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Castagneto Carducci (Li). “Archeologia del gusto. Etruschi in piazza”: rievocazione storica, laboratori didattici e concerto di musica antica a corollario della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” a Palazzo Espinassi Moratti

castagneto-carducci_archeologia-del-gusto_etruschi-in-piazza_locandina“Archeologia del gusto. Etruschi in piazza”: Castagneto Carducci (Li) venerdì 11 agosto 2023 propone, dalle 18 alle 21.30, un pomeriggio speciale a corollario della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi”, aperta a Palazzo Espinassi Moratti fino al 5 novembre 2023, promossa da Past Experience con La Strada del Vino e dell’Olio – Costa degli Etruschi, dedicata al rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vita quotidiana provenienti dai territori delle antiche città di Populonia, Volterra e Vetulonia. Curata dalla Fondazione Aglaia con la soprintendenza ABAP di Pisa e Livorno, e la soprintendenza ABAP di Siena Grosseto e Arezzo (vedi Castagneto Carducci (Li). A Palazzo Espinassi Moratti apre la mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” sul rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vitaquotidiana da Populonia, Volterra e Vetulonia. Video dell’archeologa Carolina Megale approfondisce il tema e introduce alla mostra | archeologiavocidalpassato). Appuntamento dunque in piazza della Gogna a Castagneto Carducci per “Archeologia del gusto. Etruschi in piazza”. In programma la “Rievocazione storica” a cura di Suodales: attraverso la narrazione della vita di vari personaggi e con l’ausilio di allestimenti didattici sarà illustrata la vita quotidiana degli Etruschi ad adulti e bambini. Quindi laboratori didattici a cura di Valter Fattorini dedicati al simposio e al gioco del kòttabos. Chiude il concerto di musica del Mediterraneo antico a cura di Chiara Tesi Venturi.

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Locandina della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” a Palazzo Espinassi Moratti di Castagneto Carducci (Li) dal 24 giugno al 5 novembre 2023

Mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi”. “Si tratta di una mostra archeologica”, spiega l’archeologa Carolina Megale di Past Experience, “ovvero raccontata attraverso gli oggetti della vita quotidiana che gli Etruschi utilizzavano e che noi abbiamo raccolto in questa mostra per raccontare un territorio: il territorio dell’antica città di Populonia, il territorio dell’antica città di Vetulonia, il territorio dell’antica città di Volterra, che appunto insistevano nell’Etruria marittima”. “Il vino! Ecco il dono d’oblio di Semele e Zeus”, si legge sul manifesto della mostra. “E tu versa, mescendo con un terzo due terzi, e le coppe trabocchino, e l’una l’altra spingano”. Flufluns, come ci ricorda Valentino Nizzo nel suo appuntamento mensile dedicato agli dei etruschi, “aveva una origine umbro-sabina e doveva essere legata alla vegetazione: infatti nel nome si riconosce la stessa radice di flora e flos (fiore). Gli Etruschi assimilarono Fufluns a Dioniso, giunto in Etruria insieme con il vino di produzione greca e le relative pratiche culturali e sociali. Di fatto, il simposio diventò un segno distintivo delle aristocrazie etrusche. Immagini, simboli e miti dionisiaci erano riprodotti sul vasellame greco di importazione e vennero utilizzati per caratterizzare le rappresentazioni di Fufluns”.

Castagneto Carducci (Li). A Palazzo Espinassi Moratti apre la mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” sul rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vitaquotidiana da Populonia, Volterra e Vetulonia. Video dell’archeologa Carolina Megale approfondisce il tema e introduce alla mostra

castagneto-carducci_palazzo-espinassi-moratti_mostra-nel-segno-di-fufluns_locandina-inaugurazioneA Palazzo Espinassi Moratti, a Castagneto Carducci (Li), fervono i lavori perché tutto sia pronto sabato 24 giugno 2023 per l’inaugurazione, alle 18, della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi”, promossa da Past Experience con La Strrda del Vino e dell’Olio – Costa degli Etruschi, dedicata al rapporto tra gli Etruschi e il vino, raccontato attraverso i reperti della vita quotidiana provenienti dai territori delle antiche città di Populonia, Volterra e Vetulonia. Curata dalla Fondazione Aglaia con la soprintendenza ABAP di Pisa e Livorno, e la soprintendenza ABAP di Siena Grosseto e Arezzo, è la mostra dell’estate 2023: si potrà visitare fino al 5 novembre 2023. “Il vino! Ecco il dono d’oblio di Semele e Zeus”, si legge sul manifesto della mostra. “E tu versa, mescendo con un terzo due terzi, e le coppe trabocchino, e l’una l’altra spingano”. Flufluns, come ci ricorda Valentino Nizzo nel suo appuntamento mensile dedicato agli dei etruschi, “aveva una origine umbro-sabina e doveva essere legata alla vegetazione: infatti nel nome si riconosce la stessa radice di flora e flos (fiore). Gli Etruschi assimilarono Fufluns a Dioniso, giunto in Etruria insieme con il vino di produzione greca e le relative pratiche culturali e sociali. Di fatto, il simposio diventò un segno distintivo delle aristocrazie etrusche. Immagini, simboli e miti dionisiaci erano riprodotti sul vasellame greco di importazione e vennero utilizzati per caratterizzare le rappresentazioni di Fufluns”.

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L’archeologa Carolina Megale nelle fasi di allestimento della mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” (foto past experience)

In un lungo e interessante video realizzato da ArcheoReporter per Past Experience, l’archeologa Carolina Megale, alternata a una voce narrante, approfondisce il rapporto tra gli Etruschi e il vino, l’ideologia del vino come emerge dai corredi delle tombe aristocratiche, il rapporto tra la coltivazione della vite e la Toscana costiera e la sua evoluzione nei millenni. E così introduce e prepara il visitatore alla mostra “Nel segno di Fufluns. Il vino degli Etruschi” a Castagneto Carducci.

Il vino sente le radici della terra e si avvinghia come la vite al territorio da cui nasce. In questa parte della Toscana marittima ha radici profonde. Tutto parla di vino, anche i muri dei palazzi comunali con misure incise nella pietra, antiche e moderne. La storia del vino accompagna la storia degli esseri umani e lo fa almeno dalla fine del Neolitico. È certamente espressione dell’evoluzione della produzione agricola, ma anche indicatore di cultura credenze economia e struttura sociale degli antichi popoli del Mediterraneo. Gli Etruschi legarono al vino molti aspetti della società. C’era l’ostentazione, la ritualità funeraria, una forte componente sacrale. E poi, non disgiunto da tutto questo, il vino era l’elemento principale del Convivio.

“Si tratta di una mostra archeologica, ovvero raccontata attraverso gli oggetti della vita quotidiana che gli Etruschi utilizzavano e che noi abbiamo raccolto in questa mostra per raccontare un territorio: il territorio dell’antica città di Populonia, il territorio dell’antica città di Vetulonia, il territorio dell’antica città di Volterra, che appunto insistevano nell’Etruria marittima”.

Nella prima Età del Ferro, tra il X e il IX secolo a.C., si assiste a processi di profonda trasformazione dell’élite della penisola italiana, soprattutto quelle dell’rea centro-tirrenica e meridionale. Queste trasformazioni derivano da nuovi modelli di gestione delle risorse e naturalmente dal potere che le controllava. Nascono quindi nuovi codici e forme di autorappresentazione nelle quali si inquadra anche l’uso del vino e in generale delle bevande alcoliche.

“Il vino compare nella società etrusca in un momento cruciale, quando stavano nascendo le aristocrazie etrusche agli inizi del I millennio a.C. E i guerrieri, i capi tribù, avevano bisogno di riconoscersi in qualcosa e la loro ideologia, la loro necessità di raccontare se stessi, passa proprio attraverso la rappresentazione del vino. Nelle tombe, nelle necropoli del I millennio a.C., tra IX-VIII-VII sec. a.C., avviene un passaggio importante, ovvero si passa dall’urna cineraria cosiddetta biconica all’utilizzo di crateri o di contenitori per il vino per manifestare il proprio ruolo sociale. Quindi troviamo delle tombe a pozzetto, ad esempio, scavate nel terreno dove l’urna cineraria è costituita da crateri o olle, che vogliono significare lo status symbol del proprietario, del defunto, legato al vino. Le fonti scritte ci trasmettono l’uso di una bevanda alcolica che utilizzavano gli Etruschi, il temetum. Non è certo però se questa bevanda fosse ottenuta dalla Vitis vinifera, dall’uva, oppure da altri frutti. È stato anche identificato un set per il temetum, costituito da una piccola olla con due anse prodotte in ceramica d’impasto che faceva appunto set con una piccola tazza attingitoio anch’essa in ceramica che veniva utilizzata sia per prendere il vino sia per berlo. Ben presto il vino diventò elemento sociale. Non si beveva da soli, si beveva nella comunità. La comunità degli aristocratici sigillava i propri rapporti bevendo insieme. Il vino entra a far parte dei rituali di fondazione, dei rituali sociali, delle relazioni economiche tra le aristocrazie”.

Il ritrovamento di cento tazze in ceramica di impasto depurato sull’acropoli di Populonia dimostra proprio un rituale. In questo caso la fossa con le tazze indica probabilmente una libagione che accompagnò la dismissione di una dimora di alto rango.

“Dalla necropoli di Poggio Tondo dove sono state scavate delle meravigliose tombe a tumulo proviene un corredo funerario di straordinaria bellezza”.

Ecco comparire un grande cratere che ha la forma di un kantharos ossia una coppa da vino accompagnata da coppe su alto piede sia di ceramica d’impasto che di bucchero. Sono oltre 20 queste coppe a rappresentare una mensa condivisa, un momento rituale della comunità aristocratica di Vetulonia nell’attuale territorio di Scarlino.

“Al VII secolo a.C. risalgono le monumentali tombe a tumulo delle aristocrazie etrusche del nostro territorio. Si trovano nella necropoli di Baratti e Populonia, si trovano nella necropoli di Poggio Tondo a Pian di Alma. Sono strutture circolari all’esterno monumentali che rappresentano la ricchezza della famiglia che le possiede, al cui interno si sono trovati straordinari corredi costituiti da coppe e crateri legati appunto al consumo del vino.  L’ideologia del vino rappresenta fortemente i principi etruschi. In un periodo in cui ancora non veniva utilizzata la monetazione gli Etruschi per fare affari e per gli scambi commerciali utilizzavano il dono. Si scambiavano oggetti preziosi. Tra questi doni è stata riconosciuta una tazza, un kyathos, in bucchero fine, raffinatissimo, bellissimo, decorato con stampigli e incisioni, che riporta l’iscrizione in cui il vaso è lui stesso a parlare: io sono stato donato da e il nome della famiglia che ha donato la coppa a un’altra famiglia che poi se l’è portata nella tomba come parte del corredo, proprio per siglare un accordo commerciale e un legame sociale tra le aristocrazie. Gli Etruschi consumavano il vino durante il rituale funerario seduti su una sedia di fronte a un tavolo con un grande cratere che serviva appunto per contenere il vino. Come si vede ad esempio in un meraviglioso coperchio del cinerario di Montescudaio, conservato al museo Archeologico nazionale di Firenze. È un’acquisizione successiva quella del banchetto semisdraiati alla greca appunto, che si acquisisce dopo i contatti con i Greci che avevano colonizzato l’Italia meridionale e la Sicilia”.

Un piccolo Sileno in bronzo danza in equilibrio instabile e con una mano invita i presenti a lanciarsi nel gioco. È la parte superiore di un cottabus dall’acropoli di Vetulonia. Il contesto è quello di importanti depositi votivi, uno con più di 100 elmi votivi, offerta agli dei per un evidente trionfo sugli avversari nelle guerre tra clan famigliari degli Etruschi. Da un altro deposito arriva proprio il cottabus, oggetto di prestigio senz’altro, ma anche un gioco verso cui si lanciavano in una sorta di tiro a segno le ultime gocce di vino rimaste nelle coppe.

“Non bevevano mai il vino puro. Il vino era sempre mescolato secondo quantità che venivano decise dal cerimoniere del simposio. In genere un terzo di vino e due terzi di acqua che venivano mescolati nei grandi crateri. A questi poi venivano aggiunte delle spezie, ma il tocco finale era dato dal formaggio, generalmente di capra, che veniva grattugiato all’interno del cratere. Il vino veniva attinto con dei mestoli o con degli attingitoi o delle brocche e versato nelle varie coppe da vino. Conosciamo varie tipologie di coppe da vino, ognuna con il proprio nome. Conosciamo la kylix, conosciamo il kantharos, conosciamo lo skyphos. Ogni nome identifica una tipologia diversa di oggetto, e ci racconta anche la sua funzione”.

Gli Etruschi coltivarono la vite avvinghiata ad alberi come pioppi, olmi, ma anche olivi e ciliegi. È la cosiddetta vite maritata o a sostegno vivo, una differenza notevole rispetto alla Magna Grecia dove i vitigni erano coltivati sul supporto morto o a tutore secco. Anche in questo aspetto del paesaggio l’Etruria manteneva una sua originalità.

“La vite con cui gli Etruschi facevano il vino è la Vitis Vinifera, che ebbe un lunghissimo processo di domesticazione che risale al Neolitico. A partire almeno dal 6000 a.C. l’uomo iniziò a prendersi cura della vite, a selezionare le piante che davano i frutti migliori, gli acini più grandi, quelli che avevano la resa migliore. Il nostro territorio, la Toscana costiera, la Costa degli Etruschi, l’alta Maremma, conservano le tracce del passaggio degli Etruschi ancora incastonate nel paesaggio, e nei reperti che sono esposti nei musei. Io vi invito a visitare il più possibile il nostro territorio, andare al mare, scoprire gli altri musei, e scoprire le cantine che oggi vi faranno degustare un vino straordinario”.

Le viti sono cambiate nei millenni e così anche il vino, prodotto di terra, ingegno e fatica. I musei della Toscana Marittima testimoniano però che il Segno di Fufluns, il dio ispiratore di sacralità, di arte, di secoli di simposi, è ancora visibile. Lo è nelle testimonianze archeologiche che custodiscono, a cucire con la loro rete museale storia e paesaggi, quegli stessi paesaggi in cui la tramonto forse possiamo ancora intravederlo.

 

A Firenze il convegno “Le immagini del patrimonio culturale: un’eredità condivisa?”: il tema sarà affrontato dal punto di vista della ricerca, dell’economia, del diritto e dell’associazionismo. In presenza all’auditorium di Santa Apollonia e on line

Ha senso oggi porre limiti alla diffusione del patrimonio culturale pubblico? La riproduzione delle sue immagini è un diritto collettivo che appartiene a tutti? Se la risposta è sì, perché a tutt’oggi non viene concessa a tutti? È infatti interdetta per le finalità commerciali, e quindi per le più variegate forme nelle quali si manifesta la creatività sociale. Sulla concessione della riproduzione delle immagini si misura la “temperatura” del dialogo tra istituzioni pubbliche e cittadini sul patrimonio culturale. Cerca di rispondere a questi scottanti e attualissimi interrogativi il convegno “Le immagini del patrimonio culturale: un’eredità condivisa?” organizzato dalla Fondazione Aglaia, d’intesa con la Regione Toscana, e in collaborazione con Archeologia Viva, Past Experience, ArchaeoReporter, in programma sabato 11 giugno 2022 a Firenze, all’auditorium di Santa Apollonia (via San Gallo 25a). L’incontro avrà inizio alle ore 10.30 e potrà essere seguito anche in diretta streaming sul canale YouTube di ArchaeoReporter. Informazioni: 339.7544894 / 0565.1766345 info@pastexperience.it.

“Selfie art” (foto archeologia viva)

Il tema, ricco di sfaccettature, sarà affrontato dal punto di vista della ricerca, dell’economia, del diritto e dell’associazionismo e sarà arricchito dall’illustrazione di alcune esperienze in atto facendo riferimento in modo particolare – ma non esclusivo – al territorio della Toscana. Nell’ambito del convegno si confrontano dunque diverse competenze, e in particolare è lasciato ampio spazio al mondo degli esperti di patrimonio culturale, diritto, economia e pubblica amministrazione, senza trascurare i punti di vista dell’associazionismo culturale. Conclude l’incontro una tavola rotonda che darà voce ai potenziali utilizzatori delle immagini, e quindi alle diverse professioni legate al patrimonio culturale, all’editoria e all’industria creativa.