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“Defacing the Past”: una mostra al British Museum di Londra illustra la particolare applicazione della “damnatio memoriae” sulle monete imperiali romane confrontate con esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia. Ne parla l’archeologo numismatico Dario Calomino

Il cosiddetto “tondo severiano” che raffigura la famiglia dell’imperatore Settimio Severo con il ritratto del figlio Geta cancellato

Ritratti scalpellati e violentati, statue distrutte, monumenti danneggiati: quando si voleva cancellare il ricordo di un personaggio pubblico non si rispettava niente e nessuno. In ogni epoca, in ogni luogo. È la cosiddetta Damnatio memoriae, termine non presente nel diritto latino, ma che nel diritto latino si concretizzava nella pena della cancellazione della memoria di una persona e la distruzione di qualsiasi traccia che potesse tramandarla ai posteri, come se quella persona non fosse mai esistita. In Egitto, ad esempio, il tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari, a Tebe, sulla sponda ovest del Nilo, è forse uno dei casi più famosi: statue rimosse, frantumate o sfigurate. Alla morte della regina-faraone infatti Thutmosi III prima e il figlio Amenofi II poi procedettero alla sistematica cancellazione di Hatshepsut dai monumenti, eliminando la sua figura e i suoi cartigli. E nel mondo romano sono stati molti gli imperatori colpiti dalla damnatio memoriae. Ricordiamo, tra gli altri, Caligola, Nerone, Domiziano, Commodo, Eliogabalo, Massenzio, Treboniano Gallo, Didio Giuliano. Ma la stessa condanna non risparmiò neppure uomini e donne di spicco, come Seiano, il braccio destro dell’imperatore Tiberio, oppure la madre di Nerone, Agrippina, o ancora Geta, fratello di Caracalla che non esitò a farlo assassinare e a far sì che se ne perdesse ogni traccia. Emblematico proprio il caso di Geta: sul famoso “tondo severiano” che raffigura la famiglia dell’imperatore Settimio Severo il volto di Geta appare cancellato. Il nome di Geta, invece, è stato fatto “sparire” sempre da Caracalla dall’arco del padre Settimio Severo nel foro a Roma, sostituito dalle parole optimis fortissimisque principibus, mentre la sua figura è stata abrasa dall’arco severiano di Leptis Magna, il Libia.

Il manifesto della mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome” allestita al British Museum di Londra

Dario Calomino, archeologo numismatico

Ma la damnatio memoriae non interessò solo i monumenti: l’immagine del personaggio caduto in disgrazia fu cancellato qualche volta anche dal dritto delle monete circolanti. Lo spiega bene la mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome”, allestita nella sala 69 del British Museum di Londra fino al 7 maggio 2017, che affronta la storia romana da una prospettiva diversa, quella delle monete con immagini abrase per condannare la memoria di imperatori romani deceduti o per minare il potere di quelli ancora viventi. La mostra presenta una selezione di monete, iscrizioni, sculture e papiri che mostrano immagini e simboli di potere cancellati nell’antichità. Ci sono esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia, a dimostrazione che i romani continuarono una consuetudine molto antica. “L’abitudine di cancellare dalle iscrizioni i nomi dei governanti e leader politici caduti in disgrazia”, spiega Dario Calomino, archeologo numismatico al British Museum, “così come di deturpare o distruggere le loro immagini, esisteva in Egitto e nel Vicino Oriente, come nel mondo greco. Nell’antica Roma si consolidò tra il II sec. a.C. e il III sec. d.C. Le monete però sono state abrase solo raramente. Ciò dipende dal fatto che, poiché le monete continuavano a circolare anche dopo la damnatio memoriae, la gente temeva che un’alterazione del conio potesse minarne la sua validità. Per questo le monete sono state cancellate solo in circostanze eccezionali”.

L’eccezionale Cameo Blacas con l’effige del divo Augusto conservato al British Museum di Londra

Uno dei pezzi più pregiati in mostra è il famoso Cameo Blacas, al British Museum dal 1867, quando fu acquisita la famosa collezione di antichità che Luigi, duca di Blacas, aveva ereditato dal padre, tra cui il Tesoro dell’Esquilino. Il cameo romano antico, in sardonica con quattro strati alternati di bianco e marrone, insolitamente grande (quasi 13 centimetri), mostra la testa di profilo del divo Augusto, realizzato probabilmente dopo la sua morte avvenuta nel 14 d.C. “La damnatio memoriae scattava più frequentemente quando gli imperatori avevano fretta di essere divinizzati prima della morte”, spiega Calomino. “Molti gli imperatori divinizzati dopo la loro morte, ma questo non era sufficiente per alcuni che, come Caligola, voleva essere venerato come un dio in vita. Altri imperatori erano considerati non meno pericolosi perché volevano cambiare la religione della tradizione romana. Come è il caso di Elagabalo. Una delle sue monete è in mostra: non è stata abrasa, ma presenta l’imperatore come sommo sacerdote del dio siriano Sole-Elagabal, che voleva porre al di sopra di Giove”. Da questo momento il potere imperiale è diventato sempre più transitorio e, nella prima metà del III sec. d.C. assistiamo a una sequenza di generali che vengono acclamati e deposti a tempo di record dalle diverse legioni dell’impero. “Ci sono due esempi interessanti di monete coniate da Massimino il Trace, imperatore per un brevissimo periodo dal 235 al 238, deturpate in modo diverso: una mostra il volto graffiato dell’imperatore, mentre l’altra ha un lato interamente abraso, su cui è stata stampata una H (maiuscola della eta, lettera dell’alfabeto greco), che in greco indicava il numero 8, per registrare il valore della moneta. Ma è stato lasciato leggibile il nome e il simbolo della città di emissione”.