Bologna. Al museo civico Archeologico la conferenza dell’archeologa Laura Bentini su “La straordinaria scoperta del Ripostiglio di San Francesco: il più importante deposito dell’Età del Ferro italiana”, terzo appuntamento del ciclo “Il dolio delle meraviglie”, in occasione del nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco

Oggetti metallici contenuti nel Ripostiglio di San Francesco conservato al museo civico Archeologico di Bologna (foto giorgio bianchi / bologna musei)

Il nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco al museo civico Archeologico di Bologna (foto giorgio bianchi / bologna musei)
Quasi 15mila oggetti in metallo, diversi tra loro per forma, peso e dimensione. Un grande vaso interrato nel VII secolo a.C. e ritrovato più di 2000 anni dopo nel cuore di Bologna. Per il ciclo “Il dolio delle meraviglie”, al museo civico Archeologico di Bologna, sabato 16 marzo 2024, alle 17, incontro con l’archeologa Laura Bentini su “La straordinaria scoperta del Ripostiglio di San Francesco: il più importante deposito dell’Età del Ferro italiana”. Ingresso libero fino ad esaurimento posti disponibili. È questo il terzo appuntamento del ciclo di cinque appuntamenti con conferenze, visite guidate e laboratori per bambine e bambini, promosso dal museo civico Archeologico di Bologna in occasione della presentazione del nuovo allestimento nella Sala Xb, una delle sale della Sezione etrusca più amate dal pubblico, del Ripostiglio di San Francesco, dall’11 febbraio al 6 aprile 2024 (vedi Bologna. Al museo civico Archeologico nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco, il più importante deposito dell’Età del Ferro italiana: nuova illuminazione, recupero delle vetrine ottocentesche e selezione del materiale esposto | archeologiavocidalpassato), dopo la visita guidata con Laura Bentini (11 febbraio 2024) e la conferenza di Franco Marzatico (soprintendenza per i Beni culturali della Provincia autonoma di Trento) su “Accumulare ricchezza: i “ripostigli” di bronzi nella protostoria” (24 febbraio 2024).

Una delle vetrine del nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco al museo civico Archeologico di Bologna (foto giorgio bianchi / bologna musei)
La scoperta del Ripostiglio di San Francesco, il più importante deposito dell’Età del Ferro italiana, si inquadra nel contesto delle vaste esplorazioni archeologiche relative alle antichità etrusche che Antonio Zannoni (Faenza, 1833 – Bologna, 1910) condusse nella sua veste di Ingegnere Capo del Comune di Bologna durante gli ultimi decenni dell’Ottocento, dall’abitato etrusco rilevato nell’attuale centro storico della città alle necropoli sempre ascrivibili alla fase etrusca della città, tra le quali spicca il sepolcreto della Certosa. Figura straordinaria di studioso poliedrico al servizio delle istituzioni cittadine, Zannoni adottò un sistema di indagine innovativo, mutuato dalla geologia, che fece di lui uno dei primi studiosi ad applicare una scrupolosa registrazione dei reperti e un’accurata documentazione dei contesti di rinvenimento.
Nei pressi dell’attuale Basilica di San Francesco a Bologna, il 17 gennaio 1877 egli rinvenne un massiccio vaso di terracotta (dolio) contenente 14.841 oggetti metallici, tra interi e frammentari, sia di produzione locale che di altre provenienze, per un peso complessivo di oltre 14 quintali. La cronologia dei materiali va dalla fine dell’Età del Bronzo agli inizi del VII secolo a.C., data in cui avvenne la deposizione del grande vaso e l’accurata sistemazione del suo contenuto. Oltre al numero, eccezionale risulta la varietà dei pezzi presenti, tra i quali figurano quasi tutte le categorie di manufatti in uso nella Prima Età del Ferro: armi, oggetti di ornamento e di prestigio, utensili e attrezzi si affiancano a frammenti di vasellame, lamine ritagliate, verghette, pani metallici di varie dimensioni, scarti di fusione e scorie. Numerosi in particolare gli strumenti da lavoro, raramente deposti nei corredi funerari bolognesi e dunque preziosi per ricostruire le principali attività artigianali e di sussistenza della comunità villanoviana. Diversi oggetti (circa 150) sono contrassegnati da sigle o segni alfabetici, forse usati per il conteggio dei lotti di materiale.

Una delle vetrine del nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco al museo civico Archeologico di Bologna (foto giorgio bianchi / bologna musei)
La particolare e complessa documentazione del Ripostiglio di San Francesco testimonia l’importanza industriale, tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., della Bologna etrusca, un centro ricco e socialmente complesso, caratterizzato da una precisa divisione del lavoro e da una elevata specializzazione artigianale. Zannoni e la maggior parte degli studiosi hanno interpretato il rinvenimento come riserva di metallo pertinente a una fonderia, occultata agli inizi del VII secolo a.C., per la presenza di oggetti semilavorati e rotti destinati alla rifusione, pani di metallo, cenere e tracce di ossido di bronzo. Accanto a questa, negli ultimi anni è stata proposta una diversa lettura che vede nel Ripostiglio di San Francesco una sorta di tesoro pubblico, forse deposto ritualmente in un’occasione speciale.
Bologna. Al museo civico Archeologico visita guidata speciale con azione teatrale “Gli Etruschi tornano in città: 150 anni del Carnevale degli etruschi”
Il 15 febbraio 1874 la Società del Dottor Balanzone decise di dedicare agli Etruschi la grande parata di Carnevale, assecondando il grande interesse che la scoperta dei grandi sepolcreti felsinei aveva suscitato nei bolognesi. Una gigantesca sfilata con oltre mille figuranti attraversò quel giorno la città, fingendo il ritorno a Felsina, ormai diventata Bologna, degli antichi abitanti etruschi. Alla preparazione di quell’evento parteciparono alcuni dei più importanti archeologi dell’epoca, da Giovanni Gozzadini ad Antonio Zannoni: saranno loro, insieme ad altri personaggi illustri dell’epoca, ad accogliere in museo sabato 10 febbraio 2024, alle 14.30 e alle 15.15, i visitatori nella visita guidata con azione teatrale “Gli Etruschi tornano in città: 150 anni del Carnevale degli etruschi”, con Marinella Marchesi e i rievocatori di 8cento APS. Saranno loro a raccontare aneddoti curiosi su quella straordinaria giornata, mostrando gli oggetti archeologici che servirono da ispirazione per costumi e utensili. Visita gratuita compresa nel biglietto per il museo. Prenotazione obbligatoria.
Bologna. Al museo civico Archeologico nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco, il più importante deposito dell’Età del Ferro italiana: nuova illuminazione, recupero delle vetrine ottocentesche e selezione del materiale esposto

Il nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco al museo civico Archeologico di Bologna (foto bologna musei)

La sala del ripostiglio di San Francesco nel suo allestimento originario ottocentesco al museo civico Archeologico di Bologna (foto Bologna Musei)
È pronto il nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco al museo civico Archeologico di Bologna e sarà presentato in anteprima, su invito, giovedì 8 febbraio 2024: si sono infatti conclusi i lavori per il nuovo allestimento del Ripostiglio di San Francesco nella Sala Xb, una delle sale della Sezione Etrusca più amate dal pubblico e di straordinaria rilevanza scientifica per conoscere le dinamiche economiche e sociali dell’antica Bologna etrusca. Nel primo allestimento del museo civico, inaugurato nel 1881, i materiali del Ripostiglio furono esposti integralmente nella Sala XI. Fu solo all’inizio degli anni ’70 del Novecento che l’intero complesso fu trasferito nella Sala Xb. Per agevolare la comprensione e la fruizione delle migliaia di oggetti che compongono questo eccezionale complesso archeologico, l’intervento di riqualificazione ha interessato la revisione dell’impianto illuminotecnico ed espositivo con il recupero delle vetrine ottocentesche, rese più funzionali secondo gli attuali standard espositivi seppure intatte nel loro fascino originario, e una consistente selezione del materiale esposto rispetto al precedente ordine espositivo. Il nuovo allestimento della Sala Xb è stato realizzato anche grazie al contributo di Regione Emilia-Romagna, nell’ambito dei Piani 2019-2021 dell’ex IBC ora Settore Patrimonio Culturale, Fondazione Luigi Rovati (Milano) e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

Materiali scoperti nel ripostiglio di San Francesco, conservato al museo civico Archeologico di Bologna (foto bologna musei)

Frammento metallico con iscrizione etrusca dal ripostiglio di San Francesco a Bologna (foto Unibo)
La scoperta del Ripostiglio di San Francesco, il più importante deposito dell’Età del Ferro italiana, avvenne nel 1877 quando l’ingegnere, architetto e archeologo Antonio Zannoni rinvenne, presso l’attuale Basilica di San Francesco a Bologna, un massiccio vaso di terracotta (dolio), sepolto tra i 2 e 3,25 metri di profondità al centro di una capanna villanoviana, contenente 14.838 oggetti metallici, tra interi e frammentari, sia di produzione locale che di altre provenienze, per un peso complessivo di oltre 14 quintali. La cronologia dei materiali va dalla fine dell’Età del Bronzo agli inizi del VII secolo a.C., data in cui avvenne la deposizione del grande vaso e l’accurata sistemazione del suo contenuto. Oltre al numero di pezzi, eccezionale risulta la varietà degli oggetti presenti, tra i quali figurano quasi tutte le categorie di manufatti in uso nella Prima Età del Ferro: armi, oggetti di ornamento e di prestigio, utensili e attrezzi si affiancano a frammenti di vasellame, lamine ritagliate, verghette, pani metallici di varie dimensioni, scarti di fusione e scorie. Zannoni e la maggior parte degli studiosi hanno interpretato il rinvenimento come riserva di metallo pertinente a una fonderia, occultata agli inizi del VII secolo a.C., per la presenza di oggetti semilavorati e rotti destinati alla rifusione, pani di metallo, carbone di cenere, cenere e tracce di ossido di bronzo. Accanto a questa, negli ultimi anni è stata proposta una diversa lettura che vede nel Ripostiglio di San Francesco una sorta di tesoro pubblico, forse deposto ritualmente in un’occasione speciale.
Bologna. Al museo civico Archeologico presentazione del libro “La situla della Certosa di Bologna. Alle origini della ritualità nell’Italia protostorica” di Luca Zaghetto: uno dei capolavori delle collezioni bolognesi, considerata la “regina delle situle”
La situla della Certosa è da tutti considerata uno dei capolavori del museo civico Archeologico di Bologna, quasi un “mostro sacro” delle collezioni bolognesi. Ebbene, lo studioso Luca Zaghetto non ha avuto timore reverenziale e ha messo in discussione la “regina delle situle” millimetro per millimetro, significato per significato. Sabato 25 febbraio 2023, alle 17, nella sala conferenze del museo civico Archeologico di Bologna, presentazione a cura di Anna Dore (museo civico Archeologico di Bologna) del libro “La situla della Certosa di Bologna. Alle origini della ritualità nell’Italia protostorica” di Luca Zaghetto, alla presenza dell’autore con la partecipazione del restauratore Stefano Buson. Ingresso libero, fino ad esaurimento posti disponibili. L’incontro fa parte del ciclo “Qui Etruria. Novità dagli scavi e dai musei”.

Copertina del libro “La situla della Certosa di Bologna” di Luca Zaghetto
La situla della Certosa (Ante Quem). Esattamente come il precedente, dedicato alla situla Benvenuti di Este, anche questo lavoro è profondamente originale: per il metodo di lettura delle immagini, architettato e perfezionato dall’Autore e che è ormai un suo preciso marchio di fabbrica; per la scrittura, pensata per accompagnare passo passo il lettore nell’indagine; e infine per i risultati, brillanti e non di rado totalmente inattesi. Dall’archeologia all’iconografia e da qui alla storia delle religioni, l’Autore ci propone ancora una volta un volume destinato a rimanere nel tempo, un cammino di alto profilo scientifico e di notevole fascinazione.

La situla della certosa, scoperta da Antonio Zannoni nella Tomba 68 della necropoli della Certosa, e conservata al museo civico Archeologico di Bologna (foto bologna musei)
Considerata la “regina delle situle” etrusche per la bellissima e complessa decorazione, questo vaso, i cui manici sono perduti, fu utilizzato come prezioso cinerario di una tomba femminile a pozzetto databile al primo quarto del V secolo a.C. (500-475 a.C.). Il corredo comprende un unguentario attico (lèkythos) a vernice nera, una ciotola di argilla di produzione locale e due fibule in bronzo; all’interno della tomba la situla era coperta da una lastra di arenaria. Il raffinato vaso, realizzato almeno un secolo prima della sua deposizione nella sepoltura, fu conservato a lungo nel tempo per la preziosità della sua decorazione. È il manufatto più importante recuperato da Antonio Zannoni negli scavi della necropoli della Certosa di Bologna, avvenuti tra 1869 e 1873. Si tratta di uno degli esempi più importanti della cosiddetta arte delle situle, una corrente artistica che ha la sua area di massimo sviluppo in zona veneto-alpina e che tra il VII e il VI secolo a.C. si caratterizza per le decorazioni a fasce con motivi vegetali, animali fantastici e scene di vita quotidiana tipiche della classe aristocratica. L’ipotesi più probabile è che questa situla abbia costituito un ricco dono destinato ad un personaggio di alto rango dell’Etruria padana. Il vaso è composto da un’unica lamina di bronzo, richiusa su se stessa e fissata con chiodi ribattuti, decorata a sbalzo e ad incisione. Le scene figurate si distribuiscono su quattro registri: dall’alto al basso si vedono una parata di uomini armati, una processione di personaggi che recano vari utensili per sacrificio e banchetto, una gara musicale tra scene di caccia e di aratura e infine una sequenza di animali reali e fantastici.
“L’élite della metropoli a Felsina-Bologna”: è il tema sviluppato dal progetto “Zich. Scrivere etrusco all’università di Bologna” con le iscrizioni etrusche su reperti del museo civico Archeologico di Bologna


La copertina dello studio dedicato a Bologna nel percorso multimediale “Scrittura e società nelle città dell’Etruria padana” nell’ambito del progetto “Zich. Scrivere etrusco all’università di Bologna”
“L’élite della metropoli a Felsina-Bologna” è il tema sviluppato dagli studenti del laboratorio di Epigrafia etrusca dell’università Alma Mater di Bologna studiando i reperti conservati al museo civico Archeologico di Bologna con iscrizioni etrusche nel percorso multimediale “Scrittura e società nelle città dell’Etruria padana” nell’ambito del progetto “Zich. Scrivere etrusco all’università di Bologna” con la direzione del professor Andrea Gaucci. I cinque approfondimenti proposti sono articolati con grafiche e scritti disponibili anche in podcast audio. Autori: Alice Bassu, Maria Luisa Conforti, Giulia Lucia De Grazia, Ilaria Lonegro (podcast https://anchor.fm/andrea-gaucci/episodes/La-scrittura-nella-metropoli-padana-egv4l4).

La scrittura nella metropoli. Bologna, la Felsina etrusca, si sviluppa già a partire dal IX secolo a.C. in un’area pianeggiante ai piedi dell’Appennino, in una posizione strategica tra le vie di comunicazione verso l’Etruria propria da un lato, la Pianura Padana e il mondo transalpino dall’altro. Allo scorcio dell’VIII secolo a.C., si assiste all’emergere di un ristretto gruppo aristocratico, i principes, e il processo formativo della città è ultimato. È proprio in questa temperie culturale che si data la precoce acquisizione della scrittura, parallelamente a quanto si verifica in Etruria propria. Questa si manifesta dapprima sotto forma di elementare conoscenza dei segni alfabetici – largamente utilizzati per siglare manufatti di bronzo, ceramica e lingotti di metallo – e poi con la scrittura vera e propria che raggiunge rapidamente livelli di complessità notevoli, divenendo presto lo strumento di affermazione del potere da parte delle élite locali, come testimoniato dalla pratica del dono. Se per il VI secolo a.C. le testimonianze epigrafiche sono quasi nulle, poco rappresentato è anche l’arco cronologico compreso tra il V e gli inizi del IV secolo a.C. Nonostante le migliaia di tombe individuate infatti, solo alcune iscrizioni sono note dai corredi. Mentre rispetto alle quasi 200 unità totali, solo una ventina sono le stele funerarie – denominate Stele Felsinee – che presentano un’iscrizione. Tuttavia, proprio tali Stele offrono uno strumento d’eccellenza per la conoscenza della società di Felsina di V secolo a.C. Questi segnacoli funerari possono infatti esibire, oltre alla decorazione, anche il nome personale del defunto – il prenome –, quello della famiglia aristocratica a cui apparteneva – il gentilizio – e, talora, la carica politica che aveva ricoperto in vita, a conferma del fatto che i segnacoli con epigrafe funeraria sono prerogativa esclusiva dell’élite cittadina.

L’orgoglio dei principi. L’anforetta Melenzani, proveniente dall’omonimo sepolcreto ed è databile attorno al 600 a.C. Si caratterizza per la presenza di una lunga iscrizione di dono incisa a crudo, cioè prima della cottura del vaso, e redatta secondo le norme ortografiche dell’Etruria Settentrionale. Le circa 30 parole, talora intervallate dalla cosiddetta interpunzione verbale, ne fanno l’iscrizione più lunga di tutta l’Etruria padana. Nell’iscrizione, che procede da destra verso sinistra e presenta un andamento a spirale, sono ben identificabili il nome del vaso – zavenuza, cioè anforetta – il nome del destinatario del dono – Venu, indicato come possessore – e quello di una figura femminile, presumibilmente la moglie, che è associata nella donazione al marito. Seguono una serie di nomi lacunosi legati al verbo turuke, cioè donare, qui in una delle sue più antiche attestazioni. Il testo si chiude con la firma dell’artigiano che ha redatto l’iscrizione e plasmato il vaso: si tratta del primo di area padana di cui si conosca il nome, cioè Ana. L’anforetta Melenzani, di produzione tipicamente locale, con la sua iscrizione, costituisce uno straordinario documento dell’alto livello culturale raggiunto da Felsina allo scorcio del VII secolo a.C. Significativo è il contenuto stesso dell’iscrizione, nel quale si avverte chiaramente l’orgoglio dell’appartenenza ad una ristretta élite di principi, che doveva essere fortemente imperniata sul sistema maritale e indubbiamente l’unica in grado di commissionare un testo così lungo.

L’ombra di un artigiano. Il ritrovamento di un deposito di metalli presso la chiesa di San Francesco, avvenuto da parte di Antonio Zannoni nel 1877, testimonia la conoscenza dell’alfabeto etrusco in area padana in un periodo coevo a quello dell’Etruria propria. Infatti la chiusura del deposito è datata agli inizi del VII secolo a.C. Il materiale del ripostiglio testimonia la vastità delle rotte commerciali utilizzate, che comprendono la Sardegna, l’Europa continentale e l’Etruria. Erano presenti 14838 frammenti di bronzo e 3 di ferro, deposti all’interno di un massiccio dolio, probabilmente per essere fusi. La cronologia dei reperti è molto varia, i più antichi, infatti, risalgono all’Età del Bronzo, i più recenti al VII secolo a.C. Su oltre 150 pezzi sono stati individuati dei segni graffiti e alcune epigrafi evocano o esercizi di scrittura o l’alfabeto stesso, reso attraverso la prima e l’ultima lettera della sequenza, alpha e chi. Queste, forse, erano funzionali alle fasi di lavorazione e al conteggio dei lotti di materiale. Solo due colpiscono per dei testi del tutto unici. Il più lungo conserva la parola aie, riconducibile a un nome divino latino, Aius Locutius, che potrebbe designare un individuo di origine italica. L’uomo, appartenente a un rango sociale elevato, fungerebbe da garante per il peso o per la qualità dell’oggetto. Ma potrebbe riferirsi, anche, al nome italico del bronzo, ajos, da cui deriverebbe il latino aes. L’altro testo è composto dalle lettere ai, interpretate come l’abbreviazione di aie, e significherebbe “bronzo monetato” oppure “bronzo di una determinata qualità”.

Una donna dalla stirpe eroica. La stele Ducati 12, o di Rakvi Satlnei, è stata ritrovata presso la necropoli dei Giardini Margherita, collocata a ovest della città antica, ed è datata attorno al 400 a.C. Un lato della stele mostra la tipica rappresentazione della donna nobile sposata che solleva una mano verso una foglia di edera, la quale esce dalla cornice decorata con triangoli alterni. Questa è una pianta legata al culto del dio Dioniso, l’etrusco Fufluns. Si sottolinea così lo status sociale della defunta e la sua adesione ai culti dionisiaci. Le metope del tamburo illustrano figure del mito, come la maga Circe e Dedalo, riconducibili al mondo della trasformazione e del passaggio, quale allusione al transito della defunta nell’Aldilà. Anche l’altro lato è occupato dal tema del passaggio di status, cioè la morte, resa attraverso l’espediente del viaggio su carro della defunta. Sotto è raffigurato un personaggio maschile nudo che si getta su una spada, riconosciuto come l’eroe omerico Aiace Telamonio. Sulla stele è presente un’iscrizione che, in alcuni punti, è di difficile lettura. Si riesce a distinguere il prenome, Rakvi, e il gentilizio, Satlnei, della donna. È importante sottolineare che si tratterebbe dell’unico caso attestato in tutta Bologna. La seconda parte è molto dibattuta dalla critica ma sembra collegarsi alla raffigurazione di Aiace Telamonio. Infatti, le lettere leggibili sembrano comporre le parole aivas telmuns. Attraverso le informazioni grammaticali in nostro possesso, si è pensato che venga evocato un rapporto genealogico della defunta con l’eroe.

Una nave verso l’aldilà. La stele Ducati 10 del sepolcreto dei Giardini Margherita, collocato a ovest della città antica, è nota anche come “stele della nave” ed è datata agli ultimi decenni del V secolo a.C. Sul lato principale, la decorazione è disposta su quattro registri. Si notano il viaggio verso l’aldilà del defunto su una quadriga trainata da cavalli alati e scene di giochi atletici. Sull’altra faccia, invece, campeggia una grande imbarcazione in mare. Il parallelismo tra le due parti rafforza il concetto del tragitto verso un mondo altro, svolto sia per mare che per terra. L’iscrizione [mi] suthi veluś [k]aiknaś, riportata a rilievo, è tradotta come “io sono la tomba di Vel Kaikna”, il verbo è sottinteso. Si trattava di una delle più importanti famiglie di Felsina. Studi recenti fanno pensare che fosse originaria di Volterra, i Kaikna o Ceicna, sono i Cæcinadi epoca romana. Questa stele era associata a un ulteriore segnacolo, che si data attorno al 400 a.C., su cui è riportata l’epigrafe veluś kaiknaś arnthrusla, ovvero “di Vel Kaikna, quello di Arnth” dove il nome del padre lo distingue dall’omonimo seppellito nelle immediate vicinanze. Si è supposta così l’esistenza di un recinto funerario familiare.
Bologna. Il museo civico Archeologico avvia il restauro della scultura funeraria del leone etrusco dei Giardini Margherita, l’esemplare più completo mai ritrovato. L’intervento anticipa la mostra sugli Etruschi prevista in autunno. Intanto nei mercoledì di luglio il restauro sarà aperto al pubblico

Il corpo del leone rinvenuto nel tardo Ottocento nella necropoli etrusca dei Giardini Margherita di Bologna (foto musei civici di Bologna)
I mercoledì di luglio a Bologna saranno i mercoledì “del leone”. Al museo civico Archeologico di Bologna parte il restauro aperto al pubblico di una rara scultura funeraria a tutto tondo in pietra arenaria che raffigura un leone accovacciato con le fauci spalancate, proveniente dalla necropoli etrusca dei Giardini Margherita di Bologna e databile alla fine del VI secolo a.C. Appuntamento ogni mercoledì di luglio, dalle 9.30 alle 16, quando i visitatori del museo civico Archeologico di Bologna potranno vivere una delle esperienze più affascinanti in cui possa accadere di imbattersi tra le molteplici attività che ogni giorno animano il “dietro le quinte” di un museo: osservare i lavori in corso di un restauro aperto alla visione del pubblico. Oggetto dell’intervento conservativo, che ha preso avvio mercoledì 3 luglio 2019, si dovrebbe concludere tra circa 4 settimane. Al termine del restauro, la scultura verrà ricollocata permanentemente nella Sala X, a preludio della grande mostra dedicata agli Etruschi che sarà allestita al museo civico Archeologico dal prossimo autunno.

Le vetrine del museo civico Archeologico di Bologna con i reperti provenienti dalla necropoli etrusca dei Giardini Margherita
L’operazione di recupero è resa possibile grazie all’intervento dell’associazione Amici del museo Archeologico di Bologna – Esagono, generosamente supportata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e dal Rotary Club Bologna Sud. Gli Amici del museo Archeologico da anni si impegnano infatti per migliorare la conoscenza e la valorizzazione delle collezioni permanenti del museo e la promozione della divulgazione della cultura archeologica. La scelta della modalità di restauro a “cantiere aperto”, già adottata in passato dal museo civico Archeologico, si rivela particolarmente efficace come pratica di divulgazione e valorizzazione dei beni culturali, per favorire la conoscenza del patrimonio artistico conservato negli spazi museali e osservare dal vivo il lavoro dei professionisti dei beni culturali che ogni giorno se ne prendono cura, accrescendo nei visitatori la consapevolezza della complessità sottesa alla conservazione e tutela. I risultati delle indagini potranno inoltre consentire di acquisire utili prospettive di ricerca per lo studio della ritualità funeraria della Bologna etrusca.

La testa del leone dai Giardini Margherita: scultura funeraria etrusca di fine VI sec. a.C. (foto musei civici di Bologna)
La tipologia iconografica di questo segnacolo si distingue infatti per la sua particolarità rispetto al contesto del territorio felsineo, dove è documentata la presenza più diffusa di stele a ferro di cavallo. Nei sepolcreti bolognesi sono noti solo tre esemplari di leoni funerari in pietra a tutto tondo e la fiera rinvenuta ai Giardini Margherita ne è l’esemplare più completo. Il felino, erede di una tradizione figurativa e scultorea che trova in Etruria tirrenica e nel vicino Oriente i suoi prodromi stilistici, aveva funzione apotropaica per proteggere il defunto e come monito contro le violazioni da parte di predatori e malintenzionati. Il reperto, che aveva una funzione di segnacolo, ovvero di lapide posta al livello del terreno per identificare con esattezza il luogo di una sepoltura, è stato rinvenuto in corrispondenza della tomba 192 e proviene dalle campagne di scavo dirette dall’archeologo Edoardo Brizio tra il 1887 e il 1889, in prosecuzione delle prime ricerche avviate nel 1876 da Antonio Zannoni durante i lavori per la realizzazione del parco pubblico dei Giardini Margherita, ricerche che avrebbero portato alla scoperta di una delle più importanti necropoli di Bologna etrusca. Fin dal momento del ritrovamento, la tomba a fossa e il suo corredo mostravano segni evidenti di spoliazione. Il segnacolo funerario fu rinvenuto infatti in due frammenti distaccati – la testa (alta 25 cm) e il corpo che mostra una fiera accucciata (lunghezza cm 64; altezza con la testa circa cm 64, senza testa circa 41) – e in questo stato di conservazione giunse nel 1889 nella sede dell’appena inaugurato museo civico di Bologna. La testa fu ricoverata nel deposito, mentre il corpo esposto nella Sala X del percorso di visita permanente che accoglie le antichità etrusche scavate a Bologna e nei suoi dintorni fra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento.

Il leone dalla necropoli etrusca dei Giardini Margherita “ricomposto” nel disegno realizzato da Elena Canè, del team di restauro
Lo scopo dell’intervento di restauro è di restituire la maggiore integrità possibile alla scultura, dopo averne pulito le superfici e consolidato la pietra. L’équipe di lavoro è composta da Elena Canè, Rocco Ciardo, Cristina del Gallo, Angelo Febbraro, Federica Guidi, Marinella Marchesi, Andrea Rossi (DI.AR – Diagnostica per i Beni Culturali). Il rimontaggio delle due parti congruenti verrà effettuato tramite un’operazione il meno invasiva possibile, che andrà ad integrare la parte mancante tra il corpo e la testa del leone, garantendo la solidità della struttura. Ma il recupero non è l’unico obiettivo. Occasioni come queste sono infatti preziose anche per compiere indagini diagnostiche e sperimentare nuove tecniche su aspetti legati ai materiali e alle strutture dei manufatti archeologici. L’intervento sulla scultura si inscrive in una dimensione interdisciplinare che copre un ampio orizzonte di competenze appartenenti a professionalità differenti, interne ed esterne allo staff del museo. La fase di avvio delle procedure di cantiere è partita da un’esplorazione preliminare condotta dagli archeologi del museo sulla struttura, sui dati di scavo, sugli aspetti stilistici del manufatto lapideo. L’accertamento sullo stato di conservazione del reperto è quindi proseguito con indagini multispettrali (luce radente, fluorescenza UV e VIL) che hanno consentito di escludere la presenza di decorazioni e sussistenze di policromie. Il progetto della struttura metallica di sostegno è ideato e realizzato dal laboratorio di restauro del museo, cui si affiancherà l’intervento esterno di pulitura e consolidamento della scultura. Le operazioni saranno eseguite ogni mercoledì, nel mese di luglio 2019, all’interno di un box-laboratorio posizionato fra le teche della sezione egizia del museo, per permettere al pubblico di assistere “in diretta” al paziente lavoro di restauro.


Nuovi orari di apertura in vigore dal 2 febbraio 2021. Ecco il dettaglio degli orari di apertura nei musei aperti da martedì 2 febbraio 2021: MAMbo – museo d’Arte Moderna di Bologna e museo Morandi, via Don Minzoni 14 aperto: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 14-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; Casa Morandi, via Fondazza 36 aperto: giovedì e venerdì, h 14-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì e festivi; museo per la Memoria di Ustica, via di Saliceto 3/22 aperto: giovedì e venerdì, h 14-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì e festivi; museo civico Archeologico, via dell’Archiginnasio aperto: lunedì e mercoledì h 10-14, giovedì h 14-19, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, martedì e festivi; museo civico Medievale, via Manzoni 4 aperto: martedì, mercoledì, giovedì h 10-18.30, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; Collezioni comunali d’Arte – Palazzo d’Accursio, piazza Maggiore 6 aperto: martedì, mercoledì, giovedì h 10-18.30, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; museo civico d’Arte Industriale e Galleria “Davia Bargellini”, strada Maggiore 44 aperto: martedì, mercoledì, giovedì h 9-14, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; museo internazionale e biblioteca della Musica, strada Maggiore 34 aperto: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 11-13.30 / 14.30-18.30, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; museo del Patrimonio Industriale, via della Beverara 123 aperto: lunedì, venerdì, h 10-18, chiuso: sabato, domenica, martedì, mercoledì, giovedì e festivi; museo civico del Risorgimento, piazza Carducci 5 aperto: martedì, giovedì h 14-18, venerdì h 10-14, chiuso: sabato, domenica, lunedì, mercoledì e festivi.









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