Mostra “Con spada e croce. Longobardi a Civezzano” al Castello del Buonconsiglio di Trento: da sinistra, Veronica Barbacovi, Annamaria Azzolini, Laura Dal Prà e Wolfgang Sölder (foto graziano tavan)
“Nell’età di mezzo Civezzano grossa terra ad oriente di Trento era tenuta dai Longobardi”: scriveva così nel 1909 Luigi de Campi, studioso e cultore dell’archeologia trentina, originario di Cles (Val di Non, Tn), nonché corrispondente e poi conservatore della Imperial Regia Commissione Centrale per la conservazione dei monumenti di Vienna. La citazione campeggia nella sala che introduce alla mostra “Con Spada e Croce. Longobardi a Civezzano”, curata da Annamaria Azzolini, Veronica Barbacovi e Wolfgang Sölder, dal 23 marzo al 20 ottobre 2024 al Castello del Buonconsiglio di Trento, che racconta la storia dei Longobardi in Trentino attraverso i capolavori rinvenuti nelle tombe della “principessa” – conservata a Trento – e del “principe” di Civezzano – conservata a Innsbruck – esposti assieme per la prima volta grazie alla collaborazione tra il Castello del Buonconsiglio e il Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck, l’importante istituzione enipontana che custodisce molti manufatti di provenienza trentina e con la quale si è mantenuto e consolidato negli anni un rapporto di grande collaborazione.
Coppia di orecchini a cestello emisferico traforato, in oro (ultimo terzo VI – prima metà VII secolo), proveniente da Vervò in Val di Non (Tn) e conservato al museo Ferdinandeum di Innsbruck (foto buonconsiglio)
Luigi de Campi fa riferimento ai rinvenimenti avvenuti nell’area di Civezzano, ai margini della piana di Pergine, all’imbocco della Valsugana, attraversata dal ramo Altinate della Via Claudia Augusta, un’importante via di comunicazione che collegava l’Adriatico (Altino) con il centro Europa (Augusta Vindelicum, oggi Augsburg in Baviera). Nel 1885 in località al Foss a Civezzano era stata infatti scoperta una necropoli seguita nel 1902 da quella di sepolture nel fondo Alessandrini, che avevano attirato l’interesse degli studiosi soprattutto per i corredi “principeschi”, che ne individuano un carattere ‘barbarico’, che solo nel 1888 sarà definito longobardo da Jean de Baye. Ma l’intera area trentina era stata interessata da altri ritrovamenti, per lo più occasionali, di reperti archeologici, non solo di epoca romana, ma anche “barbarici”, di cui una parte significativa di appartenenza longobarda.
Allestimento della mostra “Con spada e croce. Longobardi a Civezzano” al Buonconsiglio: corredo funerario da Lavis con croce in lamina d’oro, fibbia con placca e puntali di cintura in bronzo, borchia di fodero, scramasax, coltello, umbone e cuspide di lancia, conservato al museo del Buonconsiglio (foto graziano tavan)
Corredi funerari, che comprendono soprattutto armamenti ed elementi di ornamento personale – tra cui spiccano per pregio e ricchezza quelli scoperti nell’area di Civezzano – approdano così ad alcune delle più importanti istituzioni museali dell’Impero Austro-ungarico, a cui all’epoca il Trentino apparteneva. È così che una parte di questo patrimonio è tuttora custodita sia al Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck, sia al Castello del Buonconsiglio. Ciò che venne infatti ritrovato a Civezzano nell’Ottocento, quando il Trentino era parte dell’Impero Asburgico, è conservato al Ferdinandeum di Innsbruck; ciò che venne invece rinvenuto all’inizio del secolo successivo e acquistato dal museo imperiale di Vienna, è giunto al Castello del Buonconsiglio, dopo l’istituzione del Museo trentino. La mostra, grazie alla collaborazione tra i due enti museali, costituisce un’occasione straordinaria per poter apprezzare molti di questi reperti, finalmente riuniti – tra cui i corredi della “Tomba del principe” di Civezzano e quella della sepoltura femminile di Castel Telvana – e offre un’occasione per riesaminare i dati storici e i materiali inediti custoditi nei depositi di entrambi i musei alla luce delle conoscenze incrementate grazie agli scavi condotti dalla soprintendenza per i beni e le attività culturali di Trento, ma anche di approfondire tematiche emerse già nell’Ottocento con la nascita dell’archeologia “barbarica”, fornendo anche nuovi contributi per ricostruire la storia della presenza longobarda in Trentino.
La mostra unisce idealmente i due musei proprio nel momento in cui quello trentino festeggia il primo Centenario della sua istituzione (1924 – 2024) e il Ferdinandeum ha appena concluso le celebrazioni del bicentenario (1823 – 2023). Una ricerca che parte dalla scoperta nella località piemontese di Testona sul finire dell’800 di una necropoli i cui reperti furono attribuiti a popolazioni germaniche, oggetti che servirono a identificare quelli rinvenuti a Civezzano nella tomba “principesca” nel 1885. Dal museo di Innsbruck ma anche dai musei reali di Torino, arrivano in Trentino, al Castello del Buonconsiglio, reperti davvero straordinari, testimonianze rarissime di alte manifatture dei primi insediamenti longobardi in questi territori.
Alcune croci in oro longobarde provenienti dal territorio trentino esposte nella mostra al Buonconsiglio “Con spada e croce. Longobardi a Civezzano” (foto graziano tavan)
“È una mostra che scrive per la prima volta la storia dei Longobardi in Trentino”, afferma Laura Dal Prà, direttore del Castello del Buonconsiglio. “E lo fa offrendo al pubblico un racconto emozionante, lungo un percorso punteggiato da autentici capolavori. Ciascun oggetto racconta una storia. A partire da un unicum assoluto: il sontuoso sarcofago del “Principe di Civezzano”, impreziosito da raffinate decorazioni con animali stilizzati in ferro battuto. Gli strepitosi monili in oro della “Principessa di Civezzano” raccontano di contatti bizantini, ma anche di un legame forte con le proprie tradizioni germaniche. Se di “Stile Civezzano” si parla per descrivere i noti motivi “longobardi” presenti su fibbie e puntali di cinture in argento e ferro, nell’esposizione spade, crocette, fibule, e monili in oro vengono presentati così come erano utilizzati un tempo, grazie alle ricostruzioni grafiche. La preziosità e la raffinata fattura di questi reperti – conclude Dal Prà – fanno capire come i Longobardi di Civezzano fossero una élite potente nella società del tempo, capace di accedere ai beni suntuari. Il fatto che la necropoli fosse collocata ben discosta dall’antica pieve porta a pensare che si trattasse di un nucleo di famiglie di religione ariana”.
“Questa mostra”, spiega Annamaria Azzolini (Castello del Buonconsiglio) ad archeologiavocidalpassato.com vuole fare il punto sulla presenza longobarda nel territorio trentino. Naturalmente riscrive una parte di storia di questo territorio. Teniamo presente che i longobardi sono un popolo che cambia la storia italiana, e con questa piccola mostra, che in realtà racconta una presenza che spesso è sotto traccia in territorio trentino, vogliano ridefinire quindi questa presenza e riscrivere una parte di storia relativa a questo territorio. Gli oggetti da vedere sono numerosi, prestigiosi, riferibili soprattutto a un’élite, quindi una classe che a un certo punto ha una forte capacità di accesso ai beni suntuari presenti utilizzando tutti quegli elementi che sono proprio delle alte aristocrazie”.
“L’idea progettuale della mostra – continua Azzolini per archeologiavocidalpassato.com – nasce da uno scambio di informazioni con i colleghi del Ferdinandeum e dalla suggestione di poter appunto presentare per la prima volta insieme questi corredi rinvenuti a Civezzano a partire dal 1885, definiti in letteratura come principeschi. Si tratta di un’occasione che ha tutta una serie di elementi di novità. La prima è proprio la proposta di queste sepolture principesche, la seconda è riproporre moltissimi oggetti riferibili a cultura materiale longobarda, custoditi e al Ferdinandeum e al Castello del Buonconsiglio, soprattutto nei depositi, per cui molti sono inediti e sono esposti per la prima volta in questa occasione. E poi, sempre per la prima volta arriva dai musei Reali di Torino una selezione di oggetti dalla necropoli di Testona (Moncalieri, To), oggetti che nel 1885 erano serviti agli studiosi come Luigi di Campi a identificare come appartenenti a una cultura longobarda o franca gli oggetti rinvenuti a Civezzano”.
“L’importanza di questa mostra”, ribadisce Veronica Barbacovi (Ferdinandeum) ad archeologiavocdalpassato.com, “innanzitutto è quella di ribadire e consolidare ancora di più la collaborazione tra due istituzioni storiche importantissime come quella del Castello del Buonconsiglio di Trento e il museo Ferdinandeum di Innsbruck. Entrambi sono delle istituzioni che festeggiano l’una i 100 anni della sua fondazione come museo, il Ferdinandeum i 200 anni proprio tra 2023 e 2024. Quindi è un’occasione per lavorare insieme anche per festeggiare queste due tappe importanti. La mostra nasce appunto dall’idea del Ferdinandeum di portare extra muros degli oggetti di particolare importanza, rilevanza, soprattutto legati al territorio trentino e portarli appunto qua dove sono stati scoperti. La scelta della Tomba “del principe” di Civezzano cade soprattutto per la sontuosità, l’importanza di questo reperto che da quando è stato scoperto nel 1885 e acquistato dall’allora direttore Franz Ritter von Wieser è sempre stato esposto al Ferdinandeum e non ha mai lasciato il suolo austriaco. Quindi è stata l’occasione di portarlo di nuovo nella sua terra di scoperta e porlo in relazione, in dialogo anche con altre tombe come quella appunto “della principessa” di grande valore storico, proveniente sempre da Civezzano, e con altri oggetti e reperti conservati qui al Buonconsiglio, ma che creano un pendant appunto con quanto conservato da noi”.
Se oggi possiamo ammirare integro il corredo della Tomba “del principe” di Civezzano lo dobbiamo al fatto che nel 1885 l’allora direttore del museo di Innsbruck decise di acquisirlo in toto, evitandone la dispersione nei musei d’Europa, come spiega ad archeologiavocidalpassato.com Wolfgang Sölder del Ferdinandem, qui gentilmente tradotto da Veronica Barbacovi. “L’acquisto di importanti complessi archeologici da parte del Ferdinandeum – sintetizza Sölder – è stato visto allora anche come una salvaguardia dei beni archeologici provenienti e rinvenuti nel Trentino dalla dispersione sul mercato antiquario al di fuori dei confini della monarchia. Ricordiamo che non è strano che dei reperti archeologici fossero acquistati e venissero esposti in Austria, in Tirolo, perché si faceva parte allora dello stesso territorio. Tra l’altro negli anni Ottanta dell’Ottocento il mercato antiquario era floridissimo. Moltissimi reperti, che venivano trovati casualmente dai contadini durante i lavori nei campi, venivano raccolti e portati appunto dagli antiquari per guadagnare qualcosa. L’importanza quindi di questo acquisto è stata proprio quella di mantenere innanzitutto il complesso unito, evitare che venisse dispersa una parte del corredo della Tomba 2, venisse venduta in Francia e l’altra parte magari a un altro museo, a Monaco, e quindi si è cercato – con i fondi dell’associazione (Museum Verein) del museo Ferdinandeum di Innsbruck di acquistare in blocco questi reperti per mantenerli appunto uniti e raccontare la storia del Tirolo cui il Trentino chiaramente apparteneva”.
Il corredo longobardo della Tomba della Principessa da Castel Telvana (Borgo Valsugana, Tn) (foto graziano tavan)
La Tomba “della principessa”. Il 9 marzo 1902 nelle vicinanze di Castel Telvana (Borgo Valsugana, Tn), durante i lavori alle fondazioni di un nuovo edificio a uso della Società Agricolo Operaia Cattolica, viene alla luce una piccola necropoli con sette tombe. Tra queste spicca una sepoltura femminile, con l’inumata deposta nella nuda terra, circondata da ciottoli e con il capo appoggiato su una pietra in porfido. Il ricco corredo funerario, che comprende anche un paio di straordinari orecchini in oro, presenta fili d’oro delle vesti in broccato, confermando l’appartenenza della donna all’élite longobarda. I preziosi monili testimoniano il perdurare di tradizioni proprie del mondo transalpino e allo stesso tempo l’assimilazione di costumi romano-bizantini. Sul finire dell’Ottocento, l’area su cui sorge Castel Telvana, era già stata oggetto di rinvenimento di sepolture, ma non è possibile stabilire si vi fosse una relazione tra le due aree cimiteriali.
“La sepoltura di Castel Telvana”, spiega Azzolini ad archeologavocidalpassato.com, “restituisce degli oggetti straordinari
Dettaglio del corredo longobardo della Tomba della Principessa da Castel Telvana: crocetta aurea, orecchini in oro e ametista, spillone in argento, vaghi di collana in pasta vitrea (foto graziano tavan)
riferibili a una donna di altissimo rango identificabile e nota soprattutto per la presenza di questi orecchini in oro e ametista ma anche per una giarrettiera, un reggicalze a doppio pendente che rimanda a una cultura germanica sicuramente, ma anche a contatti con un mondo transalpino. Questa sepoltura in realtà è il sunto di tutta una serie di elementi non solo pertinenti alla cultura germanica – e mi riferisco a quella non esclusivamente longobarda -, ma denota anche contatti con il mondo bizantino, con un’oreficeria di pregio, di lusso e di prestigio”.
Mostra “Con spada e croce. Longobardi a Civezzano”: la tomba 2 del principe, da Civezzano. Il corredo e il sarcofago (foto graziano tavan)
La Tomba “del principe” di Civezzano. Il 13 febbraio 1885, Giulio Dorigoni e i suoi fratelli, lavorando nella vigna in località “al Foss” a Civezzano, rinvengono due sepolture con corredo funerario. La tomba 2 rivela oggetti di eccezionale ricchezza che denotano l’appartenenza a un personaggio di alto rango. La scoperta divulgata da Luigi de Campi attira l’attenzione degli studiosi; nel frattempo gli scopritori, consapevoli dell’importanza del ritrovamento, avevano già cercato possibili acquirenti. In questa occasione, il Museo Civico di Trento “perse gli avanzi di una tomba”, acquistati invece dall’antiquario altoatesino Alois Überbacher. Nell’autunno dello stesso anno, altre due sepolture vengono alla luce nella medesima necropoli: la tomba 3 e la tomba 4. È Franz von Wieser, allora direttore del Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck, a comperare proprio da Überbacher tutti e quattro i corredi per il museo austriaco, dove tutt’ora sono conservati.
“La Tomba numero 2 cosiddetta Tomba “del principe”, come l’ha denominata Franz Ritter von Wieser sulla base proprio della ricchezza del corredo dell’uomo inumato”, spiega Barbacovi ad archeologiavocidalpassato.com, “si tratta di un individuo maschile, è stata rinvenuta nel 1885 nel fondo Dorigoni nella zona al Foss di Civezzano. Questa zona rimane dietro all’odierno CRM, a sinistra della strada provinciale per chi scende verso Trento. In questa zona quindi, che rimane discosta dal centro di Civezzano circa 500 metri a sud, è venuta alla luce una piccola necropoli nel corso di lavori agricoli il 13 febbraio 1885: quattro tombe, le prime due scoperte nel febbraio, e le altre due nell’autunno dello stesso anno. La prima tomba, anch’essa di un individuo maschile, con spata e alcune parti di una cintura a cinque pezzi, è stata rinvenuta a 1 metro e 60 di profondità. E a soli 2 metri di distanza da questa prima tomba, lo stesso giorno è venuta alla luce la seconda sepoltura, molto più ricca, con un corredo cosiddetto principesco, proprio per la ricchezza e la quantità degli elementi in esso contenuti.
Tomba 2 del principe di Civezzano: il sarcofago in legno ricostruito da Franz von Wieser (foto graziano tavan)
L’inumato inizialmente era stato deposto in un sarcofago in legno. Il legno si è decomposto nel corso del tempo, ma sono rimaste tutte le guarnizioni metalliche appartenenti a questo sarcofago. Un unicum anche solo il sarcofago che fa spiccare questa tomba all’interno del panorama di tutte le tombe longobarde dell’epoca. Infatti non ha finora confronti questo sarcofago. Le parti metalliche sono state recuperate, studiate. Franz von Wieser dopo l’acquisto ha subito lavorato affinché questo sarcofago venisse ricostruito anche con le parti lignee. Infatti il sarcofago che oggi vediamo e ammiriamo è frutto della ricostruzione di Franz von Wieser che lo ha ricostruito sulla base di osservazioni fatte all’epoca, e anche da altri studiosi come Karl Atz, sud-tirolese che aveva avuto a suo modo opportunità di avere alcuni ragguagli su questo importante rinvenimento, e che era anch’esso corrispondente per la commissione centrale dei Beni monumentali di Vienna. Ecco proprio in base alla disposizione di queste bande metalliche, si era pensato che la copertura del sarcofago avesse questa forma a capanna. Diversa era stata la ricostruzione proposta da Luigi de Campi il quale – è noto – aveva proposto una ricostruzione con una copertura piana del sarcofago. L’inumato: secondo appunto i racconti dei fratelli Dorigoni, che fanno probabilmente subito dopo la scoperta al momento di proporre l’acquisto di questo corredo proprio all’allora museo civico di Trento, all’interno del sarcofago si trovavano i resti perfettamente conservati dello scheletro del defunto. Questi però non sono stati ahimè conservati, tramandati, non sono stati raccolti. Probabilmente sono stati nuovamente interrati. Abbiamo fatto ricerche anche per capire se non fossero magari stati nuovamente inumati in terra consacrata, ma anche negli archivi della parrocchia di Civezzano purtroppo non abbiamo avuto esito positivo in questo senso. Comunque sia si è conservata una parte della calotta cranica che è stata studiata dal nostro antropologo George McGlynn dell’università di Monaco, il quale ha dedotto che si trattasse di un uomo sui 60 anni, quindi un’età per allora abbastanza avanzata. E la forma del cranio sembrerebbe corrispondere a una forma di tipo nordico europeo. Al di là di questo resto purtroppo non abbiamo altro.
Corredo Tomba 2 del principe di Civezzano: la croce in lamina d’oro (VII sec. d.C.), conservata al museo Ferdinandeum di Innsbruck (foto Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum)
Ma il corredo, che era ciò che allora interessava nel XIX secolo – si mantenevano soprattutto le parti ricche delle tombe, dei rinvenimenti -, ci parla di un personaggio vissuto sicuramente nel primo ventennio-venticinquennio del VII secolo, in base appunto ai confronti con i materiali del corredo, tra cui la croce aurea. Questa croce in foglia d’oro è a quattro bracci tutti uguali di tipo greco che ricorda chiaramente anche delle tradizioni di tipo orientale; e al centro di questa croce si vede un’aquila rivolta verso sinistra che ricorda anche in questo caso sia simboli salvifici cristiani sia anche l’aquila di Odino. E quindi si può leggere anche all’interno di questa simbologia ancora un sincretismo religioso tra elementi pagani precedenti la conversione all’arianesimo dei popoli germanici sia la presenza cristiana, della religione nuova che erano andati ad abbracciare dopo il loro arrivo nei territori romani.
Tomba 2 del principe di Civezzano: la croce con le corna sulla copertura del sarcofago (foto graziano tavan)
Tomba 2 del principe di Civezzano: le protomi con le corna sulla copertura del sarcofago (foto graziano tavan)
Oltretutto questo sincretismo lo troviamo sempre nella decorazione del sarcofago: c’è la croce che però ha delle corna, e le corna ritornano anche alle protomi, sui due timpani della copertura del sarcofago, animali con le corna che ricordano degli arieti anche ai quattro lati del sarcofago. Quindi questa presenza dell’elemento apotropaico che viene ribadita più volte a protezione del defunto. Abbiamo poi l’umbone dello scudo, tutta la panoplia del guerriero, e i fili d’oro appartenenti a un broccato, tessuti forse anche importati da altri luoghi di produzione, o comunque realizzati secondo uno stile che rimanda assolutamente all’ambito romano-bizantino; broccati che andavano a decorare sia bordure di vesti sia probabilmente anche delle cinture.
Tomba 2 del principe di Civezzano: il bacile posto ai piedi del defunto (foto graziano tavan)
Poi abbiamo il bacile che viene posto ai piedi del defunto, rovesciato per defunzionalizzarlo e quindi renderlo – diciamo così – tabù, elemento che viene quindi destinato solo al morto, e poi – conclude – importanti elementi della cintura a cinque pezzi ageminata in argento e ottone che saranno gli elementi che daranno il nome allo “stile civezzano”. Si tratta appunto di una fibbia e contro placca di cintura. E oltre a questi anche una fibbia realizzata in “stile punto e virgola” che rimanda nella forma con scudetto apicato all’ambito bizantino”.
La locandina della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio dal 22 dicembre 2020 al 5 aprile 2021
Tre nuovi contributi video “A tu per tu” del Castello del Buonconsiglio illustrano i contenuti della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (quando il museo era chiuso per emergenza sanitaria), e programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. In questi nuovi contributi introdotti da Alessandro Casagrande, per la regia di Alessandro Ferrini, la direttrice del museo Laura Dal Prà ci parla di iconografia e ci svela quali sono i dettagli utilizzati da Nicolò Roccatagliata per far riconoscere facilmente alla gente i due apostoli San Filippo e San Paolo. Invece Roberta Zuech sottolinea l’importante ruolo che ricopre la fotografia nel ritrovamento di opere d’arte che si pensavano perdute, e come proprio la riscoperta dei due bronzetti la si deve soprattutto a una fotografia di inizio Novecento di Giuseppe Brunner che si conserva negli archivi del Buonconsiglio. Infine Denis Ton ci svela uno dei più importanti criteri utilizzati dagli storici dell’arte per attribuire la paternità di un’opera d’arte: il metodo morelliano.
L’iconografia dei Santi Filippo e Paolo. “Tutta l’arte sacra occidentale si poggia su un codice figurativo molto preciso che permette di identificare i singoli personaggi”, spiega Laura Dal Pra. “È fatto di segni, di simboli e di attributi. Nel caso di San Filippo è evidente la particolarità del vestiario, una veste all’antica, ma soprattutto l’attributo della croce, simbolo del suo martirio nel corso del suo apostolato presso i pagani. Quindi ha un attributo abbastanza evidente, che si ritrova anche nel secondo apostolo, in realtà San Paolo: l’apostolo delle genti, che si trovò a sostituire nell’iconografia cristiana la figura dell’apostolo traditore, ossia Giuda. Quindi l’apostolo delle genti, anch’esso raffigurato in veste all’antica, porta in mano il volume, il simbolo della religione del Libro, cioè del Cristianesimo. L’altro attributo, ormai perso, era molto probabilmente la spada, ovvero lo strumento del suo martirio, la decapitazione, che era la pena capitale riservata ai cittadini romani. Un altro elemento fondamentale nell’iconografia di San Paolo, che la si scopre soprattutto se la si pone a confronto con San Pietro, è quello della barba fluente e dell’inizio di un po’ di calvizie, fatto che invece nelle iconografie di San Pietro non è presente”.
Il ruolo cruciale delle foto storiche. “Le nostre vite sono nelle fotografie, come le fotografie sono nelle nostre vite”: così scriveva Lucia Moholy nel 1939 al termine del suo saggio sui Cento anni della fotografia. “E ancora oggi”, sottolinea Roberta Zuech, “è assolutamente attuale questa interconnessione tra fotografia e vita. Ne abbiamo un esempio con la fotografia che ha permesso la scoperta dei due bronzetti. È una fotografia scattata nei primi anni del Novecento dal fotografo Brunner, noto ritrattista, che rappresenta otto sculture, otto statuette bronzee di casa Consolati. Questa fotografia, scattata probabilmente nel momento in cui veniva apposto il vincolo sulle statuette, è stata per anni conservata nell’archivio fotografico del museo del Buonconsiglio. Lì è stata studiata, catalogata, insieme a tutto il fondo fotografico, e questo ha permesso agli studiosi di scoprirla, di rivederla e di pubblicarla all’interno di un saggio proprio sulle collezioni della famiglia Consolati. Lì ulteriormente è stata vista, studiata, notata, apprezzata da uno studioso, Giuseppe Sava, che ha avuto il merito di riconoscere fuori contesto, inaspettatamente, due delle otto sculture rappresentate in foto e permettere così alla Provincia autonoma di Trento di acquisirle e al museo di esporle e quindi di renderle fruibili al pubblico trentino riportandole sostanzialmente a casa. Ecco un esempio di connessione tra vita e fotografia”.
La paternità delle opere d’arte: il metodo morelliano. “Nel corso degli anni la storia dell’arte ha realizzato una serie di strumenti e metodi con cui giungere all’attribuzione”, interviene Denis Ton. “Strumenti di analisi visiva, documentaria, tecnologica, ma molto è affidato ancora all’occhio del conoscitore. Alla fine dell’Ottocento uno studioso di origine svizzera, Giovanni Morelli, realizzò un metodo basato sui cosiddetti motivi sigla, motivi firma o – da lui – dettagli morelliani. Sono motivi, come i dettagli dei lobi delle orecchie, delle sopracciglia, delle palpebre, che si ripetono costantemente nell’artista e consentono di arrivare a un orientamento stilistico e a un’attribuzione. Sebbene questo metodo sia oggi considerato in parte superato consente un primo riferimento per quanto riguarda la paternità delle opere, e si può applicare anche nell’ambito della scultura. Questo ha consentito al curatore Giuseppe Sava di giungere all’attribuzione dei bronzetti degli apostoli tornati al castello del Buonconsiglio a Nicolò Roccatagliata”.
Il nuovo appuntamento con #buonconsiglioadomicilio è dedicato a un particolare fiore: il garofano. Il direttore del museo Laura Dal Prà, attraverso alcune opere custodite nelle collezioni museali, ci racconta il significato della presenza di questo fiore nell’iconografia del passato. Scopriremo cosi che il garofano era simbolo d’amore e della promessa di fedeltà coniugale.
Dama con il garofano: affresco staccato oggi al castello del Buonconsiglio (foto Buonconsiglio)
Nel 1981 fu donato al museo del Buonconsiglio dagli allora proprietari un piccolo affresco staccato da un palazzo di via Belenzani di Trento: è la dama col garofano che nasconde un segreto. “L’opera – spiega Dal Prà – è una splendida prova di un artista lombardo dei primissimi anno del Quattrocento. È una dama da un volto delicatissimo, giovane, con chiome bionde racchiuse all’interno di una raffinata acconciatura fatta da nastri rossi molto belli. Anche l’abbigliamento è molto ricercato con la manica che si allunga sul polso fino a coprire le dita della mano fino alle dita: un abbigliamento che rispecchia una cultura nobile. Ma è interessante soprattutto quello che la giovane dama trattiene nella sua mano: un piccolo fiore rosso, un garofano, un fiore che era già conosciuto dall’antichità ma diventa di moda nel corso del Medioevo nell’Occidente europeo quando diventa simbolo della promessa coniugale, simbolo dell’amore e dell’impegno proprio tra marito e moglie. Quindi un elemento molto interessante di una cultura cortese cavalleresca”.
Dama con garofano all’orecchio: dipinto conservato a Castel Thun (foto Buonconsiglio)
Il garofano lo troviamo raffigurato – più di cento anni dopo – in un dipinto che si conserva a Castel Thun dove un’altra dama, ma ovviamente abbigliata in maniera diversa, ha lo stesso fiorellino rosso, un garofano, sull’orecchio. Per capire questo dettaglio Dal Prà ricorda un aneddoto: “Sappiamo che nel 1477 il giovanissimo Massimiliano d’Asburgo, che poi diventerà l’imperatore Massimiliano I, conosce per la prima volta la sua futura sposa Maria di Borgogna che ha due anni più di lui. Ebbene, nell’incontro, secondo il galateo fiammingo ma anche della cultura tedesca, il giovane si impegna a ricercare il fiore di garofano che Maria di Borgogna – come appunto da tradizione – ha nascosto sotto il suo corpetto. Quindi sappiamo che questo garofano è veramente al centro di una simbologia molto importante nel tardo Medioevo”.
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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