Il ritrovamento dei dieci rilievi rupestri di Faida nel Kurdistan iracheno da parte dell’università di Udine premiato come la scoperta archeologica più importante del 2019 con l’assegnazione della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promossa dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo
La scoperta dei “dieci rilievi rupestri assiri nel Kurdistan Iracheno” ha vinto la sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, il Premio promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo, e assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia) e da quest’anno anche con British Archaeology (Regno Unito) la testata del prestigioso Council for British Archaeology. E queste testate hanno segnalato la scoperta in Kurdistan, rispetto alle altre finaliste candidate alla vittoria per il 2020: Cambogia: la città perduta di Mahendraparvata capitale dell’impero Khmer nella foresta sulle colline di Phnom Kulen a nord-est di Angkor; Israele: a Motza a 5 km a nord-ovest di Gerusalemme una metropoli neolitica di 9.000 anni fa; Italia: a Roma la Domus Aurea svela un nuovo tesoro, la Sala della Sfinge; Italia: nell’antica città di Vulci una statua di origine etrusca raffigurante un leone alato del VI secolo a.C. Il Premio sarà consegnato a Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’università di Udine, venerdì 9 aprile 2021 (non più venerdì 20 novembre 2020, dopo i provvedimenti restrittivi dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19) alla presenza di Fayrouz, archeologa e figlia di Khaled al-Asaad, in occasione della XXIII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum. I rilievi rupestri del Kurdistan Iracheno si aggiudicano anche lo “Special Award”, il Premio alla scoperta con il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA. L’importanza della scoperta archeologica compiuta dall’università di Udine è stata riconosciuta anche da Aliph, l’unico fondo globale dedicato esclusivamente alla protezione e riabilitazione del patrimonio culturale in aree di conflitto e post-conflitto, che ha finanziato la documentazione dei rilievi assiri di Faida e l’elaborazione di un progetto di restauro e protezione di questo monumentale complesso di arte rupestre gravemente minacciato da vandalismo e dall’espansione delle attività produttive del vicino villaggio (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/12/10/grandi-dei-e-sovrani-scolpiti-nella-roccia-lungo-un-imponente-canale-dirrigazione-la-grande-scoperta-delluniversita-di-udine-nel-kurdistan-iracheno-illustrata-a-roma-il-team-di-dan/).

L’International Archaeological Discovery Award, il Premio intitolato a Khaled al-Asaad, direttore dell’area archeologica e del Museo di Palmira dal 1963 al 2003, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale, è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Nella 1ª edizione (2015) il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri per la Tomba di Amphipolis (Grecia); la 2ª edizione (2016) all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del Presidente Dominique Garcia, per la scoperta della Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner Direttore della missione archeologica che ha scoperto la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, Responsabile degli scavi, per la scoperta della “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, Responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel Mar Nero del più antico relitto intatto del mondo.

“Da oltre 25 anni il nostro ateneo opera nel Vicino Oriente, prima in Siria e ora nel Kurdistan iracheno, con un gruppo di lavoro di archeologi, studenti e specialisti di varie discipline guidato dal prof. Morandi Bonacossi”, dice il rettore, Roberto Pinton. Gli importanti riconoscimenti di oggi sono frutto del pieno e convinto sostegno dell’intero Dipartimento, dell’Università, di tutti i rettori che si sono succeduti e, aspetto assolutamente non irrilevante, di un intero sistema regionale e nazionale. Il premio per l’eccezionale scoperta dei rilievi assiri di Faida e l’importante finanziamento ricevuto da parte di ALIPH per garantire protezione e conservazione di questo patrimonio culturale dell’umanità sono per l’università di Udine motivo di grande orgoglio e soddisfazione”. E Daniele Morandi Bonacossi sottolinea: “L’attribuzione dell’autorevole premio della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico intitolato a Khaled al-Asaad alla scoperta dei rilievi assiri di Faida e la nuova collaborazione con ALIPH, che ha come obiettivo proprio la tutela di questi straordinari monumenti di arte rupestre sono traguardi molto importanti per il nostro progetto, frutto di una stretta collaborazione con i colleghi e le autorità del Kurdistan e di una sinergia sistemica fra il nostro Ateneo, il Ministero degli Affari Esteri, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Fondazione Friuli e ArcheoCrowd, cui si aggiunge ora anche ALIPH. Questi due riconoscimenti rafforzano la convinzione che l’università di Udine, sede del primo dipartimento in Italia dedicato alla storia e tutela dei beni culturali, possa e debba dare un importante contributo internazionale allo studio, documentazione, protezione e valorizzazione del patrimonio culturale dell’umanità minacciato da conflitti e degrado. Il sostegno di ALIPH, infatti, consentirà di elaborare un progetto di tutela e restauro dei rilievi assiri di Faida”.

Il progetto Kurdish-Italian Faida Archaeological Project (KIFAP) è diretto da Daniele Morandi Bonacossi e da Hasan Ahmed Qasim, rispettivamente per l’università di Udine e la direzione delle Antichità di Duhok. Lo scavo dei rilievi assiri di Faida si svolge in una terra, la Mesopotamia del nord, cruciale per la storia e rimasta inesplorata per decenni a causa della complessa situazione politica e d’instabilità che l’ha caratterizzata fino ad anni recenti. Ricerca, tutela, restauri, valorizzazione, formazione e cooperazione internazionale sono i cardini del progetto, che è sostenuto anche da Repubblica dell’Iraq, Governo Regionale del Kurdistan – Iraq, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Consolato d’Italia a Erbil e Ambasciata d’Italia a Baghdad, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Fondazione Friuli, ArcheoCrowd srl e Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. “Il Faida Salvage Project incarna molti dei valori di ALIPH, ovvero la realizzazione di azioni concrete per proteggere un sito culturale unico che è stato minacciato da conflitto. Il successo di questo progetto, coordinato dal team dell’Università di Udine diretto dal Prof. Daniele Morandi Bonacossi, è il risultato di vari anni di impegno e collaborazione con le comunità, le autorità e gli esperti locali”, afferma il direttore generale Valéry Freland. “Il riconoscimento assegnato ai rilievi di Faida dallo International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” è la conferma del loro valore e importanza e ALIPH si congratula calorosamente con l’intero team per questo eccezionale riconoscimento. Quando il lavoro di valutazione e contenimento dei danni al sito sarà completato, auspichiamo che si possa procedere rapidamente alla progettazione e realizzazione delle misure di protezione del complesso archeologico. ALIPH sostiene questo importante progetto che non solo migliora la nostra comprensione di uno dei momenti chiave del passato dell’umanità, ma contribuisce anche a porre le basi per una ripresa culturale, sociale ed economica sostenibile in Iraq”.


Il logo del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project”)
“L’assegnazione dello International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” 2020 al prof. Daniele Morandi Bonacossi per la scoperta dei rilievi assiri di Faida”, dichiara l’assessore regionale al Lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università Alessia Rosolen, “è motivo di orgoglio e successo per tutta la Regione Friuli Venezia Giulia. Abbiamo sostenuto sin dall’inizio l’importanza del Progetto Archeologico Regionale Terre di Ninive in un’ottica di valutazione non solo squisitamente scientifica, ma anche in rapporto ad una crescita del livello reputazionale del nostro Paese e, nello specifico, del nostro Sistema Regione, ricordandoci che la cura e la ricerca del settore archeologico riportano in essere le radici e le origini della nostra Storia Moderna. La costante sinergia messa in atto fra l’Università di Udine e la Regione FVG ha fortemente contribuito a fortificare il legame a favore della cooperazione culturale ed umanitaria nella complessa realtà dell’Iraq settentrionale e del Kurdistan iracheno”. “La Fondazione Friuli, che dal 2005 è a fianco dell’ateneo udinese a sostegno dei suoi progetti di ricerca archeologica prima in Siria e poi in Iraq”, afferma il presidente Giuseppe Morandini, “è orgogliosa del premio internazionale assegnato al prof. Morandi Bonacossi per la scoperta dei rilievi assiri di Faida e del sostegno garantito dalla Fondazione Aliph alla protezione di questo complesso di arte rupestre unico al mondo. Questo successo testimonia come l’Università di Udine, voluta dalla popolazione e dalle istituzioni del Friuli nel 1978, con il sostegno dell’intero sistema regionale abbia saputo proiettarsi ai vertici della ricerca scientifica, della cooperazione internazionale e della tutela del patrimonio culturale minacciato da conflitti”. E il presidente di ArcheoCrowd, Francesco Zorgno, conclude: “ArcheoCrowd è orgogliosa di far parte della squadra che ha reso possibile questo progetto. L’elevatissimo valore di questo riconoscimento sarà uno stimolo importante a quegli imprenditori privati che, come noi, intendono affiancare il pubblico nel sostegno della ricerca archeologica”.
I rilievi rupestri di Faida. Nell’estate e autunno del 2019, la missione congiunta italo-curda “IAMKRI Italian Archaeological Mission to the Kurdistan Region of Iraq”, coordinata da Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine con la direzione delle Antichità di Duhok guidata da Hasan Ahmed Qasim, ha individuato presso il sito archeologico di Faida, a 50 km da Mosul, dieci imponenti rilievi rupestri di epoca assira (VIII-VII secolo a.C.) scolpiti nella roccia lungo un antico canale d’irrigazione di 8,5 km di lunghezza. Il canale di Faida, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, fu fatto probabilmente scavare dal sovrano assiro Sargon II (721-705 a.C.) alla base di una collina. Oggi, il canale, che ha una larghezza media di 4 metri, è quasi completamente sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Dal canale principale si diramavano canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti e di aumentare la produzione agricola della campagna ubicata nell’entroterra di Khorsabad e Ninive, le ultime due capitali dell’impero assiro.

I pannelli rinvenuti sono imponenti, lunghi quasi 5 metri e alti 2. Sulla roccia è raffigurato un campionario straordinario di divinità e animali sacri. Le figure divine rappresentano il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna, sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone, il dio della Luna, Sin, anch’egli su un leone con corna, il dio della Sapienza, Nabu, su un dragone, il dio del Sole, Shamash, su un cavallo, il dio della Tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro, e Ishtar, la dea dell’Amore e della Guerra su un leone. I rilievi, ripetuti in dieci esemplari (e altri sono verosimilmente ancora sepolti sotto ai detriti che colmano il canale), furono fatti eseguire dal sovrano assiro per celebrare la costruzione del canale d’irrigazione. I pannelli scolpiti a bassorilievo rappresentano una scena di profondo significato religioso e ideologico incentrata sull’adorazione delle divinità da parte del re e sulla celebrazione della creazione di questa importante infrastruttura idraulica destinata a garantire fertilità al territorio circostante potenziandone la produttività agricola.
Grandi dei e sovrani scolpiti nella roccia lungo un imponente canale d’irrigazione: la grande scoperta dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno illustrata a Roma. Il team di Daniele Morandi Bonacossi impegnato in una missione dove l’archeologia diventa strumento di cooperazione internazionale per la protezione del patrimonio culturale minacciato dell’Iraq

Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione dell’università di Udine, davanti al rilievo 4 scoperto a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)

Dettaglio del rilievo 8 di Faida con il corteo di animali che sorreggono le statute delle grandi divinità assire (foto Alberto Savioli / LoNAP)
Il sovrano assiro, stante, è al cospetto del sacro corteo: le statue di sette divinità su dei piedistalli procedono sul dorso di altrettanti animali. Sono il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna; sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone; il dio della luna, Sin, anch’egli su un leone con corna; il dio della sapienza, Nabu, su un dragone; il dio del sole, Shamash, su un cavallo; il dio della tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro; e Ishtar, la dea dell’amore e della guerra su un leone. Gli animali che portano le statue delle divinità avanzano verso destra, nel senso della corrente dell’acqua che anticamente scorreva nel canale di Faida, nel Nord dell’Iraq, il Kurdistan iracheno. Proprio questi dieci imponenti rilievi rupestri raffiguranti il sovrano e i grandi dei d’Assiria lungo un grande canale d’irrigazione scavato nella roccia rappresentano l’ultimo eccezionale risultato delle ricerche della missione archeologica dell’università di Udine e della direzione delle Antichità di Duhok guidata dal professor Daniele Morandi Bonacossi e dal dottor Hasan Ahmed Qasim in una terra, la Mesopotamia del nord, cruciale per la storia rimasta inesplorata per decenni a causa della complessa situazione politica che l’ha caratterizzata fino ad anni recenti. Ricerca, tutela, restauri, valorizzazione, formazione e cooperazione internazionale sono i cardini di un progetto, presentato a Roma nella sede di rappresentanza della Regione Friuli-Venezia Giulia, sostenuto da Governo Regionale del Kurdistan – Iraq, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Fondazione Friuli, ArcheoCrowd e Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Sono intervenuti Alessia Rosolen, assessore della Regione Friuli -Venezia Giulia a Istruzione, Ricerca e Università; Marina Brollo, delegata del rettore dell’università di Udine; Rezan Kader, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan- Iraq; Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli; Paolo Bartorelli della Direzione Sistema Paese del Ministero degli Affari esteri e Cooperazione Internazionale; e Francesco Zorgno, presidente di ArcheoCrowd.

Veduta col drone dell’acquedotto assiro a Jerwan, nel Kurdistan iracheno (Foto Alberto Savioli /LoNAP)

Il logo del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project”)
Una scoperta eccezionale, nata nell’ambito del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project” – ParTeN) dell’università di Udine e della Direzione delle Antichità di Duhok guidata dal professor Daniele Morandi Bonacossi e dal dottor Hasan Ahmed Qasim, a sua volta collegata ad un’iniziativa di cooperazione internazionale della regione Friuli Venezia Giulia avviata nel 2012. “La Regione sostiene l’Università di Udine nel percorso di scoperta delle radici della nostra civiltà che si concentrano nella Mesopotamia”, ha ricordato l’assessore regionale alla Ricerca e Università, Alessia Rosolen. “È un dato importante perché credo che l’archeologia in un frangente diplomatico come questo e in un momento di nuove conoscenze sia fondamentale, da un lato per la trasversalità dei saperi che riesce a mettere in connessione, dall’altro per quella cooperazione internazionale che ci consente di iniziare davvero a parlare di diplomazia culturale e scientifica”. Per Rosolen “la collaborazione che l’università di Udine ha avuto con le università del Kurdisatn iracheno ci offre la possibilità di andare a tracciare una nuova identità del popolo iracheno e immaginare uno sviluppo della loro economia turistica”.

Veduta d’insieme col drone dell’area di scavo dei rilievi 5-10-6-7 a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)

Veduta dall’alto dello scavo dei rilievi 6 e 7 a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)
A tratteggiare gli aspetti salienti del progetto sono stati chiamati i protagonisti di questa cooperazione a partire da Rezan Kader, alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan, che ha evidenziato come “sia stata salvata la radice dell’umanità di tutti quanti noi”. Di “trasversalità della ricerca” ha parlato Marina Brollo, delegata del Rettore dell’università di Udine per il trasferimento della conoscenza; Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli Continuità, ha posto l’accento sulla determinazione, continuità e metodologia utilizzata impressa al progetto. Francesco Zorgno, presidente di ArcheoCrowd, è invece il partner privato che ha condiviso la finalità della difesa del patrimonio archeologico come investimento culturale. Paolo Andrea Bartorelli, capo ufficio VI della direzione generale per la promozione del sistema Paese, ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, ha evidenziato “il ruolo dell’Italia nella difesa del patrimonio dagli attentati sia del fondamentalismo islamico che della scarsa attenzione verso i siti in pericolo, sensibilizzando la comunità internazionale”.
La straordinaria scoperta della missione congiunta italo-curda nel sito archeologico di Faida (20 km a sud della città di Duhok, Kurdistan iracheno settentrionale) risale ai mesi di settembre e ottobre 2019. Gli archeologi hanno individuato dieci imponenti rilievi rupestri di epoca assira (VIII-VII secolo a.C.) scolpiti nella roccia lungo un antico canale d’irrigazione di quasi 7 km di lunghezza. Il canale di Faida, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, fu fatto probabilmente scavare dal sovrano assiro Sargon (720-705 a.C.) alla base di una collina. Oggi, il canale, che ha una larghezza media di 4 metri, è quasi completamente sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Dal canale principale si diramavano canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti e di aumentare la produzione agricola della campagna ubicata nell’entroterra di Ninive, la capitale dell’impero. Sono passati quasi duecento anni dall’ultima scoperta di rilievi rupestri assiri, monumenti estremamente rari, avvenuta nel 1845 in quest’area, per opera del console francese a Mosul, Simon Rouet, che scoprì i rilievi di Khinis e Maltai. Più recentemente, nel 1972, Julian Reade, un archeologo inglese del British Museum, aveva individuato l’ubicazione di tre bassorilievi sepolti lungo il canale, senza però poterli portare alla luce a causa dell’instabilità politica e militare che contraddistingueva la regione in quegli anni di aspro confronto fra i Peshmerga curdi e l’esercito del regime baathista.
Lungo il canale, il sovrano assiro fece scolpire grandi pannelli di quasi 5 metri di larghezza e 2 metri di altezza rappresentanti il sovrano assiro ai due lati di una serie di divinità stanti sui loro animali simbolo. Dalla terra che riempiva il canale emergeva solo la parte superiore dei pannelli scolpiti a rilievo, dei quali si intravvedeva la cornice superiore e, in alcuni casi, la sommità delle tiare indossate dalle divinità. Già nel 1972 Julian Reade, un archeologo inglese del British Museum, aveva individuato l’ubicazione di tre bassorilievi sepolti lungo il canale, senza però poterli portare alla luce a causa dell’instabilità politica e militare che contraddistingueva la regione in quegli anni di aspro confronto fra i Peshmerga curdi e l’esercito del regime baathista. Quarant’anni dopo, nell’agosto del 2012, durante la ricognizione archeologica condotta dal “Land of Nineveh Archaeological Project” dell’università di Udine diretto dal prof. Daniele Morandi Bonacossi, gli archeologi italiani individuavano sei nuovi rilievi lungo il canale di Faida. A sette anni di distanza, grazie alla collaborazione fra l’Università di Udine e la Direzione delle Antichità di Duhok e al sostegno del Consolato italiano a Erbil, i rilievi rupestri assiri di Faida sono stati finalmente portati alla luce.
Questo stupefacente complesso di opere d’arte rupestri uniche al mondo è però oggi parte di uno scenario ancora post-bellico, fortemente minacciato dal vandalismo, scavi clandestini e dall’espansione del vicino villaggio e delle sue attività produttive che lo hanno già gravemente danneggiato. Negli anni fra la nascita dello Stato Islamico come auto-proclamata entità statale nel 2014 e la sua sconfitta nel 2017, inoltre, i rilievi di Faida si sono trovati ad essere ubicati a soli 25 km dalla linea del fronte. Il progetto congiunto italo-curdo è dunque un intervento di salvataggio, che mira non solo a portare alla luce questi importantissimi rilievi assiri (dieci sono già stati scavati, ma molti altri attendono ancora di essere individuati ed esposti), ma anche a documentarli con tecnologie innovative, a restaurarli e soprattutto a proteggere questo sito archeologico assolutamente unico ed eccezionale. A conclusione dei lavori di scavo e restauro, sarà creato un parco archeologico dei rilievi assiri di Faida, che consentirà di aprire il canale e i suoi bassorilievi al turismo iracheno e internazionale, permettendo così la più vasta diffusione della loro conoscenza e una loro più adeguata protezione. In questo modo, il canale di Faida con i suoi meravigliosi rilievi si affiancherà agli altri canali, acquedotti e rilievi rupestri assiri (Khinis, Maltai e Shiru Maliktha, acquedotto di Jerwan) che il “Land of Nineveh Archaeological Project” ha già studiato e documentato, progettando il loro restauro e valorizzazione attraverso la creazione di un parco archeologico-ambientale del sistema idraulico assiro nella regione di Duhok ed elaborando il dossier necessario a sostenere la proposta di inserimento di questi straordinari beni culturali nella lista UNESCO del patrimonio dell’umanità.
A Karkemish, città-stato ittita al confine tra Turchia e Siria, torna a risuonare al voce di Sargon II zittita da Nabucodonosor II. La missione italo-turca guidata da Nicolò Marchetti dell’università di Bologna ha scoperto in fondo a un pozzo tre tavolette del grande re assiro fatte sparire dal sovrano babilonese

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria
Nabucodonosor II lo sapeva. La conquista di Karkemish, la potente città in posizione strategica tra l’Anatolia ittita e la Mesopotamia assira, non sarebbe bastata a cancellare il ricordo del grande re assiro Sargon II (721-705 a.C.) che più di cento anni prima, sul finire dell’VIII sec. a.C., aveva costruito un impero in Vicino Oriente, nella Mezzaluna Fertile, conquistando Samaria, Damasco, Gaza e, nel 717, anche Karkemish, città-stato ittita che sorgeva sul corso dell’Eufrate, dove oggi corre il confine tra Siria e Turchia. Lo spettro di Sargon aleggiava ancora. Le sue parole sembravano ancora vive nella memoria della gente. Lui che sintetizzava così la sua vita: “Io sono Sargon, re forte, re di Akkad. Mia madre era una sacerdotessa; mio padre non lo conosco; era uno di quelli che abitano le montagne. Il mio paese è Azupiranu sull’Eufrate. La sacerdotessa mia madre mi concepì e mi generò in segreto; mi depose in un paniere di giunco, chiuse il coperchio con del bitume, mi affidò al fiume che non mi sommerse. I flutti mi trascinarono e mi portarono da Aqqui, l’addetto a raccogliere acqua. Aqqui, immergendo il suo secchio, mi raccolse. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi adottò come figlio e mi allevò. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi fece suo giardiniere. Durante il periodo in cui ero giardiniere la dea Ishtar mi amò. Per… anni io fui re”. Quella voce doveva essere spenta. Così Nabucodonosor fece distruggere tutti i documenti di Sargon affidandoli all’oblio del tempo. Fino all’arrivo degli archeologi. E la voce di Sargon è tornata a risuonare.

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell’università di Bologna a Karkemish
Tre preziosi frammenti di tavolette d’argilla, che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro Sargon II, sono stati scoperti in fondo a un pozzo (a 14 metri di profondità), nel sito di Karkemish, dalla missione archeologica italo-turca avviata nel 2011 dall’università di Bologna insieme agli atenei turchi di Gaziantep e Istanbul. Le tavolette furono gettate in fondo a un pozzo su ordine del re babilonese Nabucodonosor II, per essere per sempre dimenticate. Scrive Sargon: “Ho costruito, aperto nuovi corsi d’acqua, incrementato la produzione di grano, rinforzato le porte con cerniere di bronzo, allargato i granai, costituito un esercito con 50 carri, 200 cavalli, tremila fanti. E ho reso il popolo felice, fiducioso in se stesso”.

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall’università di Bologna
Spesso paragonata a città gloriose come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia, Karkemish è stato un centro di straordinaria importanza. Abitato almeno dal VI millennio a.C., a partire dal 2300 acquista un ruolo centrale nella regione e diviene contesa da ittiti, assiri e babilonesi. Solo con l’impero romano inizia il suo declino, che termina nell’Alto Medioevo, attorno al X secolo, quando la città viene definitivamente abbandonata e dimenticata. Ricompare solo alla fine dell’800. Fu allora che una serie di campagne esplorative promosse dal British Museum (ci lavorò anche Lawrence d’Arabia) riportarono per la prima volta alla luce le tracce del suo grande passato. Un’opera di riscoperta che oggi è passata nelle mani dell’Alma Mater, con un progetto di scavo guidato dal prof. Nicolò Marchetti che, al suo quinto anno di attività, è finito – letteralmente – in fondo a un pozzo. Per riemergere con le parole ritrovate del re Sargon II.
“Tre frammenti di tavolette d’argilla”, ricorda Marchetti, “che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro. Frasi autocelebrative, che esaltano le vittorie militari e le misure a favore della popolazione. Frasi che, proprio per il loro carattere propagandistico, furono fatte sparire, gettate in fondo a un pozzo su ordine di Nabucodonosor II, il re babilonese che nel 605, dopo un lungo assedio, strappò Karkemish al controllo assiro. Cancellare le tracce e i simboli del nemico sconfitto è una pratica che attraversa tutta la storia dell’umanità e che ancora oggi, purtroppo, viene praticata”.

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon
Il pozzo è stato rinvenuto dalla missione italo-turca nell’area dove un tempo sorgeva il palazzo di re Katuwa, costruito attorno al 900 a.C. e ampliato e modificato da Sargon II. Gli archeologi dell’Alma Mater si sono calati nella stretta imboccatura, scendendo fino a 14 metri sotto al livello del suolo. Lì, sul fondo, è stata trovata una fitta serie di oggetti e utensili di ambito amministrativo, letterario e decorativo: gettoni d’argilla (tokens) per la contabilità, recipienti di bronzo e di pietra, un’armatura di ferro e i tre frammenti di tavolette d’argilla con le parole di Sargon II. Oltre al pozzo, i lavori della missione archeologica dell’Alma Mater hanno portato alla luce anche tre ortostati, lastre di pietra con funzioni sia di sostegno che decorative, in ottime condizioni. In uno è rappresentato un leone in marcia, mentre nelle altre due sono incisi un toro alato e un dio-ibex alato, con un volto umano. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un caso unico nel campo dell’arte neo-ittita. Puliti e restaurati, gli ortostati sono stati lasciati nell’area del palazzo di re Katuwa, ed è stato inoltre completata la rilevazione digitale ad alta precisione della mappa dell’antica città. Tutti interventi che puntano a far nascere un parco archeologico che possa attirare turisti e visitatori a Karkemish, coinvolgendoli in un’esperienza immersiva tra storia e attualità.
La furia dell’Is sulle antiche città dell’Iraq: dopo Mosul (Ninive) e Nimrud, bulldozer sulla persiana Hatra e l’assira Khorsabad: la denuncia non confermata da immagini

Secondo la tv curda i jihadisti avrebbero fatto scempio della città di Hatra, fondata dai Seleucidi nel III sec. a.C. e poi parte dell’impero dei Parti
Lo aveva detto, lo aveva soprattutto temuto: “Hatra sarà sicuramente la prossima”. Abdulamir Hamdani, archeologo iracheno dalla Stony Brook University, purtroppo aveva visto giusto. La distruzione dei tesori archeologici dell’Iraq continua. Dopo Nimrud e Mosul (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=nimrud), i bulldozer dell’Isis si sono impietosamente abbattuti sul suggestivo sito archeologico di Hatra (antica città a 100 chilometri a Sud di Mosul), importante centro culturale ed economico dell’impero persiano. E fonti curde denunciano anche la distruzione dell’altra capitale assira, Khorsabad. Tra i resti della città di Hatra sopravvissuti fino all’avvento di questo barbaro e crudele califfato, maestosi templi costruiti con tecnica romana e altri con schema architettonico di tradizione mesopotamica, babilonese e assira. A differenza della distruzione delle statue del museo di Mosul, al momento non sono giunte immagini di questo ennesimo scempio del passato ma, da fonti certe, pare che gli jihadisti, prima di cominciare a picconare i resti di Hatra, abbiano asportato le monete d’oro e d’argento custodite nel museo locale. Lo ha denunciato la tv curda Rudaw, citando un portavoce del Partito democratico curdo, Saeed Mumuzini. “Gli jihadisti hanno rubato le monete d’oro e d’argento usate dai re assiri che erano custodite nella città”, ha riferito Mamuzini. I miliziani avrebbero usato le ruspe per abbattere le vestigia dell’antica città – sorta oltre 2mila anni fa – che fu anche un importante baluardo dei Parti, il popolo nomade di origine persiana che combatté contro i romani. La notizia è stata confermata dal ministro del turismo.
Hatra venne fondata dalla dinastia dei Seleucidi nel III sec. a.C. Fiorì durante il I e II secolo a.C. come centro commerciale e religioso dell’impero dei Parti. In seguito la città divenne capitale del primo regno arabo nella catena di città che andavano da Hatra, a nord-est, attraverso Palmira, Baalbeck e Petra, a sud-ovest. La regione controllata da Hatra fu il regno di Araba, un regno semi-autonomo ai confini occidentali dell’impero partico, governato da principi arabi. Hatra guadagnò fama per la sua fusione di pantheon greci, sumeri, assiri, siriani ed arabi, noti in aramaico come Beiṯ Ĕlāhā (“Casa di Dio”). La città conserva (o conservava?) templi dedicati a Nergal (mitologia sumera e accadica), Ermes (mitologia greca), Atargatis (siro-arameo), Allat e Shamiyyah (arabo) e Samas (il dio sole sumero). Il fascino e il buono stato di conservazione della città antica di Hatra fu scelta nel 1973 come location per le prime scene del film “L’esorcista” che, nella sceneggiatura, prevedeva l’ambientazione a Ninive.
Ma lo scempio non conosce sosta. Non si sono ancora spenti gli echi dello sdegno internazionale, che già la lista degli sfregi dell’Isis deve essere già aggiornato. “Dopo Nimrud e Hatra, gli uomini dell’Isis hanno distrutto e saccheggiato l’antica città assira di Dur Sarrukin, l’odierna Khorsabad, fondata nel 717 a.C.”. A lanciare l’allarme è stato il ministro delle Antichità e del Turismo iracheno Adel Shirshab precisando che le autorità stanno verificando le notizie che provengono dal nord del Paese, in base alle quali i miliziani avrebbero già distrutto diverse statue e danneggiato seriamente la città che fu fondata dal re Sargon II. “Il mondo deve fermare le atrocità che i miliziani stanno compiendo altrimenti i gruppi terroristi andranno avanti”, ha allertato Shirshab. Si tratterebbe del terzo sito archeologico distrutto. Ban Ki-moon, il segretario generale dell’Onu, è indignato per la distruzione del patrimonio culturale e fa un appello alla comunità per agire immediatamente e fermare gli atti vandalici dei terroristi islamici.
Khorsabad (il cui nome significa “Fortezza di Sargon”) fu edificata in sette anni, ma mai completata. Dopo la morte del suo ideatore, nel 705, ad appena un anno di distanza dall’inaugurazione, la città venne abbandonata dal suo successore Sennacherib, che portò la capitale di nuovo a Ninive. Tuttavia nella sua incompletezza Khorsabad mostra chiaramente le concezioni urbanistiche dei suoi costruttori: regolarità, simmetria e viabilità. La città presenta infatti una pianta quadrata. Tre delle sette porte dello spesso muro di cinta, presentano una decorazione monumentale, mentre le altre sono più semplici. L’edificio più prestigioso era il palazzo del re Sargon II, di più di 200 stanze ordinate intorno a numerose corti interne. Al suo interno si accedeva per una monumentale porta ai cui stipiti erano scolpiti due giganteschi lamassu, mostri alati in forma di toro con testa umana, cioè androcefali. Il palazzo era suddiviso in tre zone principali: l’area templare, il quartiere amministrativo e di immagazzinamento e l’area palatina. Al suo interno erano presenti numerose sculture e rilievi che correvano lungo le pareti.
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