È morta Halet Cambel, “la Signora degli Ittiti”: prima archeologo donna turco, scoprì Karatepe
È morta “la Signora degli Ittiti”. Halet Cambel, l’archeologa turca cui si deve la scoperta di importanti testimonianze del regno degli Ittiti, si è spenta nei giorni scorsi a Istanbul all’età di 97 anni. Halet era nata a Berlino nel 1916, terzogenita di Hasan Cemil Cambel l’addetto militare turco per la Germania e un buon amico di Atatürk, e di Remziye Cambel, figlia dell’ex Gran Visir e all’epoca ambasciatore turco a Berlino, Ibrahim Hakki Pasha. In Turchia sarebbe tornata solo dopo la fondazione della Repubblica turca. E proprio la vicinanza del padre con Atatürk avrebbe modellato anche la famiglia della Cambel: Halet diventerà una donna cosmopolita, poliglotta e tollerante.
“Tutto è cominciato durante un soggiorno in Francia”, racconta nelle sue memorie, “avrei dovuto tornare a Istanbul, ma poi sono stata chiamata a Budapest per partecipare ai giochi di Berlino”: Halet Cambel è stata infatti anche la prima schermitrice turca, che alle Olimpiadi di Berlino del 1936 rappresentò la Turchia. Dopo i Giochi, Halet Cambel dedicò tutta la sua vita alla carriera accademica. Alla Sorbona di Parigi studiò archeologia e lingue del Vicino Oriente (ittita, assiro, ebraico), all’epoca in Turchia quasi monopolio degli studiosi tedeschi. Tornata in Turchia, sposò Nail Cakirhan noto poeta di sei anni più vecchio di lei, con il quale avrebbe trascorso 70 anni della sua vita. Cominciò a lavorare come assistente alla facoltà di Lettere di Istanbul dove nel 1940 conseguì il dottorato. “Mi sarebbe piaciuto avere più tempo”, racconta sempre Halet. “Dall’università sono passata direttamente alla vita professionale. Mi è mancato il tempo per fare qualcosa di diverso”.
Halet Cambel è senza dubbio il più noto archeologo turco, oltre a essere stata il primo archeologo donna del Paese di Ataturk. Ha decifrato decine di iscrizioni ittite e ha diretto numerosi scavi diventando la massima specialista mondiale di ittitologia, che le hanno fatto guadagnare il soprannome di “signora degli Ittiti”. Insieme all’archeologo tedesco Helmuth Bossert dal 1947 diresse lo scavo di Karatepe, nel territorio di Adana (Turchia) ai confini della Cilicia orientale. Karatepe (la “Collina nera”, in turco) ha restituito le rovine dell’antica Azatiwataya, cittadella di frontiera del regno tardoittita di Adana, sorta a controllo di una via carovaniera.
Il sito conserva le rovine di un insediamento fortificato poligonale datato al IX-VIII secolo a.C., caratterizzato da una possente cinta muraria e due monumentali porte decorate con rilievi e iscrizioni. L’importanza di Karatepe sta proprio nelle sue iscrizioni. All’inizio degli scavi è stato scoperto un lungo testo fenicio. È stato scoperto che le porte presentavano versioni dello stesso testo in caratteri fenici e in geroglifici ittiti. Confrontando le due iscrizioni, gli archeologi hanno potuto comprendere meglio la scrittura e la lingua ittita. Secondo il testo di queste iscrizioni, il fondatore e governatore della città era Asitawandas, re dei Danuniani, vassallo di Awarikus di Adana. Asitawandas dichiarava di discendere dalla “casa di Mopso”, che secondo la mitologia greca sarebbe un indovino al seguito della spedizione degli Argonauti e avrebbe fondato – tra l’altro – in Cilicia la città di Mopsuestia (moderna Misis), distrutta dagli Assiri nel 700 a.C.
Negli anni Sessanta l’archeologa si batté per la conservazione in loco dei reperti, impedendo il loro trasferimento in museo come invece voleva il governo turco. Ad aiutarla fu proprio il marito Nail Cakirhan che negli anni ’50 l’aveva raggiunta a Karatepe. I manufatti scavati avevano infatti bisogno di un ampio spazio coperto, dove poter essere restaurati, protetti ed esposti. Il progetto, disegnato da Turgut Cansever venne consegnato a Nail Cakirhan che realizzò il primo museo turco all’aperto. Mentre per il marito lavorare su Karatepe significò una sfida e l’inizio di una nuova carriera di architetto di successo, per Halet quello scavo sarebbe diventato l’opera della sua vita. Oggi un nuovo edificio del museo è stato costruito accanto al museo a cielo aperto originale, a maggiore protezione dei manufatti più delicati.
Mezzo secolo di lavoro e di scavo sono stati condensati nel libro “Karatepe-Aslantas” che Halet Cambel ha scritto a quattro mani con un giovane collega Asli Ozizyar non solo documentando la scoperta e la conservazione delle porte monumentali con la realizzazione del museo a cielo aperto, ma inserendo anche un catalogo completo e commentato di tutte le sculture e rilievi, insieme ai risultati delle ricerche iconografiche sulle figure e scene rappresentate. “Senza dubbio questo volume è una delle più importanti pubblicazioni nel campo della ricerca sul tardo ittita”, assicurano gli archeologi.
Tempio di Ciro vicino a Persepoli, un giallo dell’archeologia. Sembra un “duplicato” della porta di Ishtar a Babilonia

L’edificio di epoca achemenide portato alla luce nello scavo di Tol-e Ajori, vicino a Persepoli in Iran
Non era una fornace e né una apadana achemenide, e neppure una torre. Si ingarbugliano le ipotesi nel giallo archeologico dell’edificio achemenide individuato nel 2011 a Tol-e Ajori, nella piana di Persepoli nella regione di Fars in Iran meridionale, dalla missione archeologica congiunta irano-italiana diretta da Alireza Askari Chaverdi dell’università di Shiraz e da Pierfrancesco Callieri dell’università di Bologna, nel quadro dell’accordo tra il dipartimento di Beni culturali dell’università di Bologna, il Centro iraniano per la ricerca archeologica (Icar) e la fondazione di ricerca Parsa-Pasargadae col contributo economico dell’Università di Bologna, del Miur (Progetto PRIN 2009) e del Mae. Ma allora cos’era questo singolare edificio dai muri perimetrali spessi 10 metri, a delimitare un piccolo ambiente centrale di modeste dimensioni, e in grado di sostenere un alzato impressionante di 20-30 metri che doveva dominare la piana? “Doveva essere sicuramente un edificio importante”, ci viene in soccorso il prof. Callieri che continua così, con la nostra intervista, a ripercorrere idealmente il diario di scavo a Tol-e Ajori. “Era a soli 3 chilometri e mezzo da Persepoli, ma diversamente da quest’ultima l’edificio di Tol-e Ajori non era stato costruito in pietra bensì in mattoni, cotti e crudi, secondo una tradizione elamita ben nota, e con il rivestimento esterno invetriato splendente al sole il quale, insieme all’altezza, lo rendeva visibile da lunghe distanze”.
Nuove sorprese. E qui è il momento di parlare di un’altra sorpresa venuta proprio dall’ultima campagna di scavo, quella del 2013, che sembra foriera di sviluppi sicuramente importanti e intriganti nel prosieguo delle ricerche dei prossimi anni. “Mentre i mattoni invetriati trovati nei corsi ancora in situ”, spiega Callieri, “e corrispondenti alla fascia più bassa dell’edificio, pur presentando colori diversi sono sempre a tinta unita –monocromi, dicono i tecnici-, i frammenti di mattoni invetriati collassati nel crollo delle strutture sono decorati a rilievo”. Purtroppo questo edificio fu distrutto più volte, già in antico ma anche in epoche più recenti. “Lungo il muro, nei detriti di crollo, è stata trovata una serie copiosa di frammenti di mattoni invetriati con rilievi provenienti da un apparato decorativo, rilievi che si possono comparare con quelli rinvenuti nel Palazzo di Dario a Susa”.
Un rilievo babilonese: il “mushkhusshu”. È interessante notare che, diversamente dalla fascia bassa del muro a decorazione uniforme, qui i rilievi decorati sono ben riconoscibili con raffigurazioni di animali fantastici: oltre al toro troviamo – ed è l’aspetto più interessante e intrigante-, il “mushkhusshu”, cioè il drago-serpente babilonese: un quadrupede con zampe posteriori di grifone munite di artigli, e le zampe anteriori di leone; il corpo, invece, è un ibrido con squame e la testa di serpente. Una bella raffigurazione di questo drago-serpente si trova sulla porta di Ishtar di Babilonia (ora tra le principali opere esposte al Pergamon Museum di Berlino). “Ma non si tratterebbe di una semplice somiglianza di soggetto”, interviene Callieri. “Qui si nota anche una stretta relazione con i pannelli decorativi della porta di Ishtar realizzati, come a Tol-e Ajori, in mattoni: la composizione delle immagini è identica. Addirittura sembra siano state usate le stesse matrici: stesse misure, stesse parti. Possiamo dire che a Toll-e Ajori siamo di fronte a una specie di duplicato della porta di Ishtar di Babilonia”.
Edificio protoachemenide. La prima considerazione conseguente, secondo il co-direttore della missione irano-italiana, è lo spostamento della datazione del monumento a un periodo più antico rispetto alla costruzione di Persepoli, quindi a un periodo proto-achemenide. “Perciò ipotizziamo che l’edificio monumentale di Tol-e Ajori si possa far risalire all’epoca di Ciro o, al massimo, di Cambise. A supportare questa tesi ci sono alcuni dati specifici emersi dallo scavo cui abbiamo già accennato ma che è bene qui ricordare. Innanzitutto le diverse tecniche costruttive rispetto alla terrazza di Persepoli e poi, soprattutto, la presenza del “mushkhusshu” il drago-serpente babilonese che scompare nell’arte achemenide ufficiale -possiamo dire “classica” -, quella cioè che si manifesta da Dario in poi”. Nella nuova visione iranica del mondo il drago-serpente non ha infatti più motivo di essere, non va più bene perché per lo zoroastrismo –su cui poggia tutta l’organizzazione e la filosofia dell’impero persiano- quell’animale mostruoso non può essere che un demone.
“Per Ciro è diverso”, continua Callieri, “ancora intriso di cultura elamita e fortemente attratto da Babilonia. Non a caso nel suo palazzo a Pasargade, la città – sempre nella piana del Fars/Pars (la regione dell’altopiano iranico meridionale che ha dato poi il nome, Persia, a tutto il Paese) – che lui scelse come capitale, e città dove si è fatto seppellire, a Pasargade dunque sono presenti queste credenze babilonesi”. Ancora oggi, a Pasargade nel cosiddetto Palazzo S (che i turisti viene indicato come Palazzo delle Udienze di Ciro) possiamo vedere sulle lastre decorate a rilievo interne degli accessi alla sala principale del palazzo la raffigurazione dell’uomo-toro e dell’uomo-pesce. Solo il toro androcefalo alato, tipico dell’iconografia assiro-babilonese, rimarrà nell’arte classica achemenide: pensiamo alla monumentale Porta di Tutte le Nazioni o Porta di Serse che, alla sommità della scalinata monumentale all’ingresso della terrazza di Persepoli, oggi accoglie i turisti e 2500 anni fa le delegazioni dell’immenso impero persiano che venivano ad omaggiare il Re dei Re.
A questo punto Callieri ci invita a fare un’altra deduzione che conferma indirettamente la “retrodatazione” dell’edificio al periodo proto-achemenide di Ciro. “Se Dario era impegnato nella costruzione di Persepoli sopra la terrazza monumentale, un progetto impressionante, può sembrare perlomeno strano che a soli 3 chilometri e mezzo di distanza si sia impegnato nella realizzazione di un altro monumento altrettanto impegnativo”.
(4 continua. Nuovo post nei prossimi giorni. Precedenti post il 2, 7, 15 dicembre)
Cerveteri: una delle principali città del Mediterraneo antico. Mostra al Louvre Lens
Sarà il pezzo forte della mostra “Les Etrusques et la Mediterranée: la cité de Cerveteri” che apre oggi, 5 dicembre, al Louvre di Lens , in un padiglione in acciaio e vetro adibito progettato a questo scopo dall’agenzia di architettura giapponese Sanaa: è il Sarcofago degli Sposi conservato al Louvre di Parigi. Non è bello e raffinato come quello di Roma, spiegano gli esperti: meno enigmatici gli sguardi, meno elegante la realizzazione. Ma il suo fascino è innegabile, ora che è stato restaurato – come è successo in tempi recenti, per il più famoso sarcofago degli Sposi di Villa Giulia a Roma.Dal 30 settembre l’urna funeraria etrusca in terracotta dipinta, proveniente dalla necropoli della Banditaccia a Cerveteri, è stata infatti interessata da lavori di pulitura e restauro. E ora il Sarcofago fa bella mostra nell’esposizione di Lens la prima a tema archeologico e in partneriato della nuova succursale, inaugurata nel 2012, che vede la partecipazione di Louvre, Palazzo delle Esposizioni di Roma e ministero per i Beni e le attività culturali. “Les Etrusques et la Mediterranée: la cité de Cerveteri” permetterà così al pubblico francese di conoscere e apprezzare una della città etrusche più potenti del Mediterraneo: Cerveteri, l’antica Caere.
Cerveteri era la Kaisra degli Etruschi, l’Agylla Caere di Greci e Romani, uno dei centri più importanti in Italia e nel Mediterraneo per tutto il primo millennio a.C. La storia di Cerveteri e dei suoi abitanti, i ceretani, è conosciuta non solo dai testi antichi, ma è emersa poco a poco dal terreno negli ultimi due secoli. Grandi scavi in particolare nel XIX secolo hanno rivelato monumenti e oggetti che hanno stupito i contemporanei e che oggi possiamo ammirare nei più grandi musei, da Villa Giulia ai Vaticani al Louvre. La mostra – assicurano gli organizzatori – propone un raffronto tra i ritrovamenti più antichi e i risultati degli scavi sistematici più recenti condotti nel cuore della città antica ma anche nelle necropoli e nell’intero territorio della città. Il risultato è un confronto senza precedenti in grado di sviluppare per la prima volta il ritratto di Cerveteri, una città che, come Atene Cartagine e Roma, fu una delle grandi città del Mediterraneo antico.
Non c’è solo il sarcofago fittile “degli sposi” ma anche le lastre dipinte di Parigi, Villa Giulia e Cerveteri, le terrecotte votive del Vaticano e quelle decorative di Berlino e Copenhagen tra le 400 opere selezionate per la mostra, con ceramiche, oggetti in metallo, vetro, sculture in pietra e terracotta, elementi architettonici in pietra, oreficerie, terrecotte dipinte, monete e utensili da lavoro, che provengono dai musei di tutto il mondo. Il progetto espositivo, che per la prima volta consente di tracciare un profilo generale della grande città etrusca, è frutto della condivisione di interessi e risorse con varie istituzioni. “Il Louvre vanta una delle più ricche collezioni di antichità etrusche provenienti da Cerveteri, in origine appartenute al marchese Campana”, ricorda Paola Santoro, direttore dell’Istituto di studi sul Mediterraneo antico del Consiglio nazionale delle ricerche che ha collaborato alla realizzazione dell’evento. L’Isma-Cnr conduce infatti scavi regolari nell’area urbana di Cerveteri sin dai primi anni ’80 del secolo scorso. “La parte centrale del percorso espositivo è dedicata proprio all’età dell’oro dell’antica città etrusca, l’epoca arcaica, dove spiccano le scoperte effettuate dal Cnr, che ha indagato tutti i siti collegati a santuari illustrati in mostra e contribuito, con le sue ricerche, alla ricostruzione dei vari aspetti della vita urbana: artigianato, urbanistica, culti, viabilità. All’Isma si deve anche la ricostruzione del quadro topografico generale del territorio ceretano”.
“Attraverso il ‘racconto’ della mostra – conclude Santoro – il visitatore potrà ricostruire un intero capitolo della storia del Mediterraneo, dall’angolo di osservazione di una delle sue metropoli”. La mostra rimarrà aperta fino al 10 marzo 2014. Dopo la tappa francese, la mostra approderà in aprile a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, dove è in calendario fino al 20 luglio 2014.
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