Firenze. Sotto il Viola Park, il centro sportivo di ACF Fiorentina a Bagno a Ripoli, scoperte una fattoria romana, una strada e una necropoli con 170 tombe. La scoperta illustrata dall’archeologo Giroldini a TourismA 2024

Lo scavo della necropoli nord del Viola Park a Bagno a Ripoli. I teli bianchi proteggono le tombe ancora da scavare (foto giroldini / sabap-fi)
Laddove ora sorge il centro sportivo Viola Park – parafrasando una nota canzone – un tempo c’era un abitato satellite di Florentia. Dopo gli scavi conclusi nel 2022 gli studi e i restauri in corso svelano le storie di vita e morte di una comunità vissuta presso l’odierna Bagno a Ripoli duemila anni fa. Della scoperta ha parlato Pierluigi Giroldini, archeologo della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, a tourismA – Salone Archeologia e Turismo Culturale organizzata da Archeologia Viva (Giunti Editore), nell’ambito della sezione “ULTIME DALLA TOSCANA. Ricerche e scavi nel cuore della regione” a cura della soprintendenza. I lavori di costruzione del centro sportivo Viola Park, a Bagno a Ripoli (Fi), terminati nel 2022, hanno consentito infatti di portare alla luce una serie di testimonianze archeologiche che arricchiscono le conoscenze sul passato di un’area che anticamente faceva parte dell’immediata campagna a sud-est della colonia romana di Florentia. L’archeologo Pierluigi Giroldini ha sintetizzato le ricerche per i lettori di archeologiavocidalpassato.com.
“Gli scavi per il Viola Park – spiega Giroldini – sono stati condotti dalla soprintendenza di Firenze nell’ambito del lavoro di costruzione del nuovo centro sportivo di ACF Fiorentina che è stato edificato tra il 2020 e il 2022 nei campi immediatamente a sud di Firenze. Nel corso dei lavori, che sono andati avanti grazie a una collaborazione tra la soprintendenza – quindi ministero della Cultura – e ACF Fiorentina, sono state rinvenute varie evidenze prevalentemente di età romana, ma anche più antiche.

.Una porzione della strada acciottolata (via glareata) in corso di scavo al Viola Park di Bagno a Ripoli (foto giroldini / sabap-fi)
“La cosa più importante che è stata rinvenuta – sottolinea – è una via glareata, ovvero una strada che attraversava tutta l’area ed era corrispondente a un cardine centuriale della centuriazione di Florentia, attorno alla quale si disponevano due vaste aree di necropoli che hanno restituito circa 170 tombe in totale.

Coppia di orecchini d’oro di età romana, trovati in una tomba di fanciulla della necropoli nord del Viola Park di Bagno a Ripoli (foto giroldini / sabap-fi)
“Le tombe vanno dalla prima età imperiale romana fino a piena età tardoantica, quindi fino al V-VI secolo a.C., e raccontano la storia della comunità locale, quindi una comunità alle porte di Firenze con oggetti di uso quotidiano, oggetti personali, come specchi in bronzo rivestiti di stagno, ma anche oggetti in metallo prezioso come una coppia di orecchini che probabilmente era pertinente a una ragazza in età giovanile. Non mancano le lucerne, simbolo tipico nella ritualità funeraria romana della vita che si spenge, e che sono state molto spesso deposte in posizione capovolta”.

Panoramica della necropoli nord in corso di scavo al Viola Park di Bagno a Ripoli: mentre le ruspe procedono, le tombe individuate vengono scavate e documentate (foto giroldini / sabap-fi)
Prima degli Etruschi. A poca distanza dall’Arno, ma in posizione sufficientemente riparata dalle piene del fiume, la zona è stata popolata almeno a partire dall’VIII sec. a.C., quando una piccola comunità villanoviana (che precedette la cultura etrusca) ha lasciato una necropoli composta da sei tombe a pozzetto, con le ceneri dei defunti deposte in semplici vasi di terracotta e pochi oggetti di corredo (prevalentemente fibule, ovvero spille di bronzo per vestiti). Alcuni resti poi mostrano una continuità di vita in piena epoca etrusca.

Archeologi al lavoro: rilievo e documentazione di tombe “alla cappuccina” (con copertura di tegole) e in anfora della necropoli sud del Viola Park di Bagno a Ripoli (foto giroldini / sabap-fi)

Antropologhe e archeologhe al lavoro su una sepoltura della necropoli nord al Viola Park di Bagno a Ripoli. Il recupero dei resti ossei è un’attività delicata, che può restituire informazioni preziose sul defunto e dunque va effettuato con la massima accuratezza (foto giroldini / sabap-fi)
La fase romana. Tuttavia è con l’età alto-imperiale (fine I sec. a.C. – II sec. d.C.) che la zona conosce un’“esplosione” di testimonianze: in questa fase viene fondata una fattoria e realizzata una strada, che taglia tutta l’area del Viola Park da Sud-Ovest (lato Bagno a Ripoli) a Nord-Est (verso il Girone). Attorno a questa strada, poi, sorge una necropoli che verrà utilizzata fino al V sec. d.C. circa, alla quale col tempo si affiancherà un altro gruppo di tombe posto più a Sud, per un totale di ben 168 deposizioni, tra incinerati e inumati. Le attività sul campo si sono concluse con la protezione delle strutture rinvenute e il loro riseppellimento, per consentire la conclusione dei lavori del centro sportivo ed evitando danneggiamenti ai resti antichi.

Dado e pedina da gioco in osso, dalla tomba 65 della necropoli nord del Viola Park di Bagno a Ripolo Rinvenimenti di questi oggetti non sono rari nelle necropoli e negli abitati di quel periodo: i romani erano grandi appassionati di giochi d’azzardo (foto giroldini / sabap-fi)

Piccolo contenitore per oli profumati in vetro, dalla tomba 121 della necropoli nord del Viola Park a Bagno a Ripoli (foto giroldini / sabap-fi)
I reperti. I materiali recuperati, in corso di restauro nei laboratori della Soprintendenza, restituiscono uno spaccato della vita della comunità ripolese di duemila anni fa: accanto a lucerne – diffusissime nelle necropoli romane e spesso deposte in posizione rovescia per simboleggiare la fiamma della vita ormai spenta – si trovano oggetti d’uso personale, come specchi circolari e quadrangolari (questi ultimi paragonabili a moderni specchietti “da borsetta”), spilloni e aghi per capelli, pettini in osso; non mancano pedine e dadi, segno della passione per giochi molto diffusi tra i romani, oppure raffinati balsamari di vetro. In un caso sono stati rinvenuti orecchini d’oro, probabilmente dono per una fanciulla morta prima del tempo. Anche l’analisi dei resti ossei potrà fornire informazioni utili in merito agli usi funerari, all’età degli inumati, alla loro alimentazione e alla diffusione di patologie.

Lo scheletro di un giovane di epoca romana rinvenuto nella tomba 170 al Viola Park di Bagno a Ripoli. Prima di procedere con la rimozione, le ossa vanno disegnate e fotografate nella loro posizione originaria, per consentirne lo studio approfondito al termine dello scavo (foto giroldini / sabap-fi)

Lucerna di terracotta in corso di restauro presso il laboratorio della Soprintendenza di Firenze (foto giroldini / sabap-fi)
Nel frattempo era nata Florentia. Una presenza di popolazione così massiccia si spiega se si guarda a cosa stava accadendo, nello stesso periodo, poco più a ovest: poco dopo il 50 a.C. era stata fondata la colonia romana di Florentia, a cui era seguita la grande divisione in centurie di tutta la piana fiorentina. Questa operazione avrebbe consentito l’assegnazione di appezzamenti di terra a coloni o a veterani degli eserciti romani.
Toscana. Il 27 agosto dichiarato Giornata degli Etruschi che apre le “Celebrazioni etrusche”. Eventi in 20 Comuni. A Firenze mostra dei tesori inediti dell’antico santuario etrusco di Poggio Colla in Mugello. Convegno a Chiusi sulla collezione Paolozzi, nucleo del museo nazionale Etrusco di Chiusi

La bolla papale del 27 agosto 1569 con la quale Papa Pio V assegnava a Cosimo de Medici il titolo di Granduca di Toscana
Il 27 agosto 1569 Pio V concesse con bolla papale il titolo di Granduca di Toscana, “Magnus Dux Etruriae”, per Cosimo dei Medici, ossia “la legittimazione storica di quella che era stata la terra degli Etruschi e che possiamo considerare la Toscana moderna”, come ha proclamato il presidente del Consiglio regionale della Toscana, Eugenio Ciani, nell’annunciare che quest’anno, 2016, il 27 agosto viene istituita la Giornata degli Etruschi che apre le Celebrazioni Etrusche, iniziativa dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, per celebrare l’origine etrusca del territorio toscano, anche attraverso il sostegno a iniziative tematiche promosse dagli enti locali e da musei civici della Toscana, con un ricco programma che coinvolge venti Comuni (vedi http://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/COCCOINA/documenti/ETRUSCHI%20Le%20Celebrazioni%20nei%20Comuni(1).pdf). “Il giorno della bolla papale sarà il riconoscimento che ogni anno riserveremo ai nostri progenitori, gli Etruschi, un popolo che ha vissuto un vasto territorio italiano passando dal Lazio all’Umbria, traversando gli Appennini, nella Pianura Padana fino al Golfo di Napoli”, sottolinea Giani. “Un popolo che ha avuto un’influenza determinante e che per mille anni ha in qualche modo dominato prima di essere progressivamente assorbito dai romani. Finora abbiamo fatto meno di quanto dovremmo per valorizzare i nostri progenitori, coloro che mille anni prima di Cristo già indicavano la strada per estrarre i metalli e arrivare all’età del Ferro. Erano il popolo più evoluto in Italia e in generale in questa parte di Europa mediterranea. Cercheremo di fare molto di più con iniziative, manifestazioni, illustrazioni di scoperte che sono sempre più frequenti”.
Sabato 27 agosto 2016 è dunque dichiarata ufficialmente Giornata degli Etruschi. Articolato il programma. Alle 12, consegna della pergamena di riconoscimento alle città che, in periodi diversi ma in Toscana, hanno fatto parte della dodecapoli, ovvero della lega delle principali città Etrusche: tra queste, Arezzo, Volterra, Cortona, Chiusi, Fiesole, Vetulonia (Castiglione della Pescaia), Populonia (Piombino), Grosseto. Poi consegna di uno speciale riconoscimento ad Andrea Pessina della soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato (“Ha fatto tanto per la Toscana”, assicura Giani). Nel pomeriggio, alle 17, a palazzo Panciatichi, in via Cavour 2 a Firenze, sede del Consiglio regionale della Toscana, si inaugura la mostra “Scrittura e culto a Poggio Colla: un santuario etrusco nel Mugello” (27 agosto – 31 dicembre 2016) che per la prima volta mostra reperti inediti rinvenuti nel sito di Poggio Colla, presso Vicchio del Mugello in provincia di Firenze, dove ancora sono in corso gli scavi, reperti archeologici di inestimabile importanza non solo per la conoscenza del territorio, ma anche per lo studio della lingua etrusca. La mostra sul sito etrusco di Poggio Colla è promossa in collaborazione tra Consiglio regionale, soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato e il concessionario di ricerca e scavo, Mugello Valley Archeological Project (Mvap). Il progetto scientifico, elaborato da soprintendenza e MVAP, è seguito dal professor Gregory Warden della Franklin University Switzerland e dall’archeologo Susanna Sarti della soprintendenza. “Siamo consapevoli”, continua Giani, “che degli Etruschi conosciamo ancora molto poco. Ogni giorno arriva notizia di un nuovo rinvenimento, emerge una loro tavola che ci porta a conoscerne meglio la scrittura. È il caso del complesso di Vicchio, dove è stata recentemente scoperta una stele che qualcuno ha paragonato a quella di Rosetta. Non sappiamo se questo sia vero o meno ma sappiamo che i reperti di Poggio Colla sono importanti e per la prima volta pezzi inediti saranno in Consiglio regionale”.
La mostra mira a fare luce sul periodo più antico del santuario etrusco di Poggio Colla, dove – come ricorda Giani – di recente è stata scoperta una stele arcaica in arenaria con caratteri etruschi iscritti. Il ritrovamento è di grande rilevanza perché non solo permette “di comprendere la natura del sito etrusco nel VII-VI secolo a.C.”, come si legge nel progetto scientifico della mostra, “ma accresce la conoscenza della lingua e la scrittura etrusca. Il fatto che la stele fosse collocata nelle fondazioni del podio del monumentale tempio tuscanico costruito intorno al 490, 480 a.C. suggerisce che il santuario di Poggio Colla fosse importante già nella fase più antica, ipotesi confermata da altri preziosi ritrovamenti che vengono qui per la prima volta esposti al pubblico”. Della stele, ancora in fase di studio e restauro, è esposto un ologramma. Il manufatto, che contiene la più lunga iscrizione lapidea conosciuta sino a oggi, è eccezionale per la lunghezza dell’iscrizione, la sua antichità e il suo contesto, ma anche perché non è un oggetto di carattere funerario. Il testo fa infatti riferimento a divinità etrusche e in particolare ricorda il “luogo di Uni”, la più importante divinità femminile degli etruschi, paragonabile alla Giunone dei Romani o alla greca Era. La possibilità che il culto di Uni esistesse a Poggio Colla è testimoniata dal ritrovamento di un frammento di bucchero che, assicurano gli etruscologi, “ha restituito la più antica rappresentazione di parto conosciuta nell’arte europea”, verosimilmente un parto sacro. Altro materiale ritrovato testimonia la ricchezza di attività culturali e rituali tra il VII e il V sec. a.C. Così una raffinata produzione di bucchero decorato, vasi che possono essere associati al banchetto e che testimoniano la presenza di ricche élite già prima della costruzione del tempio monumentale. Sono esposte anche quattro figure in bronzo che sono parte di contesti rituali connessi sia con la fondazione che con la distruzione del tempio. Una figura arcaica mostra tracce di fuoco e abrasioni, probabilmente dovute ad azioni rituali: era parte, spiega il comitato scientifico, di una stipe che doveva contenere più di 400 oggetti e frammenti di bronzo. Una eccezionale testa arcaica in bronzo, probabilmente raffigurante una divinità, ha caratteri grecizzanti e indica la qualità delle importazioni nel santuario. Infine, una base di arenaria di forma piramidale, iscritta con il nome di chi, appartenente alla élite etrusca di Poggio Colla, l’aveva dedicata. Essa attesta, come la stele, l’importanza della parola scritta in una fase molto antica del santuario di Poggio Colla.
Da Firenze a Chiusi per un altro importante appuntamento nell’ambito del ricco programma delle Celebrazioni etrusche. Domenica 28 agosto 2016 al teatro Mascagni di Chiusi è in programma il convegno “Il patrimonio archeologico etrusco a Chiusi”, dedicato principalmente alla collezione Paolozzi, che costituisce un nucleo importante delle collezioni del museo nazionale Etrusco di Chiusi, e vuole essere propedeutico alla pubblicazione integrale della raccolta. Infatti, anche se la figura di Giovanni Paolozzi è stata già oggetto di diversi contributi e alcuni dei materiali della collezione sono stati ben studiati, manca ancora una ricerca di insieme che renda conto del valore quantitativo e qualitativo della raccolta e presenti al contempo, oltre alla famiglia Paolozzi, documenti e donazioni che l’hanno accompagnata, quali ad esempio il busto in marmo che raffigura il collezionista, opera, nel 1873, di Vincenzo Consani, ceduto nel 1907 al museo chiusino. Intenso il programma della Giornata che prevede anche laboratori didattici per i più piccoli al museo nazionale Etrusco di Chiusi e la visita guidata ai musei cittadini e alla necropoli di Poggio Renzo. La mattinata alle 10.30 apre con i saluti del presidente del Consiglio regionale della Toscana, Eugenio Giani, e del sindaco di Chiusi, Juri Bettolini. Seguono gli interventi di Giulio Paolucci (“Giovanni Paolozzi e il patrimonio Archeologico di Chiusi”), Maria Angela Turchetti (“I materiali della Collezione Paolozzi nel museo nazionale Etrusco di Chiusi), Mattia Bischeri (“I materiali della collezione Paolozzi di provenienza visentina”), Alessandra Minetti (“La Tomba della Pania”), Giuseppe Venturini (“Il Cinerario Paolozzi: note tecniche di restauro”). Nel pomeriggio dalle 15, visite guidate al museo civico “La Città Sotterranea”, al museo della Cattedrale – Labirinto di Porsenna, al museo nazionale Etrusco di Chiusi, alla Necropoli di Poggio Renzo. Grazie a questo convegno si pone all’attenzione del pubblico una delle collezioni archeologiche più importanti del territorio chiusino formatasi grazie alla famiglia Paolozzi e soprattutto grazie alle ricerche e acquisizioni di Giovanni Paolozzi che per lascito testamentario ha donato, nel 1907, la parte più cospicua della sua ingente raccolta all’allora museo civico, dal 1962 museo nazionale Etrusco di Chiusi. La collezione – ricorda la soprintendenza Archeologia della Toscana – annovera al suo interno reperti di eccezione quali il Cinerario Paolozzi, il Canopo di Dolciano, le sculture del monumento fatto costruire dalla gens Allia e il mosaico tardo-repubblicano di Monte Venere. L’acquisizione, nel 1876, della Collezione Terrosi permise a Giovanni Paolozzi di entrare in possesso, fra l’altro, del corredo della Tomba della Pania che rappresenta ad oggi il più completo esempio della sepoltura di un princeps chiusino della seconda metà del VII sec. a.C., nota per la pregevole pisside in avorio, (parzialmente riprodotta in locandina) appartenuta ad uno degli individui sepolti nell’ipogeo ed oggi conservata al museo Archeologico nazionale di Firenze.










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