Egitto. Webinar promosso dall’istituto italiano di Cultura al Cairo su “Wadi Rasras: un eccezionale sito di arte rupestre nel deserto a est di Assuan” a cura della prof.ssa Maria Carmela Gatto dell’Accademia polacca delle Scienze, e del prof. Antonio Curci dell’università di Bologna. Ecco come seguirlo

L’appuntamento è martedì 1° febbraio 2022, alle 17 ora italiana (18 ora egiziana) per il webinar “Wadi Rasras: un eccezionale sito di arte rupestre nel deserto a est di Assuan” a cura della prof.ssa Maria Carmela Gatto dell’Accademia polacca delle Scienze, e del prof. Antonio Curci dell’università di Bologna, promosso dal Centro archeologico italiano dell’Istituto italiano di Cultura al Cairo in collaborazione con l’ambasciata italiana al Cairo. La conferenza potrà essere seguita attraverso Microsoft Teams al link https://teams.microsoft.com/l/meetup-join/19%3ameeting_ZjA2NDQ1NmYtODc3Zi00MzI1LTkxYzEtOTI1NzY3NTdjZTU4%40thread.v2/0?context=%7b%22Tid%22%3a%2234c64e9f-d27f-4edd-a1f0-1397f0c84f94%22%2c%22Oid%22%3a%22babdcf46-9524-4ae8-ae30-59e751a8a656%22%7d (istruzioni: 1- clicca sul link; 2- scegli “continua su questo browser”, non sarà necessario scaricare alcuna applicazione; 3 – fai clic su partecipa e sarai nella sala riunioni; 4- Se ti iscrivi da cellulare, dovrai installare l’app).

“In seguito alle ricognizioni effettuate nel tra il 2018 e il 2020 insieme al dott. Sayed el-Rawy (Ispettorato di Aswan), nell’ambito del Progetto Archeologico Assuan-Kom Ombo (AKAP) in aree selezionate nella regione tra Assuan e Kom Ombo”, scrivono Antonio Curci, Maria Carmela Gatto, Serena Nicolini in “Ricerche italiane e scavi in Egitto. RISE VIII. 2020” a cura di Giuseppina Capriotti Vittozzi, “Wadi Ras Ras è diventato uno dei siti di maggiore interesse tra le aree di concessione nel deserto orientale per l’enorme quantità di arte rupestre e per la presenza di numerosi ripari sotto roccia che meriteranno un’analisi più dettagliata. Sebbene al momento siano state fatte solo poche giornate di ricognizione per valutare l’estensione dell’arte rupestre ed essa necessiti di un’analisi molto più dettagliata, alcuni pannelli meritano una breve descrizione per la loro unicità. In particolare, è stato possibile documentare una scena posizionata al di sotto di un piccolo riparo che mostra figure incise e, eccezionalmente, figure animali e umane dipinte in rosso e bianco, che cronologicamente risultano antecedenti quelle incise. Tra le numerose incisioni rupestri presenti lungo lo wadi è molto probabile che siano presenti motivi decorativi risalenti all’Epipaleolitico, oltre naturalmente ad una grande quantità di scene riferibili all’iconografia predinastica, con barche e animali ampiamente attestati. Assai particolare risulta una scena di caccia con elefanti, cani, cacciatori e alcune figure femminili, riconoscibili per la presenza del seno. Sono molto numerosi, infine, i pannelli con segni e simboli geometrici che sono solitamente interpretati come testimonianze del passaggio di carovane di cammellieri. L’abbondanza delle raffigurazioni rupestri presenti a Wadi Ras Ras e il loro ampio arco cronologico richiederanno in futuro maggiori studi di approfondimento”.
Gran finale alla 31. Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto: chiude le proiezioni il film di Lucio Rosa “Fabrizio Mori. Un ricordo” dove il regista veneziano – nel decennale della morte – tratteggia non solo la figura del paletnologo di fama internazionale, uno dei più grandi studiosi delle antiche civiltà del Sahara, ma anche la grande umanità e sensibilità dell’uomo

Il famoso paletnologo Fabrizio Mori nel film di Lucio Rosa “Fabrizio Mori. Un ricordo” (foto Lucio Rosa)

Il manifesto della 31.ma rassegna internazionale del cinema archeologico intitolata “L’Italia racconta”
Fabrizio Mori: nato a Cascina il 4 dicembre 1925, morto a Trequanda nel 2010, etnografo e archeologo italiano, noto per i suoi studi sull’arte rupestre del Sahara. “Non c’è molto su questo grande ricercatore italiano. Non mi sembra che alla sua morte sia stato ricordato come si deve”, sottolinea il regista veneziano Lucio Rosa. “Eppure è stato un gigante. Meritava un ricordo degno della sua figura”. Così, nel decennale della sua morte, Lucio Rosa ha deciso di rendergli omaggio alla sua maniera: con un film. Ecco quindi “Fabrizio Mori. Un ricordo” (Italia, 20’, 2020) che domenica 4 ottobre 2020 al teatro Zandonai nel tardo pomeriggio chiuderà le proiezioni in concorso alla 31.ma Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto – L’Italia si racconta. Rosa, che ha l’Africa nel cuore, e la Libia è stata un suo “domicilio” per anni, riesce a tratteggiare non solo la figura del paletnologo di fama internazionale, uno dei più grandi studiosi delle antiche civiltà del Sahara, ma anche la grande umanità e sensibilità dell’uomo. E lo fa con un protagonista d’eccezione: lo stesso Fabrizio Mori, che Rosa aveva intervistato in occasione del film “Il segno sulla pietra. Il Sahara sconosciuto degli uomini senza nome” (Italia, 2006, 50’), film che lo stesso Mori aveva apprezzato moltissimo.
“Ho conosciuto Fabrizio Mori a casa sua a Trequanda, nelle campagne senesi”, ricorda Rosa. “Tra me e il professore era nato un feeling particolare…come da vecchi amici. Un grande studioso delle antiche civiltà del Sahara, ma anche uomo dalla grande umanità. Basta ricordare che aveva trasformato la sua dimora in una “casa” per ragazzi con famiglie “difficili”. È il Centro Lorenzo Mori, intitolato al figlio Lorenzo, morto tragicamente giovanissimo, sepolto in una buca che stava scavando in spiaggia e che si è chiusa sopra di lui, inghiottendolo”. E continua: “Aveva creduto sin da principio in me. Appena conosciuti mi ha dato il film da lui girato all’inizio delle sue ricerche, film in unico originale 16mm, ‘se lo porti via, lo faccia duplicare in elettronica, me lo riporterà la prossima volta che verrà a trovarmi…’, mi disse. Dopo un settimana tornai da lui per restituirgli il suo prezioso documento, di cui io usai alcuni brani sia nel mio film che Il segno sulla pietra, che stavolta nel film per il ricordo“.

Nel Tadrart Acacus, in Libia Fabrizio Mori ha scoperto centinaia di pitture preistoriche (foto Lucio Rosa)
I vasti orizzonti del Tadrart Acacus, in Libia, chiusi da profili rocciosi dove si aprono anfratti o si distendono pareti dove l’uomo preistorico ritrasse il mondo che lo circondava, aprono il film. È questo il mondo di stupefacente bellezza che si presenta allo studioso toscano che qui arriva nel 1955 e fa la grande scoperta dell’arte rupestre: centinaia di pitture preistoriche che istoriano i ripari sotto roccia. Attraverso lo studio delle pitture, avanza ipotesi, molte delle quali valide ancora oggi, di scansione cronologica delle opere, il cui inizio il paletnologo lo colloca a 9000 anni dal presente. Mori è consapevole della valenza della scoperta, ma nelle sue parole non c’è nulla di tutto questo. Tutti i suoi pensieri sono per “tutti coloro che mi sono stati a fianco in questo lungo tempo, a cominciare dalle prime guide Tuareg, alla gente di Ghat, alla gente di Auenath, alla popolazione del Tadrart Acacus, che dopo un periodo di incertezza si è aperta completamente, piena i stima e fiducia reciproca. E poi la mia gratitudine va agli studiosi italiani che mi hanno accompagnato, ai pittori che mi hanno accompagnato, per le riproduzioni delle pitture…Tutte persone alle quali io debbo tutto. Io da solo non avrei potuto fare niente”.
È il 1958 quando il professor Mori accompagnato dalle fedeli guide Tuareg raggiunge il riparo di Uan Muhuggiag nell’uadi Teshuìnath e fa il ritrovamento della piccola mummia. “Sono stati momenti particolari, in tutti questi anni, come per esempio quel momento emozionante, importante anche un po’ così impressionante, il ritrovamento di quello che poi abbiamo capito essere una piccola mummia di bambino, perché lì per lì, noi abbiamo visto soltanto un involucro di pelle animale, era pelle di gazzella, che circondava qualcosa, era un qualcosa di sferico che noi non sapevamo cosa fosse”. Le sue parole, dolci, sembrano più quelle di un nonno affettuoso che di un ricercatore rigoroso. “L’abbiamo rivoltata piano piano, lentamente, e abbiamo incominciato a vedere il profilo di un piccolo bambino, con i suoi dentini, con le sue labbra, con il suo nasino disseccato, con i suoi occhi chiusi. Questo bambino era stato eviscerato, era stato riempito di erba secca per consentire il disseccamento più veloce e più perfetto e poi era stato ripiegato in maniera anormale, perché aveva le gambe sotto il ventre, quasi dentro il ventre. E poi aveva un segno di grandissimo affetto. Questo bambino aveva una collanina di anellini fatti con le uova di struzzo. E c’è venuto subito il dubbio, che facciamo? Lo dobbiamo portar via dal luogo in cui è stato così amorevolmente sepolto? Perché l’amore traspare da ogni cosa in questo bambino…forse era il figlio di qualcuno di importante…certamente era figlio di genitori che lo amavano molto”. Il corpo di questo bambino di tipo negroide venne datato al radiocarbonio a circa 5500 anni dal presente. Si tratta della più antica mummia intenzionale mai trovata in Africa di circa 1000 anni più antica delle prime mummie egiziane. Il museo di Tripoli conserva questo reperto che tanto aveva emozionato il giovane Mori.
Un aspetto culturale importante è l’addomesticamento che dà spunto allo studioso di fare una riflessione. “L’uomo incomincia a capire, a capire in millenni non in due giorni, in una storia durata millenni”, continua ancora Mori, “comincia a capire la possibilità di addomesticare, coltivare le piante, addomesticare gli animali, e quindi un modo di vita completamente diverso. Che poi naturalmente continua su quel sentiero fino al giorno d’oggi. Perché noi non dobbiamo dimenticare che noi viviamo ancora nel neolitico, non lo dobbiamo dimenticare. Invece lo si dimentica. E facendo di questa cultura un po’ ambigua che ci domina una torre di Babele, anche un po’ più apparente che sostanziale, ecco dimentica tutto quello che è stato il nostro passato, che potrebbe viceversa aiutarci moltissimo nel correggere i nostri errori. Perché tutto quello che è stato fatto dai primi passi di questi più antichi predecessori che risalgono a milioni di anni fino ad oggi, è cultura. Cultura e natura sono state i due fattori fondamentali della storia dell’evoluzione dell’uomo. E la cultura ha una parte di grandissimo rilievo, che poi è diventato sempre più importante con il passare dei millenni. Però”, conclude, “come la cultura ha concesso all’uomo di arrivare a tappe apparentemente di grandissima importanza, ecco la cultura potrebbe essere anche di grande peso nel correggere gli errori nei quali ci dibattiamo affannosamente e penosamente”.
Al via il 30mo campo scuola di Arte rupestre della Valcamonica: tre settimane di ricerca con esperti dal tutto il mondo. A Cerveno ci sono gli Archeoincontri per tutti
Ci siamo. È al via il 30mo campo scuola di Arte rupestre della Valcamonica che terrà impegnati i partecipanti per tre settimane dal 19 luglio al 9 agosto 2018. Il campo scuola della Valcamonica, che si tiene a Paspardo, Comune della Valcamonica (Bs), è un’occasione unica per partecipare a ricerche archeologiche sull’arte rupestre. Questa valle alpina può vantare infatti uno dei più importanti esempi di arte rupestre nel mondo e rappresenta il primo sito italiano inserito dall’Unesco nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Il team di esperti guiderà i ragazzi nel lavoro di ricerca, utilizzando varie tecniche di registrazione (come il Gps), e confronti con altri esempi d’arte rupestre attraverso escursioni locali ai siti della regione.
Nel corso dell’esperienza sono previsti alcuni interessanti interventi. Marisa Down Giorgi del Queensland Museum di Brisbane parlerà di “Carnarvon Gorge, Australia: paesaggi di genere, immagini ricorrenti di figure di fertilità nell’arte rupestre”; Linda Bossoni, archeologa della cooperativa archeologica Le orme dell’Uomo di Cerveno (Bs), introdurrà un tema intrigante: “Ludus in tabula: breve storia dei giochi da tavolo nel mondo antico”; Giorgio Fea, curatore del civico museo di Cherasco (Cn), attraverso lezioni in laboratorio e letture guiderà i partecipanti alla scoperta del misterioso mondo delle monete celtiche: “Alla fine dell’arcobaleno. Una pentola di monete celtiche tra mito e realtà”; Nicoletta Gelfi, altra archeologa della coop di Cerveno, illustrerà invece “Tessuti e telai nell’arte rupestre della Valcamonica”; Giacomo Camuri, filosofo della coop archeologica, ha intenzione di discutere su “L’enigma della Sfinge e i segreti delle Aquane”, che nell’arte rupestre della Valcamonica, sono le Sirene delle Alpi.
Parallelamente al campo scuola, a Cerveno, nella Casa Museo, sono previsti gli Archeoincontri, aperti al pubblico, con inizio sempre alle 21. Il ciclo apre venerdì 20 luglio 2018 con James D. Kayser della Oregon Archeological Society di Portland (Usa) su “Il potere soprannaturale del castoro presso i Piedi Neri, Usa”; martedì 24 luglio 2018 sarà la volta di Dario Sigari dell’università di Ferrara con un “Breve viaggio nell’arte rupestre paleolitica della penisola italiana”; con Carl Pause del Clemens Sels Museum di Neuss (Germania) venerdì 27 luglio 2018 si cambia periodo: “Ricostruire il mondo dei Romani”; martedì 31 luglio 2018, Silvia Sandrone del museo Dipartimentale di Tenda (Francia) parlerà di “Arte rupestre e depositi votivi: un santuario alpino presso il Colle di Tenda (Alpi Marittime)”; venerdì 3 agosto 2018 Marisa Down Giorgi del Queensland Museum di Brisbane propone al pubblico di appassionati quanto già approfindito con i partecipanti del campo scuola: “Carnarvon Gorge, Australia: paesaggi di genere, immagini ricorrenti di figure di fertilità nell’arte rupestre”; infine martedì 7 agosto 2018 con Yang Cai della Carnagie Mellon University di Pittsburgh si approfondiscono le nuove tecnologie applicate alla ricerca archeologica: “L’utilizzo dei droni in archeologia”.
Al riparo sotto roccia Morricone del Pesco scoperta la prima testimonianza di arte rupestre in Molise
Morricone del Pesco, in Molise, è uno sperone roccioso che domina l’antico tratturo Lucera-Castel di Sangro, il quale congiunge l’Abruzzo centrale e il promontorio garganico. La rupe colpisce per la sua conformazione. All’osservatore con un minimo di fantasia può apparire sotto svariati aspetti a seconda dei punti di vista: un mostro di pietra, un dinosauro la cui testa s’innalza fino a emergere sulla curva grande della strada tortuosa che sale verso la montagnola. Dalla parte più a sud ha invece l’apparenza di una cattedrale con le guglie che si ergono verso il cielo. È in questo luogo “magico” che si apre il riparo sotto roccia del Morricone del Pesco, nel territorio di Civitanova del Sannio in provincia di Isernia, dove il ricercatore Guido Lastoria ha scoperto la prima testimonianza di arte rupestre in Molise.
Lo studio, coordinato dal professor Carlo Peretto dell’università di Ferrara (molto famoso in Molise per lo scavo e lo studio del giacimento paleolitico di Isernia-La Pineta scoperto nel 1979), è stato effettuato da Dario Sigari della cooperativa Le Orme dell’Uomo. Nell’auditorium comunale di Civitanova del Sannio la presentazione dei risultati della ricerca con l’intervento di Guido Lastoria (lo scopritore del sito), di Dario Sigari (cooperativa Le Orme dell’Uomo e Università degli Studi di Ferrara, autore dello studio), e del prof. Carlo Peretto (Università degli Studi di Ferrara).
“Il Morricone del Pesco – spiega Sigari – è alto 750 metri tra rilievi che raggiungono una media di 1200 metri (1422 metri è la cima più alta appartenente al massiccio della Montagnola). Alla sua base, ad occidente, il Morricone presenta una breve rientranza a formare un piccolo e stretto riparo in posizione dominante sul tratturo, fra cespugli di ginestre, giallissime e profumate in primavera: il riparo che dà le spalle al mare Adriatico ed è protetto dalla luce solare mattutina, è di facile accesso e raggiungibile da un dislivello abbastanza ripido coperto da erba, cespugli e piccoli alberi. La panoramica di cui si gode dal sito è rivolta all’interno della valle Serrata, offrendo così un controllo visivo buono verso la parte alta del pendio, meno buono in direzione del mare. Il riparo è profondo circa due metri e largo 4,2”. È qui, sulla parete lunga del riparo, che Guido Lastoria ha scoperto le pitture. Si tratta di figure zoomorfe, motivi floreali, altre figure sovrapposte, incisioni e rappresentazioni di vario genere di non facile identificazione, risalenti secondo gli esperti a fasi della Preistoria e della Protostoria: dal tardo Paleolitico alla prima età del Ferro.
“Pur se in cattivo stato di conservazione”, annota la coop Le Orme dell’’Uomo nella relazione di presentazione, “sulla parete rocciosa si riconoscono almeno quattro figure dipinte di animali, che consentono un confronto cronologico e culturale con altri ritrovamenti europei. Nello specifico è possibile ricondurre a una probabile fase del tardo Paleolitico una figura zoomorfa, tracciata a linea di contorno di dimensioni ridotte (12×8 cm) con pigmento anche interno al dorso, che ne accentua il carattere naturalistico. C’è inoltre la traccia di una raffigurazione schematica ad andamento obliquo (4,5×5,5 cm), con un asse centrale da cui dipartono quattro coppie di segmenti, il cui riferimento a contesti neolitici è possibile grazie al confronto con quanto rinvenuto nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco in provincia di Lecce. Altre pitture – continua la relazione -, sempre su base stilistica, possono essere ricondotte all’Età del Ferro, in particolare, almeno tre figure di animali (mediamente di 20×20 cm), di cui una è palesemente un equide. Analisi spettroscopiche sui pigmenti consentono di affermare che la figura più arcaica è stata realizzata con ematite. Dunque il riparo Morricone del Pesco, oltre ad essere il primo con attestazioni di arte rupestre trovato in Molise, allargherebbe ulteriormente i confini delle manifestazioni artistiche dei nostri antenati nell’Italia centro-meridionale, segnalando testimonianze artistiche già in una fase del Paleolitico superiore”.
Il repertorio iconografico. La scoperta del riparo Morricone del Pescocon incisioni a linea continua e pitture rupestri, tutte di colore nero, ha permesso dunque di stabilire un confronto crono-culturale con l’Abruzzo e il Gargano pre-protostorici. “L’iconografia – ricorda Dario Sigari – spazia dalle raffigurazioni geometriche alle antropomorfiche, dalle zoomorfìche fino ai semplici gruppi di linee. Tali categorie sono schematiche e tipiche del patrimonio artistico rupestre riscontrato nella tradizione tardo preistorica-protostorica e storica italiana di arte rupestre”. L’arte del riparo Morricone si esprime attraverso la pittura nera e le incisioni filiformi (quasi tutte, probabilmente, effettuate con punte metalliche). Per meglio studiare e catalogare le espressioni artistiche del sito, gli archeologi hanno ripartito la superficie rocciosa del riparo in quattro settori (da ovest ad est A, B, C, D), tutti definiti da limiti ben evidenti quali crepe o sporgenze che separano nettamente le raffigurazioni e non presentano né a cavallo né al proprio interno ulteriori pitture o incisioni, facilitando una più celere documentazione e catalogazione delle figure che sono state realizzate spesso sovrapponendole ad altre preesistenti, fatto che ha permesso di definire tra di loro almeno una cronologia relativa. “La prima cosa che si nota è che le pitture (ecccetto una iscrizione nel settore D) sono tutte più antiche delle incisioni. Questo perché le pitture risultano quasi tutte al di sotto delle incisioni e molte di esse sono state prima sigillate da strati di carbonato di calcio e successivamente coperte da incisioni. Vediamo allora di conoscere meglio, settore per settore, le immagini più significative.
Settore A. Il settore A si trova a ovest ed è quello maggiormente esposto agli agenti atmosferici. Le categorie figurative presenti sono principalmente quattro, escludendo le non identificabili: zoomorfi, simboli, meandri e geometrici. “Nel complesso le figure facilmente leggibili restano assai poche e ancor meno sono le figure ben conservate. Tra queste vi sono una stella a cinque punte e un reticolato geometrico incisi, un meandro-labirinto e uno zoomorfo a tratto nero. Quest’ultimo fa parte di una teoria di tre zoomorfi; gli altri due si collocano uno sopra e l’altro sotto a una figura di animale e sono entrambi dipinti a tratto nero”. Tutt’e tre le figure sono al di sotto di una figura meandro-labirintica dipinta ugualmente in nero. Tra le figure dipinte si nota anche un reticolato e una probabile figura antropomorfica. Infine si riconosce, nella sezione est del settore, un secondo antropomorfo di cui sono visibili una gamba, il tronco e il sesso.
Settore B. In cima al settore B vi sono cinque gruppi di linee organizzati secondo figure geometriche che formano dei reticolati. Quelli collocati più in alto sono graffiti. Una figura zoomorfa (12cm x 8cm) dipinta in nero si colloca a metà altezza del settore. Tuttavia non è facile l’identificazione dell’animale. Al di sotto di questa figura si trovano una serie di punti dipinti in nero e un motivo a zig zag paralleli ed orizzontali.
Settore C. Il settore C è quello meglio preservato. Esso si trova nella porzione orientale e presenta un insieme di figure assai ricco e complesso, distribuito su una superficie di 2,2m x 2,2m circa. Nella parte maggiormente esposta ad est presenta ai suoi piedi un rialzo del terreno costituito da un blocco roccioso, che ha permesso la realizzazione di figure in punti ancor più alti rispetto ai primi due settori. Le figure di questo settore sono sia dipinte sia graffite. La sporgenza rocciosa che chiude il settore sul lato orientale l’ha preservato sì da vento e pioggia, ma non dai dilavamenti che scendono dalla cima, e dagli arbusti che gli crescono addosso, che costituiscono i principali fattori di danneggiamento. Le pitture di questo settore si possono dividere in tre categorie principali: geometrici, alberiformi e probabili zoomorfi e, da ultimo, i non identificabili. Questi ultimi sono tali per i dilavamenti che ne hanno cancellato una buona parte. Lo stesso accade per i graffiti, i quali sono maggiormente rappresentati con cinque categorie figurative: antropomorfi, geometrici, scaliformi, simboli e gruppi di linee. Gli antropomorfi sono il tema maggiormente ricorrente e significativo di questo settore. Vi sono cinque, forse sei figure. In aggiunta vi sono due motivi circolari, anch’essi forse appartenenti a degli antropomorfi. Altri geometrici sono sparsi nel settore, da motivi scaliformi a stelle incomplete. A questi si aggiunge una figura antropomorfica intera coi fianchi e il seno esagerati. Riguardo alle pitture, l’area orientale del settore riporta dei soggetti alquanto peculiari. Uno di questi è stato interpretato come motivo floreale. Poco sopra una figura forse zoomorfìca schematica. Al di sotto della figura floreale si trovano tracce di pigmento nero interrotte da strati carbonatici che non ne permettono la lettura. Settore D. Il settore D si caratterizza per la presenza di un’iscrizione a tratto nero che recita “L[a] f[iss]a di Pina è […] è un[a] pot[…]“. La frase non è interamente leggibile per motivi di conservazione della superficie rocciosa che si trova al di là dello sperone che chiude ad oriente i primi tre pannelli, lasciando cosi esposto il settore D alle perturbazioni provenienti dal fondo valle e dall’Adriatico.

Fig. a – Probabile antropomorfo incompleto dal settore C del Morricone del Pesco (foto: D. Sigari);
Fig. b – Figure antropomorfe schematiche a tratto nero da Grotta Genovesi (da Graziosi 1973);
Fig. c – Zoomorfo a tratto nero dal settore B del Morricone del Pesco (foto: D. Sigari);
Fig. d – Rinoceronte a tratto nero da Grotta Chauvet (da Clottes 2008);
Fig. e – Figura zoomorfa schematica a pettine dal settore C del Morricone del Pesco (foto: D. Sigari);
Fig. f – Zoomorfo a pettine a tratto nero da Porto Badisco (da Graziosi 1980);
Fig. g – Figura a tratto nero a cerchi concentrici o spiraliforme dal settore C del Morricone (foto: D. Sigari);
Fig. h – Spirale a tratto nero da Porto Badisco (da Graziosi 1980).
Conclusioni. “Per dare un’attribuzione crono-culturale alle pitture e alle incisioni”, conclude la relazione di Sigari, “è innanzitutto necessario tenere presente il tratturo Lucera-Castel di Sangro, perché è la via di comunicazione preferenziale tra il Gargano e il centro Abruzzo e perché, lungo il suo tracciato, sono stati riconosciuti diversi siti riferibili a epoche diverse, dalla preistoria ai giorni nostri. I tratturi ricalcano antiche vie soprattutto degli armenti allo stato brado. Costituiscono vie preferenziali all’interno di una zona montana del cui utilizzo abbiamo notizia fin dall’epoca romana. Tuttavia la distribuzione dei vari siti lascia pensare a un sistema di mobilità che sfruttava tali rotte già in epoche precedenti. In questo senso è da pensarsi un utilizzo del riparo del Morricone del Pesco in un lungo arco cronologico, corrispondente al periodo di sfruttamento di questo ambiente e paesaggio”. Secondo gli archeologi buona parte del repertorio figurativo dipinto sembra trovare raffronti non solo con il contesto regionale esteso a Puglia e Abruzzo, ma anche con quello italiano ed europeo, suggerendo così una lunga frequentazione del riparo. “Darne comunque un’attribuzione temporale certa sarebbe rischioso e prematuro”, ammette Sigari, “avendo a disposizione solo la possibilità di fare raffronti stilistici ed essendo numerosi gli esempi in tale direzione. Concludendo, il riparo del Morricone del Pesco è la prima attestazione di arte rupestre in Molise. La speranza è non solo quella di darne una cronologia precisa, ma anche di giungere a comprendere meglio il contesto crono-culturale in cui si inserisce”.
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