Israele. Così gli assiri conquistarono la città di Lachish e la Giudea: gli archeologi dell’università di Gerusalemme e di Oakland hanno scoperto come fu realizzata la rampa d’assedio della città, micidiale macchina da guerra dell’esercito di Sennacherib. Ad oggi è l’unica nota del Vicino Oriente antico e la più antica del mondo: risale a 2700 anni fa


La rampa d’assedio realizzata a Lachish, in Giudea, con tre milioni di pietre (foto Yosef Garfinkel)
Alle truppe del re assiro Sennacherib bastavano poco più di tre settimane per innalzare la rampa d’assedio, una macchina da guerra micidiale usata nella conquista delle città del Levante meridionale che si erano ribellate nell’VIII sec. a.C. All’epoca gli assiri avevano un esercito potente e ben equipaggiato: nel 721 a.C. fu conquistato il Regno d’Israele. Venti anni dopo, l’esercito assiro attaccò il regno di Giuda, assediando la sua città più importante, Gerusalemme, e lanciando un assalto diretto alla sua seconda città più importante, Lachish. Lo stesso re Sennacherib andò a Lachish per sovrintendere alla sua distruzione, che iniziò con la costruzione di una rampa per raggiungere le mura della città sulla collina. Ed è proprio a Lachish che gli archeologi hanno scoperto la tecnica usata dagli assiri per costruire la rampa e il suo uso per conquistare la città di Lachish: ad oggi è l’unica nota del Vicino Oriente antico e la più antica del mondo. Fu realizzata 2700 anni fa. Le rovine di Lachis erano state infatti scavate fin dagli anni ’30 del secolo scorso e i resti della rampa d’assedio assira, sollevata nell’angolo sud-ovest del sito, erano già stati identificati negli anni ’70. Ma proprio i nuovi studi degli archeologi dell’università di Gerusalemme e dell’americana Oakland stanno facendo luce su una delle battaglie più documentate della storia antica, descritta nella Bibbia, nei testi assiri e persino in rilievi giunti fino a noi. I risultati sono stati pubblicati sull’Oxford Journal of Archaeology. Il team, guidato dal professor Yosef Garfinkel e dalla dott.ssa Madeleine Mumcuoglu dell’Istituto di archeologia dell’università ebraica di Gerusalemme (HU), e dai professori Jon W. Carroll e Michael Pytlik dell’università di Oakland, negli Stati Uniti, ha attinto a diverse fonti su questo evento storico per fornire un quadro completo. L’eccezionale quantità di dati include testi biblici (2 Re 18:9–19:37; 2 Cronache 32; Isaia 36–37), iconografia (rilievi in pietra raffiguranti scene di battaglia assira) e iscrizioni accadiche, scavi archeologici e fotografie di droni del XXI secolo.


Ceramiche scoperte nel sito archeologico di Lachish (foto C. Amit / IAA)
Gli assiri all’epoca erano una delle superpotenze del Vicino Oriente: controllavano un impero che si estendeva dall’Iran all’Egitto. Per conquistare Israele hanno utilizzato tecnologie militari che hanno permesso loro di vincere le battaglie e penetrare nelle città fortificate. E se oggi per prevalere ci si affida alla forza aerea e alle forze speciali, nel IX-VII secolo a.C., tutto ruotava attorno alla rampa d’assedio, una struttura elevata che trasportava rampe di attacco fino alle mura della città nemica e permetteva ai soldati assiri di aver la meglio sui loro nemici. Lachish era una fiorente città cananea nel II millennio a.C. ed era stata la seconda città più importante del regno di Giuda. Nel 701 a.C. Lachish fu attaccata dall’esercito assiro, guidato dal re Sennacherib. L’analisi di Garfinkel ha permesso di superare le diverse ipotesi avanzate giungendo a definire come fu costruita dagli assiri la massiccia rampa che permise loro di trasportare arieti fino alla cima della collina su cui sorgeva Lachish, violare le sue mura e invadere completamente la città. Garfinkel si è avvalso anche dell’analisi fotogrammetrica delle fotografie aeree e della creazione di una mappa digitale dettagliata del paesaggio, che ha prodotto un modello che tiene conto di tutte le informazioni disponibili su quella battaglia.


Un muro del X sec. a.C. portato in luce a Lachish (foto Emil Aladjem)
Secondo Garfinkel, la rampa era fatta di piccoli massi, di circa 6,5 kg ciascuno. Quindi per realizzarla sarebbero servite qualcosa come tre milioni di pietre. Impensabile che siano state raccolte nei campi attorno al sito, perché avrebbe richiesto troppo tempo rallentando la costruzione della rampa che invece doveva essere rapida. L’ideale sarebbe stata l’estrazione delle pietre all’estremità opposta della rampa: ed è proprio lì che gli archeologi hanno trovato una rupe che rivelava l’esistenza di un substrato roccioso. La costruzione della rampa, dalle evidenze archeologiche, sarebbe iniziata a una ottantina di metri di distanza dalle mura della città di Lachish, vicino a dove si potevano estrarre le pietre necessarie per la rampa. Le pietre sarebbero state trasportate con una catena umana, passate da uomo a uomo a mano. Secondo Garfinkel con quattro catene umane che lavorano in parallelo sulla rampa, ciascuna attiva 24 ore su 24, ogni giorno sarebbero state spostate circa 160mila pietre. “Il tempo era la principale preoccupazione dell’esercito assiro”, spiega Garfinkel. “Centinaia di operai lavoravano giorno e notte trasportando pietre, possibilmente in due turni di 12 ore ciascuno. La manodopera era probabilmente fornita dai prigionieri di guerra e dai lavori forzati della popolazione locale. Gli operai erano protetti da massicci scudi posti all’estremità settentrionale della rampa. Questi scudi venivano fatti avanzare verso la città di pochi metri ogni giorno”. Con questo sistema la rampa, un gigantesco cuneo triangolare, avrebbe potuto raggiungere le mura della città in 25 giorni. “Questo modello”, sottolinea Garfinkel, “presuppone che gli assiri fossero molto efficienti, altrimenti ci sarebbero voluti mesi per essere completato”.


Rampe d’assedio assiro sul rilievo di Lachish scoperto nel palazzo di Sennacherib. Si può notare la macchina d’assedio con le sue ruote su una strada pavimentata (disegno di Judith Dekel)
Man mano che gli operai completavano la rampa e si avvicinavano alle mura di Lachish, gli abitanti cercavano di difendere la loro città lanciando frecce e lanciando pietre sul nemico. Garfinkel suggerisce che gli operai usassero massicci scudi di vimini a forma di L, simili a quelli mostrati mentre proteggono i soldati sui rilievi assiri. Nella fase finale, le travi di legno sono state posate sopra le pietre, dove sarebbero stati posizionati in modo sicuro gli arieti all’interno delle loro massicce macchine d’assedio, del peso di una tonnellata. L’ariete, una grande e pesante trave di legno con una punta di metallo, colpiva le pareti facendolo oscillare avanti e indietro. Garfinkel suggerisce che l’ariete fosse sospeso all’interno della macchina d’assedio su catene metalliche, poiché le corde si sarebbero consumate rapidamente. In effetti, una catena di ferro è stata trovata in cima alla rampa a Lachish.
Roma. Alla fiera “Più libri più liberi” Forum Editrice presenta le ricerche del progetto Terre di Ninive dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno nell’incontro “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree a rischio del Vicino Oriente. Il parco archeologico della regione di Duhok nel Kurdistan iracheno” con Matthiae, Morandi Bonacossi e Orazi, e con il libro “The Archaeological Environmental Park of Sennacherib’s Irrigation Network”

La locandina di “Più libri, più liberi”, la fiera nazionale della piccola e media editoria alla Nuvola di Roma-Eur
Dal 4 all’8 dicembre 2019 torna a Roma, nell’avveniristica cornice della Nuvola dell’Eur, Più libri più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria. “E torniamo anche noi!”, ricordano a Forum, editrice universitaria udinese. “Ci trovate sempre agli stand B66-B68 con il coordinamento delle University Press Italiane, e venerdì 6 dicembre parleremo delle importanti ricerche del progetto della nostra Università Terre di Ninive”. E sarà presentato il libro di Roberto Orazi “The Archaeological Environmental Park of Sennacherib’s Irrigation Network” (Forum Editrice). La fiera Più libri più liberi si conferma come l’evento culturale più importante della Capitale – ormai sempre più riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale – dedicato esclusivamente agli editori indipendenti italiani. Quest’anno oltre 520 espositori, provenienti da tutto il Paese, presentano al pubblico le novità e il proprio catalogo. Cinque giorni e più di 670 appuntamenti in cui ascoltare autori, assistere a letture, dibattiti, performance musicali e incontrare gli operatori professionali.

Tell Gomel, nel Kurdistan iracheno, il sito dell’antica Gaugamela, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III nel 331 a.C. e completò la conquista dell’impero persiano (foto LoNAP)

La distribuzione dei siti archeologici rilevati dal progetto “Terra di Ninive” dell’università di Udine (foto LoNAP)
Il “Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive” è un’ampia ricerca interdisciplinare condotta dalla “Missione Archeologica Italiana in Assiria” (MAIA) dell’Università degli Studi di Udine. Il progetto mira a studiare il paesaggio archeologico della regione di Dohuk (Kurdistan Iracheno) e a documentare, tutelare e valorizzare lo straordinario patrimonio archeologico di questa regione posta nell’entroterra dell’antica capitale dell’impero assiro, Ninive (odierna Mosul). Attraverso la ricognizione archeologica di superficie di una regione di 3.000 kmq di estensione e lo scavo del sito di Tell Gomel (il sito dell’antica Gaugamela, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III nel 331 a.C. e completò la conquista dell’impero persiano: vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/04/17/svelato-giallo-archeologico-in-kurdistan-iracheno-la-missione-delluniversita-di-udine-ha-scoperto-il-luogo-della-battaglia-di-gaugamela-330-a-c-dove-alessandro-magno-sconfisse-il-re-persi/), il progetto mira a ricostruire la formazione ed evoluzione del paesaggio culturale e naturale di una regione cruciale dell’antica Mesopotamia fra preistoria ed età islamica. Questa regione, mai esplorata da alcuna missione archeologica moderna, fu uno dei principali teatri della “rivoluzione agricola”, che diede origine alla moderna economia produttiva e fu il centro politico e geografico dell’Assiria, il primo impero globale della storia. Il suo studio ha ricadute non solo in ambito strettamente vicino orientale, ma è anche di assoluto rilievo per l’indagine dei grandi processi culturali che hanno caratterizzato il progresso delle società umane a partire dalle piccole comunità di cacciatori e raccoglitori preistorici fino alla formazione dei grandi centri urbani, degli stati territoriali e degli imperi nelle età del Bronzo e del Ferro.
Il secondo obbiettivo di MAIA consiste nella documentazione, conservazione e gestione degli straordinari monumenti archeologici presenti nella regione di Dohuk. Attraverso la stretta cooperazione con le autorità locali (Direzione Generale delle Antichità del Kurdistan, Direzione delle Antichità di Dohuk, Governatorato di Dohuk), la Task Force Iraq del Ministero degli Affari Esteri, l’UNESCO e il World Monuments Fund di New York, il progetto contribuisce in maniera determinante alla tutela e promozione dello straordinario patrimonio culturale della regione. L’imponente sistema irriguo costruito fra VIII e VII sec. a.C. dal re assiro Sennacherib, con i suoi monumentali rilievi rupestri, canali e i primi acquedotti in pietra della storia è stato documentato in maniera digitale e tridimensionale ed è in corso di valorizzazione. Con la Direzione delle Antichità di Dohuk sarà progettato l’inserimento del vasto complesso archeologico nella “World Heritage Tentative List” dell’UNESCO.

Il ritratto di Sennacherib in un rilievo rupestre assiro di Khinis nel Kurdistan iracheno (foto LoNAP)
Appuntamento venerdì 6 dicembre 2019, alle 16.30, in sala Marte, con l’incontro promosso da Forum Editrice “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree a rischio del Vicino Oriente. Il parco archeologico della regione di Duhok nel Kurdistan iracheno” al quale intervengono Paolo Matthiae, decano degli archeologi assiriologi; Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine, direttore del progetto Terre di Ninive; e Roberto Orazi del Cnr, coordinatore del gruppo dell’Ispc-Unid. Luogo cruciale per la storia nel nord dell’antica Mesopotamia, per molto tempo inesplorato a causa della complessa situazione politica, il Kurdistan Iracheno è al centro delle ricerche del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive. In particolare gli studi sulla documentazione, tutela e valorizzazione dello straordinario patrimonio archeologico della regione di Dohuk costituito da enormi canali d’irrigazione, rilievi rupestri e dai primi acquedotti in pietra della storia sono raccolti in un dossier che propone l’inserimento di questo sofisticato sistema nella World Heritage Tentative List dell’UNESCO. Il progetto di valorizzazione del sito è nato dalla collaborazione tra l’università di Udine e l’istituto di scienze del patrimonio culturale-Ispc (Itabc) nell’ambito del progetto “Land of Nineveh Training Project for the Enhancement of the Cultural Heritage of the Kurdistan Region of Iraq” diretto dal prof. Daniele Morandi Bonacossi e affidato all’università di Udine dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics).

Il libro di Roberto Orazi The Archaeological Park of Sennacherib’s Irrigation Network. Recording, Conservation and Management of the Cultural Heritage of the Northern Region of Iraqi Kurdistan” (Forum Editrice)

Un tratto dell’acquedotto di Sennacherib a Jerwan scoperto dalla missione archeologica dell’università di Udine nel progetto “Terre di Ninive” (foto LoNAP)
I risultati raggiunti dal gruppo di lavoro dell’Ispc-Unid, sotto il coordinamento dell’arch. Roberto Orazi, sono confluiti nel volume “The Archaeological Park of Sennacherib’s Irrigation Network. Recording, Conservation and Management of the Cultural Heritage of the Northern Region of Iraqi Kurdistan” di Roberto Orazi (Forum Editrice, Udine 2019, pp. 268, 80 euro), primo volume della collana Italian Archaeological Mission to the Kurdistan Region of Iraq (IAMKRI). Roberto Orazi si è occupato dello studio e del riuso del patrimonio architettonico con attività nel campo della ricerca, dell’insegnamento e del restauro sia in Italia che all’estero (Iran, Oman, Perù, Siria, Iraq). È autore di oltre sessanta pubblicazioni e monografie, tra cui Project to Restore the Monumental Complex of Khor-Rori (1997) e The Pavilion of the Forty Columns. Studies and Conservation at Isfahan (in stampa). Il sistema di canalizzazioni costruito dal sovrano assiro Sennacherib per portare acqua a Ninive e alla campagna circostante intorno al 700 a.C. costituisce forse il più rappresentativo esempio di patrimonio culturale monumentale del Kurdistan Iracheno. Canali, imponenti acquedotti in pietra, bassorilievi rupestri e iscrizioni commemorative sono sparsi su un territorio di tremila chilometri quadrati nella regione di Duhok, ma appartengono tutti alla stessa imponente impresa. Il volume, in inglese, è interamente dedicato alla documentazione, conservazione e valorizzazione del sistema irriguo di Sennacherib e alla redazione della proposta per l’inserimento del complesso nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Svelato giallo archeologico. In Kurdistan iracheno la missione dell’università di Udine ha scoperto il luogo della battaglia di Gaugamela (330 a.C.) dove Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III. Evento cruciale che fece nascere l’Ellenismo. Col progetto “Terre di Ninive” in sette anni mappati 1100 siti archeologici

Il prof. Daniele Morandi Bonacossi sul campo presso il sito neo-assiro di Chamarash, sulla sponda orientale del lago artificiale di Eski Mosul
È una delle battaglie che hanno segnato la storia: Gaugamela, 331 a.C. In una piana della Mesopotamia settentrionale, le truppe guidate da Alessandro Magno sconfiggono l’esercito persiano del re dei re Dario III, aprendo le porte dell’Oriente ai macedoni dalla Mezzaluna fertile all’altopiano iranico fino alla valle dell’Indo. Fu un evento cruciale: un mondo finiva e iniziava una nuova era, l’Ellenismo, fecondissimo momento di incontro culturale tra Oriente e Occidente. Ma a quasi 23 secoli dall’evento il luogo della battaglia è ancora in discussione, con gli storici e gli archeologi dubbiosi sull’interpretazione dei dati disponibili. Un giallo archeologico che ora è stato svelato dalle ricerche multidisciplinari della missione archeologica nel Kurdistan iracheno dell’università di Udine, guidata dal professore Daniele Morandi Bonacossi, dove è presente dal 2012 con il progetto “Land of Nineveh / Terre di Ninive”. La spedizione, sostenuta da ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale; Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo; ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca; Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Fondazione Friuli, ha portato gli archeologi a una scoperta straordinaria: l’identificazione del sito di Gaugamela con l’attuale Tell Gomel, nei pressi dell’odierna Mosul – l’antica Ninive – nel Kurdistan iracheno. L’annuncio a Roma in un’affollatissima conferenza stampa, cui sono intervenuti Andrea Zannini, direttore del dipartimento di Studi umanistici e del Patrimonio culturale dell’università di Udine; Ettore Janulardo , ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale; Ahmad A.H. Bamarni, ambasciatore della Repubblica dell’Iraq in Italia; Alessia Rosolen, assessore Istruzione, Ricerca, Università della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Daniele Morandi Bonacossi , direttore del “Land of Nineveh Archaeological Project” e ordinario di Archeologia del Vicino Oriente antico all’università di Udine.

Progetto “Terre di Ninive” in Kurdistan iracheno: mappatura dei 1100 siti individuati dalla missione dell’università di Udine
La spedizione archeologica dell’università di Udine, che coinvolge ogni anno circa 25 specialisti (archeologi, topografi, restauratori, archeobotanici, palinologi, esperti GIS,…) e diversi studenti, indaga la trasformazione del territorio dal Paleolitico al periodo islamico (da un milione di anni fa ad oggi) grazie ad una concessione di ricerca che copre un’area di 3mila kmq, una delle più ampie mai rilasciate in Iraq, che ha consentito al team di scoprire e mappare ben 1100 siti archeologici. Grazie alle riprese con droni, a ortofoto, allo studio della ceramica e agli scavi stratigrafici, è stata ricostruita la storia dell’insediamento e della demografia della regione, che risulta essere una delle zone della Mesopotamia con la più alta densità di siti archeologici (0,7 per chilometro quadrato). E il team del prof. Morandi ha ricevuto l’apprezzamento dell’ambasciatore della Repubblica dell’Iraq Ahmed Bamarni che ha commentato: “La squadra del prof. Daniele Morandi Bonacossi sta svolgendo un considerevole lavoro nella Regione del Kurdistan, e apprezziamo il loro impegno nel recupero del patrimonio culturale iracheno, come la recente identificazione del sito originale della Battaglia di Gaugamela, che vide la vittoria di Alessandro Magno sull’esercito persiano di Dario, evento che rappresenta uno dei momenti storici più significativi della storia regionale e mondiale”. E allora vediamo meglio questa eccezionale scoperta archeologica.
Cosa successe nella piana di Gaugamela nel 331 a.C.? Il re achemenide Dario III era già stato sconfitto da Alessandro Magno due anni prima, nel 333 a.C., a Isso, città costiera nell’Anatolia meridionale, al confine tra la Cilicia e la Siria, con la cattura della moglie, della madre e delle due figlie del re persiano che si era ritirato a Babilonia, per riorganizzare l’esercito. Di quella battaglia ci è rimasta una rappresentazione memorabile nel mosaico scoperto a Pompei nella Casa del Fauno, oggi conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli. La vittoria di Isso aveva dato ad Alessandro il controllo dell’Asia Minore meridionale, e da lì aveva occupato la costa mediterranea dalla Fenicia fino all’Egitto, dove si era fatto consacrare faraone. E arriviamo all’autunno del 331 a.C. Le fonti disponibili sulla battaglia di Gaugamela non sono molte (Arriano con l’Anabasi di Alessandro; Quinto Curzio Rufo con Storie di Alessandro Magno; Diodoro Siculo con Biblioteca storica; Plutarco con Vita di Alessandro), e tutte di storici vissuti molti secoli dopo la spedizione di Alessandro in Asia. Non è quindi facile fare una ricostruzione fedele degli eventi, del numero di soldati e delle perdite della battaglia, ma almeno sul nome del luogo della battaglia sembrano concordare tutti: Gaugamela, nella Mesopotamia settentrionale.
Alessandro guada l’Eufrate senza trovare resistenza ed entra in Mesopotamia. Ma non punta direttamente su Babilonia. Sceglie la strada verso Nord che, una volta superate le colline, portava comunque alla città dove si era acquartierato Dario III. Ciò gli avrebbe reso più facile procurarsi foraggio e provviste, e non avrebbe fatto soffrire alle truppe il caldo estremo del percorso diretto. Alessandro passa anche il Tigri e si verifica un’eclisse lunare, ritenuto un presagio favorevole. E così decide di attaccare i persiani con la sua cavalleria. Alla vista del re macedone la cavalleria persiana fugge. I prigionieri riferiscono che Dario III non è lontano: è accampato a Gaugamela. Lo scontro è epocale. Alessandro riesce ad annullare il divario di forze in campo e a imporsi. Dario III riesce a fuggire ad Arbela (l’odierna Arbil), a un centinaio di chilometri a Est, convinto di poter ancora organizzare una resistenza che ormai appariva disperata anche agli occhi dei suoi più fedeli generali.
La scoperta del sito di Gaugamela. Le fonti – come si diceva – non concordano sul luogo della battaglia. Ma, grazie a un mix di storia antica e nuove tecnologie, filologia e GIS, remote sensing e lavoro sul campo, il team diretto dal prof. Morandi Bonacossi ha raccolto evidenze scientifiche sufficienti per individuare il luogo in cui il condottiero macedone trionfa sull’armata persiana. “La prova regina è lo studio filologico del toponimo del sito di Tell Gomel, che stiamo scavando”, spiega Morandi Bonacossi. È un percorso a ritroso che ci porta dai giorni nostri all’impero assiro. “Proprio sull’acquedotto di Jeruan, monumentale sistema d’irrigazione costruito dal re assiro Sennacherib nel 700 a.C. per portare l’acqua a Ninive e irrigare la pianura circostante”, continua il direttore della missione friulana, “troviamo in un’iscrizione cuneiforme celebrativa dell’epoca del re assiro Sennacherib (704-681 a.C.) che ricorda il sito di epoca assira Gammagara/Gamgamara. Da questo toponimo assiro deriva la dizione greca: da Gamgamara in greco la m diventa u e la r una l che ci dà Gaugamela. Il toponimo si mantiene nei secoli. Così lo troviamo trascritto in epoca medievale (IX sec. d.C.) con una storpiatura dal greco che dà Gogemal, toponimo che a sua volta subisce una corruzione in Gomel che è il nome del sito che stiamo scavando”.

Il rilievo del cavaliere rifacimento di età ellenistica di un precedente monumento assiro del complesso di Khinnis (Kurdistan iracheno) per celebrare la vittoria nella vicina Gaugamela
E poi ci sono i riscontri archeologici. “A ulteriore conferma, le nostre ricerche archeologiche hanno dimostrato che il sito di Gomel, dove si stanno concentrando le nostre ricerche, era solo un piccolissimo villaggio rurale poco prima dell’arrivo di Alessandro in Oriente, ma fu rifondato proprio alla fine del IV secolo a.C., quindi contemporaneamente alla battaglia, e da quel momento si sviluppò come un sito esteso e importante”. Ma non è tutto. Nelle vallate montuose circostanti, sono stati trovati alcuni monumenti rupestri con rilievi che potrebbero essere riconducibili alla presenza di Alessandro Magno. Due di questi potrebbero rappresentare proprio il condottiero a cavallo ed essere considerati monumenti celebrativi della vittoria di Gaugamela. Un rilievo si trova in una valletta della montagna che domina il sito di Gomel, nel complesso rupestre di Gali Zerdak, rilievo conosciuto, ma fortemente compromesso dal tempo e da recenti asportazioni vandaliche: si riesce a vedere una Nike alata che porge una corona a un cavaliere – che potrebbe essere Alessandro – proprio per la vicinanza all’iconografia che troviamo in pitture ellenistiche e tombe macedoni come a Kasta-Anfipoli. La rappresentazione di Gali Zerdak suggerisce agli archeologi friulani che questa potrebbe essere la montagna che, secondo le fonti, dopo la battaglia fu ribattezzata monte Nikatorion, “il monte della vittoria”. L’altro rilievo è ubicato a 20 chilometri di distanza dalla piana individuata come il campo della battaglia di Gaugamela: è il sito di Khinnis, noto dalla metà dell’Ottocento e leggibile ancora all’inizio del ‘900, danneggiato ancor prima dell’arrivo dell’Isis nella regione, più di recente studiato da Julian Reade, dove i re assiri avevano scolpito i loro volti. “Ma in periodo ellenistico”, riprende Morandi Bonacossi, “si interviene su questo rilievo celebrativo, un modo per dare continuità alla simbologia del monumento onorando il generale macedone: si cancella l’antica iscrizione in cuneiforme per aggiungere un cavaliere con la sarissa, la tipica picca macedone, molto simile a quella che vediamo impugnare ad Alessandro nel mosaico di Pompei”. C’è poi un terzo monumento, trovato nel raggio di pochi chilometri da Gomel: il rilievo di Nirok. “L’abbiamo scoperto nell’ambito del progetto Terre di Ninive, e riteniamo sia importantissimo per l’iconografia che rappresenta tre stelle o tre soli. È molto mal conservato, in gran parte distrutto in anni recenti, ma si riconosce il sole argeade o sole di Verghina, simbolo della dinastia macedone”.
Iraq. I miliziani hanno distrutto le porte dell’antica Ninive. L’allarme del prof. Brusasco era fondato. Le prime immagini della devastazione sulla pagina Fb di Archeologia Viva

Una delle immagini pubblicate sulla pagina Fb di Archeologia Viva: un cumulo di macerie al posto della porta di Nergal
Mancavano le prove. Ora ci sono anche quelle: le porte monumentali dell’antica Ninive sono state distrutte dai miliziani dello Stato islamico. L’allarme lanciato attraverso la pagina Facebook della rivista Archeologia Viva (Giunti Editore) dal prof. Paolo Brusasco, archeologo orientalista dell’università di Genova, sulle notizie (da fonti sicure) della distruzione delle mura di Ninive, il sito archeologico dove oggi sorge la città di Mosul, nel Kurdistan iracheno, è stato confermato (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/04/13/iraq-le-mura-di-ninive-sotto-attacco-dellisis-lallarme-in-un-post-del-prof-brusasco-archeologo-orientalista-sulla-pagina-fb-di-archeologia-viva-i-miliziani-ne/). Ora ci sono le immagini, drammatiche. E ancora una volta è la pagina Facebook di Archeologia Viva a pubblicare le prime foto delle devastazioni compiute nel celebre sito archeologico iracheno. I miliziani dell’Isis hanno inferto pesanti distruzioni alle porte di Mashki e di Nergal a Ninive, la capitale neoassira di Sennacherib e Assurbanipal. In queste immagini si vedono i resti della Porta di Nergal con in lontananza un bulldozer. Anche di quella di Mashki non sembra rimanere più nulla come si evince dalle rovine in secondo piano dietro il cartello che indica la porta stessa. Fonti locali, riferisce il post di Archeologia Viva, sostengono che lo Stato Islamico starebbe spianando anche dei tratti delle poderose fortificazioni.
Secondo il prof. Brusasco, “queste distruzioni intenzionali, che non sono nemmeno “giustificate” dal pretesto dell’attacco ai “falsi idoli” visto che le porte in questione (a parte quella di Nergal) non avevano tori alati androcefali, indicherebbero un’azione propagandistica dello Stato Islamico volta a riaffermare il suo potere in un momento di particolare debolezza politico-militare: sarebbe imminente l’offensiva delle forze alleate irachene per riprendere Mosul, la città moderna dove si trova l’antica Ninive”.
Iraq. “Le mura di Ninive sotto attacco dell’Isis”: l’allarme in un post del prof. Brusasco, archeologo orientalista, sulla pagina Fb di Archeologia Viva. I miliziani nel 2015 avevano già distrutto una parte delle mura millenarie della capitale assira
“I miliziani dello Stato Islamico sono tornati ad attaccare le mura e le porte monumentali di Ninive”. A lanciare l’allarme, attraverso la pagina Facebook della rivista “Archeologia Viva” (Giunti editore) diretta da Piero Pruneti, il professore Paolo Brusasco dell’Università di Genova, archeologo orientalista, attualmente direttore di un progetto di indagine e scavo nel Kurdistan iracheno, cioè proprio nella regione di Ninive, una delle più famose città antiche, sulla riva sinistra del Tigri a Nord della Mesopotamia, capitale del regno assiro sotto il re Sennacherib (704 – 681 a.C.), che l’ampliò e abbellì. Con Assurbanipal (668 – 626 a.C.) raggiunse l’apice del suo splendore, quando le mura si estendevano per 12 chilometri su un territorio di 750 ettari.

Il prof. Brusasco, archeologo orientalista, ha lanciato l’allarme: l’Isis sta attaccando le mura di Ninive
“Notizie da fonti locali attendibili ci hanno comunicato (ancora non sono pervenute immagini) lo spianamento con bulldozer da parte dell’Isis della celebre porta urbica di Mashki a Ninive”, si legge nel post. Anche se ricostruita in crudo negli anni di Saddam Hussein e quindi nel 2009, il monumento è di straordinaria importanza storica: si tratta della “Porta dell’abbeveraggio” citata nelle fonti del sovrano neoassiro Sennacherib, utilizzata per condurre le mandrie ad abbeverarsi nelle acque del fiume Tigri. Si trova sul lato occidentale delle fortificazioni di Ninive. “Si teme anche per l’integrità di queste spettacolari opere di difesa in crudo (12 chilometri di perimetro, larghe sino a 45 metri, alte oltre 10, rivestite in pietra e protette da torri merlate)”, spiega sempre il post, che cingevano la capitale di 750 ettari, la città che la Bibbia descrive come “larga tre giornate di cammino” (Libro di Giona 3,3).

Nel gennaio 2015 i miliziani hanno distrutto una porta monumentale delle mura di Ninive, distruzione documentata da un video
In antichità, quindici porte turrite, che portavano i nomi dei principali dèi del pantheon mesopotamico, si innalzavano per oltre 23 metri sul livello di campagna. Quella di Nergal (sul lato nord delle mura), protetta da tori alati androcefali, è stata distrutta dall’Is il 29 gennaio 2015, come confermato da un video del 26 febbraio 2015. Nello stesso mese i miliziani dello Stato Islamico assaltano il museo di Mossul e ne distruggono i reperti (vari dei quali copie in gesso) richiamandosi all’idolatria condannata dall’Islam, accanendosi anche su alcune statue monumentali degli scavi, ma avendo cura di vendere sul mercato clandestino delle opere d’arte vari reperti trafugati dai musei e dai siti archeologici caduti in loro possesso.
La furia dell’Is sulle antiche città dell’Iraq: dopo Mosul (Ninive) e Nimrud, bulldozer sulla persiana Hatra e l’assira Khorsabad: la denuncia non confermata da immagini

Secondo la tv curda i jihadisti avrebbero fatto scempio della città di Hatra, fondata dai Seleucidi nel III sec. a.C. e poi parte dell’impero dei Parti
Lo aveva detto, lo aveva soprattutto temuto: “Hatra sarà sicuramente la prossima”. Abdulamir Hamdani, archeologo iracheno dalla Stony Brook University, purtroppo aveva visto giusto. La distruzione dei tesori archeologici dell’Iraq continua. Dopo Nimrud e Mosul (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=nimrud), i bulldozer dell’Isis si sono impietosamente abbattuti sul suggestivo sito archeologico di Hatra (antica città a 100 chilometri a Sud di Mosul), importante centro culturale ed economico dell’impero persiano. E fonti curde denunciano anche la distruzione dell’altra capitale assira, Khorsabad. Tra i resti della città di Hatra sopravvissuti fino all’avvento di questo barbaro e crudele califfato, maestosi templi costruiti con tecnica romana e altri con schema architettonico di tradizione mesopotamica, babilonese e assira. A differenza della distruzione delle statue del museo di Mosul, al momento non sono giunte immagini di questo ennesimo scempio del passato ma, da fonti certe, pare che gli jihadisti, prima di cominciare a picconare i resti di Hatra, abbiano asportato le monete d’oro e d’argento custodite nel museo locale. Lo ha denunciato la tv curda Rudaw, citando un portavoce del Partito democratico curdo, Saeed Mumuzini. “Gli jihadisti hanno rubato le monete d’oro e d’argento usate dai re assiri che erano custodite nella città”, ha riferito Mamuzini. I miliziani avrebbero usato le ruspe per abbattere le vestigia dell’antica città – sorta oltre 2mila anni fa – che fu anche un importante baluardo dei Parti, il popolo nomade di origine persiana che combatté contro i romani. La notizia è stata confermata dal ministro del turismo.
Hatra venne fondata dalla dinastia dei Seleucidi nel III sec. a.C. Fiorì durante il I e II secolo a.C. come centro commerciale e religioso dell’impero dei Parti. In seguito la città divenne capitale del primo regno arabo nella catena di città che andavano da Hatra, a nord-est, attraverso Palmira, Baalbeck e Petra, a sud-ovest. La regione controllata da Hatra fu il regno di Araba, un regno semi-autonomo ai confini occidentali dell’impero partico, governato da principi arabi. Hatra guadagnò fama per la sua fusione di pantheon greci, sumeri, assiri, siriani ed arabi, noti in aramaico come Beiṯ Ĕlāhā (“Casa di Dio”). La città conserva (o conservava?) templi dedicati a Nergal (mitologia sumera e accadica), Ermes (mitologia greca), Atargatis (siro-arameo), Allat e Shamiyyah (arabo) e Samas (il dio sole sumero). Il fascino e il buono stato di conservazione della città antica di Hatra fu scelta nel 1973 come location per le prime scene del film “L’esorcista” che, nella sceneggiatura, prevedeva l’ambientazione a Ninive.
Ma lo scempio non conosce sosta. Non si sono ancora spenti gli echi dello sdegno internazionale, che già la lista degli sfregi dell’Isis deve essere già aggiornato. “Dopo Nimrud e Hatra, gli uomini dell’Isis hanno distrutto e saccheggiato l’antica città assira di Dur Sarrukin, l’odierna Khorsabad, fondata nel 717 a.C.”. A lanciare l’allarme è stato il ministro delle Antichità e del Turismo iracheno Adel Shirshab precisando che le autorità stanno verificando le notizie che provengono dal nord del Paese, in base alle quali i miliziani avrebbero già distrutto diverse statue e danneggiato seriamente la città che fu fondata dal re Sargon II. “Il mondo deve fermare le atrocità che i miliziani stanno compiendo altrimenti i gruppi terroristi andranno avanti”, ha allertato Shirshab. Si tratterebbe del terzo sito archeologico distrutto. Ban Ki-moon, il segretario generale dell’Onu, è indignato per la distruzione del patrimonio culturale e fa un appello alla comunità per agire immediatamente e fermare gli atti vandalici dei terroristi islamici.
Khorsabad (il cui nome significa “Fortezza di Sargon”) fu edificata in sette anni, ma mai completata. Dopo la morte del suo ideatore, nel 705, ad appena un anno di distanza dall’inaugurazione, la città venne abbandonata dal suo successore Sennacherib, che portò la capitale di nuovo a Ninive. Tuttavia nella sua incompletezza Khorsabad mostra chiaramente le concezioni urbanistiche dei suoi costruttori: regolarità, simmetria e viabilità. La città presenta infatti una pianta quadrata. Tre delle sette porte dello spesso muro di cinta, presentano una decorazione monumentale, mentre le altre sono più semplici. L’edificio più prestigioso era il palazzo del re Sargon II, di più di 200 stanze ordinate intorno a numerose corti interne. Al suo interno si accedeva per una monumentale porta ai cui stipiti erano scolpiti due giganteschi lamassu, mostri alati in forma di toro con testa umana, cioè androcefali. Il palazzo era suddiviso in tre zone principali: l’area templare, il quartiere amministrativo e di immagazzinamento e l’area palatina. Al suo interno erano presenti numerose sculture e rilievi che correvano lungo le pareti.
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