Archivio tag | soprintendenza di Archeologia e Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno

Archeologia subacquea: indagini di Ca’ Foscari (Ve) su tre relitti di età romana nelle acque profonde del Tirreno. Tra i reperti recuperati anfore dal IV al I secolo a.C. e poi coppi e tegole

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Un dolium e anfore Dressel 1 parte del carico del relitto Dae 27 a oltre 600 metri di profondità nelle acque tra l’Elba e Pianosa (foto unive)

Anfore dal IV al I secolo a.C. e poi coppi e tegole sono alcuni dei reperti recuperati nella nuova breve campagna di indagini su tre relitti di età romana affondati negli alti fondali del mar Tirreno dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Ne dà notizia Federica Ferrarin sul numero della rivista on line CfNews del 20 agosto 2024. A fine luglio 2024, infatti, il dipartimento di Studi umanistici dell’università Ca’ Foscari Venezia, a seguito di decreto di concessione di ricerche del ministero della Cultura, ha portato a termine una nuova breve campagna di indagini su relitti di età romana affondati negli alti fondali del Mar Tirreno. Il progetto è condotto dal prof. Carlo Beltrame e dalla dott.ssa Elisa Costa, in collaborazione con Fondazione Azionemare, ing. Guido Gay, e sotto la sorveglianza della soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo e della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, dott.ssa Lorella Alderighi. Quest’anno, la sinergia tra le tecnologie avanzate della Fondazione e le competenze scientifiche del DSU ha permesso di documentare e studiare ben tre relitti profondi di età antica, individuati in precedenza da Azionemare.

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Uno dei veicoli filoguidati usati per l’esplorazione e il recupero dei materiali nelle acque profinde del mar Tirreno nella missione archoelogica dell’università Ca’ Foscari (foto unive)

I ROV abissali Multi Pluto e Pluto Palla (sorta di veicoli filoguidati dotati di telecamera e braccio per recuperi), movimentati dal catamarano Daedalus, hanno consentito di esplorare il relitto Dae 27, un carico di tegole e coppi e anfore posto a oltre 600 metri di profondità nelle acque tra l’Elba e Pianosa, recuperando dei campioni di materiale trasportato; in particolare sono stati portati alla luce dalle profondità una tegola, un coppo, un’anfora Dressel 1 e una brocca monoansata. Questo materiale, che verrà presto studiato dalla prof.ssa Gloria Olcese, dell’università Statale di Milano, e dalla dottoranda Caterina Tomizza, permette una prima datazione del naufragio tra II e I secolo a.C.

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Anfore greco-arcaiche parte del carico del relitto Dae 7 che come il Dae 39 sono nelle acque profonde tra l’isola della Gorgona e Capo Corso (foto unive)

Sono quindi iniziate due nuove indagini sui relitti Dae 7 e Dae 39, entrambi posti nelle acque profonde tra l’isola della Gorgona e Capo Corso. Il primo è un interessante carico di centinaia di anfore greco-italiche datate al IV e III secolo a.C. che giace a oltre 400 metri di profondità e dal quale è stata recuperata un’anfora.

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La dott.ssa Elisa Costa e l’ing. Guido Gay con alcuni reperti recuperati dai relitti romani nelle acque profinde del mar Tirreno (foto unive)

Purtroppo rispetto ai primi video realizzati da Azionemare nel 2010, al momento della scoperta, il sito giace ora in condizioni peggiori, con un alto numero di anfore frammentate; il dato non sorprende considerando che le batimetrie fino a circa 400 metri sono molto più soggette alla pesca a strascico. Il secondo contesto invece, trovandosi molto al largo e a quasi 600 metri di profondità, è stato intaccato solo marginalmente dalle reti e risulta ben conservato. Il carico è composto da centinaia di anfore Dressel 1B, databili al I secolo a.C., una delle quali è stata recuperata in questa campagna assieme a una brocca monoansata. Tutti i reperti sono oggetto di deposito temporaneo per studio. Sui relitti è stato realizzato un rilievo digitale attraverso la tecnica fotogrammetrica che permette di ottenere un modello tridimensionale scalato e misurabile del carico, peraltro molto realistico, utile allo studio, in laboratorio, del volume e della portata di queste imbarcazioni. La collaborazione tra istituzioni impegnate nel campo di beni culturali sommersi e una Fondazione specializzata nel settore della ricerca in acque profonde sta dimostrando come, unendo le forze, sia possibile, da un lato, fare ricerca per conoscere meglio vari aspetti della circolazione dei beni e della navigazione attraverso il Tirreno in età romana, dall’altro, fare tutela monitorando un patrimonio archeologico raggiungibile solo attraverso tecnologie avanzate.

Rosignano Marittimo (Li). Al via il festival “Vivere l’archeologia”, 8 giorni per promuovere e valorizzare i paesaggi e il patrimonio archeologico del territorio , con open days degli scavi, visite guidate e dialoghi con gli archeologi, conferenze, dibattiti, presentazioni di libri, laboratori didattici, rievocazioni, spettacoli dal vivo, mercato romano e degustazioni ispirate alla cucina romana

rosignano-marittimo_unipisa_festival-vivere-l-archeologia-2024_locandinaDal 28 luglio al 4 agosto 2024 a Rosignano Marittimo (Li) torna “Vivere l’archeologia”, festival organizzato dal Comune di Rosignano Marittimo e dal museo civico Archeologico “Palazzo Bombardieri”, in collaborazione con l’insegnamento di Topografia antica del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’università di Pisa, allo scopo di promuovere e valorizzare i paesaggi e il patrimonio archeologico del territorio di Rosignano, che comprende l’antico centro portuale di Vada Volaterrana e i due importanti musei archeologici di Rosignano Marittimo e Castiglioncello, e di condividere con la comunità il senso e il valore dell’archeologia nella società contemporanea. Giunto alla quarta edizione, il Festival prevede un programma ricco di appuntamenti, con open days degli scavi, visite guidate e dialoghi con gli archeologi, conferenze, dibattiti, presentazioni di libri, laboratori didattici, rievocazioni, spettacoli dal vivo, mercato romano e degustazioni ispirate alla cucina romana.

PROGRAMMA DOMENICA 28 LUGLIO 2024, alle 19, al museo civico Archeologico di Rosignano Marittimo: ImmersiVada VR Experience, inaugurazione della nuova sala immersiva del museo civico Archeologico di Rosignano Marittimo, per esplorare gli edifici di un quartiere dell’antico porto romano di Vada Volaterrana. Interverranno Carolina Megale (museo civico Archeologico di Rosignano Marittimo), Anna Maria Marras (International Council Of Museums – ICOM) e Andrea Lippi (Digitalismi). “ABC…Archeologia Bene Comune”, brevi dialoghi sul valore dell’archeologia per la comunità, in collaborazione con il Sistema dei Musei e Parchi Partecipativi della Toscana.

PROGRAMMA LUNEDÌ 29 LUGLIO 2024, alle 18.30, al museo Archeologico nazionale di Castiglioncello: “All inclusive: il ruolo sociale del museo”, ne parlano Giorgio Corretti (UOC Psichiatria Cecina Piombino Elba), Ania Franceschi (associazione Comunicare per Crescere), Carolina Megale (museo civico Archeologico di Rosignano Marittimo), Marinella Zagaglia (AIMA Costa degli Etruschi), Andrea Apostolo (RSA Bastia), Luca Carli Ballola (Musei Toscani per l’Alzheimer), Chiara Raugi (Pubblica Assistenza di Piombino). Aperitivo a cura di L’Apicio. Degustazioni archeogastronomiche e dell’associazione Amici del Museo Archeologico di Rosignano Marittimo.

PROGRAMMA MARTEDÌ 30 LUGLIO 2024, alle 18.30, al museo Archeologico nazionale di Castiglioncello: “Tra archeologia e biodiversità: le ricerche scientifiche in corso nel territorio di Rosignano”, ne parlano Lorella Alderighi (soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno), Simonetta Menchelli (università di Pisa), Domingo Belcari (università di Pisa), Francesco Pagliani (università di Firenze), Enrico Cirelli (università di Bologna), Simone Cai (Comitato Tutela Secche di Vada), Ugo Nesti (Comitato Tutela Secche di Vada). Aperitivo a cura di L’Apicio. Degustazioni archeogastronomiche e dell’associazione Amici del Museo Archeologico di Rosignano Marittimo. Alle 21.30, nell’anfiteatro del Parco di Castello Pasquini, conferenza “Scoperte e riscoperte dal territorio”.

PROGRAMMA MERCOLEDÌ 31 LUGLIO 2024, alle 18.30, al museo Archeologico nazionale di Castiglioncello: “I bronzi da San Casciano a Rosignano: contesti di scavo e analisi isotopiche”, ne parlano Jacopo Tabolli e Mattia Bischeri (università per Stranieri di Siena), Carolina Megale (museo civico Archeologico di Rosignano Marittimo), Carlo Monti (ET&EC SAGL) e Alessandro Lenzi (museo di Storia naturale di Rosignano), modera Edina Regoli (già museo civico Archeologico di Rosignano Marittimo).

PROGRAMMA GIOVEDÌ 1° AGOSTO 2024, alle 18.30, al museo Archeologico nazionale di Castiglioncello: “Il tesoro di Suese e il denaro dei Romani”, ne parlano Lorella Alderighi (soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno), Fiorenzo Catalli (già Gabinetto Numismatico del museo Archeologico nazionale di Firenze), modera Simonetta Menchelli (università di Pisa).

PROGRAMMA VENERDÌ 2 AGOSTO 2024, alle 18.30, al museo Archeologico nazionale di Castiglioncello: “Gli Argonauti dell’era dei dinosauri: la conquista degli abissi raccontata dai fossili della Toscana e dell’Emilia Romagna”, ne parlano Andrea Baucon (università di Genova), Girolamo Lo Russo (museo di Storia naturale di Piacenza), modera Angelo Cimarosti (ArchaeoReporter).

PROGRAMMA SABATO 2 E DOMENICA 3 AGOSTO 2024, ore 16.30-21.30, area archeologica di San Gaetano di Vada “Vivere l’archeologia a Vada Volaterrana”. OPEN DAYS: gli archeologi raccontano a cura dell’università di Pisa. Stand sui metodi della ricerca archeologica sul campo e in laboratorio, in particolare: il mestiere dell’archeologo; la vita degli antichi abitanti di Vada attraverso i reperti; le sepolture; le attività di archeologia subacquea. Visite guidate degli scavi: 17, 18, 19.00 (italiano), 18.30 (inglese). GIOCAFESTIVAL Area didattica con attività e laboratori per bambini e famiglie: “ Uno sporco mestiere!”, scavo didattico simulato a cura del museo Archeologico di Rosignano. Laboratori ludico-educativi: Piccoli legionari crescono, Gladiatori da piccoli, Scripta manent a cura di Suodales; Il corriveloce: un giocattolo antico a cura di Valter Fattorini; Il laboratorio del mosaicista a cura del laboratorio di restauro del museo Archeologico di Rosignano; Laboratori sulla biodiversità a cura del Centro di Educazione Ambientale. AREA MERCATO Ricostruzione di un mercato romano con stand, tabernae, rievocazioni e spettacoli dal vivo. Argentarius cambio denari; Antiche fragranze a cura del Gruppo Archeologico Massarosese; Il Convivio archeogastronomico di Laura Mussi; Archeologia sonora e strumenti musicali del mondo antico di Francesco Landucci; Miliarium 0 dell’Associazione Amici del Museo; Abacus: i conti tornano! di Antonio Olivieri; I gioielli dei Vettii di Fondazione Aglaia E molto altro…

PROGRAMMA SABATO 2 AGOSTO 2024, area archeologica di San Gaetano di Vada “Vivere l’archeologia a Vada Volaterrana”: alle 18.30, WOW! Comunicare l’archeologia, dibattito a cura di Angelo Cimarosti (ArchaeoReporter), a partire dal libro “L’arte che parla. Radio e podcast per la valorizzazione dei beni culturali” (Edipuglia 2024) di Cinzia Dal Maso (Centro Studi per l’Archeologia Pubblica – Archeostorie). Aperitivo a cura di L’Apicio. Degustazioni archeogastronomiche, in collaborazione con Amici del Museo Archeologico di Rosignano Marittimo.

PROGRAMMA DOMENICA 3 AGOSTO 2024, area archeologica di San Gaetano di Vada “Vivere l’archeologia a Vada Volaterrana”: alle 18.30, letture nella storia a cura del gruppo di lettura della Biblioteca comunale di Rosignano Marittimo. Aperitivo a cura di L’Apicio. Degustazioni archeogastronomiche, in collaborazione con Amici del Museo Archeologico di Rosignano Marittimo. TABERNA ROMANA Degustazione di cibi e sapori ispirati alla cucina romana tramandata dal gastronomo Apicio.

Castagneto Carducci (Li). “Archeologia del gusto. Etruschi in piazza”: rievocazione storica, laboratori didattici e concerto di musica antica a corollario della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” a Palazzo Espinassi Moratti

castagneto-carducci_archeologia-del-gusto_etruschi-in-piazza_locandina“Archeologia del gusto. Etruschi in piazza”: Castagneto Carducci (Li) venerdì 11 agosto 2023 propone, dalle 18 alle 21.30, un pomeriggio speciale a corollario della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi”, aperta a Palazzo Espinassi Moratti fino al 5 novembre 2023, promossa da Past Experience con La Strada del Vino e dell’Olio – Costa degli Etruschi, dedicata al rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vita quotidiana provenienti dai territori delle antiche città di Populonia, Volterra e Vetulonia. Curata dalla Fondazione Aglaia con la soprintendenza ABAP di Pisa e Livorno, e la soprintendenza ABAP di Siena Grosseto e Arezzo (vedi Castagneto Carducci (Li). A Palazzo Espinassi Moratti apre la mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” sul rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vitaquotidiana da Populonia, Volterra e Vetulonia. Video dell’archeologa Carolina Megale approfondisce il tema e introduce alla mostra | archeologiavocidalpassato). Appuntamento dunque in piazza della Gogna a Castagneto Carducci per “Archeologia del gusto. Etruschi in piazza”. In programma la “Rievocazione storica” a cura di Suodales: attraverso la narrazione della vita di vari personaggi e con l’ausilio di allestimenti didattici sarà illustrata la vita quotidiana degli Etruschi ad adulti e bambini. Quindi laboratori didattici a cura di Valter Fattorini dedicati al simposio e al gioco del kòttabos. Chiude il concerto di musica del Mediterraneo antico a cura di Chiara Tesi Venturi.

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Locandina della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” a Palazzo Espinassi Moratti di Castagneto Carducci (Li) dal 24 giugno al 5 novembre 2023

Mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi”. “Si tratta di una mostra archeologica”, spiega l’archeologa Carolina Megale di Past Experience, “ovvero raccontata attraverso gli oggetti della vita quotidiana che gli Etruschi utilizzavano e che noi abbiamo raccolto in questa mostra per raccontare un territorio: il territorio dell’antica città di Populonia, il territorio dell’antica città di Vetulonia, il territorio dell’antica città di Volterra, che appunto insistevano nell’Etruria marittima”. “Il vino! Ecco il dono d’oblio di Semele e Zeus”, si legge sul manifesto della mostra. “E tu versa, mescendo con un terzo due terzi, e le coppe trabocchino, e l’una l’altra spingano”. Flufluns, come ci ricorda Valentino Nizzo nel suo appuntamento mensile dedicato agli dei etruschi, “aveva una origine umbro-sabina e doveva essere legata alla vegetazione: infatti nel nome si riconosce la stessa radice di flora e flos (fiore). Gli Etruschi assimilarono Fufluns a Dioniso, giunto in Etruria insieme con il vino di produzione greca e le relative pratiche culturali e sociali. Di fatto, il simposio diventò un segno distintivo delle aristocrazie etrusche. Immagini, simboli e miti dionisiaci erano riprodotti sul vasellame greco di importazione e vennero utilizzati per caratterizzare le rappresentazioni di Fufluns”.

Castagneto Carducci (Li). A Palazzo Espinassi Moratti apre la mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” sul rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vitaquotidiana da Populonia, Volterra e Vetulonia. Video dell’archeologa Carolina Megale approfondisce il tema e introduce alla mostra

castagneto-carducci_palazzo-espinassi-moratti_mostra-nel-segno-di-fufluns_locandina-inaugurazioneA Palazzo Espinassi Moratti, a Castagneto Carducci (Li), fervono i lavori perché tutto sia pronto sabato 24 giugno 2023 per l’inaugurazione, alle 18, della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi”, promossa da Past Experience con La Strrda del Vino e dell’Olio – Costa degli Etruschi, dedicata al rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vita quotidiana provenienti dai territori delle antiche città di Populonia, Volterra e Vetulonia. Curata dalla Fondazione Aglaia con la soprintendenza ABAP di Pisa e Livorno, e la soprintendenza ABAP di Siena Grosseto e Arezzo, è la mostra dell’estate 2023: si potrà visitare fino al 5 novembre 2023. “Il vino! Ecco il dono d’oblio di Semele e Zeus”, si legge sul manifesto della mostra. “E tu versa, mescendo con un terzo due terzi, e le coppe trabocchino, e l’una l’altra spingano”. Flufluns, come ci ricorda Valentino Nizzo nel suo appuntamento mensile dedicato agli dei etruschi, “aveva una origine umbro-sabina e doveva essere legata alla vegetazione: infatti nel nome si riconosce la stessa radice di flora e flos (fiore). Gli Etruschi assimilarono Fufluns a Dioniso, giunto in Etruria insieme con il vino di produzione greca e le relative pratiche culturali e sociali. Di fatto, il simposio diventò un segno distintivo delle aristocrazie etrusche. Immagini, simboli e miti dionisiaci erano riprodotti sul vasellame greco di importazione e vennero utilizzati per caratterizzare le rappresentazioni di Fufluns”.

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L’archeologa Carolina Megale nelle fasi di allestimento della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” (foto past experience)

In un lungo e interessante video realizzato da ArcheoReporter per Past Experience, l’archeologa Carolina Megale, alternata a una voce narrante, approfondisce il rapporto tra gli Etruschi e il vino, l’ideologia del vino come emerge dai corredi delle tombe aristocratiche, il rapporto tra la coltivazione della vite e la Toscana costiera e la sua evoluzione nei millenni. E così introduce e prepara il visitatore alla mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” a Castagneto Carducci.

Il vino sente le radici della terra e si avvinghia come la vite al territorio da cui nasce. In questa parte della Toscana marittima ha radici profonde. Tutto parla di vino, anche i muri dei palazzi comunali con misure incise nella pietra, antiche e moderne. La storia del vino accompagna la storia degli esseri umani e lo fa almeno dalla fine del Neolitico. È certamente espressione dell’evoluzione della produzione agricola, ma anche indicatore di cultura credenze economia e struttura sociale degli antichi popoli del Mediterraneo. Gli Etruschi legarono al vino molti aspetti della società. C’era l’ostentazione, la ritualità funeraria, una forte componente sacrale. E poi, non disgiunto da tutto questo, il vino era l’elemento principale del Convivio.

“Si tratta di una mostra archeologica, ovvero raccontata attraverso gli oggetti della vita quotidiana che gli Etruschi utilizzavano e che noi abbiamo raccolto in questa mostra per raccontare un territorio: il territorio dell’antica città di Populonia, il territorio dell’antica città di Vetulonia, il territorio dell’antica città di Volterra, che appunto insistevano nell’Etruria marittima”.

Nella prima Età del Ferro, tra il X e il IX secolo a.C., si assiste a processi di profonda trasformazione dell’élite della penisola italiana, soprattutto quelle dell’rea centro-tirrenica e meridionale. Queste trasformazioni derivano da nuovi modelli di gestione delle risorse e naturalmente dal potere che le controllava. Nascono quindi nuovi codici e forme di autorappresentazione nelle quali si inquadra anche l’uso del vino e in generale delle bevande alcoliche.

“Il vino compare nella società etrusca in un momento cruciale, quando stavano nascendo le aristocrazie etrusche agli inizi del I millennio a.C. E i guerrieri, i capi tribù, avevano bisogno di riconoscersi in qualcosa e la loro ideologia, la loro necessità di raccontare se stessi, passa proprio attraverso la rappresentazione del vino. Nelle tombe, nelle necropoli del I millennio a.C., tra IX-VIII-VII sec. a.C., avviene un passaggio importante, ovvero si passa dall’urna cineraria cosiddetta biconica all’utilizzo di crateri o di contenitori per il vino per manifestare il proprio ruolo sociale. Quindi troviamo delle tombe a pozzetto, ad esempio, scavate nel terreno dove l’urna cineraria è costituita da crateri o olle, che vogliono significare lo status symbol del proprietario, del defunto, legato al vino. Le fonti scritte ci trasmettono l’uso di una bevanda alcolica che utilizzavano gli Etruschi, il temetum. Non è certo però se questa bevanda fosse ottenuta dalla Vitis vinifera, dall’uva, oppure da altri frutti. È stato anche identificato un set per il temetum, costituito da una piccola olla con due anse prodotte in ceramica d’impasto che faceva appunto set con una piccola tazza attingitoio anch’essa in ceramica che veniva utilizzata sia per prendere il vino sia per berlo. Ben presto il vino diventò elemento sociale. Non si beveva da soli, si beveva nella comunità. La comunità degli aristocratici sigillava i propri rapporti bevendo insieme. Il vino entra a far parte dei rituali di fondazione, dei rituali sociali, delle relazioni economiche tra le aristocrazie”.

Il ritrovamento di cento tazze in ceramica di impasto depurato sull’acropoli di Populonia dimostra proprio un rituale. In questo caso la fossa con le tazze indica probabilmente una libagione che accompagnò la dismissione di una dimora di alto rango.

“Dalla necropoli di Poggio Tondo dove sono state scavate delle meravigliose tombe a tumulo proviene un corredo funerario di straordinaria bellezza”.

Ecco comparire un grande cratere che ha la forma di un kantharos ossia una coppa da vino accompagnata da coppe su alto piede sia di ceramica d’impasto che di bucchero. Sono oltre 20 queste coppe a rappresentare una mensa condivisa, un momento rituale della comunità aristocratica di Vetulonia nell’attuale territorio di Scarlino.

“Al VII secolo a.C. risalgono le monumentali tombe a tumulo delle aristocrazie etrusche del nostro territorio. Si trovano nella necropoli di Baratti e Populonia, si trovano nella necropoli di Poggio Tondo a Pian di Alma. Sono strutture circolari all’esterno monumentali che rappresentano la ricchezza della famiglia che le possiede, al cui interno si sono trovati straordinari corredi costituiti da coppe e crateri legati appunto al consumo del vino.  L’ideologia del vino rappresenta fortemente i principi etruschi. In un periodo in cui ancora non veniva utilizzata la monetazione gli Etruschi per fare affari e per gli scambi commerciali utilizzavano il dono. Si scambiavano oggetti preziosi. Tra questi doni è stata riconosciuta una tazza, un kyathos, in bucchero fine, raffinatissimo, bellissimo, decorato con stampigli e incisioni, che riporta l’iscrizione in cui il vaso è lui stesso a parlare: io sono stato donato da e il nome della famiglia che ha donato la coppa a un’altra famiglia che poi se l’è portata nella tomba come parte del corredo, proprio per siglare un accordo commerciale e un legame sociale tra le aristocrazie. Gli Etruschi consumavano il vino durante il rituale funerario seduti su una sedia di fronte a un tavolo con un grande cratere che serviva appunto per contenere il vino. Come si vede ad esempio in un meraviglioso coperchio del cinerario di Montescudaio, conservato al museo Archeologico nazionale di Firenze. È un’acquisizione successiva quella del banchetto semisdraiati alla greca appunto, che si acquisisce dopo i contatti con i Greci che avevano colonizzato l’Italia meridionale e la Sicilia”.

Un piccolo Sileno in bronzo danza in equilibrio instabile e con una mano invita i presenti a lanciarsi nel gioco. È la parte superiore di un cottabus dall’acropoli di Vetulonia. Il contesto è quello di importanti depositi votivi, uno con più di 100 elmi votivi, offerta agli dei per un evidente trionfo sugli avversari nelle guerre tra clan famigliari degli Etruschi. Da un altro deposito arriva proprio il cottabus, oggetto di prestigio senz’altro, ma anche un gioco verso cui si lanciavano in una sorta di tiro a segno le ultime gocce di vino rimaste nelle coppe.

“Non bevevano mai il vino puro. Il vino era sempre mescolato secondo quantità che venivano decise dal cerimoniere del simposio. In genere un terzo di vino e due terzi di acqua che venivano mescolati nei grandi crateri. A questi poi venivano aggiunte delle spezie, ma il tocco finale era dato dal formaggio, generalmente di capra, che veniva grattugiato all’interno del cratere. Il vino veniva attinto con dei mestoli o con degli attingitoi o delle brocche e versato nelle varie coppe da vino. Conosciamo varie tipologie di coppe da vino, ognuna con il proprio nome. Conosciamo la kylix, conosciamo il kantharos, conosciamo lo skyphos. Ogni nome identifica una tipologia diversa di oggetto, e ci racconta anche la sua funzione”.

Gli Etruschi coltivarono la vite avvinghiata ad alberi come pioppi, olmi, ma anche olivi e ciliegi. È la cosiddetta vite maritata o a sostegno vivo, una differenza notevole rispetto alla Magna Grecia dove i vitigni erano coltivati sul supporto morto o a tutore secco. Anche in questo aspetto del paesaggio l’Etruria manteneva una sua originalità.

“La vite con cui gli Etruschi facevano il vino è la Vitis Vinifera, che ebbe un lunghissimo processo di domesticazione che risale al Neolitico. A partire almeno dal 6000 a.C. l’uomo iniziò a prendersi cura della vite, a selezionare le piante che davano i frutti migliori, gli acini più grandi, quelli che avevano la resa migliore. Il nostro territorio, la Toscana costiera, la Costa degli Etruschi, l’alta Maremma, conservano le tracce del passaggio degli Etruschi ancora incastonate nel paesaggio, e nei reperti che sono esposti nei musei. Io vi invito a visitare il più possibile il nostro territorio, andare al mare, scoprire gli altri musei, e scoprire le cantine che oggi vi faranno degustare un vino straordinario”.

Le viti sono cambiate nei millenni e così anche il vino, prodotto di terra, ingegno e fatica. I musei della Toscana Marittima testimoniano però che il Segno di Fufluns, il dio ispiratore di sacralità, di arte, di secoli di simposi, è ancora visibile. Lo è nelle testimonianze archeologiche che custodiscono, a cucire con la loro rete museale storia e paesaggi, quegli stessi paesaggi in cui la tramonto forse possiamo ancora intravederlo.

 

Roma. Presentate e illustrate per la prima volta al pubblico le quattro lastre dipinte etrusche di terracotta, del VI sec. a.C., recuperate a Cerveteri nel 2019 dalla Guardia di Finanza. Saranno esposte nel Castello di Santa Severa

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Lastra dipinta etrusca arcaica da Cerveteri: il combattimento tra Achille e Pentesilea, in cui la regina delle Amazzoni si lancia, contro l’eroe greco che la sconfiggerà (foto sabap vt-em)

A tre anni dal loro recupero a Cerveteri, nel 2019, da parte della Guardia di Finanza nel corso di un’operazione contro il mercato illecito delle opere d’arte, le quattro lastre dipinte etrusche di epoca arcaica sono state restaurate, in un complesso intervento di conservazione a cura di Antonio Giglio. Attualmente sono ancora conservate presso i laboratori della Soprintendenza, ma la loro destinazione definitiva sarà nell’esposizione permanente dell’Antiquarium del Castello di Santa Severa, in una apposita sezione dedicata alle lastre dipinte dell’antica Caere. Ciò permetterà di valorizzarle meglio con un percorso espositivo più ‘mirato’. Di sicuro questo straordinario evento ricorda che, se è possibile ammirare le quattro lastre, è solo grazie al grande lavoro in sinergia e in collaborazione fra la Soprintendenza e le forze dell’ordine.

E ora le quattro lastre dipinte etrusche di terracotta del VI sec. a.C. cominciano a svelare le loro “storie”. È successo nell’incontro promosso dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Viterbo e dell’Etruria meridionale in occasione delle Giornate europee dell’archeologia con la loro presentazione in anteprima al pubblico nella sede della Sabap a Palazzo Patrizi Clementi di Roma. A introdurre sono stati il soprintendente, arch. Margherita Eichberg (nel video) e il ten. Col. della Guardia di Finanza, Alberto Franceschin.

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Lastra dipinta etrusca del VI sec. a.C. da Cerveteri: un’eroina armata di arco (foto sabap vt-em)

A raccontare quelle storie che hanno danno il titolo all’incontro (“Nuove storie per immagini dall’Etruria meridionale”) sono state le scene dipinte su quattro lastre etrusche di terracotta risalenti al VI secolo a.C., esposte per la prima volta in quest’occasione e presentate in anteprima al pubblico. A spiegare il tutto sono stati gli archeologi della Sabap VT-EM Rossella Zaccagnini (nel video) e Daniele Maras, assieme al collega Leonardo Bochicchio, della Sabap per le provincie di Pisa e Livorno, e ad Antonio Giglio, del Consorzio Cavaklik Restauro.

Scene inedite di natura rituale e mitologica, che ne mostrano l’eccezionale valore storico e archeologico, in quanto opera di eccellenti maestri della pittura antica, come è possibile riscontrare nei particolari del volto di alcuni personaggi. E poi si sono potute apprezzare le tonalità dei colori particolarmente vivaci, esaltati proprio dal grande intervento di restauro eseguito a cura della Soprintendenza (nel video Antonio Giglio, del Consorzio Cavaklik Restauro).

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Lastra dipinta etrusca del VI sec. a.C. da Cerveteri: il messaggero degli dei Hermes, l’etrusco Turms, dalle ricche ali (foto sabap vt-em)

I soggetti sono stati spiegati dal funzionario archeologo Daniele Maras (nel video). Fra le scene figurate mitologiche e rituali del tutto inedite, notiamo: il combattimento tra Achille e Pentesilea, in cui la regina delle Amazzoni si lancia, bella e terribile, contro l’eroe greco che la sconfiggerà, racchiuso nella sua armatura; un’eroina armata di arco, impegnata in una gara di corsa contro un avversario biondo, che brandisce un ramo (forse la sfida tra la cacciatrice Atalanta e il suo futuro marito Melanione); il messaggero degli dei Hermes, l’etrusco Turms, dalle ricche ali, che scorta una donna in atto di svelarsi (forse parte di un quadro del giudizio di Paride); una coppia di aruspici al lavoro.

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Lastra dipinta etrusca del VI secolo a.C. da Cerveteri: coppia di aruspici al lavoro (foto sabap vt-em)

“L’analisi della tecnica usata rivela informazioni utili”, precisa l’archeologo Leonardo Bochicchio. “Le lastre sarebbero opera di almeno due artisti, forse un maestro e il suo allievo. Il primo, infatti, mostra una mano più raffinata e specializzata proprio in scene mitologiche, in grado di dare particolare rilievo alla luminosità e all’espressività dei volti. Il suo ‘discepolo’, invece, potrebbe proprio aver lavorato anche nell’officina delle lastre ‘Campana’, oggi al Louvre. Ricordiamo che queste ultime, insieme a quelle ‘Boccanera’ attualmente al British Museum di Londra, sono gli unici esemplari (rinvenuti nel XIX secolo sempre a Cerveteri) simili alle lastre esposte per la prima volta a Palazzo Patrizi Clementi (via Cavalletti 2), risalenti al VI sec. a.C.”.

Un regalo del 2019? Di certo il museo delle Navi Antiche aperto dopo vent’anni di ricerca e restauro negli Arsenali Medicei di Pisa: dallo scavo di San Rossore al più grande museo di imbarcazioni antiche esistente. Esposte sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro integre, e circa 800 reperti

Che cosa ci lascia in eredità il 2019? Tra le novità conosciute durante l’anno, di certo una menzione lo merita il museo delle Navi Antiche aperto nel giugno 2019 agli Arsenali Medicei di Pisa dopo venti anni di ricerca e restauro: quasi 5000 metri quadri di superficie espositiva e 47 sezioni divise in 8 aree tematiche nelle quali saranno esposte sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro sostanzialmente integre, e circa 800 reperti per un museo che racconta un millennio di commerci e marinai, rotte e naufragi, navigazioni, vita di bordo e della storia della città di Pisa. La concessione del museo è affidata a Cooperativa Archeologia, che ha seguito negli ultimi anni lo scavo archeologico e il restauro delle navi e dei reperti, sotto la direzione scientifica di Andrea Camilli, responsabile di progetto per la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno. Si tratta di una tappa fondamentale per un percorso iniziato nel 1998, anno in cui nei pressi della stazione ferroviaria di San Rossore vennero alla luce i resti della prima nave. Nacque così il grande cantiere di scavo e restauro realizzato grazie all’importante e costante impegno del MiBAC e di un ricco ed eterogeneo gruppo di professionisti archeologi e restauratori.

Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa rappresenta uno dei più interessanti e ricchi cantieri di scavo e ricerca degli ultimi anni. La particolare condizione di conservazione dei reperti racchiusi in strati di argilla e sabbie ha richiesto un considerevole sforzo economico, organizzativo e tecnologico, mettendo a disposizione della ricerca laboratori, depositi, strumentazioni all’avanguardia e logistica devoluti al recupero degli oltre trenta relitti individuati e dei materiali ad essi associati. Il cantiere delle Navi Antiche è quindi diventato un centro dotato di laboratori, depositi e strumentazione che ha visto la collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere. Durante lo scavo, i relitti sono stati liberati dal terreno secondo il metodo proprio dello scavo archeologico, e dai pannelli in vetroresina, procedendo per piccole fasce di 50 centimetri/1 metro, rilevate tridimensionalmente, e quindi nuovamente protette con un tessuto in grado di trattenere l’umidità. Per garantire l’umidità necessaria, si è fissato sui reperti un impianto di nebulizzazione, progettato espressamente per ogni imbarcazione. A questo è stato sovrapposto un nuovo guscio di vetroresina per preservare l’imbarcazione durante il sollevamento, il trasporto e la messa a dimora. L’imbarcazione, così incapsulata, è stata fissata a un telaio metallico e quindi sollevata e spostata in laboratorio per il restauro.

L’allestimento degli Arsenali Medicei con le navi antiche romane (foto Barbara Setti)

Gli Arsenali Medicei sede del Museo delle Navi Antiche di Pisa (foto Barbara Setti)

Il museo, allestito all’interno degli Arsenali Medicei sul lungarno pisano, espone le navi di età romana e i reperti a esse riferiti rinvenuti e restaurati al Cantiere delle Navi Antiche. L’adiacente complesso di San Vito ospiterà a breve il Centro di restauro del Legno Bagnato, struttura di rilievo internazionale nel restauro delle sostanze organiche, attualmente ospitata provvisoriamente presso il cantiere di scavo. Il centro, simbolicamente, fornirà il supporto alle onerose manutenzioni del museo e lo arricchirà costantemente con il suo lavoro. “L’apertura del museo delle Navi Antiche di Pisa, all’interno degli Arsenali Medicei restaurati, ed ora integralmente visibili, costituisce la conclusione di una significativa fase di tutte quelle iniziative a cura del ministero per i Beni e le attività culturali che iniziarono col fortunato ritrovamento archeologico di Stefano Bruni a san Rossore”, dichiara Andrea Muzzi. “Da allora fondamentale fu il completamento dello scavo, gli studi e le complesse lavorazioni condotte dal Centro di Restauro del Legno Bagnato e la progettazione dell‘exhibition design dovuto a Maurizio di Puolo e Anna Ranghi, il tutto seguito fin ad oggi con passione da Andrea Camilli. Ho l’onore di concludere questo lavoro sostenuto con continuità dai finanziamenti del ministero, lavoro nel quale ho creduto fin dal mio arrivo a Pisa. Prima di me, oltre ai colleghi che mi hanno preceduto, e che ringrazio sentitamente a cominciare da coloro che mi hanno passato il testimone, vari istituti hanno collaborato e continuano a dare il loro fondamentale contributo a seconda dei rispettivi ruoli, dalla direzione generale, alla direzione regionale, poi, per gli esiti della recente riforma, al segretariato regionale”.

La ricostruzione del cantiere di scavo negli ambienti degli Arsenali Medicei (foto Barbara Setti)

Una rassegna delle anfore rinvenute dai carichi dei relitti delle navi romane (foto Barbara Setti)

Le spoglie di un marinaio e di un cane restituite dallo scavo delle navi antiche (foto Barbara Setti)

Il museo delle Navi Antiche risponde a una serie di caratteristiche: è il museo archeologico che mancava a Pisa, un museo duttile, in continua trasformazione con il proseguire delle ricerche e utilizza un linguaggio accessibile e diversificato, adatto a tutti. Il grande lavoro di progettazione svolto ha richiesto una costante sinergia e una pluriennale collaborazione con gli autori dell’exhibition design. “Siamo orgogliosi della chiusura di un percorso che in vent’anni ha coinvolto più di 300 persone dalle professionalità più disparate: archeologi, architetti, storici dell’arte, restauratori e il personale tecnico delle sovrintendenze”, continua Andrea Camilli. “C’è un’enorme soddisfazione nel constatare che una struttura statale ha realizzato una grande opera come questa: quasi 5000 metri quadri, innovativi anche sul piano museale. Si tratta del più grande museo di imbarcazioni antiche esistente. L’esposizione, inoltre, è costruita con un tipo di linguaggio che avvicina il pubblico all’archeologia. Abbiamo eliminato il ‘feticismo del reperto’, rimuovendo il più possibile le barriere visibili che separano l’utente dall’oggetto, rendendolo apparentemente a portata di mano del visitatore. Anche l’area dedicata alle alluvioni, dove una parete scaffalata rivela con le consuete cassette di deposito i materiali rinvenuti dopo un’alluvione catastrofica, introduce alla tematica della ricerca. Il linguaggio del museo non punta a stupire, ma utilizza un sistema di comunicazione plurilivello che non eccede nel multimediale e ricontestualizza la narrazione con accuratezza storica e scientifica”. L’esposizione delle Navi Antiche di Pisa si articola all’interno delle sale e delle campate degli Arsenali medicei, sul lungarno pisano, in origine capannoni adibiti alla costruzione e alla manutenzione delle galee dei cavalieri di Santo Stefano, il corpo cavalleresco a difesa della minaccia saracena. Gli arsenali andarono presto in disuso e diventarono prima alloggi militari, poi stalle. Fino alla metà del secolo scorso ospitarono il centro di riproduzione ippica dell’Esercito italiano. La volontà di conservare la struttura degli Arsenali ha condizionato le scelte museali, soprattutto nelle sale I, II e VIII, dove il mantenimento delle celle dei cavalli ha imposto una narrazione in microcapitoli, quasi a piccoli passi. I grandi ambienti delle campate sono invece lo spazio ideale per dispiegare le grandi navi restaurate.

Alkedo (il Gabbiano), l’ammiraglia della flotta pisana, nave da 12 rematori da diporto (foto Barbara Setti)

La ricostruzione di un piccolo planetario, per conoscere come gli antichi si orientavano con le stelle (foto Barbara Setti)

Sono quattro le imbarcazioni integre esposte: l’ammiraglia Alkedo da 12 rematori, la Nave “I” ossia un grande traghetto fluviale, un secondo barcone con ponti e albero ben visibili e una piccola imbarcazione per il trasporto merci. A queste, si affiancano altre navi parzialmente recuperate e la ricostruzione di una porzione del cantiere di scavo. In mostra anche i carichi rinvenuti, che includono gli oggetti personali dei viaggiatori, con migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli, elementi in materiale organico, da giochi per bambini a capi d’abbigliamento, e anche i resti di un marinaio morto con il suo cane: un mosaico che copre mille anni di commerci, navigazioni, rotte, vita quotidiana a bordo e naufragi. L’esposizione parte con la storia della città di Pisa tra archeologia e leggenda, fino alla fase etrusca prima e romana poi, conclusasi con l’arrivo dei Longobardi. Si prosegue con un focus sul rapporto della città con l’acqua, dalle catastrofiche alluvioni all’organizzazione del territorio tra canali e centuriazioni, fino a toccare il Porto di Pisa e tutta l’intensa attività produttiva cittadina. Dalla ricostruzione dei cantieri si passa, poi, all’esposizione integrale delle navi, che occupa due campate degli arsenali, per proseguire con le sezioni che raccontano le tecniche di navigazione con un piccolo planetario, per conoscere come gli antichi si orientavano con le stelle, mentre un tabellone elettronico degli arrivi e delle partenze racconta le principali rotte dei porti del Mediterraneo. Il percorso espositivo si conclude con un excursus sulla dura vita di bordo, sia per i marinai che per i viaggiatori, dall’abbigliamento ai bagagli, fino alle abitudini alimentari, ai culti e alle superstizioni.

La cosiddetta nave “D”, con ancora ben visibili ponti e albero (foto Barbara Setti)

La cosiddetta barca “F”, appartiene alla tipologia delle lintres, per il trasporto merci utilizzate per rapidi e più confortevoli spostamenti (foto Barbara Setti)

Le navi esposte. (1) Alkedo (il Gabbiano), l’ammiraglia della flotta pisana, nave da 12 rematori da diporto ma dalle forme che ricordano una nave da guerra; ha ancora inciso su una tavoletta il suo nome (Alkedo = gabbiano), esposta nella vetrina di fronte. A fianco ricostruzione a grandezza naturale di una nave da guerra (liburna). (2) Nave “I” (V sec. d.C.), grande traghetto fluviale a fondo piatto interamente costruito in legno di quercia e rinforzato all’esterno da fasce di ferro; il barcone, manovrato tra le due rive attraverso un sistema di funi, era mosso da riva tramite un argano, il cui asse centrale è stato rinvenuto nel corso degli scavi (esposto nella vetrina accanto all’imbarcazione). (3) Barca “F”, appartiene alla tipologia delle lintres, imbarcazioni più piccole per il trasporto merci utilizzate per rapidi e più confortevoli spostamenti e per il trasporto di dettaglio delle merci. Simili alle piroghe, erano realizzate per consentire la remata da un solo lato, come le attuali console veneziane (esemplari esposti del II e III sec. d.C.). (4) Nave “D”, con ancora ben visibili ponti e albero. Il grande barcone fluviale è stata rinvenuta rovesciata e il suo restauro ha richiesto un lavoro estremamente elaborato. Si tratta di un grande barcone fluviale adibito al trasporto della rena lungo il corso dell’Arno: un ampio boccaporto consentiva il carico della sabbia. L’imbarcazione era mossa da vela (conserva ancora l’albero originale) e trainata da riva da una coppia di cavalli o buoi. Lo scheletro di un cavallo ancora aggiogato è stato rinvenuto al di sotto di essa. Altre navi: Nave “E”, parziale, nave da carico di dimensioni medio-grandi; Barca “H” , barchino fluviale a fondo piatto; imbarcazione da carico di medio-grandi dimensioni che faceva la spola lungo le coste tra Campania e Spagna e trasportava un carico di anfore (tra cui spalle di maiale in salamoia) (II sec. a.C.). Ricostruzione del cantiere della Nave “A”, nave da carico (oneraria) di grandi dimensioni (più di 40 metri di lunghezza; ne è stata recuperata circa la metà) (II sec.d.C.). Trasportava un carico di anfore a fondo piatto riutilizzate e contenenti conserve di frutta. Per le sue dimensioni è stata esposta ricostruendo una parte del cantiere di scavo, mostrandola in corso di recupero.

La cosiddetta nave “E”, parziale, nave da carico di dimensioni medio-grandi (foto Barbara Setti)

Un’ancora esposta al museo delle Navi Antiche (foto Barbara Setti)

L’esposizione delle Navi Antiche di Pisa si svolge all’interno delle sale e delle campate degli Arsenali medicei di Pisa ed è articolata in otto sezioni. I. La città tra i due fiumi: la prima sala del Museo è dedicata alla storia della città di Pisa tra archeologia e leggenda, il suo sviluppo fino alla fase etrusca prima e romana poi, l’arrivo dei Longobardi. II. Terra e acque: il rapporto della città con il territorio e l’acqua: le alluvioni, l’organizzazione del territorio tra canali e centuriazioni, il Porto di Pisa, le cave e le officine ceramiche, la pesca, l’agricoltura, il legname e come questa intensa attività produttiva abbia inciso sul territorio provocandone già in età antica il suo dissesto idrogeologico. III. La furia delle acque: la piana di Pisa fu soggetto a disastrose alluvioni per secoli: furono disastrose per il territorio, ma grazie agli scavi archeologici hanno consentito di ricostruire nel dettaglio una storia secolare fatta di navi, reperti, storie di vita e di commerci. Approfondimento sul metodo di scavo archeologico in ambiente umido. Il racconto di un naufragio e la storia di un’amicizia: il marinaio della nave B e il suo cane. IV. Navalia: non solo il luogo dove le navi venivano costruite, ricoverate e riparate (gli arsenali), ma le navi nel loro complesso: come si costruivano le navi nel mondo antico e come si costruiscono ora, le moderne tecniche di scavo e recupero e il restauro del legno archeologico. Ricostruzione del cantiere di scavo della nave A. V. Navi: l’esposizione delle navi e dei loro carichi e corredi, che occupa due campate degli arsenali, è suddivisa in due parti: la prima campata è dedicata alle navi da mare aperto, la seconda alle imbarcazioni da acque interne. Esposizione dell’Alkedo e sua ricostruzione a grandezza naturale. I barconi e i traghetti da fiume: nave D e nave I. Una nave dalla Spagna. VI. Commerci: si viaggia per mare anche e soprattutto per commercio: l’oggetto principe sono le anfore da trasporto, i contenitori di quasi tutti i prodotti che si vendevano nel mondo antico; diffusione, importazione ed esportazione di merci particolari: beni di lusso, marmi, ceramica fine da tavola. Tutte le anfore conosciute a Pisa su un’unica parete: forme, contenuti e provenienze. VII. La navigazione: le navi romane, a remi e con vele quadre, navigavano regolate da un complesso sistema di manovre; il cantiere ha restituito notevoli parti di vela, che permettono di ricostruire con molta affidabilità il complesso sistema che era alla base della struttura delle vele. L’ancora in legno della nave A, il pesce angelo portafortuna. Orientarsi con le stelle. Quanto duravano i viaggi per mare? Quali erano i porti e le rotte più frequentate? Consultate il nostro tabellone degli arrivi e delle partenze. VIII. Vita di bordo: viaggiare non era molto confortevole, sicuramente come marinaio ma anche come passeggero. Questa sezione descrive i vari aspetti di questa dura vita: l’abbigliamento, i bagagli, le tempeste, l’illuminazione di bordo, come si cucinava e si mangiava, culti e superstizioni, la vita quotidiana a bordo. Come si vestiva un marinaio? Il giaccone di pelle dell’Alkedo. Il bagaglio del marinaio della nave A: un piccolo gruzzolo e una manciata di oggetti personali. E nel tempo libero? Giochi per bambini e da tavolo.

Il museo delle Navi Antiche di Pisa tra i big del turismo alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico: “In cinque mesi di apertura già 13mila visitatori. È la nuova offerta turistica della città”

La cosiddetta Nave D esposta al museo delle Navi Antiche di Pisa (foto Sabap Pi-Li)

La XXII edizione della Borsa Mediterranea del Turismo archeologico si tiene a Paestum dal 14 al 17 novembre 2019

Le navi romane di Pisa sono approdate a Paestum. C’è anche il museo delle Navi Antiche di Pisa tra i big del turismo internazionale presenti alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, dal 14 al 17 novembre 2019, con centinaia di espositori da oltre 20 paesi esteri, più di 70 conferenze e incontri, decine di migliaia tra visitatori, buyer ed operatori da tutto il mondo. La partecipazione di Cooperativa Archeologia, che gestisce il museo con la direzione della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno, e ha seguito il progetto di recupero e restauro delle navi, è promossa dal Comune di Pisa che investe in quello che attualmente è il più grande museo di imbarcazioni antiche esistente con un’esposizione che in soli cinque mesi di attività ha oltrepassato le 13mila presenze, proponendolo come polo catalizzatore per l’intero territorio. Inaugurato lo scorso giugno, il complesso agli Arsenali Medicei sul lungarno pisano, con i suoi 4700 metri quadri di superficie espositiva e le 47 sezioni divise in 8 aree tematiche, accoglie sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro sostanzialmente integre, e circa 800 reperti per un museo che racconta un millennio di commerci e marinai, rotte e naufragi, navigazioni, vita di bordo e della storia della città di Pisa.

Museo delle Navi Amtiche di Pisa: la sala con le anfore ritrovate sugli antichi relitti (foto Sabap Pi-Li)

Una nave da carico ritrovata a Pisa (foto Sabap Pi-Li)

L’ambizioso progetto di recupero e restauro, un unicum nel settore per tecniche e tecnologie messe in campo, ha richiesto oltre vent’anni. Il grande lavoro di progettazione dell’esposizione, inoltre, si è svolto grazie alla costante sinergia e alla pluriennale collaborazione con gli autori dell’exhibition design: il risultato è una narrazione museale innovativa che avvicina il pubblico all’archeologia anche attraverso la rimozione di barriere visibili che separano l’utente dai reperti, rendendoli apparentemente a portata di mano del visitatore. La Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, unico salone espositivo al mondo del patrimonio archeologico e di ArcheoVirtual, l’innovativa mostra internazionale di tecnologie multimediali, interattive e virtuali, è una ulteriore opportunità per il polo pisano di porsi in un asset strategico per il turismo internazionale.

Una grande anfora esposta al museo delle Navi Antiche di Pisa (foto Sabap Pi-Li)

Le spoglie del marinaio e del cane ritrovate durante lo scavo delle navi romane (foto Sabap Pi-Li)

“La recente apertura del museo delle Navi Antiche di Pisa senza dubbio contribuirà sempre di più a far crescere l’offerta turistica della città”, interviene Paolo Pesciatini, assessore al Turismo del Comune di Pisa. “Il sostegno alla partecipazione del Museo alla Borsa del Turismo Archeologico, fortemente voluta dal sindaco Michele Conti, fa parte della nostra strategia di promozione turistica che, anche attraverso un’adeguata pubblicizzazione del nuovo straordinario Museo, vuol far conoscere e diffondere le bellezze della città nella loro totalità. Infatti, a Paestum, al nostro stand, oltre al materiale specifico del Museo stesso, c’è anche materiale promozionale dell’intero nostro territorio: città e litorale. In questo modo seguiamo il programma di promozione ‘Pisa oltre la Torre’ che mira a far conoscere ai visitatori l’offerta permanente e complessiva pisana. È il primo passo, questo, di una serie di azioni sinergiche e di collaborazioni, già avviate fra l’amministrazione comunale e il Museo, che saranno consolidate nel tempo e, quindi, nelle strategie future”. E il direttore scientifico del museo e responsabile di progetto per la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno, Andrea Camilli: “Il Museo, che presenta un approccio museografico innovativo, mirato alla ‘sdrammatizzazione’ del reperto e alla sua ricontestualizzazione, si vuole porre come un rinnovato rapporto tra città e territorio. L’eccezionalità dei reperti provenienti dalle navi aumenta esponenzialmente l’attenzione del visitatore grazie alla vicinanza di questo con i reperti”.

Pisa. A 18 anni dalla scoperta della “Pompei del mare”, trenta imbarcazioni romane dal III sec. a.C. al VII d.C., è stato presentato agli Arsenali medicei il primo nucleo del Museo delle Navi antiche, visitabile su prenotazione

Le antiche navi romane trovate a San Rossore sono ospitate negli Arsenali medicei di Pisa

Le antiche navi romane trovate a San Rossore sono ospitate negli Arsenali medicei di Pisa

Gli Arsenali medicei di Pisa sede del museo delle Navi antiche

Gli Arsenali medicei di Pisa sede del museo delle Navi antiche

Le navi sono tornate negli Arsenali Medicei di Pisa. Ma non sono le galee tanto importanti per Cosimo I che nella seconda metà del Cinquecento volle questa importante struttura per soddisfare le richieste del porto di Livorno e dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Tra le volte a tutto sesto di due delle otto sale dell’arsenale disegnato da Bernardo Buontalenti, nel centro di Pisa, interamente ristrutturato dal ministero dei Beni culturali, sono state ormeggiate alcune delle trenta imbarcazioni di epoca romana, di cui 13 integre, risalenti tra il III secolo a.C e il VII d.C., scoperte dal 1998, complete di carico, con oggetti personali dei marinai, e migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli, elementi in materiale organico. È il primo nucleo del “Museo delle Navi antiche” che si è concretizzato a diciotto anni dalla straordinaria scoperta di navi romane nel vecchio alveo dell’Auser (l’odierno Serchio)  che fece chiamare Pisa la “Pompei del mare”. È stato presentato al pubblico il 25 novembre 2016 dal soprintendente di Archeologia e Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno Andrea Muzzi e dai progettisti e direttori dei lavori Andrea Camilli, archeologo, e Marta Ciafaloni, architetto, funzionario della soprintendenza. E da sabato 3 dicembre 2016 è possibile la visita al cantiere di scavo e al cantiere di allestimento del museo delle navi antiche su prenotazione, in giorni stabiliti o su richiesta: per informazioni turismo@archeologia.it e 055.5520407. “L’apertura del museo”, spiega Andrea Muzzi, “è importante perché rendiamo finalmente visibile una straordinaria avventure archeologica che rappresenta un patrimonio culturale di inestimabile valore non solo sotto il profilo museale ma anche per la particolarità del restauro effettuato”. E Andrea Camilli: “A San Rossore abbiamo riscritto un pezzo di storia del restauro modificando anche i protocolli internazionali e costituendo un centro di eccellenza di richiamo internazionale, dove si sono sperimentate con successo tecniche mai usate prima d’ora”.

Una fase dello scavo delle navi romane antiche a San Rossore

Una fase dello scavo delle navi romane antiche a San Rossore

Era il 1998 quando, vicino alla stazione ferroviaria di San Rossore a Pisa, vennero alla luce i resti della prima nave, determinando il blocco dei lavori per la costruzione della ferrovia. La scoperta si rivelò presto ben più importante del previsto, trattandosi di un sito di grande importanza. Inizialmente si riteneva si trattasse di uno scalo portuale, ma ben presto si è identificata la vera natura del deposito: si tratta del punto di incrocio di un canale della centuriazione pisana con il corso del fiume Serchio (l’antico “Auser”), dove, a seguito di una serie di disastrose alluvioni (ne sono state identificate almeno sette, dal II secolo a.C. al VII sec. d.C.), sono affondate almeno trenta imbarcazioni, che sarebbero giunte da varie parti del Mediterraneo: Gallia, Campania, Adriatico, ecc. Nacque così il grande cantiere di scavo e di restauro. Il laborioso lavoro di archeologi e restauratori di Cooperativa Archeologia, che si è occupata anche del montaggio dei relitti sotto la direzione dell’archeologo Andrea Camilli, ha ricomposto il mosaico di una lunga storia, fatta di commerci e marinai, navigazioni e rotte, vita quotidiana a bordo e naufragi.  Il tutto disseminato all’interno degli Arsenali Medicei di Pisa, considerato il luogo più adatto per la realizzazione di un museo: costruiti – come si diceva – nella seconda metà del Cinquecento per volontà di Cosimo I, sono formati da una serie di capannoni in mattoni, in origine aperti, decorati sulla facciata verso l’Arno da mascheroni in marmo, stemmi e iscrizioni che ricordano le vittorie navali dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano.  I primi due ambienti ad essere aperti al pubblico (saranno 8 in tutto) sono la sala V e, con una sezione introduttiva a questa, la sala IV, con l’esposizione della prima imbarcazione rinvenuta, la nave A (lunga 18 metri e risalente al II secolo d.C).

Una delle navi restaurate ed esposte nella Sala V del museo delle Navi antiche di Pisa

Una delle navi restaurate ed esposte nella Sala V del museo delle Navi antiche di Pisa

Nella grande sala V sono esposte tutte le navi restaurate: da guerra, da commercio, da mare aperto e da fiume. Al momento, qui si possono vedere la Nave F (del II secolo d.C.), che rientra nella categoria delle piccole imbarcazioni fluviali, veloci, a forma di piroga, dalla caratteristica prua monossile, ossia scolpita in un unico blocco.  Lo scafo è deformato per il pilotaggio da un solo lato, come le gondole; la Nave I (del IV-V secolo d.C) è un traghetto a fondo piatto interamente realizzato in legno di quercia e rivestito all’esterno da fasce chiodate in ferro per proteggere lo scafo dai fondali bassi.  La nave era manovrata a riva da un argano; la Nave D ((VI secolo d.C) è visibile posta su una grande struttura metallica, che sostiene questa imponente imbarcazione, lunga 13 metri e larga più di 4: una nave fluviale adibita al trasporto di sabbia, trainata da riva da una coppia di cavalli. È inoltre presente la ricostruzione a grandezza naturale della Nave C, l’Alkedo (inizi I secolo d.C.), finalmente libera dal guscio che l’ha protetta per 15 anni. Consistenti tracce di colore hanno permesso di riprodurre il suo colore originale, in bianco con rifiniture in rosso e il nero per il simbolo dell’occhio, dipinto sulla prua a protezione delle avversità di chi va per mare.

Un'anfora in corso di scavo visibile in uno dei padiglioni del Museo delle Navi Antiche di Pisa

Un’anfora in corso di scavo visibile in uno dei padiglioni del Museo delle Navi Antiche di Pisa

La sala IV, invece, è dedicata alla tecnica di costruzioni delle navi e racconta come un semplice cantiere di scavo venne ampliato e attrezzato per una scoperta così inaspettata.  Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa è innovativo a livello internazionale, considerato che per la prima volta sono state restaurate delle navi per intero, senza che venissero smontate. Quindi il restauro è iniziato in corso di scavo. In cantiere è stato progettato un preliminare sistema di protezione dei reperti con pannelli in vetroresina.  A breve, sarà svelato il resto, per un totale di 4.800 metri quadrati: una serie di sale tematiche dove sarà allestito, in 70 sezioni, un museo della storia antica di Pisa. L’ingresso sarà dal cortile, con il lungo corridoio che costituisce la spina dorsale del percorso, la narrazione di tutto quello che era Pisa prima delle navi, gli eventi alluvionali che portarono al loro progressivo affondamento, tutte le navi restaurate e tanto altro, fra cui il bagaglio del marinaio, una cassetta di legno con monete e medicamenti. Sarà un percorso tra amuleti e tanti oggetti di bordo come fornelli, vasellame da mensa e da cucina, piatti e attrezzi da carpentiere per le riparazioni, lucerne e oggetti di culto che i marinai portavano con loro durante viaggi pericolosi, come oggetti votivi, piccole statuine delle divinità e scarabei, calzature in legno, frammenti di indumenti in cuoio, resti vegetali come semi, utili sia per capire i commerci che l’alimentazione dei marinai.