Egitto. Scoperti alla periferia del Cairo, dove tremila anni fa sorgeva la grande città di Eliopoli, i frammenti di una statua colossale di Ramses II. Probabilmente veniva dal tempio che il grande faraone della XIX dinastia aveva costruito proprio a Eliopoli. Entusiasmo delle autorità egiziane

Bambini di el-Matariya, un sobborgo del Cairo, si fotografo accanto al frammento della statua colossale di Ramses II appena scoperta
“Una delle più importanti scoperte dell’Egitto”: il ministro egiziano delle Antichità, Khaled al-Anani, ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per far sapere al mondo della scoperta da parte di un gruppo di archeologi egiziani e tedeschi dei frammenti di una statua colossale di Ramses II alla periferia del Cairo, nel sobborgo di el-Matariya, oggi poco più di una baraccopoli annessa alla zona industriale, ma quattromila anni fa sede di Eliopoli, una delle più importanti città dell’Antico Egitto, che ospitava – tra l’altro – un grande tempio solare analogo – si ritiene – a quello di Abu Gurab, tra la piana di Giza e Saqqara. “Abbiamo visto il busto e una parte della testa, poi la corona e ancora un frammento dell’orecchio e dell’occhio destro”, continua il ministro. “Accanto alla statua gigante anche un’altra di circa un metro del faraone Seti II, entrambi appartenenti alla XIX dinastia”. E conclude: “Il colosso di Ramses II appena rinvenuto a el-Matariya verrà con tutta probabilità esposto all’ingresso del Grande museo egizio che dovrebbe essere inaugurato il prossimo anno al Cairo”. Non è una novità che le autorità egizie sfruttino le nuove scoperte come promozione della terra dei faraoni, in questo Zahi Hawass è stato insuperabile, ma oggi l’Egitto ha particolarmente bisogno di rialzare attenzione e interesse dei viaggiatori internazionali che latitano dallo scoppio della rivoluzione nel 2011. Il Paese ha bisogno dei turisti. Non è un caso che proprio l’Egitto sia stato il Paese ospite d’onore della recente edizione di TourismA, il salone internazionale dell’archeologia, a Firenze.

Archeologi e autorità, tutti attorno al frammento della testa colossale di Ramses II scoperta al Cairo
Entusiasta anche il capo del dipartimento Antichità egiziane del dicastero, Mahmud Afifi, parlando della monumentale statua di Ramses II in quarzite, ritornata alla luce spezzata in grandi pezzi. E il capo della missione egiziana, il professor Ayman al-Ashmawy: “Proprio a Eliopoli sono stati trovati in passato rovine di un tempio dedicato al grande faraone che ha governato dal 1279 al 1213 a.C. che era uno dei più grandi dell’antico Egitto visto che raggiungeva il doppio delle dimensioni del tempio di Karnak a Luxor”. E ora i frammenti di una statua monumentale che secondo Zahi Hawass “in considerazione delle dimensioni della statua, non possono che appartenere a Ramses II e non a un qualsiasi altro re antico”.
Per sollevare l’enorme testa, trovata separata dal busto, è stato utilizzato un carrello elevatore, mentre il resto della statua, del peso di 7 tonnellate, è stato recuperato con corde e paranchi. Il ministero delle Antichità, viste le non poche polemiche sollevate sul web, ha negato che la gigantesca statua del faraone possa essere stata danneggiata da una scavatrice durante i lavori di recupero: “Soltanto la testa è stata spostata utilizzando la scavatrice. Il tutto è avvenuto sotto la supervisione del team di archeologi tedeschi autore del ritrovamento. Sono state inoltre utilizzate travi di legno e sughero per evitare danni”. Anche il capo il capo della missione archeologica Dietrich Raue assicura che la scultura non è stata danneggiata durante lo spostamento, sottolineando anche che diversi monumenti subirono danni in epoca greco-romana.
Egitto. Nella valle delle balene (Wadi el Hitan) nel deserto occidentale è stato inaugurato il primo museo al mondo dei Fossili e dei cambiamenti climatici: un viaggio tra i resti fossili dei Basilosauros, i grandi cetacei che 40 milioni di anni fa dominavano gli abissi marini
Visto dal cielo è un puntino in un mare di sabbia. E non è un caso che anche una volta a terra, avvolti in un silenzio che ti prende e ti rapisce, ti sembra quasi di “nuotare” su un fondale piatto e impressionante, disseminato da quanto meno strani filari di pietre. Ma se torniamo indietro di 40 milioni di anni, alla fine dell’era geologica che gli studiosi chiamano Eocene, ci troveremmo veramente in fondo a un grande mare popolato da “mostri” marini, almeno dalla nostra prospettiva umana. Così scopriremmo che quelle strane pietre altro non sono che i resti fossili di grandi balene che ora vedremmo inarcare i loro possenti corpi: saremmo di fronte a degli Archeoceti, i Signori degli Abissi (una sotto famiglia di balene ora estinta). Questo puntino nel deserto occidentale, nel Medio Egitto, è il Wadi el Hitan, la “valle delle balene”, sito Unesco patrimonio dell’umanità dal 2005. Nessun altro posto al mondo conserva fossili di questo tipo in tale numero, concentrazione e qualità. Il Cairo è a 150 chilometri a nord-est, l’oasi più vicina, quella del Fayyum, a una cinquantina. Qui si possono ancora osservare reperti fra i più rari al mondo (altri ne sono stati trovati in Pakistan ed in poche altre zone). Questi reperti fossili ci raccontano una storia delle più incredibili: la trasformazione dei mammiferi acquatici, il salto evolutivo che li portò, alla fine dell’Eocene, dalla vita terrestre alla vita acquatica, perdendo l’uso degli arti per la deambulazione.
Proprio in questo luogo così scomodo da raggiungere (almeno tre ore di pullman dal Cairo) e apparentemente dimenticato dal mondo, nel sito naturalistico di Wadi el Hitan, nel governatorato egiziano di Fayyum, è stato inaugurato il Museo dei Fossili e del cambiamento climatico, un museo unico al mondo realizzato anche grazie alla Cooperazione italiana. Al centro dello spazio espositivo ci sono le ossa del più grande “Basilosaurus isis” mai rinvenuto completo, un tipo di cetaceo preistorico che poteva arrivare alla lunghezza di 20 metri. Intorno c’è anche un percorso a cielo aperto di 11 “stazioni” con pannelli illustrativi in cui si possono ammirare altri fossili di balena sempre risalenti a oltre 40 milioni di anni fa. “Il museo è il primo di questo tipo nel Vicino Oriente, anzi essendo in mezzo al deserto e affrontando gli effetti dei cambiamenti climatici, il museo è il primo di questo tipo al mondo”, spiegano i promotori del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) che ha curato la realizzazione finanziata dall’Italia con circa 500mila dollari.
Dall’esterno il museo dei Fossili di Wadi el Hitan col suo profilo circolare si confonde con le dune del deserto occidentale egiziano, in una sorta di basso canyon. All’interno spiccano due scheletri di Basilosauro, un animale che – spiegano gli esperti – poteva arrivare alla lunghezza di 20 metri. Le ossa formano un doppio cerchio, e intorno pannelli e fossili illustrano altre balene e squali preistorici, granchi e mangrovie pietrificate, coralli di milioni di anni fa. Il complesso è arricchito da una serie di strutture per facilitare la ricezione dei visitatori quali un centro informazioni, biglietteria, caffetteria, posto di polizia turistica, parcheggio e servizi igienici realizzate sempre dalla Cooperazione italiana negli anni precedenti. “Abbiamo posto i muri nel sottosuolo e la cupola sopra”, spiega Gabriel Mikhail, l’architetto progettista, “così da imitare l’ambiente circostante e assicurare una migliore temperatura all’interno. Qui si viene portati in un viaggio che inizia dalla creazione della terra e passa attraverso diverse ere: qui, dove oggi c’è il deserto un tempo c’era una foresta tropicale e prima ancora quest’area era sotto il mare”. Il museo vuole educare i visitatori all’importanza del patrimonio naturale. Il suo messaggio è chiaro: “State attenti ai cambiamenti climatici; se non lo fate, vi estinguerete come queste balene preistoriche”.
Egitto. Dalle catacombe di Anubi, nella necropoli di Saqqara, emerge una fossa comune con 8 milioni di cani mummificati in periodo tolemaico
Otto milioni di cani mummificati: sacrificati agli dei. Un’immensa fossa comune risalente all’Antico Egitto trovata nelle cosiddette “catacombe di Anubi”, a pochi passi dalla piramide a gradoni di Zoser a Saqqara. è stata interamente riportata alla luce dagli archeologi a Saqqara, 30 chilometri a sud della città moderna del Cairo. Come spiega il sito ‘Discovery News’, le mummie dei cani erano ospitate in un sistema di catacombe, su un’area vasta 173 metri per 140, nei pressi del tempio di Anubi, divinità con la testa di sciacallo, che proteggeva le necropoli e il mondo dei morti. Secondo i ricercatori, i cani mummificati erano probabilmente offerti in dono ad Anubi, come segno di fedeltà o di gratitudine. Ma non è escluso che gli animali fossero oggetto di venerazione. La particolare necropoli di Saqqara, non lontana dalle piramidi di Giza, era stata scoperta nel diciannovesimo secolo, ricordata da Jacques de Morgan nel 1897, ma solo di recente si sono conclusi gli scavi che hanno permesso di riportare alla luce tutte le mummie, in gran parte custodite in contenitori di terracotta e ben conservate, con la pubblicazione dei risultati del primo studio di mappatura del sito durato sei anni e diretto da Paul Nicholson, professore di archeologia all’università di Cardiff.
La struttura, composta da almeno 49 gallerie sotterranee che si affacciano su un corridoio di raccordo di 173 metri, era stipata di resti animali che i fedeli hanno dedicato come ex voto agli dèi durante tutto il Periodo Tardo e tolemaico. La squadra di Nicholson ha esplorato ogni possibile angolo della catacomba centrale, le parti confinanti sono state ostruite dalla sabbia. Hanno trovato le mummie di sciacalli, volpi, falchi, gatti e manguste, anche se circa il 92 per cento dei resti appartenevano a cani. Saqqara, infatti, è stato un importante centro cultuale oltre che funerario e, probabilmente, esisteva un sistema di produzione su larga scala di mummie di cani, gatti, ibis, falchi, tori e, a volte, di falsi vendute ai visitatori. In particolare, il grandissimo numero di cuccioli uccisi poco dopo la nascita fa presupporre che ci fosse un allevamento apposito nelle vicinanze.
“Quella era una zona molto popolata”, ha spiegato a Live Science Paul Nicholson, responsabile dello scavo. “Una comunità permanente di persone viveva qui. I visitatori arrivando a Saqqara visitavano i templi, vedevano commercianti vendere statue di divinità in bronzo, sacerdoti che celebravano cerimonie, persone che interpretavano i sogni e perfino guide turistiche. Poco distante, c’erano allevatori di animali, cani e altri tipi, che in seguito li avrebbero mummificati in onore degli dei”. Le catacombe con i resti dei cani, furono probabilmente costruite nel IV secolo a.C., realizzati con pietre risalenti a circa 48-56 milioni di anni fa. Sul soffitto i ricercatori hanno scoperto un fossile di un grande ‘mostro’, un vertebrato lungo ed estinto. Non è chiaro però se gli antichi egizi fossero a conoscenza del fossile quando hanno realizzato la scavo.
Restaurata l’ala est del museo Egizio del Cairo che inizia a tornare agli splendori del primo Novecento. Ma alla fine perderà il tesoro di Tut e le mummie
Il museo Egizio del Cairo torna lentamente agli antichi splendori del primo Novecento. Questo l’obiettivo dichiarato del progetto “Egyptian Museum Revival”, partito nel 2012 con un cospicuo contributo dell’Unione Europea e, in particolare, del governo tedesco, per il restauro e il ripristino dell’allestimento del 1902. Per il momento le collezioni rimangono al loro posto, e si interviene sulla struttura. Di qui l’eliminazione degli strati di pittura più recenti delle pareti scoprendo quello bianco e rosso originale, e il tappeto di linoleum che ricopriva il pavimento. Lo ha spiegato bene qualche giorno fa il primo ministro Ibrahim Mahlab e il ministro delle Antichità Mamduh Eldamaty, in occasione della cerimonia di inaugurazione di quattro sale (30, 35, 40 e 45) dell’ala est della Galleria di Tutankhamon, rinnovata grazie al contributo dell’Ue e della Germania. “Nulla è cambiato nell’esposizione permanente dei tesori della galleria”, spiega il ministro. “Il restauro ha riguardato il pavimento e le pareti che, deteriorati dal tempo, sono tornati al verde chiaro e al rosso scuro dell’inizio del secolo scorso”. Il rinnovamento del museo comprende anche la sostituzione dei vecchi vetri delle finestre con alcuni capaci di filtrare la luce del sole, l’allestimento di nuovi sistemi antincendio, di sicurezza e di controllo dell’umidità e la demolizione dell’adiacente palazzo del Partito nazionale Democratico, che garantirà nuovi spazi espositivi.
Ma c’è anche un contributo italiano, quello di Italcementi, che con una donazione di 40mila euro ha consentito il rinnovo della sala n.30. Italcementi, il primo produttore di cemento in Egitto, “fornì il materiale per la costruzione del Museo” tra il 1898 e il 1902. “E ora abbiamo voluto contribuire al restauro di questo luogo simbolico, un’icona del Cairo e di tutto il Paese, anche per il legame storico che abbiamo con il museo», sottolinea l’ad di SuezCementi, Bruno Carré. “I lavori sono cominciati un anno fa, questo è il primo passo. L’idea è di rinnovare un’ala all’anno»”, aggiunge.
L’Egitto punta molto al restauro delle sue bellezze archeologiche, culturali e turistiche nel tentativo di attirare sempre più visitatori, dopo lo stop degli ultimi anni dovuto all’instabilità della situazione politica. “La presenza costante di turisti nel museo”, commenta il premier alle tv egiziane, “dimostra che il Paese ora è sicuro”. Il completamento del progetto “Egyptian Museum Revival”, previsto per l’agosto 2015, segnerà un passaggio epocale per il museo Egizio del Cairo che perderà la sua attuale funzione di museo nazionale, per tornare all’allestimento originario precedente la scoperta della tomba di Tutankhamon e dei suoi tesori: migliaia di reperti, compreso il tesoro di Tutankhamon, verranno trasferite al Grand Egyptian Museum di Giza (quando e se riusciranno ad aprirlo), mentre le mummie reali di Nuovo Regno passeranno già quest’anno al museo nazionale della Civiltà egiziana.
Egitto. “La piramide di Zoser a Saqqara non crollerà”: il ministro assicura il mondo che entro il 2015 finiranno i restauri sotto la supervisione dell’Unesco, smentendo le accuse sui danni causati al monumento negli ultimi anni
“La piramide di Saqqara non crollerà mai”: lo ha gridato ai giornalisti il ministro delle Antichità egiziane, Mamdouh El-Damaty, dopo la ridda di polemiche sul restauro della piramide del faraone Zoser a Saqqara, la più antica d’Egitto. Il ministro, da settimane in giro per siti archeologici per verificare lo stato delle opere in tutto il Paese, ha accolto una folla di giornalisti proprio davanti alla gigantesca opera, che risale ad almeno 4600 anni fa. Da lungo tempo sui gradoni che la caratterizzano sono state montate impalcature di legno che salgono lungo tortuose curve fino alla cima, a 62 metri di altezza. Ma l’imperizia avrebbe causato dei crolli, così come una pozza scavata all’esterno per arrivare alle fondamenta della piramide. “È tutto falso”, ha incalzato il ministro prima di infilarsi nello stretto e buio cunicolo che porta alla camera centrale. Il caldo, asfissiante fuori, è diventato rovente all’interno. Ovunque piloni per sorreggere il soffitto, altre impalcature, questa volta d’acciaio. “Vedete i lavori sono in corso, erano fermi da tre anni a causa dell’instabilità nel Paese”, ha sottolineato.
Le sabbie del deserto per secoli hanno protetto la prima piramide della storia dal degrado del tempo. L’imponente costruzione “a mastabe sovrapposte” fu realizzata dall’ingegnere Imenhotep nella necropoli di Saqqara sotto il comando del faraone Zoser (2635-2615), secondo re della III dinastia. Ma questi ultimi decenni hanno “soffocato” le strutture di oltre 4600 anni fa. Già nel 1992 un terremoto aveva danneggiato la piramide a gradoni, ma oggi la situazione è molto peggiorata nonostante gli sforzi dei restauratori per salvarla. Anzi, almeno secondo un gruppo di esperti che ha lanciato l’allarme sulle sue condizioni, sarebbero stati proprio gli interventi più recenti a danneggiare ulteriormente il monumento. Il progetto di restauro della piramide di Zoser punta a recuperare la grande opera di Imenhotep, considerato come il primo ingegnere della storia, autore di una vera e propria rivoluzione nell’architettura funeraria dell’Antico Egitto. Un merito che gli sarà riconosciuto anche nelle dinastie successive. Sotto gli ordini del re Zoser, Imenhotep pensò di sovrapporre su più piani le mastabe tradizionali, ottenendo così una costruzione a piramide a gradoni di 60 metri, che permetteva al suo re di essere più vicino al cielo, quando doveva essere ricevuto da Ra, dio del sole e l’origine della vita. Ma la polemica si è ulteriormente accesa nelle ultime settimane, dopo che diversi gruppi che si preoccupano della conservazione del patrimonio hanno denunciato che l’attuale cattivo stato della piramide è dovuto alla negligenza della società incaricata del restauro, società che, sempre secondo le loro affermazioni, non avrebbe mai restaurato un sito archeologico prima dell’intervento a Saqqara. E poi ci sono le segnalazioni-proteste degli egittologi che si sono alzate più volte negli ultimi anni. Sono stati proprio gli egittologi a denunciare che la pietra originale veniva rimpiazzata con pietre nuove. Un’accusa che i lavoratori impiegati dal ministero delle Antichità cercano di negare o minimizzare. “Oltre il 90% dei blocchi che abbiamo usato sono della piramide, recuperati al suolo e nelle vicinanze”, ha assicurato Hasan Imam, un ingegnere che ha partecipato alla ricostruzione. “Il monumento è in buone condizioni e solo un altro terremoto potrebbe causarne il crollo”.

Dal 2002 sono in corso i restauri della grande piramide a gradoni di Saqqara, la più antica dell’Egitto
Gli interventi nell’area archeologica di Saqqara sono iniziati nel 2002, ma la complessità del lavoro e i problemi economici ne hanno più volte causato la sospensione. Nel 2006, la società egiziana Al-Shorgaby, specializzata in progettazione e costruzione, ha vinto la gara d’appalto per il restauro. I lavori sono proseguiti fino al 2010 e, dopo un tentativo – fallito – di riprendere l’attività, sono tornati a fermarsi allo scoppio della rivoluzione nel 2011. E proprio in quei giorni, quando al Cairo, che dista 30 chilometri, si inneggiava alla rivoluzione contro Mubarak, qui e negli altri siti della zona sono entrati in azione i tombaroli, razziando quanto possibile. Ma la piramide soffre anche di vari problemi strutturali: al di sotto della camera centrale vengono infatti utilizzate travi d’acciaio, come “airbag”, per sostenere le mura, e fermare un processo di sprofondamento di alcune parti.
E si arriva così a un paio di settimane fa, quando l’appena nominato il ministro delle Antichità, Mamdouh El-Damaty ha annunciato il proseguimento dei lavori sulla piramide di Zoser, che dovrebbe essere completato entro la fine del 2015. All’annuncio diversi giornali locali hanno dato voce alle lamentele di quei gruppi che si preoccupano di tutelare il patrimonio e così lo scandalo è arrivato fino alle autorità egiziane. Proprio per smentire queste notizie, il ministero ha organizzato per la stampa una visita al sito archeologico. Lo stesso ministro delle Antichità – come si diceva all’inizio – è penetrato nel cuore della piramide, dove ha spiegato ai giornalisti che le impalcature poste pochi metri sopra la camera sepolcrale la rendono “completamente sicura”. El-Damaty ha poi insistito sul fatto che “i lavori di restauro vanno avanti correttamente, sotto la supervisione di un team dell’Unesco che è venuto in Egitto”.
Il ministro El-Damaty è in prima linea nel rilancio dei siti archeologici egiziani, che fino al 2010 garantivano una bella fetta del business miliardario legato al turismo. Altre immense opere sono in corso, a cominciare dal nuovo Grande Museo che dovrebbe aprire i battenti il prossimo anno. L’Unesco guarda con molta attenzione ai passi del governo, e in una recente visita ufficiale ha lodato gli sforzi del Cairo. Ma mancano i fondi: per la ristrutturazione del museo islamico, tanto per fare un esempio, quello semidistrutto lo scorso gennaio nel primo attentato kamikaze nella storia del Cairo, l’unico e più importante finanziatore straniero è l’Italia.
“Distruzione e recupero”. Il Cairo mette in mostra 200 tesori rubati dai musei dell’Egitto e recuperati nel mondo: tra questi una statua d’oro di Tutankhamon sottratta nel saccheggio del museo Egizio il 28 gennaio 2011

I soldati presidiano il museo del Cairo dopo il saccheggio subito nei giorni più difficili della rivoluzione
Vergogna, sbigottimento, smarrimento, disperazione, incredulità, angoscia: furono molti i sentimenti che provò il mondo intero vedendo le immagini del saccheggio del museo Egizio del Cairo trasmesse dai notiziari di ogni continente. Dappertutto vetrine sventrate, frammenti di vetri, segni del passaggio dei vandali, statue abbattute e finite in mille pezzi. Uno spettacolo che nessuno avrebbe mai voluto vedere. “Quel giorno, il 28 gennaio 2011”, raccontano le cronache, “la folla di piazza Tahrir era furibonda, incontrollabile. Da 18 giorni si succedevano dimostrazioni oceaniche e sanguinose; ma il regime di Hosni Mubarak sembrava deciso a resistere. Durante uno degli scontri, una colonna di manifestanti riuscì a scacciare i reparti di polizia che proteggevano la sede del partito di governo, e a darle fuoco. Ebbra di vittoria, la gente si riversò verso l’edificio adiacente: il museo Egizio, lo scrigno che custodisce il patrimonio più prezioso del Paese. Prima di rendersi conto di quel che faceva, di recuperare lucidità, la moltitudine aveva sfasciato 13 vetrine, distruggendo non meno di settanta reperti insostituibili”. A inventario completato, il direttore del museo, Tareq al-Awadi, avrebbe contato 54 opere scomparse. Tra queste due splendide statue di legno dorato di Tutankhamen: Tut mentre pesca con un arpione da una barca, e Tut da bambino trasportato sulla testa dalla dea Menkaret. E poi uno scriba, la regina Nefertiti, una principessa, tutti provenienti da tell el-Amarna, il grande sito archeologico nell’Egitto centrale dove Akhenaton fondò la sua nuova capitale. Dal corredo funebre di Yuya, un potente cortigiano di tremila anni fa, erano spariti uno scarabeo funerario, l’amuleto che veniva posto sul petto delle mummie per scongiurare l’asportazione del cuore, e undici “ushabti”, le statuine incaricate di sostituire il defunto nei lavori manuali richiesti nell’aldilà.
Sono passati tre anni da quel tragico giorno, per fortuna non invano. E mentre i laboratori del museo facevano il possibile per riparare i danni del saccheggio del 28 gennaio 2011, le autorità egiziane hanno avviato una rete di contatti per fermare l’emorragia di preziosi reperti dall’Egitto, sempre più richiesti dal mercato antiquario illegale. E oggi il Cairo può mostrare con orgoglio i suoi tesori rubati e recuperati nella mostra “Distruzione e recupero” aperta per tre mesi al museo Egizio del Cairo, poi ogni tesoro tornerà nel proprio museo di appartenenza: 200 reperti archeologici rubati negli ultimi tre anni in Egitto e recuperati negli ultimi mesi, tra i quali una statuetta d’oro di Tutankhamon. Il ministro egiziano delle Antichità Mohamed Ibrahim, nel presentare la mostra, ha elogiato il lavoro delle forze dell’ordine e gli ambasciatori di Germania, Regno Unito, Spagna, Australia, Cina e Nuova Zelanda per il loro aiuto nel riuscire a far tornare in Egitto i tesori rubati. “Non tutto il bottino, per fortuna, è andato perduto per sempre”, ha ricordato il ministro. “Qualche ora dopo il saccheggio, in una stazione della metropolitana fu trovata una borsa contenente la statua di Tutankhamon a pesca e altri due pezzi sottratti al museo. Menkaret era in un bidone dei rifiuti, ma senza il faraone bambino. Altre opere furono rinvenute o confiscate nei mesi successivi: 140 oggetti dei 200 in esposizione alla mostra sono stati recuperati da diversi Paesi, mentre gli altri 60 sono stati sequestrati dalla polizia del Turismo e delle Antichità, prima che fossero venduti ai ricettatori”. Notevole il lavoro dei restauratori per ricomporre i tesori rubati. Pochi sono infatti i pezzi recuperati integralmente. Fra questi, il Tutankhamon con l’arpione e altre due statue del grande faraone, e la mummia di un bambino, Amenhotep: i saccheggiatori le avevano tagliato la testa, che è stata riattaccata usando le tecniche originarie. Ma una statua d’avorio del faraone Tuthmosi III è ancora parzialmente mutilata.

Purtroppo non tutti i tesori spariti sono stati recuperati: mancano all’appello ancora undici “ushabti”
Il lotto più recente è arrivato poche settimane fa, ha aggiunto il ministro Ibrahim, e comprende dieci oggetti che sono stati rubati dal museo Egizio il 28 gennaio del 2011. Ali Ahmed, capo del dipartimento che si occupa del recupero di oggetti rubati del ministero delle Antichità, ha riferito che i dieci elementi sono gli oggetti più significativi della mostra e tra questi c’è proprio la statuetta d’oro di Tutankhamon. Tra gli altri tesori, anche una statua raffigurante la figlia di Akhenaton e 40 gioielli d’oro trafugati dal museo del Malawi a Minya. Fra gli altri oggetti salvati ci sono quaranta statuine di arcieri nubiani, un vaso di vetro policromo, una piccola statua raffigurante uno scriba, una della dea-gatta Bastet, una del faraone Akhenaton, una del dio-toro Apis. Molti pezzi importanti, tuttavia, sono ancora dispersi: come gli “ushabti”, una cintura di lapislazzuli appartenuta alla principessa Miretteamun, un Apis di bronzo. Con ogni probabiilità queste opera sono già all’estero. Le autorità del Cairo hanno fatto bloccare a Gerusalemme un’asta di 126 antichità egiziane, e al governo britannico è stato chiesto di sospendere la vendita di 800 oggetti presenti su Ebay, per consentire esami e ricerche sulla provenienza. Infine una legge che sta per essere approvata in Germania dovrebbe consentire la confisca e il rimpatrio di diversi pezzi presenti nelle case d’asta tedesche.
Senebkay, il faraone sconosciuto della dinastia di Abido, potrebbe essere la star del “nuovo” museo Egizio di Torino
Il futuro per Senebkay, il “faraone sconosciuto” identificato nelle scorse settimane ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto, a 150 chilometri da Luxor, ai margini del deserto occidentale, potrebbe riservargli un viaggio fuori dal suo Paese, al museo Egizio di Torino, dove è conservato l’unico documento, il Papiro dei Re, che parla di lui. “A marzo 2015”, anticipa Eleni Vassilika, direttore del museo Egizio di Torino, che sta seguendo con interesse gli sviluppi della scoperta, “è prevista l’apertura dell’intero palazzo con un allestimento definitivo nonché nuovi impianti, vetrine e un area per ospitare le mostre temporanee”. Così mentre ad Abido dopo la scoperta eccezionale del “faraone sconosciuto” si annunciano altre clamorose novità, a Torino potrebbe rivelarsi vincente quella che al momento sembra essere solo un’idea suggestiva: “ricongiungere” Senebkay con il papiro dei Re.
Ad Abido la scoperta della tomba reale del faraone Senebkay ha dato forma – ricordiamolo (vedi nostro post del 21 gennaio 2014) – alla mitica dinastia di Abido (1650-1600 a.C.) , una dinastia regionale indipendente e parallela a quelle tradizionali numerate contemporanee (cioè la XV Hyksos e la XVI Tebana) , che finora era stata solo un’ipotesi formulata ancora nel 1997 dall’egittologo K. Ryholt. Ma gli archeologi Josef Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone, sono convinti che la tomba reale di Senebkay non sia l’unica e che nella necropoli individuata a sud di Abido vi potrebbe essere un’altra quindicina di tombe regali della Dinastia dimenticata. “La sepoltura di Senebkay è la prima attribuibile a una dinastia regale della città di Abydos”, conferma Vassilika. “Il ritrovamento perciò apre una finestra su un aspetto del tutto nuovo della storia di quel periodo. Potrebbe essere solo la prima di altre clamorose scoperte. E se si confermerà quanto ipotizzato dal team Usa dell’università di Pennsylvania, cioè che vi potrebbe essere un’altra quindicina di tombe regali in questa necropoli, non possiamo che aspettarci nuove importanti rivelazioni”.
Intanto a Torino si favoleggia il “ricongiungimento” del sovrano Senebkay al celebre papiro che parla di lui al museo Egizio. “Abbiamo rapporti eccellenti con i nostri colleghi egiziani”, conferma il direttore dell’Egizio di Torino, uno dei più importanti al mondo (nel 2013 ha avuto 540mila visitatori). “E possiamo sicuramente immaginarci di poter collaborare in futuro a un progetto del genere per portarne i resti a Torino. La scoperta della tomba di Senebkay è di grandissimo interesse innanzitutto da un punto di vista storico. Ma non possiamo dimenticare che il suo nome era ricordato proprio in un papiro custodito al Museo Egizio di Torino”. Gli esperti del Museo Egizio erano però riusciti a decifrare solo “User…Ra”. Mancava il centro della parola, il cuore del nome di questo faraone rimasto a lungo sepolto nella sabbia della sua terra d’origine. Però grazie alle decifrazioni del team statunitense il “re sconosciuto” ha finalmente un nome, si chiama “User Ib Ra”, il forte cuore di Ra che, dopo millenni di anonimato, potrebbe avere un futuro proprio a Torino. “La tomba di Senebkay è stata devastata dagli antichi saccheggiatori”, continua Vassilika, “lo scheletro del sovrano è sicuramente un importante documento antropologico, ma degli oggetti funerari (il “corredo”) abbiamo solo poveri resti. La tomba però ha ancora scene dipinte dove si è potuto appunto leggere il nome del re”. Portare il sarcofago di User Ib Ra sotto la Mole sarebbe un colpo inestimabile per il patrimonio di un museo, attualmente in fase di ristrutturazione, ma che entro marzo 2015 riaprirà tutte le sale agli appassionati, proponendo il nuovo e definitivo allestimento con tantissime novità.
Egitto. Doppia scoperta degli americani ad Abido: tomba reale di Sobekhotep (XIII din.) e sepoltura di Senekbay, faraone sconosciuto della dimenticata dinastia di Abido
Doppia eccezionale scoperta ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto dedicata a Osiride il dio dell’Oltretomba, a 150 chilometri da Luxor ai margini del deserto occidentale: prima è stata scoperta una tomba reale della XIII dinastia (1781 – 650 a.C.), fatto già di per sé straordinario visto che di questa dinastia ne sono state scoperte solo dieci e tutte a Dahshur, a sud del Cairo: la tomba reale scoperta ad Abido appartiene al faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore della XIII dinastia, che ha regnato solo per pochi anni, in un momento in cui l’Egitto stava entrando in un periodo di declino. Non a caso i dati cronologici per questo periodo sono così complessi che gli studiosi stanno ancora discutendo sull’ordine dei re della XIII dinastia. Ma collegata e conseguente a questa scoperta ne è risultata un’altra che – forse – è ancora più importante: è stata rinvenuta la sepoltura di un faraone, Senebkay, fino ad oggi poco conosciuto per non dire sconosciuto. Il ritrovamento di Senebkay a sua volta conferma l’esistenza della mitica dinastia di Abido (1650-1600 anni a.C.), finora poco più che un’ipotesi, una dinastia presto dimenticata, parallela a quelle ufficiali, e pertanto priva di numerazione.
Tutto è iniziato l’estate del 2013 durante la missione archeologica ad Abido dell’università americana della Pennsylvania diretta da Josef Wegner, curatore della sezione egizia del Penn Museum. Gli archeologi scoprono una grande tomba reale attribuita alla XIII dinastia e, poco distante, un massiccio sarcofago di 60 tonnellate di cui si ignorava l’appartenenza. Ma la posizione e la “location” all’interno di una camera sepolcrale convincono gli archeologi americani ad approfondire le ricerche. E poche settimane fa l’annuncio trionfale da parte del ministro delle Antichità, Mohamed Ibrahim: “Un gruppo di archeologi dell’Università della Pennsylvania ha scoperto ad Abido, nel governatorato di Sohag, la tomba del faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore – 3800 anni fa – della XIII dinastia, e lì vicino, più modesta e di epoca posteriore, quella di un faraone dimenticato, Senebkay”, ha spiegato. “Il team dell’Università della Pennsylvania è riuscito a identificare chi fosse sepolto nel sarcofago in quarzite rossa, del peso di circa 60 tonnellate, ritrovato l’anno scorso”.
Il riconoscimento è stato possibile grazie al ritrovamento nella tomba di frammenti di piatti su cui era inciso il nome del faraone, e di un fregio in cui Sobekhotep I siede sul trono. Oltre al sarcofago in quarzite gli archeologi hanno trovato i frammenti di vasi canopi che contenevano gli organi interni del faraone e gli oggetti d’oro che gli appartenevano. La tomba di Sobekhotep è stata costruita in calcare portato dalle cave di Tura vicino alla moderna città del Cairo, mentre la camera sepolcrale è stata realizzata in quarzite rossa, trasportata ad Abido da Gebel Ahmar, sempre vicino al Cairo. La sepoltura originariamente era sormontata da una piramide simile a quella di Ameny Qemau, faraone appartenente alla stessa dinastia.
E veniamo alla seconda scoperta. “La tomba di Senebkay”, hanno spiegato alla presentazione al Cairo, “è situata vicino alla tomba reale più grande, attribuita al re Sobekhotep I (1780 a.C.), della XIII dinastia. La camera del sarcofago, in quarzite rossa, era stata assegnata al tardo Medio Regno, ma il defunto era sconosciuto. Il riutilizzo del sarcofago in un’altra tomba è rimasto un mistero per tutta l’estate”. Ora, gli archeologi sanno che il colossale sarcofago proviene dalla tomba costruita per il faraone della XIII dinastia. “Elementi della tomba di Sobekhopet I sono stati riutilizzati dalla particolare dinastia di Abido, durante il Secondo Periodo Intermedio, per costruire e ornare le proprie tombe. La tomba scoperta l’anno scorso, risalente al 1650 a.C., è di uno di questi re, finora sconosciuto, identificato come Woseribre Senebkay, della Dinastia di Abido” spiegano Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone. La tomba si compone di quattro camere, una delle quali decorata con immagini delle dee Nut, Nefti, Selket e Iside sul canopo del re e dediche che recitano “al re dell’Alto e Basso Egitto, Wosebire, figlio di re, Senebkay”.
La tomba, saccheggiata in antico da tombaroli che spogliarono la mummia del suo oro, appare modesta. La cassa, in legno di cedro, porta ancora, ricoperto da dorature, il nome del re Sobekhotep, cioè del primo proprietario del sarcofago. “Il riutilizzo di questi oggetti e della camera del sarcofago sono la prova di risorse limitate nella situazione economica del Regno di Abydos nella parte meridionale del Medio Egitto, in confronto ai regni più grandi di Tebe (dinastie XVI-XVII) e Hyksos (dinastia XV), a nord”. La tomba, si è detto, fu saccheggiata già in epoca antica: tuttavia, tra i detriti del sarcofago ligneo frantumato, sono stati recuperati i resti della mummia, la maschera funeraria in cartonnage (probabilmente in origine dorata) e il canopo. “Grazie agli esami preliminari sulla base delle ossa”, spiegano i due professori, “si può stabilire che Senebkay era un uomo di altezza media (circa un metro e settanta), che morì prima dei cinquant’anni d’età”.
La scoperta fornisce nuove prove sulla storia politica e sociale del Secondo Periodo Intermedio d’Egitto (1781 a.C. – 1549 a.C.). L’esistenza di una “Dinastia Abydos” indipendente, “contemporanea della XV (Hyksos) e XVI (Tebana), ipotizzata dall’egittologo K.Ryholt nel 1997 – spiegano gli archeologi -, viene ora dimostrata da questa scoperta, che ne individua la necropoli a sud di Abydos, in una zona anticamente chiamata Montagna di Anubis”. Il nome di Senebkay compare in un frammento della famosa “Lista dei Re di Torino”, un papiro risalente al regno di Ramses II (1200 a.C.), in cui due nomi “Woser…re” sono iscritti tra una dozzina di re, la maggior parte dei cui nomi è andata perduta. A differenza delle dinastie “numerate”, i faraoni della dinastia Abydos rimasero dimenticati dalla storia e la loro necropoli sconosciuta fino alla scoperta della tomba di Senebkay che avrebbe governato come un re regionale a Abydos durante il Secondo Periodo Intermedio dell’Egitto, un momento in cui il potere del governo centrale era rotto e l’unità del regno si era frammentato.
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