Bologna. A “Imagines” in prima internazionale il nuovo film di Alberto Castellani “VERSO CANAAN. Storie di popoli e di una Terra Promessa”: in cento minuti racconta il perché di conflitti epocali: un lungo, affascinante, impegnativo viaggio nelle terre di Israele, Turchia, Siria, Creta, Egitto, Arabia Saudita, ma anche tra le sale dei principali musei europei

Il regista veneziano Alberto Castellani sul set del film “Verso Canaan” (foto castellani)
“Può sembrare effimero proporre in questo tempo di pandemia suoni e immagini di un prodotto che ancora non c’è. Ma a un uomo può essere sottratto tutto, non la speranza. Lo è anche per chi vuole ancora giocare con quei suoni e quelle immagini. Per coltivare la speranza”. Il regista veneziano Alberto Castellani cominciava così, un anno e mezzo fa, quasi una “traslitterazione” letteraria di quel “mola mia” (non mollare) lanciato dagli amici bergamaschi in piena emergenza sanitaria, o quel più banale #andratuttobene scritto ovunque, nel presentare il suo ultimo ambizioso progetto “Verso Canaan”, non ancora film, perché la produzione del film “VERSO CANAAN. Storie di popoli e di una Terra Promessa” prodotto da Media Venice Comunicazione, era stato bloccato dalla pandemia: stop a ogni trasferta per riprese esterne e nei musei di Israele, con sostegno di Israel Ministry of Culture e dell’Ufficio nazionale Israeliano del Turismo. La situazione in questi mesi non è cambiata. Così Castellani ha deciso di portare a termine il progetto con il ricco materiale di cui già disponeva frutto di precedenti missioni in Israele, Turchia, Siria, Creta, Egitto, Arabia Saudita, e di quanto realizzato nei musei europei prima del marzo 2020. E ora il film “VERSO CANAAN. Storie di popoli e di una Terra Promessa”, in due parti, è in prima internazionale a Bologna il 18 e 19 dicembre 2021 nell’ambito di “Imagines, obiettivo sul passato”, diciannovesima edizione della rassegna del Documentario Archeologico organizzata dal Gruppo archeologico bolognese in collaborazione con il museo della Preistoria “Luigi Donini” di San Lazzaro (vedi Bologna. Dopo l’anno di stop per pandemia, il Gruppo archeologico bolognese ripropone “IMAGINES. Obiettivo sul passato”, rassegna del documentario archeologico giunta alla 19.ma edizione: due giornate con film introdotti dagli esperti e dai protagonisti, con il film di Alberto Castellani in prima internazionale | archeologiavocidalpassato).


La statua di Idrimi, trovata ad Alalakh in Turchia e conservata al British Museum: era un re siriano che marciò anche contro Canaan (foto alberto castellani)
“È stata l’occasione per incontrare figure che non appartengono al mondo dorato di faraoni o regine”, sostiene Castellani, “e per raccontare vicende di popoli che vivevano in città periferiche, lontane dal fasto di monumenti colossali ed enigmatici. Genti che frequentavano un ambiente di frontiera, oggi in gran parte nascosto tra i canneti del Nilo o le sabbie dei deserti”. Con “Verso Canaan” Castellani, veneziano, giornalista pubblicista, autore televisivo, torna ad affrontare tematiche archeologiche ispirandosi a vicende narrate dalla Bibbia. È una indagine che lo vede, ancora una volta, percorrere i territori del Vicino Oriente alla ricerca di tracce di lontane presenze. Cananei, Amorrei, Hittiti, Filistei, Fenici, Aramei, Egizi: sono stati questi i popoli idealmente “incontrati” in questo programma che si propone come un lungo, affascinante, impegnativo viaggio nelle terre di Israele, Turchia, Siria, Creta, Egitto, Arabia Saudita, ma anche tra le sale dei principali musei europei, custodi di importanti testimonianze del particolare rapporto intercorso in tempi lontani tra Israele ed altri popoli. Attraverso la loro storia “Verso Canaan: storie di popoli e di una Terra Promessa” cerca di raccontare, in circa cento minuti suddivisi in due puntate (a Bologna nei pomeriggi di sabato 18 e domenica 19 dicembre 2021), il perché di conflitti epocali, indagando su epopee che hanno visto, soprattutto nella vicenda dell’Esodo, la pagina più celebrata: un evento, tra l’altro che solo la Bibbia sembra ricordare. Sullo sfondo, il mondo mesopotamico e faraonico e l’indagine su figure la cui vicenda affonda spesso nel mito: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè.

“È stato un impegno che ha richiesto un lungo studio preparatorio e che mi ha portato a documentare luoghi di grande suggestione”, aggiunge il regista che in queste settimane sta curando la versione internazionale multilingue del programma. “Le riprese hanno preso avvio nei primi mesi del 2019 per concludersi ad inizio 2020, poco prima della esplosione della pandemia. Dalla città fortezza di Megiddo al materiale esposto nelle sale del Rokfeller Museum e del Bible Land Museum di Gerusalemme o tra i reperti esposti al Museo del Cairo, dalla documentazione dei principali siti israeliani, tra cui alcuni fondamentali per l’economia del racconto come Bet Shemesh, Tel Yarmut, Lachish, o Hebron, alle distese del Neghev o ai deserti della penisola arabica, ho cercato di trasferire in questo mio lavoro lo spirito di una epopea che ha attraversato un tempo lunghissimo, spesso avvolto dalle nebbie di notizie incerte e a volte contraddittore che tavolette o stele sono in grado ancor oggi di chiarire solo in parte”.
Israele. Così gli assiri conquistarono la città di Lachish e la Giudea: gli archeologi dell’università di Gerusalemme e di Oakland hanno scoperto come fu realizzata la rampa d’assedio della città, micidiale macchina da guerra dell’esercito di Sennacherib. Ad oggi è l’unica nota del Vicino Oriente antico e la più antica del mondo: risale a 2700 anni fa


La rampa d’assedio realizzata a Lachish, in Giudea, con tre milioni di pietre (foto Yosef Garfinkel)
Alle truppe del re assiro Sennacherib bastavano poco più di tre settimane per innalzare la rampa d’assedio, una macchina da guerra micidiale usata nella conquista delle città del Levante meridionale che si erano ribellate nell’VIII sec. a.C. All’epoca gli assiri avevano un esercito potente e ben equipaggiato: nel 721 a.C. fu conquistato il Regno d’Israele. Venti anni dopo, l’esercito assiro attaccò il regno di Giuda, assediando la sua città più importante, Gerusalemme, e lanciando un assalto diretto alla sua seconda città più importante, Lachish. Lo stesso re Sennacherib andò a Lachish per sovrintendere alla sua distruzione, che iniziò con la costruzione di una rampa per raggiungere le mura della città sulla collina. Ed è proprio a Lachish che gli archeologi hanno scoperto la tecnica usata dagli assiri per costruire la rampa e il suo uso per conquistare la città di Lachish: ad oggi è l’unica nota del Vicino Oriente antico e la più antica del mondo. Fu realizzata 2700 anni fa. Le rovine di Lachis erano state infatti scavate fin dagli anni ’30 del secolo scorso e i resti della rampa d’assedio assira, sollevata nell’angolo sud-ovest del sito, erano già stati identificati negli anni ’70. Ma proprio i nuovi studi degli archeologi dell’università di Gerusalemme e dell’americana Oakland stanno facendo luce su una delle battaglie più documentate della storia antica, descritta nella Bibbia, nei testi assiri e persino in rilievi giunti fino a noi. I risultati sono stati pubblicati sull’Oxford Journal of Archaeology. Il team, guidato dal professor Yosef Garfinkel e dalla dott.ssa Madeleine Mumcuoglu dell’Istituto di archeologia dell’università ebraica di Gerusalemme (HU), e dai professori Jon W. Carroll e Michael Pytlik dell’università di Oakland, negli Stati Uniti, ha attinto a diverse fonti su questo evento storico per fornire un quadro completo. L’eccezionale quantità di dati include testi biblici (2 Re 18:9–19:37; 2 Cronache 32; Isaia 36–37), iconografia (rilievi in pietra raffiguranti scene di battaglia assira) e iscrizioni accadiche, scavi archeologici e fotografie di droni del XXI secolo.


Ceramiche scoperte nel sito archeologico di Lachish (foto C. Amit / IAA)
Gli assiri all’epoca erano una delle superpotenze del Vicino Oriente: controllavano un impero che si estendeva dall’Iran all’Egitto. Per conquistare Israele hanno utilizzato tecnologie militari che hanno permesso loro di vincere le battaglie e penetrare nelle città fortificate. E se oggi per prevalere ci si affida alla forza aerea e alle forze speciali, nel IX-VII secolo a.C., tutto ruotava attorno alla rampa d’assedio, una struttura elevata che trasportava rampe di attacco fino alle mura della città nemica e permetteva ai soldati assiri di aver la meglio sui loro nemici. Lachish era una fiorente città cananea nel II millennio a.C. ed era stata la seconda città più importante del regno di Giuda. Nel 701 a.C. Lachish fu attaccata dall’esercito assiro, guidato dal re Sennacherib. L’analisi di Garfinkel ha permesso di superare le diverse ipotesi avanzate giungendo a definire come fu costruita dagli assiri la massiccia rampa che permise loro di trasportare arieti fino alla cima della collina su cui sorgeva Lachish, violare le sue mura e invadere completamente la città. Garfinkel si è avvalso anche dell’analisi fotogrammetrica delle fotografie aeree e della creazione di una mappa digitale dettagliata del paesaggio, che ha prodotto un modello che tiene conto di tutte le informazioni disponibili su quella battaglia.


Un muro del X sec. a.C. portato in luce a Lachish (foto Emil Aladjem)
Secondo Garfinkel, la rampa era fatta di piccoli massi, di circa 6,5 kg ciascuno. Quindi per realizzarla sarebbero servite qualcosa come tre milioni di pietre. Impensabile che siano state raccolte nei campi attorno al sito, perché avrebbe richiesto troppo tempo rallentando la costruzione della rampa che invece doveva essere rapida. L’ideale sarebbe stata l’estrazione delle pietre all’estremità opposta della rampa: ed è proprio lì che gli archeologi hanno trovato una rupe che rivelava l’esistenza di un substrato roccioso. La costruzione della rampa, dalle evidenze archeologiche, sarebbe iniziata a una ottantina di metri di distanza dalle mura della città di Lachish, vicino a dove si potevano estrarre le pietre necessarie per la rampa. Le pietre sarebbero state trasportate con una catena umana, passate da uomo a uomo a mano. Secondo Garfinkel con quattro catene umane che lavorano in parallelo sulla rampa, ciascuna attiva 24 ore su 24, ogni giorno sarebbero state spostate circa 160mila pietre. “Il tempo era la principale preoccupazione dell’esercito assiro”, spiega Garfinkel. “Centinaia di operai lavoravano giorno e notte trasportando pietre, possibilmente in due turni di 12 ore ciascuno. La manodopera era probabilmente fornita dai prigionieri di guerra e dai lavori forzati della popolazione locale. Gli operai erano protetti da massicci scudi posti all’estremità settentrionale della rampa. Questi scudi venivano fatti avanzare verso la città di pochi metri ogni giorno”. Con questo sistema la rampa, un gigantesco cuneo triangolare, avrebbe potuto raggiungere le mura della città in 25 giorni. “Questo modello”, sottolinea Garfinkel, “presuppone che gli assiri fossero molto efficienti, altrimenti ci sarebbero voluti mesi per essere completato”.


Rampe d’assedio assiro sul rilievo di Lachish scoperto nel palazzo di Sennacherib. Si può notare la macchina d’assedio con le sue ruote su una strada pavimentata (disegno di Judith Dekel)
Man mano che gli operai completavano la rampa e si avvicinavano alle mura di Lachish, gli abitanti cercavano di difendere la loro città lanciando frecce e lanciando pietre sul nemico. Garfinkel suggerisce che gli operai usassero massicci scudi di vimini a forma di L, simili a quelli mostrati mentre proteggono i soldati sui rilievi assiri. Nella fase finale, le travi di legno sono state posate sopra le pietre, dove sarebbero stati posizionati in modo sicuro gli arieti all’interno delle loro massicce macchine d’assedio, del peso di una tonnellata. L’ariete, una grande e pesante trave di legno con una punta di metallo, colpiva le pareti facendolo oscillare avanti e indietro. Garfinkel suggerisce che l’ariete fosse sospeso all’interno della macchina d’assedio su catene metalliche, poiché le corde si sarebbero consumate rapidamente. In effetti, una catena di ferro è stata trovata in cima alla rampa a Lachish.
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