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Al museo delle Civiltà di Roma-Eur l’archeologa Francesca Alhaique affronta il rapporto uomo – animale nel mondo sumerico prendendo spunto dai risultati della missione italiana a tell Abu Tbeirah, all’ombra della ziggurath di Ur (Iraq), grande sito sumerico del III millennio a.C.

Il sito sumerico di Abu Tbeirah (III millennio a.C.) all’ombra della ziggurat di Ur in Iraq

Archeologi della missione italiana ad Abu Tbeirah (Iraq) diretta da Licia Romano e Franco D’Agostino

Abu Tbeirah è un grande sito sumero, di 43 ettari, situato 6 chilometri Sud-Est di Nassiriya, Provincia di DhiQar, e 16 chilometri a Est di Ur, la città biblica di Abramo, l’arabo Ibrahim. L’antica città di Abu Tbeirah fiorì durante il III millennio a.C., in particolare nel cosiddetto Proto-Dinastico, un periodo di estrema importanza per la formazione delle città-stato e l’evoluzione della storia politica del meridione fino all’unità di tutta la Mesopotamia sotto Sargon di Akkad (2700-2200 a.C.). L’università “La Sapienza” di Roma è attiva su questo sito dal 2010, con una missione italo-irachena formata da diversi archeologi e specialisti di entrambi i Paesi, e diretta da Licia Romano e Franco D’Agostino del Dipartimento Istituto Italiano di Studi Orientali. Gli scavi hanno messo in luce le ultime fasi della vita di una città ricca e molto estesa. In particolare, una ricca zona cimiteriale è stata portata alla luce nella parte sud-orientale del sito, area che mostra una ricchezza rara di differenti costumi funerari (sepolture in semplici fosse, in bare, inumazione primaria e secondaria, sepolture multiple e così via). Sotto questa ultima fase cimiteriale, è stato trovato un grande edificio, già visibile dalle immagini satellitari a nostra disposizione, una costruzione istituzionale importante. L’ultima grande scoperta nella campagna 2018, un porto risalente al III millennio a.C. nella parte Nord-Ovest del tell di Abu Tbeirah, scrive un nuovo capitolo della storia della Mesopotamia, superando l’immaginario comune che identifica le antiche città attorniate da distese di campi di cereali, irrigati da canali artificiali. La connessione con le paludi era già stata accertata grazie ai ritrovamenti precedenti condotti dalla missione, e gli scavi del porto di Abu Tbeirah confermano la sua connessione con le dighe dei villaggi nelle paludi attuali, esistenti nel delta tra Tigri e Eufrate. I ricercatori non escludono che il porto di Abu Tbeirah fungesse anche da riserva d’acqua e vasca di compensazione delle piene del fiume, nonché funzionasse da fulcro di attività dell’insediamento connesse all’utilizzo della risorsa idrica.

Uomini e animali popolano il famoso Stendardo di Ur (qui un dettaglio) conservato al British Museum di Londra

La ziggurat di Ur (Iraq)

L’archeologa Francesca Alhaique

Prendendo spunto dalle scoperte fatte dalla missione italo-irachena ad Abu Tbeirah, venerdì 7 giugno 2019, alle 16.30, nella sala conferenze del museo delle Civiltà a Roma-Eur l’archeologa Francesca Alhaique parlerà di “Tra sacro e profano: il rapporto uomo-animale nel mondo sumerico”. Sarà un viaggio in un mondo e in un ambiente molto diverso da quello attuale in cui si esplorerà il ruolo che le diverse specie di animali hanno rivestito nella cultura dei Sumeri, non solo nella vita quotidiana, ma anche nei rituali. Scrive Francesca Alhaique: “I resti faunistici rinvenuti nelle tombe di Abu Tbeirah fanno parte sicuramente di rituali funerari legati alle credenze sumeriche relative all’oltretomba che sono in parte note anche sulla base di testi cuneiformi. In alcuni casi porzioni articolate di animali sono state deposte con il defunto, in altri casi alcune ossa sono state rinvenute all’interno di contenitori ceramici del corredo funerario o resti combusti si trovano in prossimità della testa dell’inumato; per questi reperti si potrebbe ipotizzare che si tratti di elementi destinati direttamente al defunto o alle divinità dell’oltretomba per propiziare il viaggio del morto nell’aldilà. In altri contesti sia i dati archeologici sia il campione faunistico, con un numero di resti e individui più elevato rispetto alle altre sepolture, sembrano suggerire la presenza, oltre ai resti animali associati al defunto, di residui di un banchetto funebre, ben noto sia dai testi cuneiformi sia dall’iconografia, svoltosi in occasione della sepoltura o in momenti successivi. Ovviamente la distinzione fra elementi collegati direttamente o indirettamente al defunto e quelli relativi ai banchetti funerari non è possibile per tutti i reperti, ma sembra che gli animali destinati al defunto siano spesso giovani”.

A Karkemish, città-stato ittita al confine tra Turchia e Siria, torna a risuonare al voce di Sargon II zittita da Nabucodonosor II. La missione italo-turca guidata da Nicolò Marchetti dell’università di Bologna ha scoperto in fondo a un pozzo tre tavolette del grande re assiro fatte sparire dal sovrano babilonese

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Sargon II, grande re assiro

Sargon II, grande re assiro

Nabucodonosor II lo sapeva. La conquista di Karkemish, la potente città in posizione strategica tra l’Anatolia ittita e la Mesopotamia assira, non sarebbe bastata a cancellare il ricordo del grande re assiro Sargon II (721-705 a.C.) che più di cento anni prima, sul finire dell’VIII sec. a.C., aveva costruito un impero in Vicino Oriente, nella Mezzaluna Fertile, conquistando Samaria, Damasco, Gaza e, nel 717, anche Karkemish, città-stato ittita che sorgeva sul corso dell’Eufrate, dove oggi corre il confine tra Siria e Turchia. Lo spettro di Sargon aleggiava ancora. Le sue parole sembravano ancora vive nella memoria della gente. Lui che sintetizzava così la sua vita: “Io sono Sargon, re forte, re di Akkad. Mia madre era una sacerdotessa; mio padre non lo conosco; era uno di quelli che abitano le montagne. Il mio paese è Azupiranu sull’Eufrate. La sacerdotessa mia madre mi concepì e mi generò in segreto; mi depose in un paniere di giunco, chiuse il coperchio con del bitume, mi affidò al fiume che non mi sommerse. I flutti mi trascinarono e mi portarono da Aqqui, l’addetto a raccogliere acqua. Aqqui, immergendo il suo secchio, mi raccolse. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi adottò come figlio e mi allevò. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi fece suo giardiniere. Durante il periodo in cui ero giardiniere la dea Ishtar mi amò. Per… anni io fui re”. Quella voce doveva essere spenta. Così Nabucodonosor fece distruggere tutti i documenti di Sargon affidandoli all’oblio del tempo. Fino all’arrivo degli archeologi. E la voce di Sargon è tornata a risuonare.

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell'università di Bologna a Karkemish

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell’università di Bologna a Karkemish

Tre preziosi frammenti di tavolette d’argilla, che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro Sargon II, sono stati scoperti in fondo a un pozzo (a 14 metri di profondità), nel sito di Karkemish, dalla missione archeologica italo-turca avviata nel 2011 dall’università di Bologna insieme agli atenei turchi di Gaziantep e Istanbul. Le tavolette furono gettate in fondo a un pozzo su ordine del re babilonese Nabucodonosor II, per essere per sempre dimenticate. Scrive Sargon: “Ho costruito, aperto nuovi corsi d’acqua, incrementato la produzione di grano, rinforzato le porte con cerniere di bronzo, allargato i granai, costituito un esercito con 50 carri, 200 cavalli, tremila fanti. E ho reso il popolo felice, fiducioso in se stesso”.

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall'università di Bologna

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall’università di Bologna

Spesso paragonata a città gloriose come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia, Karkemish è stato un centro di straordinaria importanza. Abitato almeno dal VI millennio a.C., a partire dal 2300 acquista un ruolo centrale nella regione e diviene contesa da ittiti, assiri e babilonesi. Solo con l’impero romano inizia il suo declino, che termina nell’Alto Medioevo, attorno al X secolo, quando la città viene definitivamente abbandonata e dimenticata. Ricompare solo alla fine dell’800. Fu allora che una serie di campagne esplorative promosse dal British Museum (ci lavorò anche Lawrence d’Arabia) riportarono per la prima volta alla luce le tracce del suo grande passato. Un’opera di riscoperta che oggi è passata nelle mani dell’Alma Mater, con un progetto di scavo guidato dal prof. Nicolò Marchetti che, al suo quinto anno di attività, è finito – letteralmente – in fondo a un pozzo. Per riemergere con le parole ritrovate del re Sargon II.

L'archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

L’archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

Tre frammenti di tavolette d’argilla”, ricorda Marchetti, “che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro. Frasi autocelebrative, che esaltano le vittorie militari e le misure a favore della popolazione. Frasi che, proprio per il loro carattere propagandistico, furono fatte sparire, gettate in fondo a un pozzo su ordine di Nabucodonosor II, il re babilonese che nel 605, dopo un lungo assedio, strappò Karkemish al controllo assiro. Cancellare le tracce e i simboli del nemico sconfitto è una pratica che attraversa tutta la storia dell’umanità e che ancora oggi, purtroppo, viene praticata”.

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo è stato rinvenuto dalla missione italo-turca nell’area dove un tempo sorgeva il palazzo di re Katuwa, costruito attorno al 900 a.C. e ampliato e modificato da Sargon II. Gli archeologi dell’Alma Mater si sono calati nella stretta imboccatura, scendendo fino a 14 metri sotto al livello del suolo. Lì, sul fondo, è stata trovata una fitta serie di oggetti e utensili di ambito amministrativo, letterario e decorativo: gettoni d’argilla (tokens) per la contabilità, recipienti di bronzo e di pietra, un’armatura di ferro e i tre frammenti di tavolette d’argilla con le parole di Sargon II. Oltre al pozzo, i lavori della missione archeologica dell’Alma Mater hanno portato alla luce anche tre ortostati, lastre di pietra con funzioni sia di sostegno che decorative, in ottime condizioni. In uno è rappresentato un leone in marcia, mentre nelle altre due sono incisi un toro alato e un dio-ibex alato, con un volto umano. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un caso unico nel campo dell’arte neo-ittita. Puliti e restaurati, gli ortostati sono stati lasciati nell’area del palazzo di re Katuwa, ed è stato inoltre completata la rilevazione digitale ad alta precisione della mappa dell’antica città. Tutti interventi che puntano a far nascere un parco archeologico che possa attirare turisti e visitatori a Karkemish, coinvolgendoli in un’esperienza immersiva tra storia e attualità.

 

L’avventura di Giancarlo Ligabue, l’eccezionale coraggio di Khaled Asaad a Palmira, le distruzioni in Mesopotamia dalla guerra del Golfo all’Isis: così chiude alla grande la XXVI rassegna del cinema archeologico di Rovereto

La rassegna del cinema archeologico di Rovereto è un omaggio a Giancarlo Ligabue fondatore e anima del Centro studi e ricerche Ligabue di Venezia

La rassegna del cinema archeologico di Rovereto è un omaggio a Giancarlo Ligabue fondatore e anima del Centro studi e ricerche Ligabue di Venezia

La straordinaria avventura di Giancarlo Ligabue, gli effetti della guerra in Mesopotamia e un’eccezionale intervista a Khaled Asaad, il direttore di Palmira decapitato in agosto dalla furia dei miliziani di Isis sono il piatto forte di sabato 10 ottobre 2015, giornata conclusiva della XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto. Ad aprire il calendario delle proiezioni pomeridiane “Il meteorite di Saaremaa” di Maurizia Giusti, in arte Siusi Blady, che percorre un’ipotesi affascinante: che i miti baltici abbiano influenzato anche i miti del Mediterraneo. “L’età del Bronzo del Baltico”, spiega, “è più antica di quella del Mediterraneo, e la traccia lasciata dalle sepolture lungo i fiumi ci fa pensare che questi popoli passassero da lì”. Insomma “L’Odissea e l’Iliade potrebbero avere origine Baltica”. Quindi due film dagli archivi del Centro studi e ricerche Ligabue, “Nelle steppe di Gengis Khan” (spedizione sulle piste seguite da Gengis Khan nel XIII secolo) e “I segreti del Karakoum” (la ricerca di una città inghiottita dalle sabbie del deserto del Turkmenistan cinquemila anni fa), introducono l’incontro delle 18 su “L’avventura di Giancarlo Ligabue. Una grande passione per la scienza” con due profondi conoscitori dell’imprenditore-archeologo-esploratore-paleoantropologo, Davide Domenici e Adriano Favaro. L’evento sarà ripreso dall’équipe televisiva di Controcampo.

All'archeologo Khaled Asaad, decapitato dall'Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico

Particolarmente ricco anche il programma della serata a fare da cornice alla tradizionale cerimonia di premiazione del film scelto dal pubblico e soprattutto del film vincitore del XII premio “Paolo Orsi” indicato da una qualificata giuria internazionale. Si inizia con la proiezione del film di Lucio rosa “Bambinga, piccoli uomini della foresta” dedicata ai pigmei che abitano la foresta equatoriale africana, superstiti testimoni di epoche antichissime, oggi costretti a un violento impatto con altre civiltà. E poi “Khaled Asaad, quel giorno a Palmira”, un instant movie di Alberto Castellani che ha recuperato un’intervista straordinaria all’ex direttore del sito Unesco di Palmira realizzata nel 2004 cui questa edizione della Rassegna dedica un particolare omaggio. E infine “Iraq”, proposta del servizio cinematografico realizzato per il Centro produzione Rai di Napoli dal giornalista Luigi Necco: i monumenti della Mesopotamia com’erano e come sono ora, dopo le sistematiche distruzioni attuate dall’Isis. Il drammatico confronto è reso possibile dal servizio di Luigi Necco, che subito dopo la prima guerra del Golfo ha percorso tutto il Paese, da Ur a Mossul, per verificare quali danni avessero subito i monumenti della Mezzaluna fertile. Erano quasi tutti intatti: oggi Nimrud, la capitale degli Assiri scavata da Max Mallowan e Agata Christie non esiste più. Per la prima volta visibili i reperti di Aleppo e Damasco sfuggiti alla distruzione perché nascosti in luoghi segreti.

Pellegrinaggio di pace in Iraq: viaggio di fede tra archeologia e religione

Papa Francesco bacia la reliquia di Papa Giovanni Paolo II e la consegna a mons. Andreatta

Papa Francesco bacia la reliquia di Papa Giovanni Paolo II e la consegna a mons. Andreatta

Sarà un pellegrinaggio di pace nel cuore antico dell’Iraq. Lì dove ancora si spara e si muore l’Opera Romana Pellegrinaggi con il suo vicepresidente e amministratore delegato mons. Liberio Andreatta a guidare una delegazione di sacerdoti, giornalisti, archeologi (tra cui Massimo Vidale che in Iraq – in particolare a Ur – ha condotto più di una campagna di scavo) e personale dell’Orp da oggi, giovedì 12 dicembre, al 19 porta in Iraq un “gesto profetico”, tradizionale iniziativa proprio dell’Opera Pellegrinaggi Romana iniziata nel 1991 e da allora sempre benedetta dal Santo Padre.  “Il gesto profetico è un gesto simbolico. Si chiama “profetico” perché richiama i segni biblici, i segni che Dio ha compiuto per la salvezza dell’uomo e li ripropone nel tempo” spiega monsignor Andreatta che ha portato a Papa Francesco gli oggetti che materialmente verranno portati in Iraq come dono agli “uomini di buona volontà” di quella terra dilaniata da così tanti anni di guerra, di sofferenza e di dolore. “Il Gesto profetico in Iraq, il primo dopo un’interruzione di alcuni anni”, continua mons. Andreatta, “nasce nel segno del beato pontefice polacco: una reliquia di Giovanni Paolo II, un frammento della veste, intrisa di sangue, che indossava il giorno dell’attentato del 13 maggio 1981, verrà portata in pellegrinaggio in quella terra che Papa Wojtyła volle così intensamente visitare ma che non poté raggiungere per le note vicende belliche”.

Soldati americani salgono i gradoni della ziggurath di Ur

Soldati americani salgono i gradoni della ziggurath di Ur

La delegazione, guidata da monsignor Andreatta, durante il suo pellegrinaggio raggiungerà l’area di Thi Qar a Nassiriya. Ad Ur raggiungerà i luoghi di Abramo, e visiterà la sua abitazione.  Visiterà poi la Ziggurat, un monumento religioso, la cui edificazione risale a più di 4000 anni fa, e contemporaneamente anche osservatorio astronomico. Tra gli altri monumenti dell’antica città di Ur ricordiamo il tempio di Dub-Lal-Makh, la “Casa delle tavolette”, il cui arco di ingresso viene da molti ritenuto come il più antico esemplare della storia umana e il palazzo del Re Shulki, centro amministrativo dell’intero nucleo urbano.  I pellegrini attraverseranno la zona delle paludi, la zona delle “Marshland”, un ambiente naturale di meravigliosa bellezza la cui superficie tocca tre regioni del sud dell’Iraq: Thi-Qar , Missan e Bassora.

La tomba del profeta Ezechiele a Najaf

La tomba del profeta Ezechiele a Najaf

Gli abitanti delle paludi dell’Iraq meridionale rappresentano i discendenti diretti dell’antico popolo sumero e vivono in piccoli centri abitativi costituiti principalmente da particolarissime case galleggianti spesso raggiungibili esclusivamente in barca. Verrà raggiunto il Gennat Adan, il Giardino dell’Eden, luogo citato nel testo biblico e presente anche nella mitologia sumera. Nell’area di Babilonia verrà visitato il Santuario del profeta Ezechiele, citato nel testo coranico col nome di Zulkifli, luogo sacro sia per la comunità musulmana sia per quella ebraica e la stessa città di Babilonia, fondata sulle sponde del fiume Eufrate. Visiteranno la Moschea dell’Imām Alī nella città di Najaf, considerata dall’intera comunità sciita come il terzo luogo santo dell’Islam. Nella città di Karbala, a circa 100 km a sud-ovest di Baghdad, si trova uno dei grandi santuari sciiti: è quello dell’Imam Hussain, terzo Imam della Comunità Sciita. Infine a Baghdad avverrà l’incontro con le Comunità Cristiane.

Mons. Liberio Andreatta presenta al Santo Padre i doni da portare in Iraq

Mons. Liberio Andreatta presenta al Santo Padre i doni da portare in Iraq

L’Opera Romana Pellegrinaggi sta portando con sé dei doni che sono stati benedetti da Papa Francesco prima dell’Udienza generale del 4 dicembre scorso quando il Santo Padre ha voluto incontrare e salutare tutti i membri della delegazione. I doni sono: una statua di Giovanni Paolo II che verrà lasciata alla Cattedrale Caldea; il Reliquiario con la reliquia di Giovanni Paolo II per la Cattedrale Siro-Cattolica; l’Icona Processionale che verrà donata alla Cattedrale Armena e infine una Lampada della pace che verrà lasciata alla Cattedrale Latina. La statua del beato, realizzata da Demetz Art Studio Val Gardena, è in vetroresina bronzata ed è alta circa un metro e mezzo: la medesima statua è stata inaugurata e benedetta nella città di Santa Clara a Cuba dal Cardinal Tarcisio Bertone in occasione del decimo anniversario del viaggio apostolico del Santo Padre nella nazione latino americana.

La cattedrale siro-cattolica di Baghdad dove resteranno le reliquie

La cattedrale siro-cattolica di Baghdad dove resteranno le reliquie dal Santo Padre

Il reliquiario di ottone dorato, che contiene una piccola porzione della veste, intrisa di sangue, che Giovanni Paolo II portava il giorno dell’attentato in Piazza S. Pietro il 13 maggio 1981, ha pareti esterne di colore rosso su cui sono posti gli stemmi di Giovanni Paolo II e di Papa Francesco ed è rivestito all’interno con stoffa in raso di colore bianco. La lampada della pace, scultura alta oltre mezzo metro, è opera dello scultore Andrea Trisciuzzi realizzata in bronzo, argento e con base in legno di olivo. L’opera è stata realizzata in quattro esemplari di cui i primi tre sono stati collocati a Gerusalemme, nella Basilica del Santo Sepolcro, a Nazareth nella Basilica dell’Annunciazione, a Betlemme, nella Basilica della Natività. “La lampada della Pace” portata in Iraq è il quarto esemplare che è stato custodito a Roma nella Chiesa di S. Giovanni della Pigna in attesa di essere portata a Bagdad. La lampada della Pace è stata benedetta da Giovanni Paolo II l’11 febbraio del 2001 in occasione della Giornata dell’ammalato in Basilica di S. Pietro.

L'icona processionale con il Cristo Pantokrator su tavola

L’icona processionale con il Cristo Pantokrator su tavola

L’icona Processionale, realizzata da Maria Teresita Ferrari Donadei, rappresenta da un lato il Cristo Pantocratore ed è  tela su tavola rotonda:  “Ecco viene sulle nubi e ognuno lo vedrà” (Apocalisse 1,17).  Il dipinto rappresenta il Pantokrator nella gloria angelica. La gerarchia degli angeli è suddivisa in tre triadi a loro volta suddivise in tre cori, complessivamente in nove cori. Nell’Icona Madonna della Passione, Maria guarda il figlio con mestizia profetica mentre gli angeli mostrano gli strumenti della passione. Il Figlio, con moto improvviso e spaventato, perde il sandalo e rivolge alla madre uno sguardo interrogativo sfiorandola quasi a consolarla per il grande dolore che proverà. La foggia è medievale: si tratta di una tempera all’uovo su tavola di tiglio, senza giunture,  preparata con imprimitura ed eseguita secondo le antiche tecniche tradizionali del due – trecento toscano.  La doratura è in oro zecchino brunito, il manto del Cristo è stato dipinto col blu di lapislazzuli.

Papa Francesco saluta mons. Liberio Andreatta alla partenza per l'Iraq

Papa Francesco saluta mons.Andreatta in partenza per l’Iraq

Monsignor Andreatta guiderà il pellegrinaggio nella Terra di Abramo in sintonia con le parole che Papa Francesco ha pronunciato al termine dell’Udienza Generale del 30 ottobre 2013: “Vi invito a pregare per la cara nazione irachena purtroppo colpita quotidianamente da tragici episodi di violenza perché trovi la strada della riconciliazione, della pace, dell’unità e della stabilità”.