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Bologna. Al museo civico Archeologico il ritorno delle due mummie dalla mostra di Bolzano è occasione per un approfondimento del progetto “Mummies. Il passato svelato” con tre incontri sul loro studio diagnostico e sul loro restauro conservativo

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La mummia di donna col sudario dipinto al rientro al museo civico Archeologico di Bologna: da destra a sinistra, Paola Giovetti, direttrice del museo Archeologico; Eva Degl’Innocenti, direttrice del Settore Musei Civici Bologna; Daniela Picchi, responsabile della Collezione egiziana del museo e Elena Cané, restauratrice del museo (foto bologna musei)

bolzano_noi-tech-park_mostra-mummies_locandinaLe mummie sono tornate a casa. E il museo civico Archeologico di Bologna apre un nuovo capitolo per la valorizzazione di una parte importante della propria collezione egizia. La due mummie – la mummia di donna con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche – sono state esposte nella mostra “Mummies. Il passato svelato”, organizzata al NOI Teck Park di Bolzano dal 2 settembre al 20 ottobre 2022, nell’ambito del 10th World Congress on Mummy Studies (WMC 2022). Ora, in occasione del loro ritorno a Bologna, il museo civico Archeologico promuove un ciclo di conferenze per condividere con un pubblico più ampio di quello specialistico i risultati dell’importante lavoro interdisciplinare condotto con numerose e prestigiose collaborazioni, in cui sarà possibile ripercorrere la storia di due antichi egiziani e il loro viaggio per giungere fino a oggi. Seguendo il filo di trama e ordito saranno svelate anche altre storie di restauri e tessuti antichi. Tre gli incontri previsti, a ingresso gratuito, nella Sala Risorgimento del museo. Si inizia sabato 18 marzo 2023, alle 17, Irene Tomedi (Accademia Tessile Europea di Bolzano) su “Conservare tessuti antichi: dalla Sacra Sindone alle tuniche egiziane”; seguono sabato 25 marzo 2023, alle 17, Daniela Picchi (museo civico Archeologico di Bologna), Alice Paladin e Marco Samadelli (Eurac Research) su “Storia di una ‘bella’ egiziana da Tebe Ovest”; chiudono sabato 1° aprile 2023, alle 17, Paola Buscaglia e Roberta Genta (Centro di Restauro e Conservazione “La Venaria Reale”) su “Implicazioni etiche e metodologiche nel restauro di una mummia con sudario dipinto”.

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Bologna, museo civico Archeologico: tomografia assiale computerizzata della mummia con il sudario dipinto (foto Paolo Bondielli e Marcello Garbagnati MediterraneoAntico)

Grazie a una proficua collaborazione scientifica avviata nel 2019 con l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano, è stato possibile realizzare l’articolato progetto “Mummies. Il passato svelato” finalizzato alle indagini diagnostiche e al trattamento conservativo di due rare mummie umane custodite nei magazzini del museo dalla fine degli anni Settanta: la mummia con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche, appartenenti rispettivamente alle collezioni formate dall’artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860) e da Federico Amici (1828-1907), che ricoprì importanti incarichi in Egitto per conto del Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892). Lo studio antropologico e paleopatologico delle due mummie è stato condotto dall’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola, presso il quale è stato eseguito l’esame tomografico computerizzato utile per ricostruire il profilo biologico dei due individui. Dopo essere stata affidata alle cure del Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, la mummia con il sudario riccamente dipinto, appartenuta a una donna vissuta in epoca romana (I-II sec. d.C.), torna ora ad essere esposta in via permanente nella Sezione Egizia del museo. La sua restituzione alla comunità scientifica e alla fruizione pubblica riveste un carattere di eccezionale interesse storico: sono solo due al mondo i resti umani mummificati ancora avvolti in sudari integri di questo tipo e di questa epoca. L’intervento conservativo che ha interessato la seconda, non meno rara, mummia di un fanciullo accuratamente avvolto in tre tuniche, databile all’Egitto Medievale (XIII sec. d.C.), è stato invece svolto dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi dell’Accademia Tessile Europea di Bolzano, già nota per il restauro della Sacra Sindone. In entrambi i casi, gli interventi conservativi sono stati eseguiti in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’università di Pisa.

bolzano_noi-tech-park_mostra-mummies_logoIl tema complesso dell’esposizione delle mummie, e delle relative implicazioni in ambito etico, museologico e giuridico, è oggetto di un irrisolto dibattito. All’esigenza di una cura ed esposizione doverosamente rispettosa dei resti umani, prevista anche dal codice etico dei musei (ICOM), si contrappongono spesso la sovraesposizione mediatica o l’abbandono nei magazzini per difficoltà emotive d’interazione o per un rifiuto ideologico. Il progetto “Mummies. Il passato svelato” supera tali contraddizioni mettendo al centro la dignità dell’individuo e quindi dell’esposizione dei resti umani, che è possibile solo in particolari condizioni. Lo studio antropologico e paleopatologico, l’analisi e il trattamento conservativo dei tessuti hanno permesso di far luce sulla vita di due antichi Egiziani, restituendo loro l’identità perduta e rendendoli testimoni di una storia millenaria che merita di essere conosciuta.

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Bologna, museo civico Archeologico: mummia con il sudario dipinto, lato fronte dopo il restauro conservativo (foto CCR Venaria)

La mummia con il sudario dipinto. La maggior parte delle mummie egizie conservate nel museo civico Archeologico di Bologna apparteneva alla collezione dell’artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860). Tra il 1825 e il 1845 Palagi acquistò oltre tremila antichità egizie che poi offrì a un prezzo agevolato alla sua città natale tramite lascito testamentario. Palagi acquistò la mummia con il sudario dipinto assieme a un migliaio di altri oggetti nel 1831 da Giuseppe Nizzoli, già cancelliere del consolato austriaco in Egitto. Nel Catalogo Dettagliato della Raccolta di Antichità Egizie riunite da Giuseppe Nizzoli, pubblicato ad Alessandria d’Egitto nel 1827, si trova una descrizione utile a comprendere il contesto archeologico di provenienza di questa mummia: “Una mummia di stile greco (senza cassa, perché così ritrovata nelle tombe, con altre in fila) tutta piena di bende con pitture curiosissime, e di un genere tutto differente”. Dopo la morte di Palagi, la mummia e le altre antichità egizie furono trasferite dalla sua casa-museo di Milano a Bologna, dove furono poi esposte a Palazzo Galvani, attuale sede del museo civico Archeologico.

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Bologna, museo civico Archeologico: una fase della spettrofotometria XRF della mummia con il sudario dipinto (foto CCR Venaria)

La mummia femminile con il sudario dipinto è di tipologia rarissima, in quanto ancora ricoperta da un raffinato sudario dipinto che riproduce idealmente i tratti della defunta. Il volto è incorniciato da una lunga chioma nera che termina in folti riccioli ed è trattenuta da una fascia bianca con decorazioni geometriche sulla fronte. Le orecchie, il collo, le braccia e le mani sono impreziosite da gioielli. Ai lati del corpo sono dipinti, dall’alto in basso, due lamentatrici funebri, due urei, gli amuleti djed e tit, due grandi mazzi di fiori di loto. La parte posteriore del sudario non è perfettamente visibile perché coperta dalla resina che lo fissa al corpo. Le indagini diagnostiche, svolte in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola, sembrano confermare la provenienza della mummia da una necropoli tebana – il fango trovato sul dorso della mummia ha caratteristiche attribuibili a quell’area – e datano tutti i tessuti – sudario e bende interne – al I-II secolo d.C. Inoltre, la caratterizzazione dei materiali utilizzati per decorare il sudario ha confermato la presenza di sostanze documentate in epoca romana. Anche lo stile pittorico del sudario può essere ricondotto allo stesso periodo storico (I-II secolo d.C.), come dimostra la sua somiglianza con le mummie e i sarcofaghi appartenenti ai membri della famiglia Soter (53-117 d.C.). Il sudario di Bologna non appartiene necessariamente allo stesso contesto archeologico, ma è tipologia paragonabile a quelli del gruppo Soter (53-117 d.C.), la cui tomba è presumibilmente da identificarsi con la TT32 nella necropoli tebana di El-Khokha. A questo gruppo appartiene la mummia di Cleopatra II, figlia di Soter, ora conservata al British Museum, che è l’unica altra mummia dell’epoca con sudario ancora avvolto attorno al corpo.

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Bologna. museo civico Archeologico: fasi del restauro conservativo della mummia col sudario dipinto (foto CCR venaria)

La mummia di Bologna appartiene a una donna, alta circa 153 centimetri, che al momento della morte poteva avere 35-45 anni. L’analisi non ha evidenziato un’unica causa di morte. La donna era affetta da ascessi che comportarono la perdita di alcuni denti in vita. Soffriva di malattie degenerative, come l’artrosi alla spina dorsale e alle articolazioni delle ginocchia. Le abbondanti pieghe della pelle e i residui di tessuto adiposo su fianchi, glutei e cosce suggeriscono una rotondità delle sue forme. Grazie allo sbendaggio virtuale della mummia tramite TAC, è stato osservato che il corpo è in posizione supina, con le braccia stese lungo i fianchi e le gambe dritte. Durante il processo di imbalsamazione, il cervello è stato quasi completamente rimosso attraverso la narice sinistra. Gli organi interni sono stati estratti attraverso un’incisione verticale sull’addome, imbottito poi solo parzialmente con bende imbevute di resina. Il corpo è stato infine ricoperto con un’abbondante colata di resina e rivestito con un bendaggio in tessuti di lino. Le tecniche di imbalsamazione e il raffinato sudario confermano lo stato sociale elevato della defunta. La datazione al radiocarbonio ha attribuito il sudario all’epoca romana (I-II sec. d.C.). L’intervento conservativo, eseguito dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” – in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’università di Pisa e con ISPC CNR Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (nell’ambito del progetto PAMUS – E-RIHS) – è stato complesso: le diverse tipologie di degrado rendevano poco comprensibili le caratteristiche della policromia del sudario, così come la stratigrafia dei materiali tessili sottostanti. Superfici ancora integre convivevano con ampie lacune e lacerazioni, creando una superficie discontinua e compromessa. L’intervento, dalla pulitura al consolidamento, si è fondato sulla sinergia tra metodi diversi, puntando sia al recupero delle superfici policrome, sia alla conservazione dei tessuti archeologici, nel rispetto etico dei resti umani. Per scegliere in modo consapevole i materiali di intervento è stata condotta un’accurata campagna diagnostica e un’attività sperimentale preliminare al loro utilizzo.

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Bologna, museo civico Archeologico: mummia di fanciullo con tre tuniche, dettaglio della parte anteriore della prima tunica dopo il consolidamento (foto Irene Tomedi)

La mummia di fanciullo con tre tuniche. La mummia di fanciullo con tre tuniche può considerarsi una rara testimonianza del rituale funerario dell’Egitto medievale. Diversamente dalle mummie del periodo faraonico, le più frequenti nelle collezioni museali, il corpo del fanciullo non è stato sottoposto a tecniche di imbalsamazione ma è stato preparato alla sepoltura con una ricca vestizione. La mummia sarà conservata con cura dal museo di Bologna ma non sarà esposta al pubblico, nel necessario rispetto della dignità umana. La mummia proviene dalla collezione di Federico Amici (1828-1907), nato a Roma da una nobile famiglia bolognese, che soggiornò in Egitto dal 1875 al 1890 ricoprendo importanti incarichi per il Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892). Tra questi, il più prestigioso fu l’organizzazione del servizio statistico nazionale dell’Egitto. Amici donò al museo civico di Bologna varie antichità e tra queste la mummia di fanciullo con tre tuniche. Furono presumibilmente i tessuti ad attirare la sua attenzione, perché il corpo del fanciullo era già allora in precario stato conservativo. Nel catalogo della collezione egizia di Bologna, pubblicato nel 1895 da Giovanni Kminek-Szedlo, la mummia è descritta come: “un fanciullo dell’epoca posteriore al retto imbalsamento degli Egiziani, lunga 0,63; è in istato molto trascurato e mancante di testa, e di braccia. I piedi sono scoperti, il resto del corpo è avvolto in un corsetto ed in una specie di gonnella di stoffe diverse”. Il “corsetto”, sovrapposto alle tre tuniche, doveva nascondere alla vista le braccia, che la mummia conserva ancora, a differenza di testa e piedi. Anche del “corsetto” non esiste più traccia.

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Bologna, museo civico Archeologico: mummia di fanciullo con tre tuniche, dettaglio di un ricamo (foto Paolo Bondielli e Marcello Garbagnati MediterraneoAntico)

La mummia, priva di testa e piedi, appartiene a un bambino di 2-3 anni, alto circa 84 cm. Non è stato possibile risalire alla causa di morte, ma dall’analisi paleopatologica è emerso uno stato di stress, in particolare negli arti inferiori, dovuto forse a un’alimentazione inadeguata o a un’infiammazione. La TAC ha evidenziato che il corpo non è stato eviscerato degli organi interni. Il cuore, la trachea, i bronchi e il diaframma si sono mummificati naturalmente. L’esame della pelle, dalla colorazione bruno-rossastra, suggerisce che il corpo sia stato trattato con qualche sostanza per prepararlo alla sepoltura. L’analisi al radiocarbonio, eseguita su un campione di osso e di tunica, ha permesso di datare la mummia al XIII secolo d.C. (Medioevo). L’intervento conservativo, eseguito dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi in collaborazione l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research e il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’università di Pisa, è stato effettuato trattando le sole vesti di lino che ricoprono il corpo: due tuniche a filo grosso, una tinta in indaco e l’altra ricamata a filo nero sulle maniche, e una sovra-tunica quadrettata e bicolore a filo sottile.

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Bologna, museo civico Archeologico: mummia di fanciullo con tre tuniche, intervento di restauro conservativo (foto Irene Tomedi)

Il precario stato dei resti umani ha reso difficile il trattamento dei tessuti, molto degradati, lacerati e lacunosi. Dopo l’analisi tipologica dello sporco (sabbia, sali, liquidi corporei) depositato sulle fibre, è stata effettuata una prima pulitura con un micro-aspiratore dall’ugello ad ago. Lo sporco penetrato in profondità tra le fibre è stato rimosso tramite tamponamenti con spugnette imbevute in acqua demineralizzata, proteggendo adeguatamente il corpo. Questo trattamento ha permesso di eliminare le pieghe nel tessuto e di comprendere le caratteristiche formali delle tuniche. Il tutto è stato eseguito mettendo in sicurezza le parti fragili con spilli entomologici. Le tuniche di lino a filo grosso sono state poi integrate e consolidate con un tessuto di lino, mentre la sovra-tunica con il velo di Lyone in seta, entrambi adeguatamente tinti e fissati con filo organzino di seta. L’intervento ha restituito alle tuniche solidità e aspetto omogeneo.

Torino. Debutta il 24 novembre il podcast “Alla ricerca della vita”, un progetto del museo Egizio, prodotto da Piano P: 6 episodi, a cadenza settimanale, con protagonisti altrettante voci e racconti di archeologi, antropologhe, conservatori e genetiste

torino_egizio_podcast-alla-ricerca-della-vita_locandinaUn viaggio tra musei e laboratori in 6 episodi, con protagonisti altrettante voci e racconti di archeologi, antropologhe, conservatori e genetiste. È “Alla ricerca della vita” il podcast del Museo Egizio, che debutta sulle principali piattaforme il 24 novembre 2022 per raccontare, a cadenza settimanale fino alla fine di dicembre, come mummie e resti umani siano al centro di cure di archeologi, antropologhe e restauratori e genetiste, pronti a tutelarli e a ricostruire le loro storie, così lontane nel passato, eppure, così simili alle nostre, in musei, parchi archeologici e laboratori scientifici. A condurci in questo viaggio “Alla ricerca della vita”, è la giornalista scientifica Giulia Alice Fornaro, che collabora con “Le Scienze”, “Mind” e “la Repubblica”, ed è redattrice del portale frida.unito.it dell’università di Torino con cui ha contribuito alla produzione di diversi podcast, tra cui “Da clima a fondo”, che ha ricevuto la Menzione speciale “Rossella Panarese” del Climate Change Communication Award 2021 assegnata in collaborazione con Radio3 Scienza.

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L’archeologo Paolo Del Vesco, curatore al museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)

Prodotto da Piano P, piattaforma italiana di podcast giornalistici da 4 milioni di visitatori, “Alla ricerca della vita” parte proprio da Torino, dal museo Egizio, dove il curatore ed egittologo Paolo Del Vesco ci racconta di una mummia di un’adolescente di 4mila fa, conservata ed esposta al museo Egizio, per poi allargare lo sguardo agli studi, alla ratio e alle implicazioni etiche alla base delle scelte espositive del Museo, improntate alla preservazione e al rispetto di mummie e resti umani. Un tema di grande complessità su cui la comunità scientifica internazionale si è più volte interrogata, anche a partire dalla scelta del Manchester Museum nel 2008, di coprire alcune mummie in esposizione, scelta che generò aspre critiche da parte del pubblico. I visitatori chiesero a gran voce di svelare nuovamente le mummie, non per curiosità morbosa, ma perché rivendicavano il diritto alla conoscenza. Un fatto che a cascata aprì una riflessione all’interno della comunità degli egittologi e diede il la a sondaggi nei musei europei.

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Sala “Alla ricerca della vita” nel museo Egizio di Torino: una delle sei mummie scelte e studiate per presentare le varie fasi della vita nell’Antico Egitto (foto museo egizio)

La riflessione coinvolse anche i curatori del museo Egizio e portò poi all’inaugurazione di un nuovo percorso espositivo, nell’estate del 2021, dopo la pandemia, intitolato proprio “Alla ricerca della Vita” (vedi Torino. Il museo Egizio apre la nuova sala “Alla ricerca della vita” con una teca allestita per contenere 91 mummie. Tra queste, sei scelte per raccontare le varie fasi dell’esistenza, dalla gravidanza all’età avanzata, nell’Antico Egitto. Riflessione sull’esposizione di resti umani e implicazioni etiche | archeologiavocidalpassato). Si tratta di un percorso permanente che mette sotto i riflettori 6 mummie di uomini e donne dell’antico Egitto, nelle diverse tappe dell’esistenza e in epoche differenti, dalla fase in cui la vita è appena sbocciata fino alla morte, da un feto a una persona anziana, con l’obiettivo dichiarato di spostare l’attenzione del visitatore sulla vita e sulla quotidianità nell’antichità, per accendere un faro su aspetti storiografici meno noti e sulle implicazioni etiche dell’esposizione delle mummie. Come a dire, che nel museo Egizio più antico al mondo, che nel 2024 celebrerà il suo bicentenario, le collezioni non sono un’entità statica. E anzi manufatti e mummie spesso sono al centro di ricerche, indagini a cavallo tra scienza e archeologia, sul filo della memoria, dell’etica e quindi della cura.

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Alice Paladin, antropologa fisica di Eurac Research (Bolzano)

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Cristina Cattaneo, professore di Medicina legale all’università di Milano

 

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Erika Grasso, antropologa culturale e africanista al Maet (unito)

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Martina Terzoli, tra gli amuleti del museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

Dal museo Egizio il focus si sposta su Pompei, dove Valeria Amoretti, responsabile del Laboratorio di Scienze applicate del parco archeologico di Pompei ricostruisce le varie fasi del recupero di resti umani nello scavo archeologico: dal rinvenimento, alla documentazione, all’immagazzinamento. Il lavoro su questo tipo di reperti comporta l’intervento di più esperti. Non appena un archeologo trova dei resti interviene l’antropologo fisico, per evitare che nessun elemento o dato vada perso nelle operazioni di recupero. L’analisi dei resti umani antichi, visti come dei veri e propri archivi biologici dell’umanità è al centro della puntata dedicata ad Alice Paladin, responsabile del Laboratorio di antropologia dell’Istituto per lo studio delle mummie dell’Eurac Research di Bolzano. La ricostruzione dell’identità e della memoria è invece il tema toccato da Cristina Cattaneo, responsabile scientifica del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense) di Milano. E infine il significato e il trattamento in altre culture dei resti umani sono al centro della puntata in cui l’ascoltatore incontra Erika Grasso, antropologa culturale e africanista presso il Maet (il museo di Antropologia ed Etnografia del Sistema museale di ateneo dell’università di Torino). Per l’ultima puntata del podcast si torna al museo Egizio, dove la curatrice Martina Terzoli ci accompagna alla scoperta degli amuleti, specchio dell’identità degli antichi egizi, delle loro paure e delle loro credenze, piccoli oggetti che accompagnavano le persone in vita, ma anche alla morte.

Rovereto. La conferenza “Indagine genetica su resti umani preistorici del Trentino Alto Adige” chiude i “Venerdì dell’Archeologia 2021” al museo di Scienze e Archeologia: in presenza e on line. Focus sui più recenti studi sui resti umani del territorio

La conferenza “Indagine genetica su resti umani preistorici del Trentino Alto Adige” chiude i “Venerdì dell’Archeologia 2021” al museo di Scienze e Archeologia (foto fmcr)
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Locandina de “I venerdì dell’archeologia” 2021 a Rovereto

A quale ceppo genetico appartenevano gli antichi abitatori del Trentino Alto Adige e che aspetto dovevano avere? A queste e ad altre domande, per gli appassionati delle nostre origini, risponde la conferenza “Indagine genetica su resti umani preistorici del Trentino Alto Adige”, ultimo appuntamento dei “Venerdì dell’Archeologia 2021”, al museo di Scienze e Archeologia di Rovereto in Borgo Santa Caterina. L’incontro di venerdì 5 novembre 2021, alle 18, in presenza al Museo e on line sul canale YouTube della Fondazione Museo Civico, è con Valentina Coia e Alice Paladin, dell’Istituto per lo studio delle mummie Eurac Research di Bolzano e riguarda l’Indagine genetica su resti umani preistorici del Trentino Alto Adige. I “Venerdì dell’Archeologia” sono organizzati dalla Società Museo Civico con la Fondazione Museo Civico e la Fondazione Comel, con il sostegno del Comune di Rovereto, la Comunità della Vallagarina, in collaborazione con IPRASE.

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Il cranio fossile dalle grotte di Castel Corno a Isera (foto fmcr)

Lo studio del DNA antico in reperti umani è una frontiera che allarga i suoi orizzonti  con l’affinarsi delle tecniche di analisi. Oltre alle caratteristiche dell’individuo, si possono approfondire gli studi dell’evoluzione e la storia delle popolazioni sfruttando questo nostro  inesauribile archivio biologico. La serata, in particolare, presenta gli studi più recenti sui resti umani del Trentino Alto Adige dell’Istituto per lo studio delle mummie Eurac Research di Bolzano.