Vulci. Riaperta la percorrenza del Ponte della Badia a conclusione dei lavori di restauro e sistemazione della spalla destra della struttura

Riaperta la percorrenza sul Ponte della Badia di Vulci (foto sabap-vt-etru-mer)
Riaperto il Ponte della Badia di Vulci. Lo comunica la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale. A conclusione dei lavori di restauro e sistemazione della spalla destra del Ponte della Badia di Vulci, è stata infatti ripristinata l’intera percorrenza del Ponte stesso e della strada che conduce dal museo nazionale della Badia al Parco di Vulci. I lavori, avviati ad inizio 2023 e che costituiscono il prolungamento di quelli che hanno interessato direttamente la struttura monumentale del Ponte, hanno previsto il restauro di pavimentazioni antiche, delle murature, la sistemazione di alcuni suggestivi punti di visuale, l’installazione di recinzioni e il riassetto della vegetazione e della pavimentazione stradale.

Scorcio sul fiume Flora dal Ponte della Badia di Vulci (foto sabap-vt-etru-mer)
Un finanziamento ministeriale dedicato (attivato grazie alla L. 190/2014, D.M. 28.01.2016) ha permesso di intervenire sul monumento per il consolidamento e il restauro di tutta la struttura, consentendo, al termine dei lavori, nel dicembre 2021, di riconsegnare alla comunità un elemento del paesaggio vulcente di grande rappresentatività e un’opera antica che è un simbolo del patrimonio culturale italiano e internazionale. Il cantiere proseguirà, nelle prossime settimane, nella porzione posta immediatamente a Sud della strada, con attività di restauro e recupero della cd. Osteria di Annibal Caro e dell’area adiacente per completare, con opere aggiuntive, la fruizione di tutta l’area.

Il Ponte della Badia di Vulci prima dei restauri visto dal letto del fiume Flora (foto sabap-vt-etru-mer)
Il ponte della Badia, che collega le due sponde del fiume Fiora nel punto più stretto, è un’opera molto stratificata e caratterizzata da una complessa processualità architettonica; presenta tre arcate, la maggiore delle quali ha una luce di 20 m, ed è sostenuto da due pile in opera quadrata. La fase costruttiva più antica risale all’epoca etrusca, a cui sono da riferire le parti in conci di tufo rosso; in epoca Repubblicana Romana le pile furono in parte ricostruite mediante opera cementizia rivestita da lastre di travertino; nel Medioevo furono aggiunti l’acquedotto, la spalletta meridionale e una pavimentazione. I danni rilevati a seguito delle piene consistevano principalmente nella perdita di molti blocchi di tufo e nenfro (in parte originali, in parte di restauro) della pila principale e nell’erosione della base fondale della spalla destra, a causa della conseguente diminuzione delle sezioni resistenti: tali danni creavano le premesse per una grave vulnerabilità dell’intera struttura.
Progetto Vulci 3000 della Duke University con la collaborazione della Fondazione Luigi Rovati. Nuove scoperte dalla città etrusca: è venuto alla luce il complesso sistema idraulico


Il team di ricercatori impegnato nella campagna di scavo 2021 a Vulci (foto flr)
Fondazione Luigi Rovati collabora con il progetto di ricerca Vulci 3000 della Duke University (Durham, North Carolina) incentrato sullo studio e l’interpretazione della trasformazione di Vulci (Viterbo) durante la transizione da città etrusca a città romana. Si tratta di un importante progetto di ricerca, con un team internazionale guidato dal prof. Maurizio Forte (Duke University), giunto oggi a un punto di svolta: dopo sette anni di lavoro con tecnologie d’avanguardia, è venuto alla luce il complesso sistema idraulico della città etrusca di Vulci, composto da canali e cunicoli perfettamente conservati, che permettono uno studio accurato delle infrastrutture urbane di epoca etrusca. Tra i ritrovamenti più interessanti durante gli scavi, una bocca di fontana in marmo a forma di Sileno, ovvero un satiro, che appartiene al mondo mitologico greco e fa parte, insieme alle baccanti, del corteo del dio del vino Dioniso.

Vulci rappresenta un bacino archeologico di grandissimo interesse che, attraverso gli scavi, porta alla luce l’evoluzione dell’area, con particolare attenzione allo sviluppo e alla trasformazione urbana, l’identità culturale, lo spazio pubblico e privato, le tecniche di produzione. Grazie all’uso di tecnologie avanzate è stato ricostruito digitalmente l’assetto della viabilità antica, di grande fascino anche per i non addetti ai lavori. L’acqua è l’elemento centrale di tutto lo scavo: pozzi, cisterne, reti idrauliche complesse caratterizzano le fasi etrusche e romane in un complicato disegno ancora tutto da decifrare. Un triennio di collaborazione (e sette di attività) hanno portato alla luce una rete di cunicoli scavati nel tufo che sembrano confluire tutti in una precisa area sotterranea; tra le scoperte una delle più interessanti è sicuramente una canaletta costruita in coppi con lettere e numerali etruschi incisi. Il sistema idraulico doveva prevedere il filtraggio dell’acqua che scorreva da Sud a Nord come tutte le altre canalizzazioni. Questo sistema di captazione e ridistribuzione indica una centralizzazione pubblica nella gestione delle infrastrutture, come avviene nelle città moderne. Fra i ritrovamenti più interessanti nelle campagne di scavo spiccano ceramiche etrusco-corinzie (fine VII-inizio VI sec. a.C.), attiche, materiale votivo e, soprattutto, un frammento di anfora attribuibile al Pittore di Micali. Una attestazione unica nel suo genere per l’area urbana, perché le opere di questo artigiano, che prende il nome da Giuseppe Micali – storico vissuto in età risorgimentale e primo ad averlo studiato -sembravano destinate esclusivamente al mondo funerario e qua si trovano invece in area urbana.


Grande cisterna individuata al di sotto del grande ambiente lastricato di Vulci (foto flr)
Tante le novità emerse dalle indagini dell’ultima campagna di scavo 2021: appare ormai chiaro che l’edificio pubblico affacciato sul Decumano e databile alla prima età imperiale – pavimentato con lastre di travertino e in origine riccamente decorato con marmi, stucchi e affreschi policromi – insiste, come gli ambienti circostanti, su una complessa stratificazione relativa alla fase etrusca del sito. Sempre più evidente, inoltre, il fondamentale ruolo avuto dall’acqua nell’intera area, da ricollegare, molto verosimilmente, a precise esigenze che travalicano la mera utilità pratica di questo bene preziosissimo: alla grande cisterna individuata al di sotto del grande ambiente lastricato, si sono aggiunti quest’anno un complesso sistema di cunicoli, oltre a pozzi e canalette. Interessantissima, in particolare, la canaletta individuata nel c.d. settore B, realizzata con coppi giustapposti, molti dei quali presentavano numerali o segni alfabetici in etrusco incisi sulla superficie.
Parco archeologico di Vulci. Scoperto nella “tomba dello Scarabeo d’oro” (fine VIII sec. a.C.), inviolata, il tesoro di una principessa etrusca bambina salvato al saccheggio dei tombaroli. Ad aprile scavi sistematici nell’area vulcente con archeologi internazionali
La chiamano “archeologia d’emergenza”. E stavolta non solo è stata tempestiva, ma anche coronata di successo. Succede a Vulci lo scorso febbraio. Una tomba nel parco archeologico di Vulci è a rischio saccheggio da parte dei tombaroli. Il pronto intervento della soprintendenza insieme all’ente Parco di Vulci permette di salvare una tomba dagli scavatori clandestini, riportando alla luce un piccolo tesoro appartenente a una principessa bambina: il corredo di una inumazione intatta, datata all’Orientalizzante Antico, cioè tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., il periodo più antico dell’Etruria. Una scoperta importante che ha convinto un gruppo internazionale di archeologi ad avviare a Vulci una nuova campagna di scavo sistematica dal prossimo 4 aprile.

Il tesoro della principessa bambina: corredo funebre intatto della Tomba dello scarabeo d’oro nei laboratori della Fondazione Vulci

Lo scarabeo, di produzione egizia, incastonato in argento con foglia d’oro, che ha dato il nome alla tomba etrusca della fine VIII sec. a.C.
Gli oggetti rinvenuti a febbraio sono stati portati nel Laboratorio di Analisi e Diagnostica di Montalto di Castro e prontamente sottoposti a un accurato intervento di conservazione da parte dei restauratori della Fondazione Vulci che ora hanno ricomposto il risultato del microscavo di emergenza nella cosiddetta Tomba dello Scarabeo d’oro (dall’oggetto più importante rinvenuto) nella necropoli di Poggio Mengarelli all’interno del Parco Archeologico Naturalistico di Vulci: tomba a fossa con cassa (anche detta “sepoltura a cassetta”) in materiale tufaceo inviolata, con all’interno un sarcofago di una fanciulla, presumibilmente deceduta intorno ai 13-14 anni di vita, seppellita insieme al suo preziosissimo corredo funebre: una rara “torque” fenicia (sorta di girocollo in ambra), due scarabei egizi (uno dei quali splendido incastonato in argento con foglia d’oro), fibule e vasellame di rara fattura. Si tratta verosimilmente di gioielli che le sono stati regalati alla nascita e servivano a testimoniare il suo alto lignaggio nell’aldilà. Della principessa restano solo alcune ossa, avvolte in un prezioso telo. Gli approfondimenti antropologici del sarcofago hanno portato anche a formulare l’ipotesi che la defunta fosse una principessa etrusca, una dignitaria da collocare nella nascente aristocrazia etrusca.
“Con la Grande campagna di scavi vulcenti che partirà in aprile, a Vulci, si aprirà una nuova pagina dell’archeologia etrusca, considerando che i ritrovamenti vulcenti sono tra i più ricchi del patrimonio di quella civiltà”, sottolinea Alfonsina Russo, soprintendente per l’Etruria meridionale del Lazio, alla conclusione del microscavo col ritrovamento del “tesoro della principessa”. E l’archeologo Carlo Casi, direttore scientifico del Parco archeologico di Vulci: “All’epoca della tomba dello Scarabeo d’oro, cioè alla fine dell’VIII sec. a.C., Vulci era una megalopoli straordinaria, estesa su oltre 100 ettari, dall’entroterra al mare, abitata da molte migliaia di persone. La sua eccezionalità è che nulla è stato più edificato sopra quelle aree. Una vasta campagna di scavi non può quindi che portare a risultati di grande importanza internazionale”.


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