Faenza mette in mostra i ricchi pavimenti a mosaico delle domus romane con il progetto espositivo “Archeologia nella corte di Palazzo Mazzolani“

Mosaico policromo con svastica realizzata con treccia ed emblemata multipli (III secolo d.C.) scoperto a Faenza in via Azzo Ubaldini 4 nel 1896, già conservato nel Lapidario Comunale
La città di Faenza, di fondazione romana, conserva un patrimonio archeologico fra i più importanti dell’Emilia-Romagna, frutto dei numerosi ritrovamenti. Poco meno di due anni fa, l’atrio di Palazzo Mazzolani, storico edificio del primo Settecento faentino, è stato oggetto di un importante intervento di riqualificazione che ha reso visibili al suo interno una selezione di reperti archeologici faentini. Ora il Rotary Club Faenza ha promosso “Archeologia nella corte di Palazzo Mazzolani “, un progetto per rendere visibili in modo permanente i mosaici romani ritrovati in città: un museo di nuova concezione in un ambiente visibile, ma non visitabile, che accoglie una selezione dei mosaici romani di Faenza, un luogo che va incontro alla città e che rappresenta un modello replicabile per dare lustro ai tesori nascosti della storia faentina. L’inaugurazione giovedì 11 aprile 2019, alle 18, nella corte di Palazzo Mazzolani, in corso Mazzini n. 93 a Faenza (Ra). Intervengono Tiziano Rondinini, presidente Rotary Club Faenza; Giovanni Malpezzi, sindaco di Faenza; Giorgio Cozzolino, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini; Michele De Pascale, presidente Provincia di Ravenna; Massimo Caroli, presidente ASP Azienda Servizi alla Persona della Romagna Faentina; Chiara Guarnieri, archeologa della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; Massimo Isola, assessore Cultura Comune di Faenza; Ennio Nonni, dirigente Unione Romagna Faentina.
L’esposizione storico-cronologica dei mosaici romani, curata dalla soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini in collaborazione con la soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, restituisce il quadro di una città non solo ricca ed elegante ma soprattutto all’avanguardia per qualità, tecnica e cultura. Sono esposti alcuni dei più importanti pavimenti di età romana (dal I al VI secolo d.C.) rinvenuti nel corso di scavi archeologici a Faenza, un dolio (contenitore in genere interrato che serviva alla conservazione delle granaglie) e un gruppo di anfore usate per il trasporto e la conservazione di olio, vino e salse.

Due esempi di mosaici esposti nella corte di Palazzo Mazzolani, da domus scoperta in Faenza nel 1899
Nella parte orientale di Faventia, nei primi secoli dell’Impero, erano presenti domus di vasta estensione, caratterizzate dalla presenza di mosaici estremamente raffinati. Ne sono un esempio le porzioni di pavimentazioni nn. 5, 6, 7, 9, 1O, 11, le prime tre scavate nel 1993 e le altre scoperte nel 1899. Solo attraverso uno studio attento delle caratteristiche di questi pavimenti si è potuto appurare che facevano parte di un’unica, estesa abitazione. A questa domus appartenevano anche altri due pavimenti a mosaico, integri, attualmente esposti a TAMO – Ravenna. Per le zone residenziali e di rappresentanza della domus veniva utilizzato il mosaico, sia con una decorazione ripetitiva e continua, chiamata per questo motivo “a tappeto” (ad es. n. 12), sia utilizzando riquadri (emblemata) con raffigurazioni più o meno complesse (ad es. n. 13). In questo secondo caso il committente sceglieva temi legati alla moda del tempo o che potevano esaltare in modo allusivo la sua figura o la sua ospitalità. In alcuni casi i pavimenti erano realizzati in marmi colorati, con raffigurazioni geometriche (opus sectile). Oltre al mosaico, in età romana per le pavimentazioni erano utilizzati diversi materiali; in alcuni ambienti residenziali, soprattutto tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. veniva impiegato anche il battuto di cocciopesto (ad es. n. 8) sia decorato con frammenti marmorei distribuiti disordinatamente, sia a formare delle raffigurazioni geometriche o in taluni casi privi di decorazione. Nelle zone di maggiore utilizzo erano impiegate le pavimentazioni in laterizio (ad es. n. 2) realizzate in varie fogge: con mattoncini posati a spina pesce, a coltello o di piatto oppure conformati ad esagonette, rombi, talvolta decorati con tessere in pietra. In età tardo antica (IV-VII secolo d.C.) la città di Faenza subì l’influenza di Ravenna, divenuta capitale nel 402 d.C. Per questo motivo vennero costruite residenze di rappresentanza di vasta estensione e riccamente decorate con mosaici policromi. Ne sono testimonianza le pavimentazioni rinvenute in particolar modo nell’area a Nord-Est della città come le nn. 12, 14 e 19, appartenenti a un unico complesso abitativo databile attorno al V sec. d.C., o il grande mosaico scoperto in piazza Martiri della Libertà (n. 16) pertinente a un ambiente di m 14×8.
I manufatti esposti sono un interessante repertorio di storia del restauro musivo legato alla conoscenza e al gusto dei tempi. I mosaici restaurati a fine ‘800 sono testimoni dell’interesse esclusivo per aspetti stilistici ed iconografici, con distacchi da scavo in porzioni a massello (nn. 9 -11). I mosaici già esposti nei primi decenni del ‘900 presentano successive rimozioni di alcuni motivi decorativi giudicati evocativi del regime politico appena trascorso (n. 13). I pavimenti musivi rinvenuti e restaurati negli anni ’60 – ’70 del ‘900 sono testimonianza dell’avvento delle malte cementizie impiegate come nuovo supporto dei tessellati rimossi da scavo con la tecnica dello strappo (nn. 18, 19). Le estese superfici musive sono il risultato degli interventi di restauro eseguiti negli anni ’90 del ‘900 che recuperano l’interezza delle superfici pavimentali e utilizzano nuovi supporti alleggeriti costituiti da pannelli alveolari in alluminio (nn. 5 – 8).
Il 1° dicembre nell’ex Zuccherificio apre “Classis Ravenna”, nuovo museo della Città e del Territorio a un passo dall’Antico Porto e la basilica di S. Apollinare, per conoscere la storia di Ravenna, dagli etruschi all’esarcato bizantino

L’ex Zuccherificio dal 1° dicembre 2018 ospiterà “Classis Ravenna” il nuovo museo della Città e del Territorio di Ravenna
Da luogo esecrato come simbolo di degrado sociale a biglietto da visita di Ravenna e della sua illustre storia antica. Stiamo parlando dell’ex Zuccherificio di Classe che dal 1° dicembre 2018, con la sua trasformazione in museo della Città e del Territorio, denominato con l’antico nome di “Classis Ravenna”, sarà il punto culturale di riferimento per chiunque voglia conoscere compiutamente la storia di Ravenna, dai primi insediamenti alla civiltà etrusca, poi al ruolo importante della città in epoca romana quindi a Ravenna Capitale dell’Esarcato Bizantino. “Classis Ravenna sarà il punto di partenza necessario per ogni visita. Non solo alla contigua area archeologica dell’antico Porto di Classe, ma verso l’intera città”, annuncia Giuseppe Sassatelli, presidente della Fondazione Ravenna Antica, cui il Comune ha demandato la realizzazione e la gestione del nuovo museo, insieme a quelle dell’Antico Porto, della Basilica di Sant’Apollinare e, nel cuore di Ravenna, della Domus dei Tappeti di Pietra, il museo TAMO e la Cripta Rasponi. “Attraverso materiali archeologici il cui valore intrinseco viene esaltato dall’essere proposto in un’ottica unitaria, nonché supportato dai più moderni ausili tecnologici, qui si potranno rivivere tutti gli snodi principali della storia del territorio, dalla preistoria all’antichità romana, dalle fasi gota e bizantina all’alto Medio Evo”. L’investimento che il Comune, con il Mibact, la Regione e la locale Fondazione Cassa di Risparmio hanno messo in campo per il recupero e la nuova destinazione del complesso di Classe, supera i 21 milioni di euro. La progettazione del nuovo “Classis Ravenna” è stata affidata all’arch. Andrea Mandara che ha operato al servizio di un comitato scientifico di assoluto prestigio, coordinato dal prof. Andrea Carandini.
Accade all’area dell’ex Zuccherificio di Classe, a pochi passi dalla Basilica di Sant’Apollinare, tra i tesori massimi di Ravenna. Qui, nei primi decenni del secolo scorso, 600 operai trasformavano tonnellate di barbabietole in montagne di zucchero che, per nave e ferrovia, raggiungevano l’Italia e l’Europa. Poi il declino, e nel 1962 la chiusura. E, con l’abbandono della produzione, i grandi fabbricati divennero ricettacolo di ogni emarginazione. Data gli anni ’90 l’idea di trasformare un enorme problema in una fondamentale risorsa per il futuro di Ravenna. Sotto le imponenti campate, l’area espositiva si svilupperà su 2800 metri quadrati. Tutto intorno, un’oasi verde di un ettaro e mezzo. “Da qui, si possono facilmente raggiungere altri gioielli ravennati. Innanzitutto la contigua basilica di Sant’Apollinare, ma anche l’Antico Porto, gli scavi di San Severo e tutta la zona ambientale a sud di Classe, dalla pineta all’Ortazzo e l’Ortazzino oggetto”, anticipa il sindaco di Ravenna Michele de Pascale, “di un progetto di riqualificazione, così come sta avvenendo per la stazione ferroviaria cresciuta a servizio dell’ex Zuccherificio”.
La linea del tempo, che segna il percorso di visita a “Classis Ravenna”, avrà naturalmente nei reperti originali il perno della narrazione. Alcune volte saranno elementi singoli di particolare valore e importanza a avere il ruolo di protagonisti; altre volte saranno gruppi ampi di oggetti, come nel caso del porto di Classe, che può essere illustrato ampiamente grazie alle centinaia di reperti rinvenuti negli ultimi scavi. Gli oggetti della vita quotidiana (anfore, ceramiche, monete) troveranno uno spazio adeguato, accanto ai materiali più significativi dal punto di vista artistico (statue, mosaici ed altro). In questa maniera sarà possibile articolare un racconto che consideri tutte le sfere della comunità e le differenti fasce sociali presenti in città e nel territorio. Sulla linea del tempo si innestano alcune di “aree di approfondimento” su temi specifici, di grande interesse. Una particolare attenzione è dedicata agli apparati didattici ed illustrativi, con ampio ricorso a ricostruzioni grafiche e tridimensionali, filmati, plastici ed altri strumenti. “Classis Ravenna”, sottolinea l’assessore alla Cultura, Elsa Signorino, “non sarà un semplice “contenitore di materiali”, ma sarà anche un attivo centro di ricerca e formazione di altissimo profilo. Qui ampi laboratori per lo studio e per il restauro consentiranno a docenti e studenti dell’università di svolgere le loro attività nell’ambito dei loro percorsi formativi e di ricerca. Il nuovo museo permetterà la conoscenza e la valorizzazione dell’intero patrimonio storico archeologico del territorio attraverso un percorso espositivo innovativo, affascinante e rigoroso capace di coinvolgere e di emozionare i visitatori. Come tutti i musei contemporanei svilupperà una molteplicità di funzioni: attività espositiva, di studio e ricerca, laboratori didattici, laboratori di inclusione digitale per la sperimentazione di start-up innovative. Il tutto con una forte vocazione al territorio”.
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