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Turchia. La missione archeologica dell’università di Pisa a Doliche ha scoperto l’archivio dell’antica città fondata dai Seleucidi, successori di Alessandro Magno, e distrutta dal re persiano Shapur I. Ritrovate più di 2000 impronte in terracotta (bullae) usate per sigillare i documenti in papiro e pergamena, pubblici e privati

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Doliche (Turchia): l’area di scavo della missione archeologica dell’università di Pisa. Scoperto l’archivio della città seleucide (foto unipi)

“Dagli scavi dell’antica città di Doliche, situata nel sud-est dell’odierna Turchia, emergono i resti di un edificio che, grazie alle numerose impronte di sigillo in terracotta ritrovate dagli archeologi, è stato possibile identificare come l’antico archivio cittadino, il luogo in cui venivano conservati i documenti in papiro e pergamena. Sono questi i primi risultati della missione archeologica che l’università di Pisa ha intrapreso la scorsa estate in collaborazione con l’università di Münster a Doliche, città nota nell’antichità come uno dei centri urbani più importanti dell’antica Siria del Nord. Fondata sotto i successori di Alessandro Magno (i Seleucidi), era stata chiamata come molte altre fondazioni di quella zona col nome della città greca da cui i coloni provenivano: Doliche in Tessaglia, vicino al Monte Olimpo”. Ne dà notizia il magazine Unipinews con un articolo pubblicato il 31 gennaio 2024.

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Doliche (Turchia): migliaia di bullae scoperte dalla missione archeologica dell’università di Pisa nell’archivio della città antica (foto unipi)

“Il sito dell’antica Doliche è stato oggetto di indagini tedesche già dagli anni ’70 del secolo scorso”, spiega Margherita Facella, professoressa di Storia greca all’università di Pisa e direttrice della missione pisana. “Dal 2015 un team internazionale sotto la guida del professor Engelbert Winter ha condotto prospezioni e scavi, portando alla luce i resti di alcuni edifici pubblici, tra cui delle terme romane. Accanto a queste terme, erano stati identificate le tracce di un’altra costruzione, ora parzialmente scavata dai nostri archeologi. Si tratta di un archivio cittadino, come rivelano le numerose impronte di sigillo in terracotta qui trovate: più di 2000 impronte (cosiddette bullae) sono state recuperate nell’area e sottoposte, laddove possibile, a pulizia e restauro. Le impronte di sigillo indicano chiaramente che qui venivano conservati documenti scritti su papiro e pergamena, andati poi distrutti a causa di un incendio”.

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Michael Blömer, professore dell’università di Munster e visiting professor dell’università di Pisa nel 2023, e Margherita Facella, professoressa di Storia greca all’università di Pisa, co-direttori della missione archeologica dell’università di Pisa a Doliche, in Turchia (foto unipi)

Gli antichi documenti venivano sigillati con cordicelle attorno alle quali erano posti grumi di argilla di piccole dimensioni (0,5-2 cm), spesso frammentate e difficili da riconoscere a occhio nudo. Su questa argilla venivano impressi anelli, decorati o iscritti, così da poter sigillare i documenti e impedirne l’apertura. Solo nel caso in cui un archivio sia stato distrutto da un grave incendio, le impronte dei sigilli si possono conservare, in quanto cotte e dunque indurite, mentre i documenti periscono nel fuoco: “Le poleis dell’Oriente ellenistico e romano dovevano certamente possedere archivi per la conservazione di documenti di carattere amministrativo e legale – aggiunge la professoressa Facella –. La loro sopravvivenza, tuttavia, è un evento assai raro, possibile solo in caso di incendio e successivo abbandono dell’edificio. Infatti, se da una parte il fuoco causa la distruzione dei documenti, dall’altra consente la cottura dell’argilla cruda su cui i sigilli sono impressi, garantendone così la sopravvivenza. Nel 253 d.C., il re persiano Shapur I distrusse numerose città nella provincia romana della Siria, inclusa Doliche, come conseguenza di una sanguinosa guerra tra l’Impero Romano e quello dei Sasanidi”.

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Doliche (Turchia): due bullae scoperte dalla missione archeologica dell’università di Pisa: a sinistra, Giove Dolicheno stringe la mano ad imperatore romano; a destra, Tyche seduta (foto unipi)

Uno studio preliminare di questi materiali rivela che si tratta sia di sigilli privati come di sigilli ufficiali della città. “Le immagini sui sigilli ufficiali della città sono direttamente collegate alla città. Di solito mostrano le divinità più importanti come Giove Dolicheno, il dio principale della città”, spiega Michael Blömer, professore dell’università di Munster e visiting professor dell’università di Pisa nel 2023, che ha co-diretto gli scavi. “Le impronte dei sigilli privati più piccoli mostrano una vasta gamma di immagini e simboli che dicono molto sul patrimonio culturale e religioso degli abitanti di Doliche. Figure mitiche e rari ritratti privati indicano una forte influenza greco-romana su questa regione a metà fra Oriente e Occidente”. Lo studio di queste impressioni è quindi del tutto essenziale per ricostruire non solo la realtà amministrativa di una città, ma anche il suo tessuto culturale e religioso.

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Missione archeologica dell’università di Pisa: l’area dello scavo nell’antica città di Doliche in Turchia (foto unipi)

“Siamo felici dei risultati di questa prima campagna e siamo grati al rettore Riccardo Zucchi e al professor Federico Cantini, delegato per la promozione della ricerca nel settore delle scienze sociali e umanistiche, per il sostegno economico e a tutto il personale amministrativo che ci ha affiancato in questo lavoro”, conclude la professoressa Facella. “A nostro avviso è anche importante che il progetto interessi una zona recentemente colpita da un devastante terremoto, in cui l’investimento di risorse è di sicuro aiuto per la popolazione, che ha trovato nelle strutture della missione archeologica un rifugio e da parte del gruppo di ricerca un aiuto concreto. La valorizzazione del patrimonio archeologico a fini turistici sarebbe poi indubbiamente un apporto significativo alla ripresa di questa regione, che vive molto di turismo interno ed esterno”.

Archeologia ferita. “Leoni e tori dall’Antica Persia ad Aquileia”: in mostra all’Archeologico capolavori achemenidi e sasanidi da Persepoli e dal museo di Teheran per la prima volta concessi dall’Iran

Il leone che azzanna il toro: rilievo achemenide a Persepoli in Iran

Il leone che azzanna il toro: rilievo achemenide a Persepoli in Iran

Il re nella caccia al leone: rilievo del palazzo di Dario a Persepoli

Il re nella caccia al leone: rilievo del palazzo di Dario a Persepoli

Il leone che azzanna il toro è un po’ il simbolo di Persepoli: nella città-palazzo voluta dal re dei re Dario I come capitale del suo impero, fiore all’occhiello della dinastia achemenide, il rilievo del leone col toro (forse simbolo dell’anno nuovo che caccia il vecchio, o astronomico perché all’equinozio di primavera la costellazione del Leone è “sopra” quella del Toro) ricorre spesso e accoglie oggi i visitatori, come 2500 anni fa accoglieva i sudditi, ai piedi della scalinata che portava all’apadana, la grande, immensa sala delle udienze. Ma poi il toro lo troviamo contrapposto nei monumentali capitelli dei palazzi del potere di Persepoli, come due grandi tori androcefali fanno la guardia all’ingresso della porta delle Nazioni sempre a Persepoli. E il leone popola i rilievi dei palazzi di Dario e Serse protagonista di lotte cruente che mettono in risalto la potenza quasi divina del re. Le stesse scene le troviamo alcuni secoli più tardi rappresentate su piatti d’argento dorato dell’ultima dinastia dell’impero persiano, quella sasanide che si rifà proprio alla tradizione achemenide.

Bracciale a cerchio aperto con terminazioni a teste leonine, dal museo di Teheran alla mostra di Aquileia

Bracciale a cerchio aperto con terminazioni a teste leonine, dal museo di Teheran alla mostra di Aquileia

Ornamento circolare in oro con due leoni (fine V secolo a.C.) dal museo Archeologico di Teheran

Ornamento circolare in oro con due leoni (fine V secolo a.C.) dal museo Archeologico di Teheran

Quei tori e quei leoni sono ora protagonisti di una mostra unica ed eccezionale insieme perché presenta reperti provenienti esclusivamente dall’Iran, e in alcuni casi mai usciti prima dal territorio della Repubblica islamica. L’appuntamento dal 25 giugno al 30 settembre 2016 è al museo nazionale Archeologico di Aquileia con la mostra “Leoni e Tori dall’antica Persia ad Aquileia”, realizzata dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia nell’ambito del ciclo “Archeologia Ferita”, avviato lo scorso anno dalla mostra incentrata sui reperti provenienti dal museo tunisino del Bardo. “La mostra”, dice il presidente della Fondazione Antonio Zanardi, “è dedicata all’arte achemenide e sasanide, con pezzi di eccezionale rilievo provenienti dall’Archeologico di Teheran e da quello di Persepoli, e non si collega direttamente alle tragiche vicende del passato recente e dell’attualità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente”. Per individuare l’autore delle ferite e della distruzione della capitale dell’impero di Dario, prosegue Zanardi, è invece “necessario risalire sino al IV secolo a.C. e ad Alessandro Magno, molto lontano dunque dal terrorismo e dalla violenza dei nostri giorni. Eppure, a ben guardare, la maggior parte del patrimonio archeologico del mondo è proprio originato da una ferita, da devastazioni, dalla volontà di cancellare l’identità del nemico o, semplicemente, dell’altro”. “Una rassegna di grande significato”, interviene il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, “perché costituisce la prima opportunità di apprezzare in Europa reperti provenienti da Persepoli e dal Museo Nazionale di Teheran dopo la firma dell’Accordo sul Nucleare iraniano».

Rithon d'oro achemenide in mostra ad Aquileia

Rithon d’oro achemenide in mostra ad Aquileia

L’importanza della mostra di Aquileia sta infatti proprio nell’essere composta esclusivamente da reperti provenienti dall’Iran e non, come le maggiori iniziative del genere (nel 2005 al British Museum), con opere già presenti in musei europei. In particolare, molti dei pezzi allestiti non sono mai usciti dai musei iraniani, come la gigantesca zampa di leone in porfido, la testa di un bovino proveniente dai depositi di Persepoli e molti degli oggetti in oro, tra cui il magnifico bracciale con due teste leonine. Questi preziosi reperti, del resto, coprono un arco temporale assai lungo e sono testimonianza di due dinastie fondamentali dell’Iran pre-islamico, gli Achemenidi e i Sasanidi, e dello sfarzo delle corti persiane che lasciarono stupefatti persino gli autori greci che descrivevano le bellezze e la grandiosità di regge e città. “In mostra – spiegano gli organizzatori – per la prima volta uno accanto all’altro pezzi straordinari di oreficeria achemenide, come il rithon d’oro con leone alato, la daga aurea, il bracciale con due teste leonine, il piccolo toro e le placche di straordinaria fattura orafa. Anche i rilievi e le sculture esposte ad Aquileia vogliono sottolineare l’incredibile potenza figurativa di quell’arte. Senza contare che, trattandosi di frammenti (sebbene di grandi dimensioni) la mostra riesce in questo modo a evocare il concetto di arte e civiltà ferite. Come recita il titolo, le raffigurazioni, a partire dalle più antiche, riguardano soprattutto i tori e i leoni, in un forte collegamento con le tradizioni mesopotamica, elamita e persino quella del mondo iranico dell’Età del Ferro, in cui la presenza di elementi animalistici è ovviamente connessa a un’origine nomadica”. Eccezionale dunque la lastra di bronzo raffigurante una serie di leoni alati, che costituiva il fiancale di un carro da guerra achemenide, per non parlare del piatto d’argento raffigurante una scena di caccia al leone, tra l’altro uno dei pochi pezzi sasanidi esposti, che a sua volta evidenzia il perdurare di grandi capacità espressive fino ai secoli che hanno preceduto la nascita del mondo islamico.