Roma. Ai musei Capitolini ricomposta la mano del Colosso di Costantino col frammento di dito della collezione del marchese Campana del Louvre esposta nell’esedra di Marco Aurelio con i bronzi del Laterano

Chi da ieri – 29 aprile 2021 – visita i musei Capitolini a Roma e si ferma nell’Esedra del Marco Aurelio dove sono esposti i bronzi, già in Laterano, donati al Popolo Romano da papa Sisto IV nel 1471, trova una novità che è tale soprattutto per quanti quelle sale le hanno frequentate in passato: la mano del colosso bronzeo di Costantino dei Musei Capitolini appare completa, ricomposta con il frammento del dito in bronzo, coincidente con le due falangi superiori di un indice, proveniente dal Museo del Louvre, grazie alla generosa disponibilità del suo presidente-direttore Jean-Luc Martinez. È di grande significato – sottolineano ai Capitolini – che questa straordinaria ricomposizione della mano con il suo frammento, frutto di una proficua collaborazione tra Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e il Museo del Louvre, avvenga in occasione dei 550 anni della donazione sistina (1471-2021), vero e proprio atto di fondazione delle collezioni capitoline, ma anche a quasi 500 anni dalla loro separazione.

La mano del colosso di Costantino ai musei Capitolini prima dell’integrazione col frammento dal Louvre (foto Graziano Tavan)

La mano del colosso di Costantino ai Musei Capitolini, ricomposta col frammento proveniente dal Louvre (foto Zeno Colantoni)
Il frammento in bronzo arrivò a Parigi nel 1860 insieme a buona parte della collezione del marchese Giampietro Campana, uno dei protagonisti del panorama collezionistico romano degli anni centrali dell’Ottocento. In anni recenti è stato possibile riconoscere la pertinenza del frammento a una delle sculture più iconiche dell’antichità romana, il colosso in bronzo di Costantino, di cui restano ai Musei Capitolini la testa, la mano sinistra, con lacune in corrispondenza del dito indice, del medio, dell’anulare e del palmo, e una sfera un tempo sorretta dalla mano. La conferma dell’eccezionale scoperta è venuta nel maggio del 2018 grazie a una prova effettuata a Roma con un modello 3D del frammento parigino, operazione coordinata da Françoise Gaultier e da Claudio Parisi Presicce. Al successo dell’operazione sono seguiti la realizzazione di un calco in vetroresina della porzione di dito così ricomposta e la presentazione della mano originale, completata con le falangi mancanti, in occasione delle due grandi mostre dedicate alla collezione Campana: “Un rêve d’Italie. La collection du marquis Campana”, al Museo del Louvre, e “A Dream of Italy. The Marquis Campana Collection”, all’Ermitage di San Pietroburgo.

La prima descrizione dei frammenti del colosso bronzeo di Costantino risale alla metà del XII secolo, quando questi si trovavano ancora in Laterano. La maestosità dei resti, in cui per lungo tempo si è voluto riconoscere il colosso del Sole eretto un tempo accanto all’anfiteatro flavio, denominato Colosseo per assimilazione con esso, e la preziosità del materiale sono menzionati in numerose cronache e descrizioni medioevali e quattrocentesche. La mano con il globo (integra) e la testa, ciascuna collocata su un capitello, sono riconoscibili in un disegno attribuito a Feliciano Felice del 1465, in cui campeggia, al centro, la statua equestre del Marco Aurelio, anche questa, fino al 1538, in Laterano. Con il trasferimento in Campidoglio nel 1471, la testa colossale trova la sua sistemazione sotto i portici del Palazzo dei Conservatori. L’ultima attestazione dell’integrità della mano è documentata da fonti databili entro la fine degli anni Trenta del Cinquecento. Testimonianze grafiche, di poco successive, mostrano la mano colossale separata dalla sfera e con l’indice già privo delle due falangi superiori. Il frammento oggi al Louvre, dunque, potrebbe essere entrato nel circuito del mercato antiquario romano già in questa fase molto precoce. Comunque nulla si sa del frammento fino alla sua ricomparsa, nella prima metà dell’Ottocento nella collezione del Marchese Campana. Ulteriori ricerche potranno chiarire le vicende del frammento in questo ampio lasso di tempo.
Roma. Presentata la mostra “I Marmi di Torlonia. Collezionare capolavori”: oltre novanta opere greco-romane selezionate tra i 600 marmi della più prestigiosa collezione privata di sculture antiche al mondo, anche definita “la collezione delle collezioni”. Ora l’impegno è di giungere al museo Torlonia a Roma. Franceschini: “Lo Stato mette luoghi e risorse. Un’idea? Palazzo Silvestri Rivaldi in via dei Fori Imperiali, ora in disuso”


La locandina della mostra “The Torlonia Marbles. Collecting Masterpieces / I Marmi Torlonia. Collezionare capolavori” a Palazzo Caffarelli ai Musei Capitolini
Sono passati 135 anni da quando il principe Alessandro Torlonia aveva dato forma al suo progetto ambizioso e innovativo, la creazione di un museo Torlonia con le collezioni confluite nei secoli nel patrimonio di famiglia, accompagnato da un catalogo delle opere, altrettanto innovativo, a cura di Carlo Ludovico Visconti con fototipie, storia e bibliografia. Sono passati invece quattro anni dalla firma dell’accordo tra la Fondazione Torlonia e il ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo per la realizzazione di una grande mostra sulla collezione Torlonia e avviare finalmente la creazione a Roma di un museo nazionale Torlonia (“Lo Stato Italiano – ha assicurato il ministro Dario Franceschini – è pronto a mettere a disposizione luoghi e risorse per realizzarlo”). È da questi due punti fermi, due fatti storici, quasi due sogni, che parte il progetto che confluisce ora nella grande mostra “I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori” che dal 14 ottobre 2020 al 29 giugno 2021 apre al pubblico negli ambienti espositivi dei Musei Capitolini a Villa Caffarelli, tornati alla vita dopo oltre cinquanta anni grazie all’impegno di Roma Capitale per restituire alla cittadinanza un nuovo spazio espositivo progettato e interamente curato della Sovrintendenza capitolina.
Oltre novanta opere greco-romane sono state selezionate tra i marmi della più prestigiosa collezione privata di sculture antiche al mondo. L’esposizione è il risultato di un’intesa del ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo con la Fondazione Torlonia; e nello specifico, per il Ministero, della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio con la Soprintendenza Speciale di Roma. Il progetto scientifico di studio e valorizzazione della collezione è di Salvatore Settis, curatore della mostra con Carlo Gasparri. Electa, editore del catalogo, cura anche l’organizzazione e la promozione dell’esposizione. Il progetto d’allestimento è di David Chipperfield Architects Milano. La Fondazione Torlonia ha restaurato i marmi selezionati con il contributo di Bvlgari che è anche main sponsor della mostra. Il progetto della luce è stato scritto da Mario Nanni, lumi Viabizzuno.


Virginia Raggi, sindaco di Roma
Alla presentazione ufficiale della mostra (in streaming, nel rispetto delle misure anti-Covid) i commenti sono stati entusiasti, a iniziare dal sindaco di Roma, Virginia Raggi: “Con questa mostra potremo godere di opere d’arte uniche e preziose, di una collezione privata dal valore inestimabile, che diventa patrimonio di tutti. Le Istituzioni hanno il dovere di promuovere, sostenere e diffondere la cultura e l’arte italiana fuori dai nostri confini. La mostra, che presentiamo oggi, è un’ulteriore conferma di come Roma sia simbolo d’arte e cultura nel mondo. La mostra è frutto di una grande collaborazione tra pubblico e privato, dalla Fondazione Torlonia alla Maison Bvlgari, dallo studio Chipperfield a Electa, che ha consentito il recupero di questi marmi pregevoli. È importante perché è l’occasione per restituire al pubblico le sale di Villa Caffarelli. Ed è importante perché rientra nel 150° anniversario di Roma Capitale. E poi viaggerà nel mondo in un programma itinerante tra le principali capitali, creando così un ponte tra popoli e culture, perché l’arte parla a tutti”.


Il ministro per i Beni e le Attività culturali e il Turismo, Dario Franceschini

Palazzo Silvestri Rivaldi in via dei Fori imperiali a Roma
Dario Franceschini, ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo: “Oggi viviamo un momento importante di un percorso molto lungo: non ci possiamo nascondere che della collezione Torlonia si parla da decenni. Quando nel 2015 incontrai per la prima volta il principe Torlonia e parlammo del progetto di una grande mostra e della creazione di un grande museo a Roma, sembrava un sogno impossibile. Oggi invece stiamo dimostrando che quell’accordo comincia a prendere forma. Questa mostra è un evento straordinario che segna un passo ulteriore verso il pieno ritorno alla luce dei marmi Torlonia, la più importante collezione di arte greco-romana privata esistente al mondo rimasta a lungo celata. Si tratta di un’operazione culturale di livello internazionale, resa possibile da un fattivo e proficuo dialogo tra pubblico e privato, che permetterà al pubblico di godere della bellezza di capolavori straordinari dell’antichità. Ma questo, come detto, è solo il primo passo. Il ministero in accordo con tutti gli attori coinvolti nel progetto vuole individuare un luogo a Roma dove rendere visibili per sempre questi capolavori. Lo Stato Italiano è pronto per mettere a disposizione luoghi e risorse per creare il grande museo Torlonia. Un’idea, ma non se ne è ancora discusso nelle sedi appropriate con tutti gli enti interessati, potrebbe essere Palazzo Silvestri Rivaldi in via dei Fori Imperiali: un luogo prestigioso in un’area prestigiosa. L’edificio è dello Stato e in disuso. Per ora abbiamo stanziato 40 milioni per la sua ristrutturazione. Se poi non sarà idoneo per il museo Torlonia, sarà comunque uno spazio speciale per altri progetti culturali”.

Alessandro Poma Murialdo, presidente Fondazione Torlonia: “La mostra apre nel 150° di Roma Capitale, che è proprio quando Alessandro Torlonia concepiva la sua idea di museo, progetto ambizioso fin dalla sua nascita, passando dal collezionismo al museo promosso da un privato a fine Ottocento con concetti moderni: pensiamo che già nel 1884 usciva il primo catalogo delle opere della collezione Torlonia a cura di Visconti che censì tutti i marmi in schede complete di straordinari fototipie, storia e bibliografia. E l’edizione ottocentesca, come lo è ora la mostra con il catalogo, fu concepita per diffondere nel mondo la cultura. La collezione era di proprietà di Alessandro Torlonia, nipote dell’omonimo principe che nell’Ottocento la creò. Con le guerre ci fu la necessità di metterla in sicurezza. Venti capolavori furono portati prima a Villa Albani e poi a Palazzo Torlonia in via della Conciliazione. Gli altri finirono nei sotterranei del museo, che diventarono in seguito i depositi della collezione. Con gli anni ’60 del Novecento Torlonia cominciò a progettare una sistemazione definitiva (leggi museo) della collezione. Ma per motivi diversi tutte le varie ipotesi avanzate fallirono. Nacque allora la Fondazione Torlonia per dare un metodo moderno alla mission di sempre: approfondire, studiare, valorizzare il patrimonio di famiglia. La Collezione Torlonia e Villa Albani Torlonia sono due straordinari complessi artistici destinati ad incontrarsi nel corso della storia, scoperti e preservati con cura grazie alla passione per l’arte di diverse generazioni della Famiglia Torlonia che trova il suo compimento nella Fondazione. Essere un’istituzione culturale dedicata ad un patrimonio storico e artistico di tale rilevanza nell’epoca delle industrie 4.0, apre nuovi scenari di cui la Fondazione Torlonia vuol essere protagonista, utilizzando l’efficacia delle tecnologie più innovative per trasmettere la più grande eredità culturale della Famiglia condividendo obiettivi e risultati tracciati nella storia stessa di questo eccezionale patrimonio artistico: l’apertura dei Laboratori Torlonia per lo studio ed il restauro degli oltre seicento marmi Torlonia, l’innovativo programma di conservazione di Villa Albani Torlonia e la mostra I marmi Torlonia. Collezionare Capolavori sono il suggello di un metodo progressivo, che assicura la trasmissione di una componente essenziale della nostra identità culturale, alle nuove generazioni”.

Lucia Boscaini per Jean Christoph Babin, amministratore delegato Bvlgari: “Per un gioielliere, non c’è nulla di più esaltante della scoperta di un nuovo tesoro. Con grande orgoglio ed entusiasmo Bvlgari ha partecipato in qualità di sponsor al restauro degli oltre 90 esemplari di marmi antichi, un tesoro inestimabile che finalmente si svela al pubblico. Per Bvlgari si è trattato di un omaggio alle radici greche e romane dell’azienda, nel quadro delle molteplici iniziative di mecenatismo per la Città Eterna promosse da diversi anni a questa parte. Questa mostra offrirà al pubblico romano e internazionale la possibilità di ammirare questi incredibili pezzi unici, autentici gioielli di arte classica che restituiscono ai nostri occhi la grandezza della storia greca e romana, il fascino della mitologia, il carisma degli imperatori, l’infinita grazia di ninfe e dee. La magnificenza e lo splendore di queste statue sono oggi un nuovo dono per i nostri occhi, fulgidi esempi di un’arte che ha forgiato per sempre il nostro senso estetico”.

Architetto Cristiano Billia per il gruppo di progettazione di David Chipperfield Architects Milano: “È stata un’esperienza straordinaria lavorare alla creazione di uno spazio architettonico per la prima esposizione pubblica della Collezione Torlonia, in stretta collaborazione con la Fondazione Torlonia, il professor Salvatore Settis e il professor Carlo Gasparri. Come architetti, è un privilegio allestire queste sculture di una bellezza senza tempo ed essere incaricati di sviluppare gli spazi espositivi all’interno della storica Villa Caffarelli. L’idea dell’allestimento si basa sul catalogo Visconti del 1884. Siamo partiti da quelle bellissime fototipie che grazie al fondo nero danno risalto a ogni dettaglio e forza alle opere. Per questo abbiamo creato degli sfondi monocromi agli ambienti, scegliendo cinque colori diversi per le cinque sezioni della mostra, che danno più dettagli alle opere esposte. Mentre un sistema di plinti variabili esprime la varietà e la dimensione delle sculture E poi abbiamo pensato a una pavimentazione degli ambienti con mattoni in argilla nera artigianali che uniformano e articolano le diverse sale. Questa soluzione si ispira all’architettura romana e al contempo al tempio di Giove Capitolino sotto Villa Caffarelli”.


L’archeologo Salvatore Settis
Salvatore Settis, curatore della mostra: “Con questa mostra oggi ci possiamo fare un’idea di come poteva essere alla fine dell’Ottocento il grande museo Torlonia. Questa mostra è una promessa: nell’accordo del 2016 ci si impegnava a realizzare il museo Torlonia a Roma. Tra molte difficoltà questa mostra è il primo passo nella realizzazione di quell’impegno grazie a un team di persone che non hanno mai smesso di credere in questo progetto. Ma questa mostra è anche il racconto di una collezione di collezioni. Noi in mostra presentiamo “solo” il 15% del patrimonio dei Torlonia. E quindi ci siamo trovati di fronte alla necessità di una scelta che permettesse di raccontare questa straordinaria storia del collezionismo romano che va dal Quattrocento e arriva ai nostri giorni, frutto di scavi diretti e acquisizioni di intere collezioni come di singole opere, messe insieme per la gloria della famiglia. Questo racconto lo abbiamo sintetizzato in cinque sezioni: nella prima si focalizza il museo Torlonia, come è stato pensato nell’Ottocento; nella seconda c’è una selezione dei marmi provenienti da scavi; con la terza si presentano le opere giunte da collezioni settecentesche; la quarta invece è incentrata sulla ricca collezione Giustiniani; infine nella quinta ci sono i capolavori affluiti nel corpus Torlonia fin dal Quattrocento. È un percorso che ci porta a scoprire come è nato il collezionismo di antichità a Roma. E da lì si passa, grazie alla collaborazione con i musei Capitolini, nell’esedra del Marco Aurelio dove per l’occasione saranno riuniti tutti i bronzi, che erano al Laterano, e furono restituiti da Papa Sisto IV “al popolo romano” nel 1471, dando vita al primo nucleo dei musei Capitolini”.
Roma. Ai musei Capitolini, il museo pubblico più antico del mondo, con capolavori antichi unici, ora anche la mostra “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi” nel cinquantenario della scomparsa del grande storico dell’arte
Papa Sisto IV donando solennemente al Popolo Romano nel 1471 alcune antiche statue in bronzo già conservate al Laterano (la Lupa, lo Spinario, il Camillo e la testa colossale di Costantino, con il globo e la mano) costituì il primo nucleo dei musei Capitolini, che sono quindi il museo pubblico più antico del mondo. Le raccolte dei musei Capitolini di Roma sono esposte nei due edifici che insieme al Palazzo Senatorio delimitano la piazza del Campidoglio, il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo, collegati tra loro da una galleria sotterranea che ospita la Galleria Lapidaria e conduce all’antico Tabularium, le cui arcate monumentali si affacciano sul Foro Romano.
In questi spazi museali unici, per ricchezza dei pezzi esposti e delle architetture, che dialogano con uno dei colli più importanti di Roma, il Campidoglio, centro della vita religiosa della Roma antica e sede delle magistrature civili cittadine a partire dal Medioevo, fino al 13 settembre 2020, nelle sale di Palazzo Caffarelli è possibile visitare la mostra curata da Maria Cristina Bandera “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”. La pittura di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, e della sua cerchia rappresenta infatti la centralità delle ricerche di Roberto Longhi, una delle personalità più affascinanti della storia dell’arte del XX secolo, di cui ricorre nel 2020 il cinquantenario della scomparsa. Inizialmente programmata a partire dal 12 marzo 2020 e sospesa per le misure di contenimento del Covid-19, la mostra è stata aperta il 16 giugno 2020 nel rispetto delle linee guida formulate dal Comitato Tecnico Scientifico per contenere la diffusione del Covid-19 consentendo, al contempo, lo svolgimento di una normale visita museale. L’ingresso prevede la prenotazione obbligatoria con il preacquisto del biglietto sul sito www.museiincomuneroma.it

Il “Ragazzo morso da un ramarro” di Caravaggio, capolavoro della collezione di Roberto Longhi (foto musei Capitolini)
In mostra sarà esposto uno dei capolavori di Caravaggio, acquistato da Roberto Longhi alla fine degli anni Venti: il Ragazzo morso da un ramarro. L’opera, che risale all’inizio del soggiorno romano di Caravaggio e databile intorno al 1596-1597, colpisce innanzitutto per la resa del brusco scatto dovuto al dolore fisico e alla sorpresa, che si esprimono nella contrazione dei muscoli facciali del ragazzo e nella contorsione della sua spalla. Ma anche per la “diligenza” con cui il pittore ha reso il brano della natura morta con la caraffa trasparente e i fiori, come sottolineò Giovanni Baglione già nel 1642. Nella sala introduttiva, dedicata alla figura di Roberto Longhi e alla Fondazione da lui istituita, è esposto un disegno a carboncino della sola figura del ragazzo, tratto dallo stesso Roberto Longhi, che vi appose la propria firma e la data 1930. Si tratta di un d’après, dal foglio a grandezza quasi naturale, che non solo dimostra l’abilità di disegnatore dello storico dell’arte, ma che soprattutto ne attesta la perfetta comprensione dell’organizzazione luminosa del dipinto che aveva davanti agli occhi. In seguito, al Caravaggio e ai cosiddetti “caravaggeschi” lo storico dell’arte dedicò un’intera vita di studi, dal primo saggio del 1913 alla monografia Caravaggio del 1952, anticipata l’anno precedente dalla Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi, allestita a Milano in Palazzo Reale, che riscosse un immediato successo di pubblico, contribuendo alla successiva e immensa fortuna dell’artista.

La “Deposizione di Cristo” di Battistello Caracciolo, opera nella collezione di Bruno Longhi (foto musei Capitolini)
La mostra si apre con queste suggestive parole, scritte da Roberto Longhi nel 1951: “Dopo il Caravaggio, i caravaggeschi. Quasi tutti a Roma, anch’essi, e da Roma presto diramatisi in tutta Europa. La “cerchia” si potrà dire, meglio che la scuola; dato che il Caravaggio suggerì un atteggiamento, provocò un consenso in altri spiriti liberi, non definì una poetica di regola fissa; e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari”. Quattro tavolette di Lorenzo Lotto e due dipinti di Battista del Moro e Bartolomeo Passarotti aprono il percorso espositivo con l’intento di rappresentare il clima artistico del manierismo lombardo e veneto in cui si è formato Caravaggio. Oltre al Ragazzo morso da un ramarro è in mostra Il Ragazzo che monda un frutto, una copia antica da Caravaggio, che Longhi riteneva una “reliquia”, tanto da esporla all’epocale rassegna di Palazzo Reale a Milano nel 1951. A seguire sono esposti oltre quaranta dipinti degli artisti che per tutto il secolo XVII sono stati influenzati dalla sua rivoluzione figurativa. Tra questi è possibile ammirare tre tele di Carlo Saraceni; l’Allegoria della Vanità, una delle opere più significative di Angelo Caroselli; l’Angelo annunciante di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo; la Maria Maddalena penitente di Domenico Fetti; la splendida Incoronazione di spine di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. Tra i grandi capolavori del primo caravaggismo spiccano inoltre cinque tele raffiguranti Apostoli del giovane Jusepe de Ribera e la Deposizione di Cristo di Battistello Caracciolo, tra i primi seguaci napoletani del Caravaggio. La Negazione di Pietro è poi il grande capolavoro di Valentin de Boulogne, recentemente esposto al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museo del Louvre di Parigi, la cui ambientazione è un preciso riferimento alla famosa Vocazione di San Matteo di Caravaggio, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Con opere di rilievo sono presenti anche artisti fiamminghi e olandesi come Gerrit van Honthorst, Dirck van Baburen e soprattutto Matthias Stom. Notevoli anche le opere di due pittori di incerta identità, noti come Maestro dell’Emmaus di Pau e Maestro dell’Annuncio ai pastori, oltre a due piccoli ma significativi paesaggi di Viviano Codazzi e Filippo Napoletano. Tra gli altri grandi artisti si segnalano i genovesi Bernardo Strozzi, Giovanni Andrea De Ferrari e Gioacchino Assereto. E ancora: Andrea Vaccaro, Giovanni Antonio Molineri, Giuseppe Caletti, Carlo Ceresa, Pietro Vecchia, Francesco Cairo e Monsù Bernardo. A una stagione più avanzata sono riferibili due capolavori di Mattia Preti – l’artista che più di ogni altro contribuì a mantenere fino alla fine del Seicento la vitalità della tradizione caravaggesca – e due bellissime tele di Giacinto Brandi con le quali si conclude il percorso espositivo. La mostra è accompagnata da un catalogo realizzato da Marsilio Editori che presenta le opere del Caravaggio e dei suoi seguaci nella Collezione Longhi, corredate da una scheda e da una breve biografia degli artisti.
Torniamo ai Musei Capitolini. Nel Palazzo Nuovo, in un ordinamento museale di grande fascino rimasto sostanzialmente invariato dal Settecento, sono conservate le raccolte di sculture antiche frutto del collezionismo delle grandi famiglie nobiliari dei secoli passati: famosissime le raccolte dei busti di filosofi e di imperatori romani, la statua del Galata morente, la Venere Capitolina e l’imponente statua di Marforio che domina il cortile. Il Palazzo dei Conservatori mostra nelle sale dell’Appartamento l’originale nucleo architettonico dell’edificio, decorato da splendidi affreschi con le storie di Roma e nobilitato dalla presenza degli antichi bronzi capitolini: la Lupa, lo Spinario, il Bruto Capitolino. La grande aula vetrata realizzata al primo piano del palazzo custodisce la statua equestre in bronzo di Marco Aurelio, già sulla piazza capitolina, e gli imponenti resti del tempio di Giove Capitolino, affiancati da una sezione dedicata alla più antica storia del Campidoglio, dalle prime frequentazioni alla costruzione dell’edificio sacro, con i risultati dei recenti scavi. Le sale che si affacciano sull’aula ospitano le opere provenienti dagli Horti dell’Esquilino, quelle di raccordo con l’Appartamento dei Conservatori la Collezione Castellani, testimonianza del collezionismo ottocentesco. Al secondo piano la Pinacoteca Capitolina presenta, in un percorso ordinato cronologicamente dal tardo Medioevo al Settecento, opere di grande rilevanza, come i quadri del Caravaggio (la Buona Ventura e il San Giovanni Battista), la grande tela del Guercino (il seppellimento di Santa Petronilla) e un consistente nucleo di dipinti di Guido Reni e Pietro da Cortona. Nel Palazzo Caffarelli-Clementino sono situati il Medagliere Capitolino, con le preziose raccolte di raccolte di monete, medaglie, gemme e gioielli, e uno spazio dedicato alle mostre temporanee.
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