalla capitale e che inizialmente non prevedeva ci fosse questa avventura archeologica. E che divenne poi uno dei cardini più importanti del piano di rinnovamento di Carlo per dargli anche una grande visibilità sulle altre corti d’Europa.

Presepe continuum 2022 al Mann: re Carlo di Borbone visiona il primo tomo delle Antichità di Ercolano (foto graziano tavan)
“Quindi c’è la presentazione del primo tomo delle Antichità di Ercolano esposte e c’è l’originale esposto ovviamente in vetrina. Quindi c’è una trasposizione non solo delle statue ma anche del libro in questo caso.

Presepe continuum 2022 al Mann: un personaggio con le movenze dei Corridori della Villa dei Papiri di Ercolano, che si vedono sullo sfondo (foto graziano tavan)
“Abbiamo i Corridori della sala della Villa dei Papiri che diventano dei mandriani, abbiamo l’Ermes a riposo che è anch’egli un mandriano.

Presepe continuum 2022 al Mann: la Natività ispirata a personaggi raffigurati negli affreschi pompeiani (foto graziano tavan)
“Quindi la Donna diventa l’Afrodite, il San Giuseppe diventa il vecchio saggio della Scuola Ellenistica, la Stefania questa giovane fanciulla che fa visita al Bambino Gesù appena nato diventa la ninfa Peithò che accompagna l’Eros punito alla madre Afrodite. Quindi – conclude Enzo Nicolella – c’è un doppio riferimento alla cultura classica che nello stesso tempo poi diventa tradizione popolare napoletana”.
Napoli. Atmosfere natalizie al museo Archeologico nazionale: mostra “Il Presepe cortese”, libro “Il Presepe”, presepe continuum su Carlo III di Borbone. E campagna promozionale di abbonamento al Museo. Giulierini: “Raccontiamo l’arte presepiale con un nuovo spirito di comunicazione”

Atmosfere natalizie al museo Archeologico nazionale di Napoli con la mostra “Il Presepe cortese” (foto valentina cosentino)
Atmosfere natalizie al museo Archeologico nazionale di Napoli. Dal 1° dicembre 2022 al 31 gennaio 2023, in tre sale limitrofe alla sala della Meridiana, la mostra “Il Presepe cortese”: i primi due ambienti ospitano un video immersivo, che permette al visitatore di entrare letteralmente nelle scene e nelle architetture del presepe di Carlo, mentre l’ultimo spazio è riservato a pezzi da collezione di pastori settecenteschi. Mercoledì 7 dicembre 2022, alle 11.30, in auditorium, prima presentazione napoletana del libro “Il Presepe” (Il Mulino Edizioni) di Elisabetta Moro e Marino Niola. E a seguire, inaugurazione del presepe continuum del Mann, realizzato dall’Associazione presepistica napoletana: l’edizione 2022, allestito nelle sale della Villa dei Papiri, è dedicato alla figura di Carlo III di Borbone.

Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e il direttore del Mann Paolo Giulierini alla inaugurazione della mostra “Il Presepe cortese” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto valentina cosentino)
Mostra “Il Presepe cortese”. Tradizione e multimedialità si incontrano per raccontare il presepe napoletano del Settecento: si parte, virtualmente, dalla corte di Carlo III di Borbone, sovrano promotore di una “moda” che, nei secoli, sarebbe diventata arte, tradizione, folclore. “Il presepe cortese”, commenta il direttore del Mann, Paolo Giulierini, “è un’iniziativa di altissimo profilo culturale, perché sublima la grande arte presepiale con uno spirito contemporaneo di comunicazione. Questa esperienza immersiva è un vero e proprio atto d’amore per un mondo che vale il riconoscimento UNESCO”.

Particolarmente coinvolgente l’allestimento multimediale della mostra “Il Presepe cortese” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto valentina cosentino)
Curato da Fabrizia Fiore (presidente associazione “Il miracolo di Carlo III”), l’allestimento multimediale è realizzato dall’architetto Marco Capasso e dal suo studio creativo: anche grazie alle musiche evocative di Antonio Fresa, il pubblico riesce a scoprire, in dettaglio, i personaggi, le storie e i significati simbolici del “grande teatro” rappresentato dal presepe settecentesco. In questo viaggio suggestivo, che intreccia i termini del sacro e del profano, sono molteplici i riferimenti storici da approfondire: dal dinamismo di Carlo di Borbone, che lanciò la “nouvelle vague” presepiale al fermento di una capitale europea come Napoli, vero e proprio baluardo per gli intellettuali di tutto il mondo.

Alla mostra “Il Presepe cortese” al Mann esposti pezzi da collezione (foto valentina cosentino)
L’esposizione si conclude con una carrellata di pezzi collezionistici che sono imperdibili, per gli intenditori e non solo: una “Natività” di Giuseppe Sanmartino, appartenente alla collezione Accardi; un Oste di Nicola Somma (la statuetta, con la sua espressione arcigna e il porro sulla fronte, simboleggia nel presepe il Demonio, perché nel racconto evangelico fu proprio l’oste a cacciare la Madonna e San Giuseppe, costringendoli a rifugiarsi in una stalla); un nobile di Salvatore Di Franco, in abito tipico del Settecento in velluto e seta di San Leucio, con bottoni in filigrana d’argento alla catalana, rappresenta la variegata società del tempo; un nobile orientale, con cane, di Matteo Bottiglieri (nel gruppo è raffigurato il Corteo dei Magi in omaggio alle ambasciate del Sultano Ottomano e del Bey di Tripoli che, in visita a Napoli tra il 1740 e 1741, destarono lo stupore della popolazione e, per questo, furono inserite nel Presepe).
L’evento “Il Presepe cortese” inaugura la programmazione natalizia del Museo: come da tradizione, riparte anche la campagna di abbonamento annuale OpenMANN. Dal 4 dicembre 2022 all’8 gennaio 2023, è possibile acquistare la card a prezzi promozionali: 19 euro per adulto; 34 per coppie (due adulti over 25 anni + minorenni); 4 per opzione Academy (studenti universitari o iscritti alle scuole di specializzazione, senza limiti di età). OpenMANN permette di accedere illimitatamente a collezioni permanenti ed esposizioni dell’Archeologico per 365 giorni dalla data di prima attivazione: chi si abbona presso la biglietteria dell’Istituto ha anche un piccolo cadeau.
Il libro “Il Presepe” (Il Mulino Edizioni) di Elisabetta Moro e Marino Niola viene presentato per lo “Scaffale del Mann”, come si diceva, in auditorium, mercoledì 7 dicembre 2022, alle 11.30, dal direttore Paolo Giulierini che dialoga con gli autori. Il presepe è la Buona Novella che diventa presente. È la Natività che rinasce. E ogni anno si fa storia viva. Universale e locale. Perché ogni paese ne fa lo specchio di sé stesso. Il presepe francescano rappresenta la Natività, il presepe napoletano rappresenta l’umanità; e per questo ha conquistato l’immaginario globale, ed è amato da credenti e non credenti. Perché la versione partenopea della nascita di Gesù è un teatro della devozione dove si fondono e si confondono sacro e profano. E dove, in pochi centimetri quadrati di sughero e cartapesta, si raduna una straboccante folla multicolore e multietnica: pastori, mercanti, suonatori, venditori ambulanti, osti, lavandaie, cuoche, contadine, tessitrici, balie, re neri, visir ottomani, schiavi nubiani. Cui anno dopo anno si aggiungono personaggi dell’attualità. Risultato, una storia infinita e sorprendente, nella quale alla viva voce degli autori si sovrappone il racconto di testimonial eccellenti. Viaggiatori, artisti, scrittori, teologi e anche Papa Francesco che, in una lettera ai fedeli, esorta le famiglie a continuare questa tradizione che si può considerare un Made in Italy della religione.
Ercolano. Il parco archeologico riapre il Teatro antico, ogni sabato con sei turni da 10 partecipanti: cinquanta minuti di emozioni forti a 25 metri di profondità, con caschi, mantelline e torce, in un viaggio nel tempo attraverso i cunicoli settecenteschi

Il Teatro antico di Ercolano a 25 metri di profondità, raggiungibile attraverso i cunicoli settecenteschi nella lava (foto Pier Paolo Metelli – Arte’m)
Cinquanta minuti di emozioni forti a 25 metri di profondità alla scoperta del Teatro antico di Ercolano. Da sabato 23 aprile 2022 ripartono infatti le visite al percorso sotterraneo del Teatro del parco archeologico di Ercolano. I visitatori potranno trasformarsi in veri e propri esploratori con caschi, mantelline e torce, forniti dal parco archeologico di Ercolano, per andare alla scoperta della storia dell’antica città. Il Teatro sarà visitabile ogni sabato fino a dicembre 2022, con una pausa estiva nei mesi di luglio e agosto: alle 9, 10 (turno in lingua inglese), 11, 14, 15 (turno in lingua inglese) e 16. Sei turni di visita, per gruppi formati da non più di 10 persone per volta. I visitatori verranno condotti in un viaggio nel tempo attraverso i cunicoli settecenteschi accompagnati dal personale del Parco nell’ambito di un progetto speciale finanziato con i proventi dei biglietti. I biglietti potranno essere acquistati on line sul sito www.ticketone.it, o direttamente presso la biglietteria del Parco; con l’occasione della riapertura del teatro verranno attivate nuove tariffe estremamente vantaggiose per favorire la visita e la conoscenza di questo tesoro nascosto. Biglietto ingresso Teatro antico di Ercolano: 5 euro. Biglietto integrato ingresso parco archeologico di Ercolano + Teatro antico di Ercolano: 15 euro. Biglietto ridotto previsto unicamente per il biglietto solo teatro di 2 euro per ragazzi con età compresa tra i 18 e i 25 anni (+ diritti di prevendita di 1.50 solo per acquisto online).

Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano, nel teatro antico di Ercolano (foto paerco)
“Il teatro si trova in un’area nevralgica per la ricucitura tra le due Ercolano, l’antica e la moderna”, interviene il direttore Francesco Sirano, “dove abbiamo concentrato gli sforzi di rigenerazione urbana per realizzare nuovi spazi pubblici d’intesa con il Comune e con il Packard Humanities Institute. L’area del teatro è anche luogo privilegiato per accedere al famoso mercato di Resina e al centro storico di Ercolano. Anche così il Parco interpreta il suo ruolo sociale di catalizzatore. La visita sarà una vera e propria esperienza di esplorazione sulle tracce dei visitatori che nei secoli hanno attraversato alla luce delle fiaccole i pozzi e le gallerie creati dagli ingegneri dell’esercito borbonico. Un percorso sotterraneo che ci trasporta indietro nei secoli e ci rende protagonisti di una scoperta che si rinnova ogni volta sotto i nostri occhi stupefatti”.

Visitatori al Teatro antico di Ercolano con caschi, mantelline e torce (foto paerco)
Qualche attenzione per la visita. Il percorso è sotterraneo e raggiunge circa 25 metri dalla quota stradale. La visita è riservata ai maggiorenni. L’appuntamento è presso la biglietteria del Parco archeologico 30 minuti prima dell’inizio del proprio turno di visita. La pavimentazione è bagnata in più punti ed è scivolosa a causa della presenza di sedimentazioni calcaree e di acqua. Inoltre, il percorso prevede molti gradini. Pertanto, non è adatto ai soggetti claustrofobici e alle persone con problemi di deambulazione o in gravidanza, ovvero con patologie influenzabili dal contesto di visita. Per motivi di sicurezza si richiede ai visitatori di portare con sé solo borse di piccole dimensioni. È obbligatorio l’uso di scarpe chiuse, basse, resistenti ed impermeabili. è preferibile l’utilizzo di scarpe da trekking. Si consiglia nei periodi estivi di munirsi di maglie o giacche comode, da indossare prima della visita, dato il considerevole sbalzo termico da affrontare durante il percorso.

Scavi borbonici nell’area vesuviana in una stampa dell’epoca
Il Teatro Antico di Ercolano. Sepolto dall’eruzione del 79 d.C., il Teatro Antico del parco adi Ercolano, nel 1738, fu il primo monumento ad essere scoperto nei siti vesuviani nel corso del Settecento. Nella città di Resina un contadino di nome Ambrogio Nucerino, detto Enzechetta, stava scavando un pozzo quando si imbatté in resti antichi. Enzechetta, senza volerlo, aveva fatto una scoperta sensazionale, aveva trovato il teatro di Ercolano e il pozzo da lui creato si trasformò in una macchina del tempo capace di trasportare in pochi minuti nell’antica città sepolta. Ben presto la notizia arrivò al principe Emanuele Maurizio di Lorena, duca d’Elboeuf che condusse a sue spese per nove mesi gli scavi e nella zona dal pozzo iniziarono ad essere prelevati marmi antichi e statue che il principe utilizzò per abbellire la villa che stava costruendo sul porto del Granatello di Portici. Nel 1738, il re Carlo III di Borbone diede avvio ad un’intensa attività di scavo che segnò il punto di inizio dell’archeologia occidentale moderna.

Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano, mostra la pianta del teatro antico di Ercolano (foto paerco)
Il teatro di Ercolano aveva una capienza di circa 2500 persone, fu costruito all’epoca dell’imperatore Augusto. Uno dei pochi teatri antichi dei quali conosciamo non solo il nome del benefattore che ne finanziò la costruzione (Lucio Annio Mammiano Rufo), ma anche quello dell’architetto (Publio Numisio). La forma del teatro è quella tipica romana con la cavea divisa in tre ordini: ima, media e summa cavea. Le persone prendevano posto nei diversi settori in base allo status sociale, la zona più bassa era quella di maggiore prestigio, e al genere (le donne in summa cavea). Nella parte superiore della cavea sono stati rinvenuti tre tempietti che dovevano ospitare statue di imperatori. Al di sopra dei passaggi di uscita, posti ai lati della cavea, si trovavano i tribunalia, una sorta di palchi d’onore riservati ai VIP dell’epoca. I due tribunalia conservano le iscrizioni marmoree dedicate a Marco Nonio Balbo, benefattore di Ercolano, e ad Appio Claudio Pulcro, membro di un’importante famiglia di Roma. Il fronte scena aveva l’aspetto di una facciata di un edificio classico, diviso in due ordini, decorato con colonne colorate e statue inserite in nicchie. Aveva le tre classiche aperture: la porta regia al centro e le due laterali, dette hospitales, che consentivano l’ingresso in scena degli attori. L’unica copertura del teatro era costituita dal velarium, composto da grandi teli che venivano aperti nei giorni caldi per proteggere gli spettatori dal sole.

L’ingresso al Teatro antico di Ercolano in corso Resina (foto Pier Paolo Metelli – Arte’m)
Il teatro suscitò grande interesse fin dal suo ritrovamento; nel corso del Settecento e dell’Ottocento divenne luogo scelto dai colti viaggiatori che giungevano a Napoli da ogni parte d’Europa e divenendo tappa del Grand Tour. Il monumento è ancora oggi accessibile attraverso le scale realizzate in età borbonica, scendendo a più di 20 metri sotto il materiale eruttivo. Il percorso è concepito come una vera e propria esplorazione: i visitatori possono avventurarsi in un luogo unico e suggestivo, in cui sono presenti, oltre ai resti dell’antico edificio, reperti, graffiti lasciati nei secoli dai visitatori, che alla luce delle fiaccole attraversarono nel XVIII e XIX secolo le gallerie e i pozzi creati per penetrare nelle viscere dell’antica Ercolano, e si possono ammirare persino piccole stalattiti. Il teatro inoltre è legato a filo doppio alla storia della moderna Resina, oggi Ercolano. Infatti, durante la Seconda Guerra Mondiale fu utilizzato come rifugio ed entrò nella storia e nei racconti dei cittadini.
Parma. Inaugurata al Complesso della Pilotta la grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere”. Ecco una speciale visita guidata con i video live del direttore Simone Verde e di altri curatori di sezione
Una mostra da non perdere. Meglio, occasione per “scoprire” il Complesso della Pilotta a Parma ripercorrendo le vicende da cui nacque la sua avventura culturale, ovvero la storia della collezione Farnese, delle sue pratiche enciclopediche ispiratrici – anche dopo il trasloco di volumi, quadri e antichità a Napoli – per il risarcimento delle raccolte sottratte a Parma da Carlo di Borbone. La grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere” inaugurata il 18 marzo 2022 è tutto questo e molto ancora. La mostra è dedicata alla committenza della famiglia Farnese, con l’obiettivo d’indagare la straordinaria affermazione della casata nella compagine politica e culturale europea dal Cinque al Settecento, attraverso l’utilizzo delle arti come strumento di legittimazione. Il progetto scientifico presenta una doppia novità, quella di trattare i temi del collezionismo rinascimentale con gli strumenti della Global History, e di includere nel mecenatismo della famiglia le grandi fabbriche architettoniche. Realizzata dal Complesso Monumentale della Pilotta in collaborazione con Università di Parma, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio di Stato di Parma, Ordine degli Architetti PPC di Parma, Fondazione Cariparma, Fondazione Arturo Toscanini, con il sostegno del Comune di Parma, del Comitato per Parma 2020, della Provincia di Parma e in partenariato con Electa, la partecipazione di Ambassade de France en Italie, Regione Emilia-Romagna Servizio Patrimonio culturale e Amici della Pilotta, “I Farnese. Architettura arte potere” si può visitare fino al 31 luglio 2022. La mostra è patrocinata dal Ministero della Cultura, è inserita nei progetti di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21 e ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica.
L’esposizione coinvolge gli ambienti più spettacolari del Complesso Monumentale e s’inserisce nel più ampio progetto di rilancio dell’Istituto, che nel 2022 inaugura la totalità dei suoi spazi restaurati e riallestiti. La rassegna presenta oltre 300 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane ed europee insieme a opere della Collezione Farnese a Parma. Il percorso espositivo, sviluppato su diversi nuclei tematici, Architettura, Arte, Potere è articolato nei diversi spazi del Complesso della Pilotta: i Voltoni del Guazzatoio, il Teatro Farnese, la Galleria Petitot della Biblioteca Palatina e la Galleria Nazionale. Ad accompagnare l’iniziativa una serie di pubblicazioni che approfondiranno la storia globale del collezionismo farnesiano, con contributi dei maggiori studiosi al mondo di questo tema, e le complesse vicende della committenza artistica e architettonica. Per presentare la mostra proponiamo una speciale visita guidata con il direttore del Complesso della Pilotta, Simone Verde, e alcuni curatori di sezione, attraverso dei video live dei protagonisti che illustrano gli aspetti più significativi della mostra in generale e delle sezioni in particolare.
Bruno Adorni, storico dell’Architettura, e co-curatore della sezione dedicata alle architetture dei Farnese nella grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere” al Complesso della Pilotta a Parma, introduce alla sezione: 200 disegni di architettura – dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Galleria degli Uffizi, dalle raccolte grafiche statali di Monaco di Baviera, dagli Archivi di Stato di Parma, Piacenza, Napoli, Roma e Modena, dalla Biblioteca Nazionale di Napoli, dalla Reverenda Fabbrica di San Pietro e dello stesso Complesso Monumentale della Pilotta – presentano il quadro complessivo dell’architettura farnesiana dal punto di vista storico, urbano e territoriale, mettendo in rilievo la relazione tra questa disciplina e l’affermazione dinastica in termini di prestigio, espansione e visionarietà della committenza.
Bruno Adorni, storico dell’Architettura, e Simone Verde, direttore del Complesso della Pilotta, si soffermano sulla pianta iconografica della Pilotta esposta nella sezione Architettura della grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere” al Complesso della Pilotta a Parma. Concepito originariamente come contenitore dei servizi della corte farnesiana con lo scopo di integrare il sistema delle residenze ducali, la realizzazione del monumentale palazzo della Pilotta ebbe inizio con ogni probabilità intorno al 1583, durante gli ultimi anni del ducato di Ottavio Farnese (1547-1586) su progetto dell’urbinate Francesco Paciotto. Primo nucleo fu il cosiddetto Corridore, una galleria sopraelevata (oggi la Galleria Petitot della Biblioteca Palatina). Dal 1602 Ranuccio I contribuì a definire quello che, ancora oggi, è l’assetto della Pilotta, quale severo edificio organizzato a creare un sistema di corti, connesso con il palazzo Ducale (distrutto dopo l’ultima guerra) e con quello del Giardino, sito sull’altra sponda del torrente Parma. I cortili interni e le ali realizzate da milioni di mattoni erano destinati a contenere magazzini, scuderie, caserme, nonché una grandiosa sala “polifunzionale” poi trasformata in teatro di corte. Il complesso deriva il suo nome dal gioco nobiliare della “pelota” che si praticava nei suoi cortili.
Simone Verde, direttore del Complesso della Pilotta, spiega perché il Teatro Farnese, terminato nel 1618, ma inaugurato solo dieci anni dopo, fa parte integrante del percorso della grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere” al Complesso della Pilotta a Parma. La costruzione di una sala di spettacolo non fu una impresa ordinaria. La riscoperta del teatro antico, infatti, datava solo dai primi decenni del Cinquecento e aveva introdotto codici in netta rottura con le abitudini medioevali. Fu proprio nella reinvenzione del teatro, perciò, limitato nei secoli precedenti a rappresentazioni sacre nelle chiese o nelle piazze, che un nuovo modo di concepire i rapporti tra individuo e società, uomo e Dio, conobbe una delle forme più originali e caratteristiche dell’Europa moderna. Finalizzata a stupire per magnificenza, la sala era lunga 87 metri, larga 32 e alta 22, sovradimensionata rispetto alla piccola corte e per questo utilizzata solo nove volte, sempre per eventi dinastici, l’ultimo dei quali nel 1732 in onore di don Carlo di Borbone. Le rappresentazioni inscenate nell’edificio vennero tutte pensate come fulcro di complessi cortei propagandistici che si snodavano con scenografie effimere lungo il percorso che conduceva in città le nuove duchesse.
Grazie alla mostra “I Farnese. Architettura, Arte, Potere”, oggi le città di Napoli e Parma tornano a unirsi nel segno dei Farnese e, in particolare, nel nome di Elisabetta Farnese che fece dono al figlio Carlo di Borbone, Re di Napoli dal 1734, di una parte cospicua della collezione ponendo il Regno di Napoli al cospetto dei grandi reami europei. Sostanziali i prestiti dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dal Museo Archeologico nazionale di Napoli.
Simone Verde, direttore del Complesso della Pilotta, illustra le ragioni che hanno portato all’allestimento della Galleria del Duca con l’esposizione della collezione farnese, a iniziare dalla Wunderkammer, andata distrutta nell’ultima guerra: più di 80 oggetti dal Gabinetto delle Cose Rare del Museo e Real Bosco di Capodimonte tra cui la Cassetta Farnese, insieme alla Tazza Farnese dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, alle monete e medaglie del Complesso Monumentale della Pilotta e ai pezzi della Collezione Gonzaga di Guastalla confluiti nella collezione Farnese, permettono di ricostruire una camera delle meraviglie rinascimentale. E poi 20 dipinti, capolavori provenienti dal Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, tra cui spiccano opere di Raffaello, Tiziano Vecellio, El Greco e Annibale Carracci, sono disposti in dialogo con le opere del Complesso a rievocazione della galleria farnesiana, dove erano custoditi i 100 dipinti più significativi della collezione di famiglia. E in questa sezione c’è anche un prestito eccezionale, a conferma delle relazioni e dell’interesse dei Farnese per la cultura e gli oggetti provenienti da terre lontane e sconosciute: per la prima volta in Italia dal Musée des Amériques-Auch, la Messa di San Gregorio eseguita in Messico dagli indios per ringraziare Paolo III della bolla Sublimis Deus, che riconobbe l’umanità dei nativi americani e ne condannò lo sfruttamento.
Simone Verde, direttore del Complesso della Pilotta, ricostruisce la storia dei Colossi farnese presenti nel percorso espositivo della grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere” a Parma. La spettacolare coppia di Colossi in basanite del II sec. d.C., raffiguranti Dioniso ed Eracle, furono scoperti sul Palatino e trasferiti dai Farnese a Colorno per ornare il giardino della reggia. Nell’Ottocento, Paolo Toschi – celebre incisore e direttore dell’Accademia – convinse la duchessa Maria Luigia a ricoverarle nella grande e luminosa tribuna ovale della Galleria ducale (oggi Nazionale), dove si trovano tuttora. In corrispondenza con le due colossali statue romane di Ercole e Dioniso, è allestita una sezione dedicata all’architettura dei giardini e in particolare degli Horti farnesiani, dove i colossi furono rinvenuti negli anni Venti del Settecento. Sin dai tempi di Paolo III fu avviata, infatti, dai Farnese una intensa attività di scavo in varie zone di Roma, proseguita poi con i cardinali Alessandro e Odoardo, che consentì di radunare nelle residenze familiari una raccolta di arte antica assolutamente straordinaria per quantità e qualità dei pezzi archeologici, ulteriormente arricchita da una intensa attività di acquisti di collezioni aristocratiche romane. Nel 1720, a quasi un secolo dalla morte di Odoardo, gli scavi ripresero per impulso dei duchi Francesco e Antonio, in particolare sul Palatino, dove la famiglia possedeva un giardino acquistato dal cardinal Alessandro, i famosi Horti farnesiani. È da qui che proviene la parte della collezione Farnese di antichità giunta a Parma e scampata, pochi lustri dopo, per dimenticanza, costi o accidenti della storia, al trasferimento a Napoli delle raccolte storiche a opera di Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese.
Simone Verde introduce alla sezione della mostra “I Farnese. Architettura arte potere” dedicata alla colonizzazione del territorio, in uno spazio della Pilotta già dedicata ai Farnese in armi. La sezione è aperta da un’armatura che il direttore e curatore della mostra ha voluto presentare deposta, a ricordare i caduti nella battaglia di Fornovo. “E’ un morto deposto in un sarcofago di plexiglass”, spiega. E continua: “Inventato il ducato occorre amministrarlo. Per ambire al “buon governo” del territorio, e a sfruttarne il potenziale, occorre consolidare il controllo sulle terre ancora gestite da autonomie feudali e dotarsi di organismi amministrativi centralizzati e autorevoli, supportati da un apparato tecnico all’altezza. Riottenuta Piacenza nel 1556, un lungo processo porterà al graduale riassetto infrastrutturale, ma per vederne i primi esiti ci vorranno molti anni e tre confische, accompagnate da trucide esecuzioni, che ridurranno il residuo potere dei feudatari. Inoltre sarà necessaria la creazione di uffici operativi capaci di operare su vasta scala”.
Simone Verde, direttore del Complesso della Pilotta, affronta il tema della colonizzazione del territorio, ultima sezione della mostra “I Farnese. Architettura arte potere”. Una campagna di accurati rilievi del territorio produce il fondamentale corpus di conoscenze e la necessaria consapevolezza per definire gli obiettivi progettuali. Si incoraggiano le manifatture tessili, la stampa, i molini, le saline, si favorisce l’agricoltura intensiva, l’incremento delle reti di adduzione e di scolo delle città, l’espulsione dai centri abitati delle manifatture che producono residui macerati, quali concerie e cartiere, e si riforma l’apparato burocratico e normativo. Consolidare il controllo ducale porta risultati importanti: nuova efficienza, salubrità e, per alcuni, un miglioramento delle condizioni di vita. Parma passa da 18.000 abitanti a 26.000, mentre Piacenza a fine secolo supera i 30.000. Le riforme si condensano infine negli Statuti del 1623 emanati dal cardinal Odoardo, che non saranno più modificati nel successivo arco dinastico.
L’architetto Pietro Zanlari chiude la visita della grande mostra “I Farnese. Architettura arte potere” tornando sul tema della colonizzazione del territorio. Mentre si celebra il definitivo riconoscimento del nuovo Stato farnesiano con l’inserimento delle mappe del ducato nelle gallerie delle carte geografiche che si vanno diffondendo nelle corti europee, e poi negli atlanti a stampa, gli uffici degli ingegneri delle congregazioni assumono un ruolo decisivo nella politica del territorio e il loro archivio cartografico si configura come un vero e proprio laboratorio progettuale per trasformare le politiche in azioni di governo.
Napoli. Nel giorno di San Giuseppe apre al museo Archeologico nazionale la mostra fotografica di Luigi Spina “Confratelli” che celebra i benefattori ritratti nel museo Real Monte ed Arciconfraternita di San Giuseppe dell’opera di vestire i nudi

A Napoli c’è un gioiello storico-artistico che dal Settecento napoletano ad oggi svela tante anime: è il museo Real Monte ed Arciconfraternita di San Giuseppe dell’opera di vestire i nudi, suggestiva dimensione della memoria racchiusa tra archivio storico, sala dei fondatori, oratorio dei confratelli, sagrestia e giardino. Da un progetto di studio e documentazione nasce un percorso fotografico che racconta il museo Real Monte ed Arciconfraternita di San Giuseppe, partner della rete Extramann: è la mostra “Confratelli” di Luigi Spina (MANN, 19 marzo- 30 giugno, un viaggio simbolico dal museo Archeologico nazionale di Napoli alle eccellenze della città. La mostra sarà inaugurata al museo Archeologico nazionale di Napoli nella giornata di San Giuseppe (sabato 19 marzo 2022, alle 11), alla presenza di Paolo Giulierini (direttore del MANN), Gaetano Manfredi (sindaco di Napoli), Ugo de Flaviis (presidente della Fondazione Arciconfraternita San Giuseppe dei Nudi), Almerinda Di Benedetto (storica dell’arte e co-autrice del progetto scientifico della mostra) e Luigi Spina (fotografo).

L’artista Luigi Spina, nominato da Artribune miglior fotografo italiano senior del 2020, si sofferma in particolare, con il proprio obiettivo, sui ritratti pittorici realizzati nella sala dell’ex governo fra metà del XVIII e inizi del XX secolo: nelle trenta tele selezionate da Luigi Spina sono celebrati i “confratelli”, benefattori che sostennero il complesso monumentale con opere caritatevoli. Nobili, uomini di legge, intellettuali e religiosi rivelano, su tela, come le storie di singoli personaggi intreccino la Storia di un monumento di culto: alla fotografia spetta il compito di andare oltre la fissa altezzosità del ritratto, individuando crepe, distonie, emozioni spesso non leggibili a occhio nudo. Tra le figure immortalate da Spina, non può mancare Michele Arditi, che ad inizio Ottocento curò il primo allestimento dell’allora Real Museo Borbonico: il volto di Arditi, rappresentato in pittura e oggi riletto con la fotografia, è immagine guida dell’esposizione, come trait d’union reale fra luoghi diversi e uniti dalla storia.

L’allestimento, presentato all’ingresso della sezione Preistoria e Protostoria del MANN, è costruito in uno spazio circolare, che valorizza le fotografie (90X134cm) esposte, tutte realizzate a colori e disposte su un cerchio di ferro zincato. Gli scatti sono presentati in un raffinato volume pubblicato da 5 Continents editions: nel libro, presente un approfondimento su tutti i ritratti presenti nel complesso monumentale, inclusa la raffigurazione di Carlo III di Borbone.
Arriva (con un anno di ritardo causa Covid-19) in anteprima esclusiva al cinema “Pompei. Eros e Mito” di Pappi Corsicato, un viaggio indietro nel tempo di duemila anni tra miti e personaggi che hanno reso immortale questo sito archeologico unico al mondo


Affresco pompeiano con “Leda e il Cigno” conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Mann)

Il regista Pappi Corsicato
Con un anno di ritardo causa Covid-19, arriva in anteprima esclusiva al cinema “Pompei. Eros e Mito” di Pappi Corsicato, solo il 29, il 30 novembre e il 1° dicembre 2021, distribuito da Nexo Digital. Era stato infatti programmato per il 9, 10, 11 novembre 2020, ma in quei giorni era già scattato il lockdown con chiusura dei cinema. Nexo Digital ci riprova confidando che i contagi non aumentino oltre i limiti di sicurezza. Il film “Pompei. Eros e Mito” è diretto dal poliedrico Pappi Corsicato. Prodotto da Sky, Ballandi e Nexo Digital, in collaborazione e con il contributo scientifico del parco archeologico di Pompei e con la partecipazione del museo Archeologico nazionale di Napoli, “Pompei. Eros e Mito” è un viaggio che ci guida indietro nel tempo di duemila anni. Vengono messi a nudo i miti e i personaggi che hanno contribuito a rendere immortale questo sito archeologico unico al mondo che l’Unesco ha inserito nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Dalla storia d’amore tra Bacco e Arianna nella celebre Villa dei Misteri al rapporto ambiguo tra Leda e il Cigno, dalle lotte gladiatorie sino alla disperata ricerca dell’immortalità di Poppea Sabina (seconda moglie dell’imperatore Nerone), il docu-film metterà in scena e analizzerà anche i lati meno noti e più segreti della città. Gli stessi che nel XVIII secolo portarono la Chiesa Cattolica a nascondere alcuni dei reperti più scandalosi e scabrosi recuperati duranti gli scavi.

Gladiatori a Pompei nel film “Pompei. Eros e mito” di Pappi Corsicato (foto di Federica Belli)
A condurci attraverso le strade di Pompei sarà una narratrice d’eccezione: la pluripremiata Isabella Rossellini. La sua presenza e la sua voce accompagneranno gli spettatori in un percorso elegante e serrato che mostrerà come i miti e le opere ritrovate abbiano ammaliato e influenzato artisti come Pablo Picasso e Wolfgang Amadeus Mozart. Arricchiscono il percorso tra storia e arte anche le rievocazioni dei miti in chiave contemporanea ideate da Pappi Corsicato: Bacco, Arianna, Teseo, Leda, solo per citarne alcuni, indossano abiti moderni e sono sospesi in un tempo che appartiene sia al passato che al presente, per mostrare quanto l’eredità di Pompei sia ancor oggi una continua fonte di ispirazione artistica.


Massimo Osanna, già direttore generale del parco archeologico di Pompei (foto Still)
La colonna sonora originale del docu-film, in uscita per Nexo Digital/Sony Masterworks è firmata dal compositore e pianista Remo Anzovino, che ormai da anni si cimenta raccontando in musica l’arte mondiale, tanto da essere stato premiato ai Nastro d’Argento 2019 con una Menzione Speciale per le colonne sonore originali dei film. Tra gli interventi del film quelli di Massimo Osanna, all’epoca direttore generale del parco archeologico di Pompei; Andrew Wallace-Hadrill, professore emerito di Studi classici, università di Cambridge; Catharine Edwards, professore di Studi classici e Storia antica – Birkbeck, università di Londra; Darius Arya, direttore American Institute for Roman Culture; Ellen O’Gorman, professore associato di Studi classici, università di Bristol.


Carlo di Borbone: promosse gli scavi di Ercolano e Pompei
Era il 1748 quando re Carlo III di Borbone promosse i primi scavi ufficiali a Pompei a seguito dei primi ritrovamenti della vicina Ercolano. Fu da quel momento che cominciarono a riemergere con sempre maggior chiarezza i dettagli della catastrofe del 79 d.C., anno in cui il Vesuvio seppellì intere città, tra cui Pompei ed Ercolano, e tutto il territorio circostante. Nel corso degli scavi di Pompei sono stati rinvenuti tesori, statue, affreschi, mosaici, reperti di vita quotidiana, ma anche ville e abitazioni private che ancor oggi ci raccontano la vita di una città vivace, con giardini, fontane e imponenti apparati decorativi. Sarà lungo queste antiche vie e grazie alle opere conservate al Mann – museo Archeologico nazionale di Napoli, che si avrà modo di conoscere la vita degli abitanti di Pompei prima dell’eruzione. Attenzione particolare sarà dedicata al Gabinetto Segreto del Mann, istituito dai Borbone per custodire i reperti più “scandalosi” ed esplicitamente erotici.

Le storie esplorate sono quelle di uomini e donne di cui ci restano tracce concrete perché quando il flusso piroclastico ad altissima temperatura che investì Pompei ne provocò la morte istantanea per shock termico, i corpi delle vittime rimasero nella posizione in cui si trovavano lasciando la propria impronta dopo la decomposizione. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, poco più di un centinaio di calchi sono stati realizzati da queste impronte, ispirando poeti e artisti, tra cui lo stesso Roberto Rossellini, che dedicò alla scoperta di alcuni calchi una celebre scena del “Viaggio in Italia”.
Napoli. Rinnovata la collaborazione tra il Mann e la Fondazione Campania dei Festival: co-marketing, scontistica reciproca, e focus per il progetto “Il Sogno Reale. I Borbone di Napoli” con visite guidate per scoprire come i Borbone influenzarono la formazione delle collezioni. Tour speciale il 2 luglio: “Dagli scavi borbonici al Mann per conoscere la vita di un Gladiatore”


I famosi bronzi scoperti nella villa dei Papiri mentre regnava Carlo di Borbone (foto mann)
Il museo Archeologico nazionale di Napoli e la Fondazione Campania dei Festival in rete anche quest’anno per promuovere la programmazione culturale in città. Senza dimenticare la scontistica congiunta: sino ad inizio ottobre, infatti, gli spettatori del Campania Teatro Festival avranno diritto ad accedere al Museo con biglietto ridotto; viceversa, visitatori ed abbonati OpenMann potranno assistere agli eventi della kermesse al prezzo agevolato di 5 euro (l’acquisto sarà effettuabile online, in uno dei punti di prevendita ed anche la sera stessa dell’iniziativa, previa disponibilità di posti). Parallelamente alle iniziative di co-marketing, il museo Archeologico nazionale di Napoli aderirà al progetto “Il Sogno Reale. I Borbone di Napoli”, promosso, a cura di Marco Perillo, nell’ambito del Campania Teatro Festival: dal 18 giugno al 9 luglio, ogni venerdì in due turni (partenza alle 17 e alle 17.30), saranno in programma visite guidate alla scoperta degli influssi che la politica culturale dei Borbone esercitò sulla formazione delle collezioni del Mann. La programmazione culturale, promossa in rete con la Fondazione Campania dei Festival, è curata, per il Mann, dall’Ufficio Comunicazione (responsabile: Antonella Carlo; staff: Caterina Serena Martucci), in collaborazione con i Servizi Educativi e l’Ufficio Museografia e Ricerca storiografica.

Tra storia, museografia ed archeologia, l’itinerario partirà dall’Atrio, che ospita le sculture marmoree e bronzee rinvenute durante i primi scavi ufficiali nel Teatro di Ercolano: qui, saranno molteplici le incursioni storiche dedicate a Carlo III, promotore dell’iniziale campagna di ricerca nella città vesuviana e, naturalmente, a suo figlio Ferdinando, raffigurato da Antonio Canova nelle vesti di Atena sullo scalone principale del Museo; brevi focus includeranno, nel percorso, anche le sale dedicate alla Villa dei Papiri ed al Tempio di Iside. Tour speciali per venerdì 2 luglio 2021: gli incontri della giornata, infatti, saranno intitolati “Dagli scavi borbonici al MANN per conoscere la vita di un Gladiatore”. Le visite guidate, organizzate secondo le vigenti disposizioni anti-Covid, prevedranno la prenotazione obbligatoria, scrivendo a man-na.ufficiostampa@beniculturali.it: considerato il numero ridotto di posti a disposizione, si potrà riservare per il singolo incontro e non per l’intero ciclo di itinerari. Dal tour al Museo alla condivisione social: su Facebook ed Instagram, ogni settimana da metà giugno, saranno pubblicati post dedicati a storia, arte e cultura al tempo dei Borbone; in rete, disegni a tema realizzati da Annamaria Di Noia.
“Le Antichità di Ercolano esposte”: la prestigiosa opera settecentesca è rientrata al Parco archeologico di Ercolano dopo il restauro curato dalla Biblioteca nazionale di Napoli. Documenta con disegni e incisioni ritrovamenti da Pompei, Stabia e Ercolano, molti perduti

“Le Antichità di Ercolano esposte”: la prestigiosa opera settecentesca nel ritrovato splendore è rientrata venerdì 16 aprile 2021 al parco archeologico di Ercolano dopo il restauro a cura della Biblioteca nazionale di Napoli. Si potranno nuovamente ammirare in tutti i dettagli gli straordinari disegni e le incisioni, che costituiscono l’ambiziosa opera editoriale voluta da Carlo di Borbone. L’opera di gran pregio non fu mai messa in commercio, ma offerta in omaggio dalla corte napoletana agli esponenti più in vista dell’aristocrazia europea per stupirli con l’imponenza della collezione messa insieme dal Re di Napoli, e diffondere e promuovere l’impresa di scavo borbonica, che aveva portato alla luce le città sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. “Per recuperare la propria collezione dei volumi de Le Antichità di Ercolano esposte e garantire la pubblica fruizione, il parco ha attivato la propria rete istituzionale di riferimento”, dichiara Francesco Sirano, di recente riconfermato alla direzione del Parco. “La collaborazione con la Biblioteca Nazionale si è giovata dell’altissimo livello professionale che da sempre ne caratterizza l’opera. I rapporti, già stretti per la presenza dell’officina dei papiri Ercolanesi proprio nella Biblioteca, si sono ulteriormente rafforzati”. “Il lavoro di restauro su Le Antichità di Ercolano Esposte”, afferma il direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, Salvatore Buonomo, “conferma il filo doppio di stretta collaborazione con il Parco Archeologico di Ercolano, dove si trova la superba Villa dei Pisoni che ospitava l’antica collezione di papiri di Filodemo di Gadara, oggi nella nostra biblioteca. La sinergia in questo caso ha costituito un’occasione per avvalersi al massimo delle risorse e delle potenzialità di cui disponiamo nell’ambito dei beni culturali, consentendoci l’allargamento del concetto stesso di patrimonio culturale componendo l’interesse di bene bibliografico con quello archeologico”.


Il tomo I de “Le Antichità di Ercolano esposte” prima del restauro alla Biblioteca nazionale di Napoli (foto paerco)
Il restauro ha riguardato i primi 8 volumi della preziosa collana, pubblicata tra il 1757 e il 1792 dalla Stamperia Reale Borbonica a cura della Reale Accademia Ercolanese (di cui fecero parte Ferdinando Galiani, e Francesco Valletta), fondata da Carlo di Borbone per illustrare e studiare quanto veniva alla luce dagli scavi e collocato nell’ ‘Herculanense Museum’, allestito presso la Reggia di Portici per celebrare la grandiosa impresa di scavo. “Il lavoro di restauro”, aggiunge Salvatore Buonomo, “ci tengo a sottolinearlo è stato portato a termine grazie alla disponibilità dei nostri ultimi restauratori, che pur se collocati in pensione, hanno continuato il lavoro in forma volontaria per completare questo delicato restauro e le altre esecuzioni in corso. Allo stato il nostro importante e specializzato laboratorio non può continuare l’attività per mancanza di personale”. “Questo progetto”, conclude Francesco Sirano, “giunge a compimento proprio nel momento in cui tra poche settimane il Parco, con il supporto dell’Herculaneum Conservation Project, sta per lanciare una prima versione del portale Open Data: una forma di condivisione delle conoscenze che utilizza il metodo democratico e partecipativo per raggiungere gli stessi effetti che ottennero in Europa i volumi de Le Antichità di Ercolano esposte rappresentando una inesauribile fonte di ispirazione per le arti e l’artigianato”.


Il tomo IV de “Le Antichità di Ercolano esposte” prima del restauro alla Biblioteca nazionale di Napoli (foto paerco)
Il lavoro di restauro sui primi 6 volumi svolto nel Laboratorio “Alberto Guarino” della BNN, che ha visto impegnati Valeria Stanziano e Luigi Vallefuoco e per il Parco di Ercolano Elisabetta Canna, è stato complesso: è stato necessario intervenire sulle pregevoli carte interne ma anche restaurare tutti i dorsi in pelle con le iscrizioni in oro e i nervi a vista, in più parti sono state restaurate le coperte con incartonatura e carte marmorizzate dipinte a mano simili agli originali. La restante parte del restauro è stato affidato alla ditta Argentino Chiara che si è attenuta nell’acquisto dei materiali e nell’esecuzione al progetto redatto dal laboratorio della Biblioteca di Napoli. Le Antichità di Ercolano esposte hanno avuto il merito di offrire agli artisti ed ai decoratori dell’epoca un assortimento di motivi ellenistici fedeli agli originali, influenzando le arti decorative in Europa e favorendo l’affermarsi del gusto neoclassico. L’opera riveste, perciò, un particolare interesse artistico e documenta con disegni e incisioni di raffinata fattura il prezioso patrimonio di pitture e oggetti, molti anche andati perduti, provenienti dagli scavi di Pompei, Stabia e dai due siti di Ercolano: Resina e Portici.
Castellammare di Stabia. “D’Orsi, l’archeologo romantico che inventò Stabiae”: il video riscopre la figura del professore che con la sua tenacia riuscì a “riscoprire” l’antica Stabiae, scavata dai Borbone e poi “scomparsa”. E sottolinea i suoi lasciti culturali: villa Arianna, villa San Marco e il museo nella reggia Quisisana

Il 18 gennaio 2021 la riapertura è toccata al museo Archeologico di Stabia “Libero D’Orsi” nella Reggia Quisisana e, quasi un mese dopo, il 15 febbraio 2021 alla Villa di Arianna a Castellammare di Stabia: sono due “siti” che oggi possiamo ammirare e presentare con orgoglio al mondo. Ma ciò non sarebbe possibile se negli anni ’50 del secolo scorso un professore d’italiano, Libero D’Orsi, innamorato della storia della sua città natale, Castellammare di Stabia, non si fosse impegnato con tutte le sue forze a “riscoprire” l’antica Stabiae, trovata – è vero – dai scavi iniziati il 7 giugno 1749 per volere di Carlo III di Borbone, che esplorarono, secondo l’uso del tempo, attraverso cunicoli rinterrando e passando ad altro quando i rinvenimenti non erano ritenuti degni di essere esposti al museo Borbonico di Portici, un impianto urbano, con botteghe e strade e sei ville residenziali sul ciglio del pianoro di Varano. Lo scavo, seguito dall’ingegnere spagnolo Alcubierre e dall’ingegnere svizzero Karl Weber iniziò dalla villa San Marco (1749-1754) quindi interessò la villa “del pastore” (1754) e la villa di Arianna con il complesso adiacente (1757-1762). Ma la ricopertura degli scavi settecenteschi e l’attività agricola sul pianoro di Varano avevano fatto perdere, quasi dimenticare, l’interesse per questo sito archeologico. Spettò a Libero d’Orsi, professore e poi preside della scuola media locale, restituire, grazie a fortunatissime campagne di scavo, anche autofinanziate, il giusto valore storico e archeologico a questo importante luogo di delizie, costituito da ville grandi come palazzi e riccamente decorate con vista mozzafiato sul golfo di Napoli.

Ora un cortometraggio, dal titolo “D’Orsi, l’archeologo romantico che inventò Stabiae”, prodotto da Fondazione Cives – Mav museo Archeologico virtuale di Ercolano, ricostruisce la figura e l’opera di Libero D’Orsi, tra archeologia e civismo, ma anche l’eredità che questo “archeologo romantico” – come amava definirsi – ci ha lasciato, dalle ville che oggi possiamo visitare e ammirare all’ultimo risultato che si è concretizzato solo nel settembre 2020, cioè il nuovo museo Archeologico di Stabia, non a caso intitolato proprio a Libero D’Orsi, nella Reggia Quisisana di Castellammare di Stabia, dove hanno trovato spazio gli 8mila reperti che D’Orsi aveva raccolto durante le sue campagne di scavo. Il corto è nato da un’idea di Antonio Ferrara, e ha visto la collaborazione del “Comitato per gli Scavi di Stabia fondato nel 1950” di Castellammare di Stabia e del parco archeologico di Pompei, attraverso il suo direttore generale Massimo Osanna, e l’archeologo Francesco Muscolino responsabile area archeologica di Stabiae. La voce narrante è di Gianfelice Imparato, video ed editing di Raffaele Gentiluomo, riprese di Salvatore Musella.
Dov’è Stabiae? Era questo il cruccio di un ragazzo cresciuto agli inizi del ‘900 a ridosso del porto di Castellammare di Stabia, città di mare affacciata sul golfo di Napoli. A 8 anni era stato agli scavi di Pompei. Gli avevano parlato di Ercolano, ma la sua città era scomparsa. Dov’è Stabiae? Si chiedeva Libero d’Orsi. Una domanda che lo accompagnerà per 80 anni. Chi era Libero d’Orsi? Professore di italiano, tra le due guerre mondiali insegnò in Puglia, Veneto e Romagna, dove ottenne l’incarico di preside. Nel 1946 rientrò nella città natale per assumere la presidenza della scuola media. Castellammare, come il resto del Paese, era alle prese con la ricostruzione post bellica. D’Orsi non si perse d’animo. Nel 1949 fu nominato ispettore onorario alle Antichità e Belle arti. Chiamò a raccolta professionisti appassionati di archeologia e diede vita al Comitato per gli scavi di Stabia, associazione ancora attiva, che sostenne le spese dei lavori e del personale. Tra il 1950 e il 1968 furono portate alla luce una decine di ville romane. Erano sia residenze di lusso sia fattorie agricole. I frammenti di affreschi e di stucchi recuperati nel corso degli scavi, condotti con i disoccupati dei cantieri scuola, venivano custoditi tra la Grotta San Biagio e la presidenza della scuola media. Sfidando le resistenze di molti accademici Libero D’Orsi, archeologo romantico come lui stesso amava definirsi, tirò fuori dall’oblio Stabiae. “Per gli scavi sono dovuto ricorrere ad alcuni studenti universitari, a qualche professionista che mi hanno aiutato”, spiega D’Orsi in immagini d’archivio. Come ha fatto? “Li ho chiamati, li ho catechizzati e ho detto loro – forse una parola un po’ antipatica – ho detto: sentite, oggi sulla superficie della terra siamo quel che siamo, sotto terra siamo grandi uomini. Volete essere grandi uomini? Allora venite a scavare. Hanno detto di sì, e siamo andati”. Quella di D’Orsi fu un’impresa in bilico tra archeologia ufficiale e civismo. Ma è soprattutto una storia rappresentativa di un’Italia che usciva dalla guerra e puntava sulla cultura per ripartire, anche in una piccola città di provincia come Castellammare. Eccoli i lasciti di questa tenace personalità. Senza D’Orsi non avremmo villa Arianna e la villa del secondo complesso. Superbe residenze allineate lungo il ciglio della collina in posizione panoramica, e villa San Marco dalle ardite soluzioni architettoniche con impianto termale e una grande piscina. Questa villa affascinò Lucio Dalla che nel 2008 volle esibirsi in un concerto gratuito dal titolo Stabia svelata, e finalmente il 24 settembre 2020 l’inaugurazione del museo Archeologico di Stabiae “Libero D’Orsi” aperto all’interno del palazzo reale di Quisisana, dove abitavano re e regine dagli Angioini agli Aragonesi fino ai Borbone. Questo museo ora accoglie la collezione di 8mila reperti di quell’Antiquarium stabiano aperto il 4 luglio 1959 da D’Orsi al piano terra della sua scuola media. Libero D’Orsi si spense a Castellammare di Stabia il 18 gennaio 1977, a quasi novant’anni. Il suo impegno è oggi esempio per quanti credono nel valore e nella forza della cultura come motore di sviluppo e di crescita sociale civile e turistica di una comunità.
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