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L’Antico Egitto a Vittorio Veneto. “Il tempio del faraone Seti I” ad Abido nella mostra di Paolo Renier alla Rotonda

La locandina della mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I:  le sacre rappresentazioni” alla Rotonda di Vittorio Veneto

La locandina della mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I: le sacre rappresentazioni” alla Rotonda di Vittorio Veneto

La Rotonda di Vittorio Veneto, sede della mostra di Renier

La Rotonda di Vittorio Veneto, sede della mostra di Renier

L’Antico Egitto torna o, meglio, resta nella Marca Trevigiana. Dopo le esperienze di Conegliano (con la mostra a Palazzo Sarcinelli “Egitto, come Faraoni e Sacerdoti nel tempio di Osiride custodi di percorsi ormai inaccessibili”, vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=conegliano) e di Oderzo (con la mostra a Palazzo Foscolo “Omaggio a Tutankhamon.  L’Arte Egizia incontra l’Arte Contemporanea”, vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=oderzo ) ora tocca a Vittorio Veneto dove il 25 aprile, alla Rotonda, in piazza Giovanni Paolo I, si inaugura una nuova mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I:  le sacre rappresentazioni”, proposta sempre da Paolo Renier grazie all’invito e alla collaborazione della associazione Zheneda e di Ceneda Arte e Cultura con il patrocinio della Città di Vittorio Veneto. Renier viene così incontro a quanti, con insistenza, avevano chiesto di prorogare l’esperienza coneglianese. Ma attenzione, a Vittorio Veneto non sarà una “copia” di quanto proposto a Palazzo Sarcinelli. Anzi, sarà un allestimento del tutto originale dove, ovviamente, non potrà mancare l’esposizione in scala 1:1 del soffitto astronomico dell’Osireion di Abido (vero unicum che può permettersi di mostrare solo Paolo Renier che lo fotografò dettagliatamente qualche anno fa) e un excursus su Abido, la città sacra dedicata a Osiride il dio dell’Aldilà e della resurrezione. Ma stavolta il focus sarà incentrato tutto sul grande faraone Seti I, il padre di Ramses II, sotto il cui regno l’arte egizia toccò uno dei suoi punti più elevati, un vero “rinascimento”. E capolavoro dei capolavori è proprio il tempio che Seti I realizzò ad Abido e che oggi, come sanno i fortunati che riescono ad arrivare nella città sacra di Osiride, accoglie – quasi abbraccia – gli ospiti con la sua monumentale facciata che in origine doveva misurare 180 metri, e oggi – perdutane una parte – raggiunge gli 80 metri, che sono pur sempre dimensioni ragguardevoli.

Gigantografie dei rilievi del tempio di Seti I ad Abido realizzate da Paolo Renier

Gigantografie dei rilievi del tempio di Seti I ad Abido realizzate da Paolo Renier

Il tempio di Seti I, dedicato a Osiride, noto come “grande tempio di Abido”, scoperto nel 1830, venne eretto per venerare gli antichi sovrani, la cui necropoli si trovava presso le sue mura. Secondo sovrano della XIX dinastia, Sethi I ascese al trono circa 30 anni dopo la caduta del regno di Akhenaton. Il tempio, in finissima pietra calcarea, a forma di L, è uno tra i più belli per lo stato straordinario di conservazione in cui si trova e per i rilievi policromi tra i più belli del Nuovo Regno. Sono proprio questi rilievi (“Le sacre rappresentazioni”, come ricorda il titolo della mostra) oggetto dell’allestimento di Vittorio Veneto, riprodotti come non si possono ammirare da nessun’altra parte grazie alle riproduzioni in scala 1:1 e alle gigantografie di Paolo Renier che qui mostra tutta la sua abilità e sensibilità di fotografo e di appassionato dell’Antico Egitto. Qualità ed esperienze esaltate, all’inizio dell’avventura di Renier ad Abido, dal decano degli egittologi italiani, Sergio Donadoni, uno dei massimi ricercatori del Novecento, che ha da qualche settimana tagliato il traguardo delle cento candeline. Scrisse Donadoni: “L’opera di Renier è frutto ed espressione di uno specifico innamoramento per una specifica località, in confronto con l’aspirazione alla totalità propria degli altri: non l’Egitto in genere, ma Abido è quel che incanta questo osservatore. Un centro che merita una simile dedizione, carico com’è di storia, di significato, di arte. Renier si muove senza altra pretesa se non quella di dirci come il suo occhio si sia compiaciuto di questa o quella visione, di questa o quella possibilità di sfruttarla figurativamente.  Se conosce il valore storico dei vari monumenti, delle varie rappresentazioni, non è di quello che ha fatto la sua guida nella sua scelta e nel suo approccio. Alla esigenza del “capire” il passato e l’arte del passato oppone quella, non meno essenziale ed autentica, del sentirlo. Sono due modi diversi e complementari di far valer quello che è la vera caratteristica dell’arte, il suo essere in perpetuo contemporanea di chi se ne appropri il messaggio”.

Paolo Renier con gli organizzatori di Vittorio Veneto davant ai pannelli del Soffitto astronomico della Stanza del Sarcofago

Paolo Renier con gli organizzatori di Vittorio Veneto davant ai pannelli del Soffitto astronomico della Stanza del Sarcofago

Vediamo un po’ meglio come si articola la mostra di Vittorio Veneto. All’ingresso della mostra il visitatore è accolto da una presentazione generale del sito di Abido con una descrizione dell’area archeologica, poi scendendo una scalinata (proprio come se si entrasse in una tomba) si troverà dentro al tempio del faraone Seti I, padre di Ramses II, così il visitatore potrà ammirare i rilievi delle sacre rappresentazioni dove le straordinarie immagini di Renier esaltano l’arte decorativa dell’Antico Egitto: qui tocca veramente i momenti più alti. Si potrà poi essere accompagnati nel cuore della mostra, entrando nella Stanza del Sarcofago che conserva il famoso Soffitto astronomico: qui l’opera documentaria di Paolo Renier non è solo importante sotto il profilo artistico, ma anche scientifico, permettendo un primo anche se parziale salvataggio del reperto e costituendo una fonte fotografica integrale e a grandezza originale.  Le due splendide divinità Nut scolpite nel Soffitto, costituiscono non solo due eccezionali espressioni artistiche del Nuovo Regno, ma anche due preziosi documenti storici di inestimabile valore, un tesoro eccezionale per la storia dell’astronomia e della religione egizia. La mostra si inaugura il 25 aprile alle 18 e sarà poi aperta al pubblico tutti i sabati e domeniche dalle 15 alle 19 fino al mese di luglio, con ingresso gratuito (visite guidate solo su prenotazione mail: info@studiorenierpaolo.it – cell. 333.9628610),

L’Egitto a Oderzo. Omaggio a Tutankhamon: prorogata a grande richiesta la mostra di Palazzo Foscolo. Visita guidata con l’egittologa Avanzo. Serata speciale con i fratelli Castiglioni e il film su Adulis

Una tavola ad acquerello con soggetto sull'Antico Egitto nella mostra di Oderzo "Omaggio a Tutankhamon"

Una tavola ad acquerello ispirata all’Antico Egitto nella mostra di Oderzo “Omaggio a Tutankhamon”

Il manifesto dell'incontro a Oderzo con i fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni

Il manifesto dell’incontro a Oderzo con i fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni

Dovevano essere queste le ultime tre settimane di apertura della mostra “Omaggio a Tutankhamon.  L’Arte Egizia incontra l’Arte Contemporanea” prevista fino al 3 maggio a Palazzo Foscolo a Oderzo, nel Trevigiano (vedi il post su archeologiavocidalpassato https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=oderzo). Invece proprio il grande e crescente successo dell’iniziativa curata da Donatella Avanzo (già quattromila visitatori) hanno convinto gli organizzatori a un’eccezionale proroga fino al 31 maggio. L’annuncio venerdì 10 aprile alle 20.30, nell’ambito degli “Incontri” collaterali alla mostra. Appuntamento imperdibile per gli esperti del settore e per tutti gli appassionati di storia e archeologia: il 10 aprile saranno infatti ospiti a Palazzo Foscolo due relatori di fama internazionale: i fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni che presenteranno il loro ultimo film “Ritorno ad Adulis” sul favoloso Regno di Aksum. Un’occasione in più per andare a Oderzo e visitare la mostra “Omaggio a Tutankhamon” che propone per la prima volta la ricostruzione nelle dimensioni reali della camera funeraria del giovane faraone.

Il faraone sul carro da guerra in ceramica raku esposto nella mostra di Oderzo

Il faraone sul carro da guerra in ceramica raku esposto nella mostra di Oderzo

L'egittologa Donatella Avanzo, curatrice della mostra di Oderzo su Tut

L’egittologa Donatella Avanzo, curatrice della mostra di Oderzo

Ancora una mostra su Tutankhamon? “Certo”, assicura l’egittologa Donatella Avanzo, “ma una mostra del tutto particolare a cominciare dal titolo: l’omaggio a un re dell’antico Egitto ha radici lontane nel tempo. Il primo a realizzarlo è stato un padovano trapiantato in Inghilterra, Giovanni Battista Belzoni, che nel 1821 a seguito della sua scoperta, la tomba di Sethi I, quattro anni prima, ne ricreò la camera sepolcrale a grandezza naturale in un allestimento per l’epoca eccezionale che riscosse una accoglienza entusiastica a Londra e a Parigi”. Da quel lontano 1821 la tecnologia dei giorni nostri ha permesso di realizzare qualcosa di totalmente innovativo che h prodotto come risultato finale la camera funeraria del faraone Tutankhamon. Il giovane re, prima che avvenisse la scoperta della sua tomba nel 1922, era uno dei sovrani meno conosciuti della storia dell’antico Egitto. Oggi il suo nome e la sua maschera sono diventati familiari a milioni di persone nel mondo contribuendo a rilanciare presso il grande pubblico la passione per l’antica civiltà egizia. Ed è proprio la “passione” di un imprenditore artigiano come Gianni Moro, spiega Avaanzo, la molla che ha permesso la realizzazione di questa mostra. Nella prestigiosa sede di Palazzo Foscolo a Oderzo è stata realizzata in dimensione reale la camera funeraria dell’ultima dimora del giovane sovrano. La ricostruzione perfetta fin nei minimi dettagli ha visto la collaborazione di egittologi, artigiani, fotografi, architetti, tecnici informatici e del colore. Ma l’omaggio a Tutankhamon non si esaurisce con la ricostruzione della sua dimora per l’eternità che, in questa mostra, viene affiancata dalle opere di importanti artisti contemporanei in costante dialogo con l’arte egizia.

 

La ricostruzione della camera funeraria di Tutankhamon in scala 1:1 in esclusiva nella mostra "Omaggio a Tutankhamon" a Oderzo

La ricostruzione della camera funeraria di Tutankhamon in scala 1:1 in esclusiva nella mostra “Omaggio a Tutankhamon” a Oderzo curata da Donatella Avanzo

Camera funeraria di Tutankhamon. La realizzazione della camera funeraria a grandezza reale, spiega Donatella Avanzo, è stata possibile grazie a un attento esame del materiale fotografico relativo alla struttura esterna e alle pitture presenti all’interno della tomba, fornite dai fotografi Giacomo Lovera e Sandro Vannini. Gianni Moro ha quindi progetto e realizzato una struttura portante in materiale ligneo, rivestita nelle parti interne da un intonaco innovativo sulla cui superficie è stato applicato il ciclo pittorico. Per la parte relativa al soffitto della camera funeraria sono state prese in considerazione le fotografie scattate da Howard Carter al momento della scoperta, le quali mettevano in evidenza l’irregolarità e i danni del tempo trascorso, e non quelle eseguite dopo gli integrativi restauri di consolidamento. Per la realizzazione sono stati necessari tre anni di studi e progetti e un anno per la realizzazione.

Nella mostra "Omaggio a Tutankhamon" l'arte contemporanea dialoga con l'antico Egitto

Nella mostra “Omaggio a Tutankhamon” l’arte contemporanea dialoga con l’antico Egitto

Gioielli moderni ispirati all'oreficeria dell'antico Egitto

Gioielli moderni ispirati all’oreficeria dell’antico Egitto

Tutankhamon e il suo tempo dialogano con l’arte contemporanea. Secondo Tolstoj “l’arte buona è sempre comprensibile a tutti”. “La vera arte suscita un positivo “contagio” completamente differente dagli altri, una gioia spirituale in coloro che contemplano la stessa opera”, spiega la curatrice della mostra di Oderzo. E deve essere proprio con questo spirito che molti artisti di oggi hanno voluto riannodare il sottile filo conduttore che li lega alla lunga e importante stagione dell’arte egizia. è la stessa egittologa Avanzo che ci descrive questo rapporto magico tra Antico Egitto e arte contemporanea. “La mostra accoglie le magnifiche sculture in vetro del veneziano Luciano dall’Acqua, che evocano l’antica scrittura egizia, unite a dipinti e incisioni di rara bellezza; le opere simboliste di Luca Bossaglia, moderno Efesto, che usa il metallo per forgiare i suoi alberi infiniti; E poi ancora uno scultore del legno come Fabrizio Roccatello con la sua dea Madre. Un altro aspetto della mostra è la presenza di importanti ceramisti quale il maestro Piero Della Betta con le sue porte pronte ad aprirsi su altri mondi e Giuliana Cusino con le sue grandi e raffinate opere. Altri piccoli capolavori dell’arte egizia prendono vita dalle sapienti mani Sonia Girotto, Nadia Burci, Grimm Idar Oberstein, Moroder Ortisei.E che dire delle splendide talatat di Tiziana Berrola, toccanti nella loro essenza. Un’altra opera emblematica è il mosaico del maestro Ezio Burigana, il quale riprende una testa di Tutankhamon che emerge da un fiore di loto. La figura dell’archeologo Howard Carter è evocata da una scultura di Massimo Voghera pervasa da una forte ironia. Si prosegue con una nutrita schiera di dipinti quali la grande tela di Valeria Tomasi immersa in un pulviscolo d’oro e le figure di Nefertiti e della giovane sposa del faraone ben interpretate da Silvana Alasia proseguendo con le opere materiche di Giuseppe De Bartolo passando attraverso l’opera onirica di Silvia Gariglio. Seguono due tele che sono frutto di un dialogo costante con la figura del grande artista David Roberts: l’acrilico notturno de Il Cairo di Natalia Alemanno e l’acquerello “Fantasie d’Egitto” di Attilio Dal Palù. Al mondo del divino appartiene l’opera di Nicoletta Nava, mentre l’arte della fotografia ci regala un moderno visionario come Candido Bergeretti Cavion e il rayogramma di Renzo Miglio con il suo Egitto mitologico. A Marco Casagrande e a Tin Carena spetta il compito di rappresentare il fascino senza tempo dei gioielli”.

Viaggio nella terra dei Veneti antichi

"Venetkens", la grande mostra a Padova

“Venetkens”, la grande mostra a Padova

La grande mostra “Venetkens” a Padova chiude il 17 novembre

Rimane poco meno di un mese per un viaggio, unico e irripetibile, nella terra dei Veneti antichi: la grande mostra “Venetkens”, allestita al Palazzo della Ragione di Padova, chiude il 17 novembre. Meglio affrettarsi, perché difficilmente si potrà avere una visione d’insieme così completa e composita di oggetti (sono oltre 1700 quelli in mostra) provenienti non solo dai musei archeologici nazionali in Veneto, ma anche dai musei civici, dai magazzini della soprintendenza, e dalle Regioni vicine e oltre confine, come la Slovenia: dalla tomba del principe delle Narde di Frattesina  alla situla Benvenuti di Este, fino agli ex voto di Auronzo e di Lagole di Calalzo e alle statue monumentali di Gazzo Veronese; ma anche capolavori finora mai esposti al pubblico , come l’incredibile situla dell’Alpago o i nuovi cippi confinari e le sepolture principesche con cavalli di Padova.

Trentasette anni dopo “Padova romana”

Cavallino in bronzo: il cavallo veneto era famoso

Cavallino in bronzo: il cavallo veneto era famoso

L’ultima significativa, anche se parziale, esposizione sulle genti che hanno abitato il Veneto prima dei romani fu nel 1976 con “Padova preromana”: allora si parlava ancora di “Paleoveneti” terminologia oggi superata dalla dizione “Veneti antichi”. Questa mostra, spiega il soprintendente ai Beni archeologici del Veneto, Vincenzo Tinè, “vuole dare al visitatore un’impressione sostanziale e duratura di quella che fu una delle più caratterizzate e originali culture dell’Italia antica. Superando le suggestioni mitografiche e restituendo ai Veneti quel ruolo di protagonisti a pieno titolo nel mosaico etnico e culturale che, nella penisola come in area padana, precedette durante tutto il I millennio a.C. la fase globalizzante della ‘pax romana’  e  della strutturazione regionale augustea che, del vecchio caleidoscopio di popoli e culture, fu peraltro la definitiva cristallizzazione”.

“Venetorum angulus”, ma strategico

Visitando la mostra, sintetizza Tinè, si ha la percezione del ruolo di fondamentale mediatore geografico e culturale di questo territorio e del popolo che gli ha dato il nome. “Per nulla ‘Venetorum angulus’ ma, invece, terra di contatto tra realtà mediterranea, peninsulare, padana, alpina e transalpina, in un gioco di relazioni e di scambi che spiega la complessità e l’articolazione di un panorama culturale e probabilmente anche etnico quanto mai vario e multiforme con stratificazioni di diversa origine: Etruschi, Greci, Celti e infine Romani naturalmente”.

Un viaggio che parte da lontano

Bronzetto raffigurante Paride arciere

Bronzetto raffigurante Paride arciere

Era il 1876 quando a Este iniziarono i primi scavi. Da allora la ricerca archeologica non si è mai fermata in tutta la regione e in alcune zone limitrofe. Ciò ha imposto alle curatrici della mostra, Mariolina Gamba, Giovanna Gambacurta, Angela Ruta Serafini, Francesca Veronese, delle scelte rigorose in un mix tra vecchi rinvenimenti già famosi e scoperte recenti, spesso inedite. Il percorso espositivo ha così la prospettiva di un viaggio che attraversa il Veneto antico nello spazio e nel tempo, dal Delta del Po all’alta valle del Piave, dal XII sec. (età del Bronzo) al I sec. a.C. (romanizzazione).  Il visitatore è dunque come un “antico viaggiatore” che approda nei dintorni del delta, proprio dove si pongono le basi per lo sviluppo del Veneto antico. Qui infatti si trovano i più importanti centri mercantili europei dell’epoca, dove giunge l’ambra del Baltico, ma si scambiano anche prodotti in metallo, osso, vetro e merci esotiche come uova di struzzo e avorio. Dal delta si entra nella pianura padana. Seguendo il corso dei fiumi si toccano le due capitali, Este e Padova, ma anche Vicenza, Treviso, Altino, Oderzo, Concordia. Il visitatore-viaggiatore entra nelle città venete nel periodo di loro massimo splendore, cioè tra il VI e gli inizi del IV sec. a.C. Scopre l’organizzazione dello spazio urbano, ammira la bellezza degli edifici, stupisce per le usanze religiose. È in città che ci si imbatte nei testi scritti: chi sa scrivere tra i Veneti antichi? Come? Che suoni ha questa lingua? Qualche risposta cerca di darla anche la mostra. Uscendo dalle città il viandante incontra prima i luoghi di culto e poi le ‘città dei morti’. Lasciandosi alle spalle i grandi centri, il viaggiatore si avvia verso la zona dell’alta pianura, ai piedi delle colline e delle montagne. Attraverso l’alta pianura ci si avvia alla pedemontana, una ‘galassia’ di insediamenti  quanto mai vivaci e produttivi, dai monti Lessini veronesi alle propaggini friulane. La valle del Piave porta il nostro viaggiatore verso il confine dei Veneti e verso la conclusione del suo cammino. Ormai i Romani, che nel 189 a.C. fondano Aquileia, sono ben presenti in regione.