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Pompei. All’Odeon anteprima internazionale della nuova opera filmica “I Am Hymns of the New Temples – أنا تراتیل المعابد الجدیدة” dell’artista Wael Shawky girato nel 2022 tra le rovine della città antica teatro di narrazioni differenti ma inevitabilmente connesse

pompei_odeon_anteprima-internazionale_I Am Hymns of the New_Wael Shawky_locandinaIl 12 maggio 2023, alle 20, il Teatro Piccolo “Odeion” di Pompei ospita l’anteprima internazionale della nuova opera filmica dell’artista egiziano Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971) “I Am Hymns of the New Temples – أنا تراتیل المعابد الجدیدة”. La proiezione del film sarà introdotta da una conversazione fra l’artista, Andrea Viliani, curatore del progetto, e Carolyn Christov Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli-Torino, presentati da Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Pompei. Anteprima su invito venerdì 12 maggio 2023, ingresso dalle 19.30, a seguire conversazione con l’artista e proiezione. Proiezioni in anteprima al pubblico sabato 13 e domenica 14 maggio 2023, alle 21, ingresso da piazza Esedra a partire dalle 20.15; biglietto 5 euro, acquistabile esclusivamente sul sito www.ticketone.it.

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Una scena di “I Am Hymns of the New Temples”, opera scritta e diretta da Wael Shawky e girata a Pompei (foto Amedeo Benestante © Wael Shawky; Ministero della Cultura; Parco Archeologico di Pompei in the context of the program Pompeii Commitment. Archaeological Matters)

Girata nell’estate del 2022 fra le rovine dell’antica città di Pompei, colpita dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dc, la nuova opera filmica di Shawky mostra ciò che affiora alle soglie fra le diverse culture che rendono Pompei un vero e proprio teatro di narrazioni differenti ma inevitabilmente connesse. Basando la sua narrazione sulla mitologia greco-romana, e raccontandone le sovrapposizioni con gli antichi culti egizi, Shawky rimette in scena le stratificazioni delle narrazioni antiche, e come esse abbiano contribuito a riplasmare le relazioni fra storia e mito nella proliferazione delle loro ulteriori versioni (“i nomi e le forme erano numerosi, e le linee di sangue si mescolarono”). Già fonte di meraviglia per il moderno Grand Tour occidentale, e oggetto di continue scoperte a partire dalla sua riscoperta nel 1748, e ancora oggi in corso, i resti archeologici pompeiani testimoniano quindi la complessa stratificazione delle culture e delle nature mediterranee: la Pompei antica, sede di intensi scambi commerciali, ospitava infatti non solo templi connessi alla religione greco-romana ma anche egizia (il Tempio di Iside fu dissepolto, con i suoi stucchi, statue, affreschi e suppellettili, proprio all’inizio del Grand Tour), così come ai riti misterici di Mitra, Cibele, Attis. Cogliendo le tracce spurie di queste iconografie sincretiche, Shawky ha individuato il set mobile della sua opera filmica spostandosi fra i Praedia di Giulia Felice, la Casa del Frutteto, l’Odeion, la Necropoli di Porta Nocera e la Basilica, il Tempio di Vespasiano (Genius Augusti) e il Tempio di Iside. E, in questa sua storia pompeiana – che l’artista racconta sulla scorta di una pluralità di storie precedenti di altri autori – non solo scopriamo di esserci già estinti e di essere già rinati – dalle inondazioni dei diluvi primordiali come dall’eruzione del Vesuvio, che colpì senza annichilire, però, le città vesuviane. Ma scopriamo anche che colei che, in questa storia, i greci chiamavano Io, divenne in Egitto Iside, come il figlio-compagno Epafo divenne Osiride: le storie infatti si richiamano l’un l’altra e si sovrascrivono fra loro, creando templi sempre nuovi in cui continuare a proclamare i nostri inni, a raccontare le nostre storie. Shawky offre quindi una lettura ipotetica di tutti questi antichi miti, ritrovandoli incarnati nell’insieme coeso e poroso di templi, sculture, affreschi, mosaici ma anche nei fertili e fluidi paesaggi naturali vulcanici che fanno da set e da sfondo al film. Shawky raffigura così, nella sua narrazione favolistica e multi-specie, creature ibride (dei e dee, figure immaginifiche, esseri umani, animali, minerali e vegetali) che – con una danza celebrativa e misterica, una serie di gesti rituali propri di un’esperienza mistica che sveli il fascino misterioso delle coste nilotiche e tenda al raggiungimento di una possibile salvezza epifanica – riconfigurano Pompei come un multiverso di potenzialità tanto narrative quanto storiche e come un ecosistema tanto culturale quanto naturale, disponibile alla metamorfosi e quindi anche all’interpretazione.

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Wael Shawky sulla scena di “I Am Hymns of the New Temples”, opera girata a Pompei (foto Amedeo Benestante © Wael Shawky; Ministero della Cultura; Parco Archeologico di Pompei in the context of the program Pompeii Commitment. Archaeological Matters)

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Backstage di “I Am Hymns of the New Temples”, opera scritta e diretta da Wael Shawky e girata a Pompei (foto Amedeo Benestante © Wael Shawky; Ministero della Cultura; Parco Archeologico di Pompei in the context of the program Pompeii Commitment. Archaeological Matters)

L’opera – scritta e diretta da Wael Shawky, autore anche della partitura musicale – è stata curata da Andrea Viliani, con supervisione alla produzione da parte del responsabile unico di progetto Silvia Martina Bertesago, funzionario archeologo del parco archeologico di Pompei, e il supporto scientifico e organizzativo di Anna Civale (per il parco archeologico di Pompei) e Laura Mariano con Stella Bottai e Caterina Avataneo (per Pompeii Commitment. Archaeological Matters). La produzione generale del progetto è coordinata da Giorgia Rea (Italia) e la post-produzione e le riprese in Egitto da Tamer Nady (Egitto). La produzione esecutiva delle riprese in Italia è di Davide Mastropaolo (Audioimage). Istituzione partner per la valorizzazione internazionale dell’opera è il LaM-Lille Métropole Musée d’art moderne, d’art contemporain, d’art brut, che presenterà l’opera nel contesto di una mostra personale nel 2024. Le istituzioni italiane che hanno collaborato alla realizzazione dell’opera sono Fondazione Teatro di San Carlo e Accademia di Belle Arti di Napoli. Hanno inoltre partecipato alla produzione dell’opera la Galleria Lia Rumma, Milano/ Napoli, Massimo Moschini e Olimpia Fischetti, Silvio Sansone, Annamaria Alois (San Leucio), Caterina Fabrizio (Dedar), Ferdinando e Giuseppe Botto Paola (Lanificio Botto), Chicco D’Amici (D’Amici Srl). La produzione dell’opera – vincitrice del bando PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2020 promosso e sostenuto dalla direzione generale Creatività contemporanea – è il risultato della collaborazione fra il ministero della Cultura e il parco archeologico di Pompei nel contesto del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, il primo progetto a lungo termine co-ideato da Massimo Osanna e Andrea Viliani: “I Am Hymns of the New Temples” rappresenta la prima opera prodotta nel contesto di questo programma dedicato alla formazione della collezione d’arte contemporanea del parco archeologico di Pompei, primo sito archeologico al mondo a dotarsi di un programma di lungo termine e di una collezione che valorizzano e divulgano la contemporaneità dei temi e dei valori espressi dal patrimonio archeologico italiano e internazionale. Narratore di processi conoscitivi ed espressivi sospesi fra il documentabile e l’immaginabile, Wael Shawky esplora i modi in cui sono state scritte e raccontate le storie e analizza come esse abbiano modellato anche la realtà storica. Nelle sue opere – in cui si articolano film, disegno, pittura, scultura, installazione, performance e regia teatrale, sempre risultato di una ricerca sulle fonti storiche e letterarie – Shawky ci predispone a una posizione di consapevolezza nei confronti dei meccanismi narrativi, antichi e contemporanei, con cui sono stati interpretati e trasmessi i fatti storici, sociali e culturali e, attraversando spazio e tempo, evoca una dimensione al contempo fattuale e immaginaria della storia e della società, come se esse non fossero mai definibili una volta e per sempre, o da un solo punto di vista.

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Una scena di “I Am Hymns of the New Temples”, opera scritta e diretta da Wael Shawky e girata a Pompei (foto Amedeo Benestante © Wael Shawky; Ministero della Cultura; Parco Archeologico di Pompei in the context of the program Pompeii Commitment. Archaeological Matters)

Massimo Osanna, direttore generale Musei del ministero della Cultura e co-ideatore del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, dichiara: “Il rapporto fra noi e gli antichi è qualcosa di vivo e sempre in divenire, risultato di un processo storico non solo di trasmissione – fra copie e varianti, fratture e interpretazioni – ma anche di immedesimazione, che andrebbe quindi esplorato, come fa l’artista Wael Shawky, non solo guardando all’indietro ma anche in avanti, e in profondità. Al fine di poter cogliere la costante attualità delle storie e delle materie archeologiche, in cui rivivono sensibilità e emozioni umane che al contempo ci differenziano ma ci avvicinano anche, come contemporanei, agli antichi. L’obiettivo di progetti come il PAC – Piano per l’Arte Contemporanea e Pompeii Commitment. Materie archeologiche, entrambi matrici istituzionali del nuovo film di Shawky, è proprio quello di costruire un patrimonio culturale contemporaneo che, valorizzando le molteplici esperienze del nostro passato, sappia fondare e condividere il patrimonio culturale del nostro futuro”. Come ricorda Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Pompei: “La vera archeologia è guardare con occhi sempre nuovi l’antico che già pensiamo di conoscere. Per questo il Parco Archeologico di Pompei crede fortemente nel valore del dialogo fra archeologia e arte contemporanea, dialogo capace di ascoltare le storie comuni, avvicinando fra loro i termini geografici e cronologici di una storia, in cui raccontare l’antico vuol semplicemente dire raccontare il contemporaneo a noi”. Andrea Viliani, che ha curato il progetto nel contesto del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, dichiara: “La nuova opera filmica di Wael Shawky è il racconto epico del bisogno umano di inventare, raccontare e tramandare storie, attraverso le quali gli esseri umani hanno dato e continuano a dare un possibile senso al mondo, in cui convivono con tutte le altre specie e con gli altri esseri umani. Un bisogno che forse proprio il racconto, il mito, la leggenda riescono a definire ancor più in profondità della cronaca storica. Ne emerge il profilo di un essere umano inteso non tanto come una creatura storica, e quindi realistica, quanto come una creatura impregnata di fabulazione narrativa, costantemente rigenerata dagli innumerevoli racconti con cui elaborare la necessità di dare un nome, un corpo, un volto a ciò che ignora, a ciò che teme e a ciò che desidera, alla sua stessa pulsione alla conoscenza, di rapportare il macrocosmo e il microcosmo, di riconoscere l’incessante implicazione fra materiale e spirituale, culturale e naturale, così come di elaborare l’inevitabile intreccio fra distruzione e ricreazione. L’antica città di Pompei, apparentemente distrutta, divenuta un sito leggendario ma poi riemersa dalle sue stesse rovine, si presenta quindi come il set esemplare per la nuova opera dell’artista”.

pompei_odeon_anteprima-internazionale_I Am Hymns of the New_Wael Shawky_66_foto-Amedeo Benestante © Wael Shawky

Una scena di “I Am Hymns of the New Temples”, opera scritta e diretta da Wael Shawky e girata a Pompei (foto Amedeo Benestante © Wael Shawky; Ministero della Cultura; Parco Archeologico di Pompei in the context of the program Pompeii Commitment. Archaeological Matters)

“I Am Hymns of the New Temples” rappresenta, in questo senso, non solo una continuazione della ricerca dell’artista sulla mitologia greco-romana e su come essa abbia circoscritto la nostra interpretazione contemporanea, fondamentalmente eurocentrica, del mondo – come narrato nel film Isles of the Blessed (Oops!…I forgot Europe), 2022, in cui seguiamo la storia di Cadmo e Armonia inviati da Zeus, che vuole sedurre Europa, sorella di Cadmo, portandola a Creta, dove la leggenda narra che abbia offerto il suo nome al continente omonimo. Ma il nuovo film rappresenta anche il culmine della ricerca fra arte e cinema avviata dall’artista con le precedenti trilogie Cabaret Crusades (The Horror Show Files, 2010; The Path to Cairo, 2012; The Secrets of Karbala, 2015) e Al Araba Al Madfuna (2012-2016). In queste opere fimiche Shawky aveva già messo in rapporto eventi e personaggi della tradizione medio-orientale ed egiziana con una contemporaneità scossa da contrasti apparentemente irresolubili: nel primo caso raccontando le vicende delle Crociate dalla prospettiva storiografica araba e utilizzando marionette al posto dei personaggi storici; nel secondo caso affidando a bambini travestiti da adulti il racconto delle antiche tradizioni del villaggio Al Araba Al Madfuna nei pressi di Abydos (capitale del regno faraonico dell’Alto Egitto). Per la prima volta, però, in “I Am Hymns of the New Temples”, Shawky non solo introduce nella narrazione anche alcuni animali, come il coccodrillo e l’ippopotamo spesso raffigurati nelle scene nilotiche degli affreschi pompeiani, ma mette in scena coreografie eseguite dal vivo negli scavi archeologici da performer che – prendendo il posto delle marionette utilizzate nelle opere precedenti – indossano machere in ceramica o carta pesta e costumi multi-materici, realizzati dal ceramista Pierre Architta e dai laboratori del Teatro di San Carlo e dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, impiegando anche i tessuti dell’antica seteria di San Leucio e altri tessuti prodotti da storiche manifatture tessili italiane che assumono, con i loro pattern decorativi, la valenza pittorica di un tableau vivant ritmicamente animato, come in una processione sacra o un rito iniziatico, dai movimenti coreutici dei performer. In continuità con tutte le sue opere precedenti, ancora una volta Shawky fa emergere dagli eventi narrati le dinamiche ancestrali che li hanno trasmessi fino a noi e riscrive quella Storia collettiva che solo le tante storie singole e la dimensione della favola possono, forse, restituirci, nella sua contraddittoria verità e irredimibile umanità. Come ha affermato l’artista stesso, il suo desiderio, nel raccontare questa sua nuova storia, è quello che essa appaia, come tutte le altre che ha raccontato, “sufficientemente precisa nei dettagli, da poter sembrare che essa esista realmente, da qualche parte” e in qualche momento nello scorrere del tempo… passato, presente e (o) futuro.

Pompei. Alla Casa del Triclinio all’aperto la mostra personale dell’architetto Andrea Branzi “Metropoli latina” che esplora la domus pompeiana quale deposito di un’arte insieme classica e tragica

“Pompei come luogo dei morti ma anche dei viventi, dei poeti, del mare e del vulcano, della politica e dell’eterno commercio… / Lontano dalla Roma dei monumenti, Pompei ci lascia cicatrici silenziose, profonde come le strade di pietra o leggere come tratturi… / Esposte al sole accecante e alla fresca penombra delle case, dove gli Dei sono confusi con gli schiavi e l’arte povera con l’arte ricca, i capolavori e le galline ruspanti… / Questa è la Pompei che più ci fa paura, perché troppo ci somiglia… / Nelle ville la luce opaca delle stanze penetra a fatica attraverso le piccole lastre di alabastro, illuminate da poche lucerne che ci permettono di scoprire i miti misteriosi e i volti degli antichi latini… / Essi infatti parlano in latino, e recitano le poesie di Catullo”: così scrive Andrea Branzi, una delle più importanti figure del design e dell’architettura italiane dagli anni sessanta ad oggi, che per il parco archeologico di Pompei ha ideato la mostra personale “Metropoli latina” aperta alla Casa del Triclinio fino al 30 novembre 2021. La mostra – su progetto ideato dallo Studio Andrea Branzi e prodotta grazie al supporto di Friedman Benda Gallery, New York – è presentata nell’ambito del programma “Pompeii Commitment. Materie archeologiche”, in collaborazione con il Festival del Paesaggio, ed è a cura di Gianluca Riccio e Arianna Rosica con lo Studio Andrea Branzi.

Andrea Viliani, co-curatore della mostra “Metropoli latina”, davanti al pannello Wall 6 di Andrea Branzi (foto parco archeologico di pompei)

A partire dalla riflessione condotta dall’architetto e designer fiorentino sulla “metropoli latina”, ripensata da Branzi in quanto tessuto vivo di ambienti domestici e privati piuttosto che come spazio-tempo teorico costruito sulle rovine di un passato monumentale, la mostra, in un percorso che intreccia mezzi espressivi differenti (un’opera-pannello, modelli architettonici e installazioni sonore), esplora la domus pompeiana quale deposito di un’arte insieme classica e tragica, svelando il volto di una Pompei rimasta intatta nella sua dimensione intima e, per questo, così inquietantemente moderna. Pubblicato sul portale www.pompeiicommitment.org (il centro di ricerca digitale del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche) un contributo inedito (Commitment) di Andrea Branzi, a cura di Andrea Viliani, Stella Bottai e Laura Mariano.

La mostra personale di Andrea Branzi “Metropoli latina” allestita nella Casa del Triclinio all’aperto di Pompei (foto parco archeologico di pompei)

Gli ambienti della Casa del Triclinio all’aperto, che ospitano l’intero percorso espositivo, emergono attraverso la presenza delle opere e degli interventi di Branzi come uno scenario di narrazioni sospese e imperscrutabili e di paesaggi onirici: frammenti di un mondo ai nostri occhi e alle nostre orecchie tanto imprevisto quanto affascinante. Cinque maquette della serie Metropoli latina (2018), accompagnate dalla presenza di un’opera-pannello – Wall 6, appositamente realizzata per la mostra – articolano il percorso espositivo negli spazi interni della Casa evidenziando, con la loro muta presenza avvolta dalla penombra degli ambienti, la connessione tra la sfera culturalmente più alta della domus pompeiana, legata al culto degli Dei, con la natura rustica dell’habitat domestico latino.

Dettaglio del pannello Wall 6 di Andrea Branzi nella mostra “Metropoli latina” a Pompei (foto parco archeologico di pompei)

Ad accompagnare il percorso dei visitatori interviene anche un’installazione sonora, anch’essa prodotta in occasione della mostra, che emerge dagli ambienti della Casa riproducendo il suono di una voce (quella dell’attore Alessandro Preziosi) che recita una selezione di brani tratti dai Carmi di Catullo, mentre nel giardino della casa sono riprodotti suoni legati al mondo agreste e contadino. Gli spazi interni e quelli esterni della Casa, segnati dalla presenza di un ampio vigneto, così come la memoria del loro passato e l’esperienza del loro presente rivivono in una reciproca connessione spaziale e compenetrazione temporale, in un coinvolgimento pluri-sensoriale e multi-specie che, attivandosi, impregna di sé e prende quasi di sorpresa la quotidianità stessa dell’area archeologica.

La Casa del Triclinio all’aperto a Pompei (foto parco archeologico di pompei)

La Casa del Triclinio all’aperto. Nata dalla fusione di più nuclei indipendenti, questa modesta abitazione di via di Nocera, alle spalle della Palestra Grande, presenta un impianto planimetrico condizionato dalla ristrettezza degli spazi: tre ambienti ed un piccolo giardino, sono disposti in successione sul lato di un corridoio di passaggio che immette in un peristilio a due bracci, dal quale si accede ad altri due vani. Del piano superiore si è ricostruita il balcone aggettante (maeniano) che, con la sua balaustra in tufelli, si affacciava sull’ingresso principale della casa. Agli angusti spazi abitativi si contrappone la vasta area a giardino posta a nord – oggi, come in antico, piantata a vigneto– accessibile direttamente da un ingresso secondario. Tra il verde dei vitigni è ubicato il grazioso triclinio che dà il nome alla casa, abbellito da due fontane a nicchia rivestite da mosaici in pasta vitrea, pomici e conchiglie. Il complesso, accessibile anche da via della Palestra, doveva costituire una sorta di osteria a giardino, ad uso dei frequentatori del vicino anfiteatro.

Pompei, 21 dicembre 2020: è nato Pompeii Commitment. Materie archeologiche il portale e centro di ricerca digitale del parco archeologico di Pompei per lo studio e la valorizzazione delle “materie archeologiche” custodite nelle aree di scavo e nei depositi

Il parco archeologico di Pompei lancia il portale Pompeii Commitment. Materie archeologiche

21 dicembre 2020, ore 14: aperto ufficialmente pompeiicommitment.org, il portale e centro di ricerca digitale di Pompeii Commitment. Materie archeologiche, il primo programma dedicato all’arte contemporanea commissionato dal parco archeologico di Pompei e basato sullo studio e sulla valorizzazione delle “materie archeologiche” custodite nelle aree di scavo e nei depositi di Pompei. Il progetto è stato ideato nel 2017 da Massimo Osanna, direttore generale ad interim del parco archeologico di Pompei, e Andrea Viliani, responsabile e curatore del CRRI-Castello di Rivoli Research Institute, che è il curatore scientifico del progetto, “manutenuto” insieme con Stella Bottai e Laura Mariano. L’individuazione della parola “manutenzione” non è casuale, in quanto si tratta di un progetto in progress che connota il lavoro di ricerca quale responsabilità e impegno (“commitment”) quotidiano, non solo a concepire ma anche, appunto, a manutenere ovvero a preservare e condividere i risultati che saranno progressivamente raggiunti.

L’home page del portale Pompeii Commitment. Materie archeologiche

Nella sua prima fase, Pompeii Commitment si concentra sulla definizione delle forme di conoscenza che saranno espresse e prodotte dal progetto stesso, attraverso un metodo di ricerca corale, attivato e condiviso su pompeiicommitment.org da dicembre 2020 a dicembre 2021. Anche per questo la piattaforma è concepita come un “portale”, piuttosto che un “sito web”, ovvero come un discrimine e un momento di passaggio in cui possiamo prescindere da ciò che già conosciamo, o crediamo di conoscere, e immaginare invece nuovi saperi. pompeiicommitment.org è stato ideato, quindi, non come uno strumento funzionale o di supporto, ma come l’accesso a un vero e proprio centro di ricerca digitale, in cui pubblicare e diffondere progetti in corso, saggi testuali e visivi, podcast, file audio e video di cui saranno autori oltre cinquanta artisti, curatori, scrittori e attivisti internazionali, invitati a partecipare al progetto con i loro contributi (Commitments), che confluiranno in un catalogo scientifico finale.

La pagina Fabulae/Historiae del portale Pompeii Commitment. Materie archeologiche

Il portale racconta inoltre la storia di come Pompei sia diventata una forma di conoscenza della modernità, prima occidentale e poi globale, come testimoniato da molteplici documenti storici che sono pubblicati settimanalmente (Historiae), e di come Pompei abbia accumulato un sapere transdisciplinare in continua evoluzione, composto da innumerevoli storie sulla fine e sull’inizio di mondi, siano essi reali o fantastici, che formano sul portale una Biblioteca di Archeologia e Futurologia.  I professionisti stessi del Parco Archeologico – tra cui archeologi, storici, archivisti, antropologi, archeozoologi, archeobotanici, agronomi, geologi, chimici, architetti, ingegneri, informatici, restauratori, operatori della manutenzione ordinaria – contribuiranno ad approfondire e condividere con il grande pubblico le proprie conoscenze attraverso una serie di testi inediti e interviste che portano in luce e celebrano il loro metodo di lavoro e il loro lavoro quotidiano (Fabulae).

Pagina Inventario del portale Pompeii Commitment. Materie archeologiche

Ma il portale getta anche le basi per una catalogazione tipologica della “materia archeologica” pompeiana conservata nei depositi del Parco e materia di riflessione degli autori invitati, delineando così un museo, per ora solo ipotetico, ad essa dedicato (Inventario). Tutti questi contributi configurano pompeiicommitment.org come una piattaforma editoriale multi-autoriale e polifonica. Evolvendo progressivamente come una costruzione costantemente ridefinita, Pompeii Commitment genera un’ulteriore porta d’ingresso al sito di Pompei – come le porte monumentali attraverso le quali il visitatore accede abitualmente al sito archeologico (Piazza Anfiteatro, Porta Marina Inferiore e Porta Marina Superiore) ­–, che in questo caso si configura come un accesso malleabile e penetrabile all’episteme di Pompei. Il portale web mira così a definire un’esperienza più estesa e stratificata nel tempo rispetto a quella di una visita fisica a Pompei – ma anche della normale consultazione digitale del suo sito web –, affermando una sensazione di “scoperta” graduale che riflette e approfondisce  l’attività permanente di scavo sostenibile condotta ogni giorno  in quel museo diffuso e all’aperto che comprende, oltre al sito archeologico di Pompei, anche i siti di Oplontis, Boscoreale, il Real Polverificio Borbonico di Scafati, la Reggia del Quisisana e le ville di Castellamare di Stabia.

Giulio Paolini apre i Commitments. Qui l’opera “Senza titolo (Pompei)” 2020 (foto Luca Vianello / Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino)

La seconda fase di Pompeii Commitment. Materie archeologiche avrà inizio nel corso del 2021 e si articolerà in un programma di commissione, produzione e presentazione di opere che, progressivamente, costituiranno la collezione d’arte contemporanea (Collectio) del parco archeologico di Pompei. Questa seconda fase è ispirata alle linee guida del progetto Italian Council promosso dal MiBACT-Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo. I Commitments sviluppati per il portale – oltre cinquanta – sono pubblicati settimanalmente nell’arco di dodici mesi, da dicembre 2020 a dicembre 2021. Tra i partecipanti i cui contributi saranno pubblicati nel primo semestre del 2021: Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, Maria Thereza Alves, Marcella Beccaria, Anna Boghiguian, Diana Campbell Betancourt, Cairo Clarke, Cooking Sections, Chiara Costa, Trisha Donnelly, Jimmie Durham, Haris Epaminonda, Eva Fabbris, Milovan Farronato, Simone Fattal,  Lara Favaretto, Liam Gillick, Alexandra Daisy Ginsberg, Prem Krishnamurthy, Mierle Laderman Ukeles, Lina Lapelyte, Matteo Lucchetti, Goshka Macuga, Elena Mazzi, Marzia Migliora, Otobong Nkanga, Henrik Olesen, Charlemagne Palestine, Christodoulos Panayiotou, Giulio Paolini, Lucia Pietroiusti, Walid Raad, Michael Rakowitz, Lucy Raven, Tabita Rezaire, Salvatore Settis, Tai Shani, Paul Sietsema, Himali Singh Soin-David Soin Tappeser, Marianna Vecellio, Adrián Villar Rojas, Kandis Williams, Cerith Wyn Evans, Akram Zaatari.

Mierle Laderman Ukeles Washing / Tracks / Maintenance: Outside, 1973 (courtesy Mierle Laderman Ukeles e Ronald Feldman Gallery, New York)

I Commitments inaugurali sono quelli degli artisti Giulio Paolini (autore anche dell’immagine della holding page del portale) e Mierle Laderman Ukeles. Per tracciare l’orizzonte d’inizio di Pompeii Commmitment. Materie archeologiche, Paolini ha immaginato quattro possibili versioni del portale di accesso al progetto: come in quel “quadro che contiene tutti i quadri” – la prima opera dall’artista, Disegno geometrico, 1960 – Paolini squadra la superficie di quattro fogli bianchi per concentrare la sua e la nostra attenzione su di essi e su ciò che sta per accadervi (o è già accaduto?). Laderman Ukeles partecipa invece con la ripubblicazione del suo MANIFESTO FOR MAINTENANCE ART 1969! Proposal for an exhibition “CARE”, che ha fortemente influenzato la visione curatoriale del progetto, nei termini della sua “cura” intesa come “manutenzione”. Autore della prima Fabula è il professor Pierpaolo Forte, membro del consiglio di amministrazione del parco archeologico di Pompei. Nella primavera 2021 verranno anche presentati il volume monografico Gianni Pettena: 1966-2021 (Mousse Publishing, Milano, 2020, co-prodotto, nell’ambito del progetto, con MAXXI-Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma; Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato; Kunst Meran/Merano Arte) e l’opera di Invernomuto Black Med-POMPEI (2020-2021), vincitrice del bando Italian Council 2019 promosso dalla direzione generale Creatività Contemporanea del MiBACT, su presentazione di Fondazione Morra Greco, Napoli, e donata al parco archeologico di Pompei.

L’ufficio Fundraising del parco archeologico di Pompei ha ideato, a sostegno di Pompeii Commitment, un progetto e un modello di sponsorship, denominato Partners Committee, che sarà sperimentato per la prima volta in questa occasione. Il progetto si presenta come un’opportunità per proporre e valutare nuove modalità di collaborazione pubblico-privato e per interagire con i partner mediante l’attivazione di nuove pratiche dialogiche. Il Partners Committee sarà costituito dal Lead Partner e dai Team Partners. Un ruolo determinante sarà ricoperto dal Lead Partner che curerà la governance della sponsorship, il confronto con i Team Partners e i referenti del Parco Archeologico di Pompei. I Team Partners, a loro volta, potranno suggerire azioni di sostegno al progetto, ma anche nuove modalità di collaborazione e di promozione mediante le stesse organizzazioni coinvolte. L’obiettivo è quello di costituire una squadra di lavoro, dove soggetti pubblici e privati cooperano a sostegno di Pompeii Committment, primo progetto di lungo termine dedicato alle ricerche dell’arte contemporanea a Pompei. Al seguente link l’avviso di sponsorizzazione pubblicato nella sezione amministrazione trasparente del parco di Pompei: http://pompeiisites.org/trasparenza/progetto-pompei-commitment-archaeological-matters-da-parte-del-parco-archeologico-di-pompei/ Il progetto è presente anche sulla piattaforma Art Bonus per consentire a donatori, amici e sostenitori dell’arte di partecipare con erogazioni liberali al sostegno delle creazioni artistiche contemporanee. I nomi dei donatori entreranno a far parte dell’universo progettuale di Pompei, beneficiando degli sgravi fiscali previsti dalle normative Art Bonus. Qui di seguito il link: https://artbonus.gov.it/2267-parco-archeologico-di-pompei.html