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Parco archeologico di Pompei. Al via il progetto RePAIR (con l’università Ca’ Foscari partner coordinatore): grazie a una infrastruttura robotica d’avanguardia, saranno ricomposti le migliaia di frammenti degli affreschi della Casa dei Pittori al lavoro e della Schola Armatorarum

Esempio di ricomposizione dei frammenti di un affresco dalla Casa dei Pittori al lavoro di Pompei con il progetto RePAIR (foto parco archeologico di pompei)
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La scansione dei frammenti di affresco da Pompei con il progetto RePAIR (foto parco archeologico di pompei)

 

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L’elaborazione al computer dei dati raccolti con il progetto RePAIR (foto parco archeologico di pompei)

A Pompei per la prima volta una tecnologia d’avanguardia sarà utilizzata per la ricostruzione fisica di manufatti archeologici, in gran parte frammentati e di difficile ricomposizione. È partito il 1° settembre 2021 il progetto “RePAIR”, acronimo di Reconstruction the past: Artificial Intelligence and Robotics meet Cultural Heritage. Migliaia di frammenti, come piccole tessere di un puzzle, saranno risistemati con l’ausilio di una infrastruttura robotica, dotata di braccia meccaniche in grado di scansionare i frammenti, riconoscerli tramite un sistema di digitalizzazione 3D e restituirgli la giusta collocazione. Mentre i frammenti vengono riconosciuti e scansionati, le braccia e le mani di precisione meccaniche li manipolano e movimentano con l’ausilio di sensori avanzatissimi in grado di evitarne il minimo danneggiamento. Partner del progetto “RePAIR”, assieme al parco archeologico di Pompei sono: l’università Ca’ Foscari di Venezia (ente coordinatore), la Ben-Gurion University of the Negev di Israele, la IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, l’Associacao do Instituto Superior Tecnico Para a Investigacao e Desenvolvimento del Portogallo, la Rheinische Friedrich Wilhelms Universitat di Bonn in Germania e il ministero della Cultura. Il progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea, nell’ambito della Grant agreement n. 964854.

Oggetto di questa sperimentazione saranno gli affreschi del soffitto della Casa dei Pittori al lavoro nell’Insula dei Casti Amanti, danneggiati nel corso della eruzione del 79 d.C. e poi ridotti in frantumi in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Su tale straordinario contesto lavora già a partire dal 2018 il gruppo di esperti di pitture murali dell’università di Losanna, guidato dal professor Michel E. Fuchs, con un programma di studio e di ricomposizione manuale che si fonda sull’analisi dei diversi aspetti morfologici, stilistici e tecnici dei frammenti. L’attivazione del nuovo progetto, che procederà parallelamente e in modo coordinato con quello in corso da parte dell’équipe svizzera, consentirà di confrontare dunque due metodologie di lavoro e i rispettivi risultati. 

Progetto RePAIR a Pompei: i frammenti vengono riconosciuti e scansionati, le braccia e le mani di precisione meccaniche li manipolano e movimentano con l’ausilio di sensori avanzatissimi (foto parco archeologico di pompei)

Il secondo caso di studio sarà inoltre costituito dai frammenti degli affreschi della Schola Armaturarum, determinati dal crollo dell’edificio nel 2010 e in parte ancora non ricollocati. Due esempi iconici di grandi affreschi del patrimonio culturale mondiale che si trovano in stato frammentario e sono conservati nei depositi del parco archeologico di Pompei. L’attività si avvale dell’apporto interdisciplinare di istituti scientifici e di ricerca che operano nel campo della computer vision, della robotica, dell’Intelligenza Artificiale, con il contributo fondamentale dell’Archeologia e della Conservazione di Beni culturali.

Esempio di ricomposizione dei frammenti di un affresco dalla Casa dei Pittori al lavoro di Pompei con il progetto RePAIR (foto parco archeologico di pompei)

“Le anfore, gli affreschi, i mosaici, vengono spesso portati alla luce frammentati, solo parzialmente integri o con molte parti mancanti”, dichiara il direttore del parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. “Quando il numero dei frammenti è molto ampio, con migliaia di pezzi, la ricostruzione manuale e il riconoscimento delle connessioni tra i frammenti è quasi sempre impossibile o comunque molto laborioso e lento. Questo fa sì che diversi reperti giacciano per lungo tempo nei depositi archeologici, senza poter essere ricostruiti e restaurati, e tantomeno restituiti all’attenzione del pubblico. Il progetto RePAIR, frutto di ricerca e competenza tecnologica, grazie all’ausilio della robotica, della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, si pone l’obiettivo di risolvere un problema atavico”. Aggiunge il prof. Marcello Pelillo, coordinatore del progetto e professore di Intelligenza artificiale all’università Ca’ Foscari Venezia: “Dal punto di vista scientifico e tecnologico, il progetto pone sfide importanti per affrontare le quali utilizzeremo le più avanzate tecniche nel campo dell’Intelligenza Artificiale, della Visione Artificiale e della Robotica”.

Preistoria. Team di Ca’ Foscari, guidato da Elena Ghezzo, sulle tracce dell’orso delle caverne nella Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo, in Lessinia: dove per 10mila anni (tra 30 e 20mila anni fa) sono convissuti uomo e animali

Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo (Vr): una delle due aree indagate negli scavi della seconda metà del Novecento (foto unive)

C’è una cavità carsica, a Nord di Verona, nell’area collinare nota per il vino Valpolicella e il parco della Lessinia, ricca di resti fossili, studiati solo parzialmente, che possono raccontare molto dei millenni di convivenza tra uomo e fauna e dell’ambiente dell’area prima, durante e dopo l’ultimo evento glaciale. Si tratta della Grotta di Veja, sovrastata dal più noto Ponte di Veja e attualmente frequentata da una delle più grandi colonie di pipistrelli del Veneto. La cavità ha avuto origine in un periodo più recente di 38 milioni di anni fa per l’azione di acque ipogee. Sedimenti l’hanno riempita per tutta la sua lunghezza durante il Quaternario, con tempi e modi ancora sconosciuti. Campagne svolte oltre quarant’anni fa hanno di fatto solo iniziato a raccogliere dati e fatto conoscere l’abbondanza di reperti fossili presenti, ma molto resta da studiare. Un team di ricerca guidato da Elena Ghezzo, ricercatrice “Marie Curie” a Ca’ Foscari, vuole finalmente far luce sulla quantità di fossili presenti, datarli, comprendere come e perché i resti animali si siano conservati in tutta la lunghezza della grotta.

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Elena Ghezzo dell’università Ca’ Foscari

Gli scavi della Grotta di Veja sono possibili grazie alla collaborazione del proprietario della grotta, Bruno Lavarini, il Comune di Sant’Anna d’Alfaedo, il parco naturale regionale della Lessinia, la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Verona, Rovigo e Vicenza e il ministero della Cultura MiC che hanno concesso lo scavo. Inoltre, fondamentale è il contributo dei volontari che hanno partecipato alle attività di vaglio e supporto alla logistica, in particolar modo l’associazione Museo Camposilvano e il museo Paleontologico e Preistorico di Sant’Anna d’Alfaedo. Le attività di scavo sono supportate dal progetto europeo Marie Curie “Refind”, finanziato nell’ambito del programma europeo Horizon 2020 e condotto da Elena Ghezzo tra l’università dell’Oregon e il dipartimento di Scienze ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari. La ricercatrice fa quindi parte della numerosa comunità cafoscarina di vincitori di questi finanziamenti europei rivolti a ricercatrici e ricercatori di alto livello e impegnati in tematiche interdisciplinari.

Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo (Vr): lavaggio del sedimento dal team di Ca’ Foscari (foto unive)

Focus su 10mila anni cruciali. Il primo passo è ricostruire il contesto temporale e spaziale della presenza di uomo e animali in un periodo compreso tra 30 e 20 mila anni fa. La prima campagna di scavo si è svolta nei giorni scorsi. La prossima si svolgerà a inizio 2022. “Quello tra 30 e 20mila anni fa”, spiega Elena Ghezzo, “è stato un periodo caratterizzato dalla presenza di specie iconiche ed estinte come l’orso delle caverne (Ursus spelaeus) e la iena (Crocuta crocuta spelaea), ma anche non più presenti nell’area della Lessinia come lo stambecco (Capra ibex) e il lupo (Canis lupus). Queste specie si alternavano e vivevano in competizione con l’uomo che era già diffusamente presente ed organizzato nella regione. Con il materiale raccolto puntiamo a realizzare la prima datazione assoluta del deposito e verificare la stratigrafia di dettaglio degli affioramenti”. Nuovi reperti dell’orso delle caverne sono effettivamente tra i rinvenimenti di questa prima campagna, assieme a micro-mammiferi e carboni. Il lavoro dei paleontologi è servito anche a ripulire parte dell’area di scavo da vetri, lattine, accendini e altra spazzatura abbandonata negli ultimi anni da frequentatori non autorizzati.