Paestum. Nel cinquantennale dell’eccezionale scoperta, la Tomba del Tuffatore, unica testimonianza della pittura greca a grandi dimensioni, non vascolare, prima del IV sec. a.C., la mostra “L’immagine invisibile. Dalla Magna Grecia a De Chirico” spiega perché quella figura continua a far discutere gli esperti e a influenzare gli artisti contemporanei

Le lastre della straordinaria Tomba del Tuffatore (480-470 a.C.) esposte nelle sale del museo Archeologico nazionale di Paestum

Il manifesto della mostra “L’immagine invisibile. Dalla Magna Grecia a De Chirico” al museo Archeologico nazionale di Paestum
Estate 1968. In località Tempa del Prete, un paio di chilometri a Sud di Paestum, durante lo scavo di una piccola necropoli di VI-IV sec. a.C., l’allora soprintendente archeologo Mario Napoli fece uan scoperta straordinaria, se pur “fortuita” – come lui stesso ammise-: la Tomba del Tuffatore (480-470 a.C.): unica testimonianza della pittura greca a grandi dimensioni, non vascolare, prima del IV sec. a.C. È passato mezzo secolo da quella straordinaria scoperta, e la Tomba del Tuffatore sta ancora al centro di un dibattito scientifico molto controverso e acceso. L’interpretazione dell’immagine del giovane che si tuffa nell’acqua rimane un rompicapo che fa discutere anche gli esperti del settore: è semplicemente una visione edonistica della vita e della morte? O qualcosa di più, forse un messaggio misterico, ispirato a culti iniziatici legati ad Orfeo e Dioniso? E le difficoltà nella lettura dell’immagine del Tuffatore si spiegano forse con il fatto che essa era “invisibile”, in quanto collocata all’interno di una tomba buia, chiusa per l’eternità? Insomma, possiamo pretendere di leggere e comprendere un’immagine che non era fatta per essere guardata?
Una risposta ha tentato di darla Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Paestum, promuovendo, appunto nel cinquantennale della scoperta, una mostra che, attraverso circa 50 opere provenienti da vari musei e biblioteche, racconta 300 anni di scoperte archeologiche e riletture dell’antico che spiegano perché, oggi come oggi, la Tomba del Tuffatore non si spiega. Ecco dunque la mostra “L’immagine invisibile. Dalla Magna Grecia a De Chirico”, aperta fino al 7 ottobre 2018 al museo Archeologico nazionale di Paestum. La mostra a Paestum non pretende di risolvere tutte queste questioni. Per questo, non è una mostra tradizionale che vuole dare risposte, ma piuttosto una “anti-mostra” che vuole porre delle domande, mettendo i visitatori nella condizione di partecipare al dibattito e di coglierne i motivi.

Dall’antico al contemporaneo alla mostra “L’immagine invisibile” al museo Archeologico nazionale di Paestum
Il percorso segue le scoperte archeologiche che sin dal Settecento hanno segnato la ricerca sui culti misterici antichi, con tanto di fraintendimenti e impostazioni ideologiche. Lo fa mettendo in mostra alcune delle scoperte più clamorose sul tema in Magna Grecia, come le laminette d’oro con testi “orfici” da Thurii e Vibo Valentia, la tomba delle danzatrici da Ruvo, conservata al museo Archeologico di Napoli, o i vasi funebri con raffigurazioni di Orfeo da Matera, Paestum e Napoli. Ma lo fa anche esplorando il contesto storico-culturale in cui queste scoperte sono avvenute. Dalle visioni edonistiche settecentesche del mondo di Bacco si passa alle danzatrici caste e al tempo stesso sensuali di Canova per arrivare alle visioni novecentesche, altamente ambigue, di Corrado Cagli e De Chirico. “Solo attraverso questo racconto del contemporaneo”, spiegano i curatori, “si riesce a comprendere pienamente le motivazioni di una controversia che forse più degli antichi riguarda noi oggi. E che ha fatto sì che nel momento della scoperta della Tomba del Tuffatore, questa abbia suscitato non solo una controversia scientifica molto accesa, ma abbia anche ispirato, più che ogni altra immagine antica, scrittori e artisti contemporanei – tra i primi, l’artista salernitano Carlo Alfano, la cui opera “Il Tuffatore”, allestita vis-à-vis con la Tomba del Tuffatore nel museo di Paestum, viene rivalorizzata nell’occasione della mostra, quale espressione esemplare del rapporto tra presente e passato”.
Museo Archeologico nazionale di Napoli, dopo sei anni, riaperta con nuovo allestimento la sezione Epigrafica, una delle più prestigiose collezioni al mondo: 300 iscrizioni (greche, latine, italiche) tra cui – vera novità – le scritte dipinte o graffite sui muri di Pompei
Si potranno finalmente ammirare le cosiddette Tavole di Eraclea, le Laminette orfiche di Thurii e la Meridiana delle Terme Stabiane di Pompei in lingua osca: vere icone mondiali nell’ambito dell’epigrafia. E poi le iscrizioni dipinte o graffite sui muri di Pompei: manifesti elettorali, annunci di giochi, declamazioni poetiche, sconci disegni, tra le novità del percorso della sezione Epigrafica riaperta il 30 maggio 2017, dopo sei anni, al museo Archeologico nazionale di Napoli: esposte oltre 300 opere di una delle più prestigiose collezioni al mondo d’iscrizioni greche, latine e italiche, documenti eccezionali per la storia della scrittura e della storia del passato, con particolare riferimento alla Campania all’Italia centro-meridionale, con un allestimento completamente rivisto, corredato da nuovi apparati didattici cartacei e multimediali, e accompagnato da una specifica guida edita da Electa. Il lavoro è stato condotto con la curatela scientifica di Carmela Capaldi, dell’università Federico II di Napoli, e di Fausto Zevi, emerito dell’università La Sapienza di Roma e accademico dei Lincei, e il coordinamento di Valeria Sampaolo, capo conservatore delle collezioni del Mann. Dopo la sezione Egiziana (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/10/02/i-faraoni-tornano-a-napoli-dopo-sei-anni-di-chiusura-riapre-la-sezione-egiziana-del-museo-archeologico-di-napoli-1200-reperti-la-piu-antica-collezione-egizia-deuropa-nata-nel-1821-come-rea/) e in attesa di poter ammirare nel 2018 i capolavori della Magna Grecia, ecco, dunque, un ulteriore importante momento di crescita del Museo napoletano sotto la guida di Paolo Giulierini già direttore del Mann dalla fine del 2015 .
Le iscrizioni, spiegano gli archeologi, sono alla base della ricostruzione delle vicende storiche: “spaccati luminosi di vita quotidiana, di pratiche religiose, cardini della giurisprudenza antica alla base del nostro sistema legislativo”. La riaperta sezione, come si diceva, ospita oltre trecento epigrafi, alcune particolarmente rare, altre quasi dimenticate se non addirittura date per scomparse, che spaziano dal VI sec. a.C. al IV sec. d.C. nelle diverse lingue, greco, latino, osco, umbro, nord-sabellico, che riguardano un ampio contesto meridionale, visto il ruolo centrale del Real Museo Borbonico. Testimonianze scritte su materiali lapidei o su metalli, alle quali si aggiungono – novità assoluta di questo allestimento – le iscrizioni dipinte o graffite sui muri di Pompei, testimonianza particolarmente toccante della vita pubblica e privata dei romani, di norma difficilmente documentabili in centri diversi da quelli vesuviani: i manifesti elettorali, gli annunci di giochi di gladiatori, declamazioni poetiche cui spesso si sovrappongono disegni rozzi o sconci.
Testimonianze in varie lingue antiche. Dalla documentazione in lingua greca con testi provenienti dalle colonie dell’Italia meridionale (le prime attestazioni di scrittura greca in Occidente, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., sono state scoperte a Pithecusa (Ischia) si passa alle iscrizioni provenienti proprio da Neapolis, dove il greco rimane lingua ufficiale fino alla caduta dell’Impero romano. Eccezionale è poi la raccolta di iscrizioni in lingue pre-romane dell’Italia centro-meridionale (in osco, vestino, volsco, sabellico) come l’iscrizione in lingua volsca da Velletri del IV secolo a.C, documento tra i più antichi della lingua umbra, o quella nord-sabellica da Bellante della metà del VI secolo a.C. Mentre della lingua osca, formatasi probabilmente in Campania tra il V e il IV secolo a. C. per abbracciare i popoli di ceppo sannitico (base etrusca e numerose influenze dal greco e dal latino) il Mann conserva i testi più lunghi e complessi tra quelli finora rinvenuti, come la Tabula Osca Bantina e il Cippo Abellano.
E veniamo alle top star. Le Tavole di Eraclea (I sec. a.C.), qui esposto un calco moderno della parte latina nella sala dedicata alla romanizzazione (gli originali saranno nella sezione della Magna Grecia), sono lastre bronzee incise su entrambe le facce, con testi in greco e latino di età differenti, che furono rinvenute nel 1732 in Basilicata, nel luogo di probabile riunione dell’assemblea federale della Lega italiota. “Il loro ritrovamento”, ricordano i curatori, “fu un vero evento e il fatto che i reali Borbonici, in fuga a Palermo nel 1798, abbiano voluto nel 1806 portare in Sicilia, insieme a sculture, dipinti e gioielli, anche queste pesanti lastre dimostra quanta importanza “politica” fosse loro attribuita, quali strumenti di legittimazione della nuova casa regnante (i Borbone erano saliti al trono del regno autonomo delle Due Sicilie nel 1734), degna erede dei territori che avevano costituito la Magna Grecia – il cui appellativo di origine pitagorica andava inteso come “doctrinarum magnitudine” – grande per qualità intellettuali e non per estensione geografica”.
Le laminette di Thurii, in lingua greca, sono invece sottili sfoglie d’oro provenienti da due sepolture del IV secolo a. C. appartenenti a una setta misterica di carattere popolare, non ignara dell’ortodossia orfico-pitagorica. Ma vanno anche ricordati i frammenti (8 dei 12 rinvenuti sono infatti conservati al Mann) della cosiddetta Tavola Bembina – scoperta tra Quattro e Cinquecento e appartenuta prima ai duchi d’Urbino, poi all’umanista Pietro Bembo e quindi ai Farnese – con i testi della lex de repetundis e di una lex agraria relativa ad aree demaniali; oppure il Menologium rusticum Colotianum (I sec d. C.) uno dei due soli esempi di calendari agricoli romani che ci sono pervenuti, documento eccezionale per la rarità e lo stato di conservazione che ci fornisce preziose indicazioni sulla scansione delle attività stagionali e dei riti connessi. Riti, costumi, trasformazioni urbane, leggi e commerci, divinità e uomini, siano essi personaggi pubblici, commercianti, notabili o atleti, mogli, sacerdotesse o prostitute: le testimonianze epigrafiche ci narrano e ci fanno scoprire i molteplici aspetti e protagonisti del mondo antico, basti pensare agli archivi di tavolette cerate rinvenute a Pompei nel 1875 e a Ercolano negli anni trenta del Novecento e a come essi restituiscono uno spaccato unico della vita sociale ed economica della prima età imperiale (tra il 40 e il 79 d.C.) ma anche anticipino abitudini molto attuali.
Grandi riaperture al museo Archeologico nazionale di Napoli. Con la sezione Egiziana torna fruibile la sezione Epigrafica, collezione di iscrizioni greco-romane tra le più prestigiose al mondo: dalle Tavole di Eraclea alle Laminette orfiche di Thurii
Non solo faraoni. Al museo Archeologico nazionale di Napoli (Mann) è tempo di grandi ritorni. Sabato 8 ottobre 2016 non solo riapre la sezione Egiziana con un nuovo allestimento per la più antica collezione d’Europa sulla civiltà dei faraoni (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/10/02/i-faraoni-tornano-a-napoli-dopo-sei-anni-di-chiusura-riapre-la-sezione-egiziana-del-museo-archeologico-di-napoli-1200-reperti-la-piu-antica-collezione-egizia-deuropa-nata-nel-1821-come-rea/), ma viene restituita al pubblico anche la sezione Epigrafica, nel riordinamento curato dal dipartimento di Studi umanistici della Università Federico II di Napoli, con materiali unici al mondo per la storia della scrittura e le vicende dell’area napoletana. Si tratta di una delle raccolte di iscrizioni del mondo greco-romano tra le più prestigiose. Sono infatti alcune migliaia i materiali epigrafici di proprietà del Mann di Napoli: dal nucleo Farnese alle raccolte dei Borgia, dalla collezione dell’erudito campano Francesco Daniele e di monsignor Carlo Maria Rosini fino ai ritrovamenti effettuati in Campania e nel Mezzogiorno d’Italia dal Settecento ai giorni nostri. Un percorso ricco in cui il visitatore scopre duecento documenti – alcuni particolarmente rari – selezionati tra i più significativi presenti nel museo per la storia della scrittura e le vicende dei principali centri dell’area napoletana.
La novità di questo allestimento sono proprio le testimonianze di aspetti della vita pubblica e privata di norma difficilmente documentabili in centri diversi da quelli vesuviani, quali i manifesti elettorali, gli annunci di giochi di gladiatori, i graffiti su intonaco, a volte in versi a volte accompagnati da rozzi disegni. Dalla documentazione in lingua greca, con testi provenienti dalle colonie dell’Italia meridionale (le prime attestazioni di scrittura greca in Occidente, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., sono state scoperte a Pithecusa/Ischia) si passa alle iscrizioni provenienti proprio da Neapolis, dove il greco rimane lingua ufficiale fino alla caduta dell’Impero romano. Eccezionale poi la raccolta di iscrizioni in lingue pre-romane dell’Italia centro-meridionale (in osco, vestino, volsco, sabellico), come l’iscrizione in lingua volsca da Velletri del IV secolo a.C. o quella sabellica da Bellante della metà del VI secolo a.C.
Tanti i materiali più significativi: le cosiddette Tavole di Eraclea, lastre bronzee incise su entrambe le facce, con testi in greco e latino di età differenti, rinvenute nel 1732 in Basilicata nel luogo di probabile riunione dell’assemblea federale della Lega italiota; in greco sono le Laminette orfiche di Thurii: sottili sfoglie d’oro provenienti da due sepolture del IV secolo a. C. appartenenti a una setta misterica di carattere popolare, non ignara dell’ortodossia orfico-pitagorica; in osco invece la Meridiana delle Terme Stabiane. Ma vanno anche ricordati i frammenti (8 dei 12 rinvenuti sono infatti conservati al Mann) della cosiddetta Tavola bembina – scoperta tra Quattro e Cinquecento e appartenuta prima ai duchi d’Urbino, poi all’umanista Pietro Bembo e quindi ai Farnese – con i testi della lex de repetundis e di una lex agraria relativa ad aree demaniali e – infine – le iscrizioni con i nomi di quanti vinsero i Sebastà in diverse edizioni, in gare atletiche, ippiche e artistiche, scoperte alla fine del XIX secolo durante i lavori del Risanamento in prossimità di piazza Nicola Amore a Napoli dove, nel 2003 durante i lavori per la linea 1 della metropolitana, sarebbero stati rimessi in luce il tempio per il culto di Augusto e il portico di uno dei ginnasi di Napoli con numerosi altri frammenti di analoghe monumentali iscrizioni.
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