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Ostia antica. Ultimi giorni al parco archeologico per la mostra “Chi è di scena! Cento anni di spettacoli a Ostia antica (1922 – 2022)” a un secolo dalle prima rappresentazioni moderne nel teatro di Ostia antica, il cui restauro parte entro l’anno

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Uno spettacolo in scena al teatro di Ostia antica (foto da http://www.romatoday.it)

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Locandina della mostra “Chi è di scena!” al parco archeologico di Ostia Antica fino al 23 ottobre 2022

A cento anni dalle prime rappresentazioni moderne andate in scena nel Teatro di Ostia antica, una mostra e il volume che l’accompagna (Electa) celebrano un secolo di arte dello spettacolo in uno dei più importanti teatri romani dell’antichità. Il Teatro di Ostia antica è stato infatti protagonista per tutto il Novecento di una lunga stagione di eventi, un’intensa attività che ha visto l’alternarsi di commedie e drammi, che fino alla fine degli anni Sessanta si sono svolti in gran parte sotto l’egida dell’Istituto nazionale del Dramma Antico con la partecipazione di personalità di spicco, quali per esempio Duilio Cambellotti e Mario Sironi per le scene e i costumi, a cui si sono affiancati anche numerosi spettacoli di danza e in anni più recenti concerti di musica pop, rock ed elettronica.

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Rappresentazione dell’Aulularia di Plauto, 9 maggio 1922, al teatro di Ostia antica (foto parco archeologico di Ostia antica)

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Rappresentazione dell’Aulularia di Plauto, 9 maggio 1922, al teatro di Ostia antica (foto parco archeologico di Ostia antica)

Ma non c’è ancora molto tempo per vedere la mostra “Chi è di scena! Cento anni di spettacoli a Ostia antica (1922 – 2022)” promossa dal Parco archeologico di Ostia antica che ripercorre la storia delle manifestazioni che si sono tenute, e che ancora si svolgono, nel teatro romano dell’area archeologica. Chiuderà infatti, salvo proroghe, il 23 ottobre 2022. Divisa in cinque sezioni, l’esposizione è curata da Alessandro D’Alessio, Nunzio Giustozzi e Alberto Tulli, con l’organizzazione di Electa. L’idea della mostra nasce dalla ricorrenza dei cento anni dalle prime rappresentazioni teatrali. Nella primavera del 1922 veniva infatti messa in scena dai ragazzi delle scuole elementari di Ostia, nel teatro romano non ancora ricostruito, l’Aulularia di Plauto. Quella rappresentazione fu il banco di prova per l’introduzione di una forma teatrale più impegnativa e organizzata, per la quale si rese necessario operare una profonda trasformazione dell’edificio.

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Teatro nel 1927: sono quasi ultimati i lavori curati da Guido Calza per la ricostruzione della cavea (foto archivio parco archeologico ostia antica)

La mostra – attraverso materiali d’archivio, molti dei quali inediti, e un suggestivo montaggio video di fotografie e filmati d’epoca – traccia per la prima volta filologicamente la lunga storia di arti dello spettacolo che hanno dato lustro all’antico spazio scenico. Storia approfondita dal volume riccamente illustrato edito da Electa, con contributi che ricostruiscono anche le vicende legate agli scavi e ai restauri promossi in particolare da Guido Calza, permettendo al monumento di recuperare la sua antica funzione teatrale. Monumento che, entro fine anno, sarà oggetto di un intervento di restauro e rifunzionalizzazione sull’intera struttura. “Di tutto ciò, o di una sua discreta parte, abbiamo voluto render conto, per la prima volta in assoluto, nei fornici orientali del monumento, dove il visitatore può ammirare immagini, filmati, manifesti, maquettes e bozzetti di scenografie o costumi, abiti di scena e diversi altri documenti che raccontano, forse più e meglio di tante parole, la fortunata vicenda del teatro di Ostia in età contemporanea”, dice Alessandro D’Alessio, direttore del Parco archeologico di Ostia antica. “Non una mostra archeologica dunque, eppur in certo qual modo una mostra di storia dell’archeologia, se e vero che l’utilizzo che ancora oggi noi facciamo dell’edificio, oltre a quello puramente scientifico, conservativo e didattico-esplicativo, scaturì dalla lungimirante visione di un archeologo”.

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Il manifesto di Mario Sironi del 1949 per “Medea – Il Ciclope” di Euripide al teatro di Ostia (foto AFI – Archivio fondazione INDA)

I numerosi materiali provengono dagli archivi non solo del parco archeologico di Ostia antica, ma anche della Biblioteca Museo Teatrale SIAE, dell’INDA, dell’Archivio Luce Cinecittà e degli artisti, tra cui l’Archivio dell’Opera di Duilio Cambellotti – il quale firmò parecchi lavori come costumista e scenografo contribuendo non poco alla fortuna della programmazione – e da numerose collezioni private come la Collezione Andrea Sironi-Strauβwald. E proprio da un manifesto del 1949 di Mario Sironi e tratta l’immagine coordinata della mostra, realizzata dallo studio Leonardo Sonnoli (Leonardo Sonnoli, Irene Bacchi). Il tutto e esposto all’interno dei fornici del teatro stesso, in quattro moduli disegnati site-specific dallo studio Stefano Boeri Architetti. Allo spettacolo di Ostia mi ero avviato a denti stretti. Teatro antico, tragedia greca: due pericoli di barba. […] E trovai invece uno degli spettacoli più belli che abbia mai veduto. Alberto Savinio (1949)

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Manifesto di Duilio Cambellotti per “Sette a Tebe” di Eschilo, “Antigone” di Sofocle e “Le nuvole” di Aristofane, 1927 (foto di Marco Maria Pasqualini, courtesy galleria L’Image, Alassio (Sv)

PERCORSO MOSTRA. SEZIONE I. 1927 Sette a Tebe / Antigone / Le nuvole; 1928 Giulio Cesare. Alla lungimiranza dell’archeologo Guido Calza si deve la coraggiosa restituzione dell’edificio teatrale alla sua vocazione originaria in sintonia con l’attività dell’Istituto nazionale del Dramma Antico che stava riportando in auge in quegli anni le rappresentazioni classiche. Da Siracusa provenivano gli spettacoli inaugurali del 24 giugno 1927: I sette a Tebe di Eschilo, alternato ad Antigone di Sofocle e a Le nuvole di Aristofane. Fu Duilio Cambellotti a disegnare il manifesto e le scenografie. Foto storiche, bozzetti e maquettes ne evocano l’atmosfera sospesa: prismi come gole spalancate di draghi; su dall’alto sogguardavano le deità protettrici, impassibili, ricche di colori e d’oro mentre tutto il resto era addensato d’oscurità. Per una tragedia moderna di stampo ideologico, il Giulio Cesare di Enrico Corradini andato in scena la prima volta al Teatro Antico di Taormina e poi a Ostia nel giugno 1928, Cambellotti avrebbe concepito una potente identità visiva con l’irrevocabile passo del dittatore, i raffinati costumi all’antica dei protagonisti e i “raggruppamenti”: tavole pittoriche ricche di lumeggiature ed effetti chiaroscurali che scandivano i vari piani dell’azione e i momenti del dialogo anche attraverso una decisa connotazione di volti e gesti, da cinema.

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I Menecmi di Plauto al Teatro Romano di Ostia antica nel 1938 (foto Archivio Luce Cinecittà)

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Il manifesto di Duilio Cambellotti, manifesto per “Gli uccelli” di Aristofane, al teatro di Ostia antica, 1947 (foto Aleandri Arte Moderna, Roma)

SEZIONE II. 1938 Aulularia / I Menecmi; 1947 Gli uccelli. Un amletico attore intento a indossare maschere comiche e tragiche campeggia al centro della locandina creata da Duilio Cambellotti per le commedie plautine del 1938, Aulularia e I Menecmi, ambientate tra case, tetti e giardini in miniatura desunti dagli affreschi pompeiani, vivacemente colorati e resi plastici con materiali poveri come in un presepio napoletano. In più punti le scenografie erano sopravanzate dalle figure di mattatori del calibro di Luigi Almirante che col suo bizzarro falsetto e nella mimica eguagliava gli espressivi studi di fisionomie dello stesso Cambellotti. Spettacoli accattivanti da meritare persino insolite riprese aeree che trovarono larga eco sulle riviste nazionali ed estere contribuendo al lancio dell’immagine di Ostia antica nel mondo. Si imponevano all’attenzione anche per la presenza di “danze classiche” quale indispensabile accompagnamento dell’azione scenica con gruppi coreutici all’avanguardia nel panorama europeo dell’epoca: come quello di Tusnelda Risso Strub nei Menecmi, di Ada Franellich negli Uccelli del 1947. Per la commedia di Aristofane Cambellotti ideo un’architettura arborea fittizia che appare oggi, nel suo minimalismo, di una modernità sconvolgente. Era fatta solo di elementi naturali, aerei, fortemente evocatori di pace, come gli sgargianti costumi di fustagno del coro nella foggia di volatili.

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Bozzetto di Mario Sironi per un costume della Medea, 1949 (foto collezione privata)

SEZIONE III. 1949 Medea / Il ciclope. Nel comporre il manifesto delle rappresentazioni euripidee del 1949 Mario Sironi evoca archeologicamente l’ancestrale dramma di Medea, mutuando dalla paratassi della ceramica del Geometrico figure, vernici e segni stilizzati nei moduli di una pittura che già guarda alla svolta materica dei primi anni Cinquanta. Su una scenografia essenziale, in dialogo straniante con i ruderi e l’ambiente naturale – lo rivela una serie di fotografie con i protagonisti in pose recitanti – l’artista si dimostra consapevole dell’importanza dei costumi nella caratterizzazione degli interpreti. Clou dell’esposizione e una nutrita congerie di rigorosi figurini, pressoché inediti, in cui Sironi rivisita corpetti, chitoni e pepli attenendosi alle parti strutturali, in un repertorio di linee semplici, spesse e marcate, di bande a colori “neoplastiche” sdipanato sui corpi in sintonia con le ricerche non più figurative dell’epoca. Una sola, iconica caverna domina la scena del Ciclope, maestosa montagna di rude cartone segnato da graffiti, oscuro fondale per i movimenti dei personaggi: Ulisse ha dipinte solo le ossa del costato; Sileno barba e peli ovunque, grottesco con quell’enorme pancia; caliginose calzamaglie indossa il gruppo animalesco coreografato dalla Chladek; Polifemo in pelliccia, clava e maschera tribale come uno scafandro, cosi simile ai Mamuthones del carnevale sardo.

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Le allieve della la Scuola di Danze Classiche del Governatorato di Roma nel piazzale delle Corporazioni di Ostia antica, 1927 (foto di A. Porry-Pastorel – parco archeologico di Ostia antica)

SEZIONE IV. 1922… “L’evocazione rapida di un sogno”; Primavera 1922. I bambini delle elementari di Ostia recitano l’Aulularia di Plauto. Una serie di fotografie ritrovate tra le carte di Guido Calza, il copione “adattato”, un tema e tante testimonianze documentano questo primo, sperimentale tentativo di moderno “teatro all’aperto”: un semplice fondale dipinto come scenografia, autorità e invitati con il parasole plaudenti su una cavea che era ancora un pendio erboso. Mentre gli scavi di Ostia antica stavano diventando set fotografico per leggiadre danzatrici in abiti grecizzanti, era stato gettato il seme della lunga e feconda storia di rappresentazioni classiche, dal 1927 al 1969 organizzate con qualche soluzione di continuità dall’Istituto nazionale del Dramma Antico, e non solo, come rivela la cronologia visiva di 100 stagioni. Una ricca rassegna stampa, fotografie di scena, brevi filmati d’epoca fanno rivivere gli spettacoli di sempre più vario genere, svelando anche il dietro le quinte e gettando una luce vera sull’eterogeneo pubblico fatto di celebrità e di gente comune giunta in trenino ad affollare le serate estive. Una ribalta che ha visto negli anni avvicendarsi registi e attori, coreografi e ballerini, scenografi e costumisti tra i migliori nomi del panorama italiano e internazionale. Senza dimenticare la musica pop, rock ed elettronica cui il Teatro Romano di Ostia antica, sotto le stelle, ha regalato un’insolita, magica atmosfera per emozioni indimenticabili, tra cui, a titolo d’esempio, Jethro Tull, Patty Smith, Vinicio Capossela. Tra le foto di scena in mostra quella di Nuvole del 1955 con Arnoldo Foa e Olga Villi nell’Alcesti del 1956. Ancora Arnoldo Foa, con Valeria Moriconi, in una scena della commedia Pene d’amor perdute di William Shakespeare nel 1961, e nell’Anfitrione del 1962.

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Teatro di Ostia antica: la ricostruzione della facciata esterna,1939 (foto archivio parco archeologico di ostia antica)

SEZIONE V. Gli interventi di restauro e rifunzionalizzazione del Teatro Romano di Ostia (1913, 1926-’28, 1938-’39). “Ma la rappresentazione fatta ieri a Ostia ha dimostrato anche un’altra cosa. Ha dimostrato che bisogna in ogni modo incoraggiare – dal Governo, dal pubblico, dai giornali – l’opera di coloro che con assidua intelligente fatica, si studiano di rimettere in valore le nostre glorie passate, perché siano di ammaestramento e di stimolo alla infiacchita generazione presente” (Plauto sulle scene del Teatro di Ostia dopo diciotto secoli, “Il Giornale d’Italia”, 11 maggio 1922). Ben rende, questa citazione da un articolo non firmato (perché probabilmente scritto da Arturo Calza, padre dell’ispettore archeologo degli Scavi di Ostia), l’intenzione di Guido Calza di riadattare il teatro ad accogliere il pubblico delle rappresentazioni che vi si dovevano di lì in avanti svolgere. Cosi come appare illuminante, nella sua attualità, il riferimento alla “rimessa in valore” del patrimonio antico per finalità educative e di pungolo ai giovani. Già Vaglieri nel 1913, pur senza intraprendere un’anastilosi vera e propria, aveva fatto reintegrare la sommità delle coperture delle tabernae dell’edificio, a scongiurare il crollo delle murature liberate dalla terra che per secoli le aveva sepolte. Nel 1922, dunque, la cavea si presentava ancora come un catino sistemato a prato, scomodo e pericoloso, tanto che le recite di quell’anno fornirono a Calza l’ulteriore giustificazione per procedere alla sua ricostruzione. Terminata nel 1928, la nuova gradinata offriva ora un perfetto parterre, per così dire, agli spettatori che sempre più numerosi avevano preso ad assistere agli spettacoli qui organizzati dall’INDA. E comunque solo nel 1938-39, in occasione dei preparativi per la mai tenutasi Esposizione Universale di Roma del 1942 e in linea con le bombastiche modalità ideologiche del tempo, che il teatro di Ostia assume l’aspetto che tuttora lo contraddistingue, tramite la ricostruzione di alcune arcate del prospetto esterno, dell’ingresso centrale e delle tabernae poste ai lati di questo. In mostra alcune foto storiche dall’Archivio fotografico del parco archeologico di Ostia antica ripercorrono le trasformazioni e gli interventi di quegli anni: il teatro al termine degli scavi di Dante Vaglieri (1913); la ricostruzione della cavea (1926-28) quasi ultimata con il primo meniano pressoché completo e le volte di sostegno del secondo meniano gettate, mentre di lì a poco verranno posizionati i gradini del secondo ordine; la ricostruzione dell’ingresso principale (13 aprile 1939). In questa sezione sono visibili decorazioni marmoree a muro già cosi allestite sulle pareti del fornice.

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La cavea del teatro romano di Ostia Antica oggi (foto parco archeologico ostia antica)

IL TEATRO. Il teatro di Ostia antica è uno dei più antichi in muratura; fu costruito negli ultimi anni del I secolo a.C., come attestato dall’iscrizione che menziona Agrippa, genero di Augusto. Inizialmente concepito per ospitare circa 3000 spettatori, fu poi ampliato durante il regno dell’imperatore Commodo, alla fine del II secolo d.C.: il suo intervento porto la capienza della cavea, ovvero degli spalti per il pubblico, al ragguardevole numero di 4000 spettatori. Un portico con botteghe si apriva verso il Decumano Massimo, a cavallo del quale nel 216 d.C. fu realizzato un arco in onore dell’imperatore Caracalla in corrispondenza dell’ingresso del teatro. Lo stesso ingresso, la cui volta era decorata con stucchi, conduceva all’orchestra pavimentata in marmo, raggiungibile anche da due corridoi laterali, le parodoi. Nella tarda età imperiale il teatro inizio a ospitare anche spettacoli acquatici: il settore centrale dell’orchestra veniva allora allagato e vi si esibivano nuotatori e acrobati: fu così costruito un parapetto marmoreo che serviva a isolare la cavea, ovvero la gradinata, dall’orchestra. La scena era movimentata da nicchie; restano alcuni elementi marmorei, tra cui i mascheroni, in origine appartenuti al fronte scena. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e il progressivo abbandono di Ostia a partire dalla fine del V secolo d.C. anche il teatro fu abbandonato e andò in rovina. Durante il medioevo fu utilizzato come piccola fortezza e come deposito temporaneo per i marmi (statue, blocchi e lastre) da trasformare in calce. Poi anche questa piccola fortezza fu abbandonata e del teatro si perse traccia fino agli scavi archeologici della fine dell’Ottocento. Del teatro sopravvivevano pochissimi resti all’epoca, ma il monumento era troppo importante per non portarlo in luce e restaurarlo. Cosi, dal 1910 in avanti si susseguirono diverse campagne di scavo e di contestuale restauro. La prima, tra il 1910 e il 1913 porto in luce il perimetro esterno del teatro mentre la gradinata della Cavea, davvero fragile, fu ricoperta da terra in modo da formare un pendio erboso che consentisse di sfruttare quello spazio a fini teatrali. Gli scavi e i contestuali restauri, davvero ingenti, proseguirono negli anni seguenti. I lavori si conclusero nel 1927: fu ricostruita la cavea del teatro, in modo da poter ospitare spettatori cosi come avveniva in passato: il teatro poté così ospitare fino a 2700 spettatori, meno dei 3000 del teatro costruito 2000 anni prima, ma comunque un numero ragguardevole di persone.

IL PROGETTO DI RESTAURO ARCHITETTONICO DEL TEATRO > 2022. Dopo anni di lavori manutenzione ordinaria e riparazioni puntuali, grazie ai finanziamenti dei fondi CIPE è stato finalmente possibile progettare un intervento organico sull’intera struttura del teatro. I fondi stanziati comprendono i costi di realizzazione del cantiere, che avrà inizio entro il 2022. L’obiettivo fondamentale del progetto è quello del restauro del bene monumentale per mantenere viva la funzione del teatro come importante luogo di manifestazioni culturali, garantendo ai visitatori la fruizione degli spazi in totale sicurezza. Il progetto di consolidamento strutturale per il miglioramento sismico e stato realizzato dallo studio Iges World S.r.l., che ha gestito anche l’iter per l’ottenimento dell’autorizzazione sismica. Il progetto architettonico, a cura dello Studio Balletti e Sabbatini architetti, riguarda il restauro delle superfici, la rifunzionalizzazione di alcuni ambienti per la realizzazione di un polo multimediale consono all’implementazione dell’offerta informativa e divulgativa e la progettazione degli interventi sugli apparati decorativi, al fine di garantirne la tutela e la salvaguardia.

Teatro antico. “Le nuvole. Seconde” di Aristofane nell’area archeologica di Montegrotto con gli allievi del liceo classico “Tito Livio” di Padova diretti da Filippo Crispo e Daniela Mazzon

Gli allievi del liceo classico "Tito Livio" di Padova mette in scena "Le nuvole" di Aristofane

Gli allievi del liceo classico “Tito Livio” di Padova mette in scena “Le nuvole” di Aristofane

Marianna Bressan responsabile del progetto Aquae Patavinae

Marianna Bressan responsabile del progetto Aquae Patavinae

Teatro antico accanto a un teatro antico. Questa l’idea che porterà martedì 31 maggio 2016 alle 18.30 i giovanissimi allievi del liceo classico “Tito Livio” di Padova, diretti dal prof. Filippo Crispo, nell’area archeologica di viale Stazione / via degli Scavi a Montegrotto Terme, per mettere in scena “Le Nuvole. Seconde” di Aristofane, una commedia scritta dall’autore greco oltre 2400 anni fa. Traduzione di Guido Paduano; riduzione, elaborazioni lessicali e sintattiche, adattamento scenico e regia di Filippo Crispo. Ingresso da via degli Scavi, libero con offerta, fino a esaurimento posti. L’evento è promosso da soprintendenza Archeologia del Veneto, associazione Lapis di Padova e i docenti del liceo “Tito Livio” Filippo Crispo e Daniela Mazzon, con la collaborazione del Comune di Montegrotto Terme e Itaka – Officina culturale. Per info: associazione Lapis – 3890235910 – Facebook: Associazione Lapis. “L’area archeologica di Montegrotto”, spiega Marianna Bressan della soprintendenza Archeologia del Veneto, “conserva i resti di un piccolo teatro, in uso in età romana e quindi qualche secolo dopo il componimento di Aristofane, ma l’associazione della cultura immateriale, la commedia appunto, a quella invece tangibile dei resti archeologici vuole suscitare nello spettatore il sentimento dell’antico, il recupero, attraverso l’emozione, di origini lontane che tuttavia ci accomunano”. “Le Nuvole” raccontano di un padre che, oberato dai debiti a causa delle intemperanze del figlio, decide di mandare il figlio stesso a scuola di sofismi per apprendere la capacità di dimostrare con le parole ai creditori l’insussistenza del loro debito. Inutile dire che il figlio sarà così abile nell’apprendere la lezione di Socrate, da ritorcela contro l’ingenuo padre…

La locandina de "Le nuvole. Seconde" di Aristofane per la regia di Filippo Crispo

La locandina de “Le nuvole. Seconde” di Aristofane per la regia di Filippo Crispo

Ma perché nel titolo si legge “Le nuvole. Seconde”? Lo spiega bene il prof. Crispo. “Ho voluto evidenziare che il testo a noi pervenuto non è lo stesso che partecipò all’agone delle Dionisie dell’anno 423 a.C., nel quale Aristofane subì inaspettata e sonora sconfitta da parte di Cratino e Amipsia. Una ferita, questa, che il nostro mal sopportò e per la prima volta fu costretto a rielaborare una sua commedia: ecco dunque le Nuvole “seconde”, in un ben articolato progetto drammaturgico-teatrale-registico scritto per ottenere la rivincita, ma che non riuscì a far accettare nelle successive gare dionisiache: gli arconti Aminia nel 422 e Archia nel 419-418 rifiutarono il progetto e la commedia non fu più recitata. Pur essendo state pubblicate Nuvole “prime” e Nuvole “seconde”, quasi sicuramente dallo stesso Aristofane, della struttura e dialoghi delle “prime” ci è dato sapere pochissimo. Comunque, in base ai vari scoliasti, il tema e l’impegno politico-sociale sono gli stessi, compresi alcuni personaggi. Negli anni avvenire, però – continua Crispo -, il postumo successo di queste Nuvole “seconde” fu straordinario. Qui Aristofane è abbastanza sobrio nell’uso di quel suo particolare lessico a “forti tinte”, con il quale oltrepassa il limite del buon gusto, in vari suoi lavori, quando deve scagliare le sue infuocate invettive contro l’ingiustizia. Qui, a differenza di altre commedie, le espressioni “grasse” lasciano il posto alla parola moderata e sorprendente, che i personaggi adoperano nei loro scontri verbali, anche se qualche volta sbuca all’improvviso la “sferzata colorita”, cui Aristofane sembra non poterne fare a meno. Il gioco della parola, per il nostro poeta, è l’arma ideale -più della spada- per colpire ladri e ruffiani, politici corrotti e despoti, illegalità sfruttatori demagoghi, venditori di fumo, parolai e sofisti. Con Le Nuvole, l’attacco frontale del nostro poeta è proprio contro i sofisti, cialtroni patentati, esemplificati in Socrate e la sua cerchia, che Aristofane non sopporta e ne fa l’emblema per la sua battaglia sociale e culturale”.

Il commediografo greco antico Aristofane

Il commediografo greco antico Aristofane

L’analisi di Aristofane è sottile e feroce, da attento osservatore politico-sociale quale egli è di quella sua società: le Nuvole andarono in scena nel 423 a.C. Il prof. Filippo Crispo si chiede se dopo 2439 anni sia cambiato qualcosa. “A me pare di no, possiamo constatare invece il peggioramento sociale e il rafforzamento della sofistica, del capzioso, del cavillo, dell’azzeccagarbugli di manzoniana memoria, per far sì che i loro adepti possano aver sempre e comunque ragione, possano gaiamente nuotare nelle piscine dell’illegalità, nel mare magnum dell’intrallazzo e nel saccheggio materiale pubblico e privato, negli anfratti della devianza etico-morale … facendo sberleffi a quella democrazia e buona educazione civica che ci insegnano i nostri antichi maestri”. Nell’immensa giungla di leggi, l’arte del cavillo è il padre-padrone assoluto, il dittatore che distrugge ogni aspetto dell’umano convivere. Infinite leggi, infinite ingiustizie. Lo si dice da millenni: vale a qualcosa? “Contro questo andazzo così immorale e criminale, si scagliano le invettive di Aristofane con la sua incisiva ironia, satira e forte sarcasmo, creando situazioni di coinvolgente comicità per finalità catartiche, per il sogno di una democrazia compiuta, ove si possa vivere con gioia e pace. Questo il suo e nostro ideale. È la finalità di tutte le arti, del teatro: che richiedono ovviamente dedizione, competenza e professionalità, senza pressappochismi, altrimenti è inutile e deleterio. Così era quell’antico impegno artistico-culturale e così bisogna farlo rivivere alimentandone la fiamma, nel contesto del quotidiano divenire”. Le Nuvole sono le dèe dell’eloquenza, e chiamano Socrate addirittura loro sacerdote-ministro. “Aristofane non poteva escogitare parallelismo più efficace: esse dominano continuamente la scena, con il loro aspetto fluttuante-fluido-etereo, trasformate per l’occasione con volto di gentili enigmatiche fanciulle; ma possono prendere anche qualsiasi forma, a seconda delle situazioni … appunto come la mefistofelica architettura del cavillo. Una commedia dalla comicità alta, accattivante, con dialoghi che coinvolgono per la loro genuinità. La macchina drammaturgica e teatrale del nostro poeta, nella sua sanguigna provocazione, non perdona. Quella sua sceneggiatura è la stessa di oggi, ove la Historia magistra vitae sembra non interessare più. Comunque – conclude Crispo -, Aristofane nonostante tutto”.