Trento. “A tu per tu” con la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio: negli ultimi tre video scopriamo il collezionismo erudito, l’etimologia della parola bronzo, e la tecnica fusoria a cera persa

Ultimi tre contributi video “A tu per tu” del Castello del Buonconsiglio per illustrare i contenuti della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (quando il museo era chiuso per emergenza sanitaria), e programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. In questi nuovi contributi introdotti da Alessandro Casagrande, per la regia di Alessandro Ferrini, Francesca Jurman ci racconta di un collezionismo molto erudito e legato all’amore per l’antico; Tiziana Gatti ci parla proprio della parola bronzo, la sua etimologia e alcuni modi di dire legati a questa parola; infine Mirco Longhi si sofferma sulla complessa tecnica utilizzata da Niccolò Roccatagliata per realizzare i due magnifici bronzetti esposti in mostra, ovvero la tecnica della fusione a cera persa.
Il collezionismo erudito tra XV e XVI secolo. “Tra Quattro e Cinquecento il diffuso interesse per l’antico da parte di umanisti o di intenditori d’arte, sostenuto anche dal ritrovamento di molti reperti di epoca romana”, spiega Francesca Jurman, “determina una forma molto raffinata di collezionismo. Possedere una raccolta di antichità diventa un segno di prestigio, un’ostentazione di raffinatezza e di agio economico. All’interno delle dimore signorili, delle gallerie, degli studioli vengono quindi esibiti questi reperti tra sculture in marmo, medaglie e monete, ceramiche, epigrafi, accanto però a delle creazioni di epoca moderna che devono rievocare il gusto per l’antichità. Sono frequentemente dei bronzetti, delle piccole sculture in bronzo che si ispirano proprio ai modelli dell’antichità nelle forme e anche nelle scelte iconografiche, privilegiando le forme più bizzarre anche cercando di recuperare un repertorio di creature fantastiche o di sculture antiche. Questi oggetti vengono soprattutto realizzati per essere d’arredo e d’uso sullo scrittoio degli umanisti, che quindi si attorniano di questo gusto, di questa evocazione della classicità”.
Le parole del bronzo. “L’utilizzo di una parola e dei suoi derivati all’interno di una lingua”, interviene Tiziana Gatti, “è collegato strettamente all’importanza dell’oggetto che essa definisce. Ciò vale naturalmente anche per la parola bronzo, un termine che definisce un materiale di larghissimo uso nei secoli: una lega di rame e stagno. Non si conosce l’origine della parola. Forse è giunta nel latino medievale e poi nell’italiano da una parola persiana che aveva valore di rame. Nella lingua latina si usava invece una parola del tutto diversa, aes, che indicava sia il bronzo, sia poi successivamente anche la moneta. La voce bronzo è usata oggi anche per indicare un oggetto realizzato con tale materiale. Si parla di bronzo per una scultura oppure per una medaglia assegnata al terzo classificato. Poi infine sono detti bronzi anche le campane tuttora realizzate in questo materiale. Nel linguaggio dell’arte bronzetti sono detti sculture di dimensione minore, mentre bronzino è un recipiente in bronzo oppure anche un campanello usato soprattutto per gli animali. L’espressione che forse ci è più familiare è faccia di bronzo, una forma figurata che si riferisce in generale a una persona che non si vergogna di nulla. Quindi il suo viso resta impassibile come fosse realizzato in bronzo. Ovviamente non è il caso dei volti espressivi in bronzo dorato dei due apostoli esposti in mostra”.
La tecnica fusoria a cera persa. “I due bronzetti raffiguranti San Filippo e San Paolo”, sottolinea Mirco Longhi, “sono l’evidente riflesso dell’abilità raggiunta da Roccatagliata nel sapersi destreggiare in tecniche di fusione e di rifinitura conosciute fin dall’antichità, come la tecnica di fusione per antonomasia: a cera persa. Il metodo classico prevedeva che su un modello in argilla o comunque in materiale refrattario l’artista riprendesse minuziosamente le forme sottostanti con uno strato di cera, appunto. Il tutto a sua volta veniva racchiuso in un involucro, sempre refrattario al calore: la cera appunto si perdeva all’interno dei canali realizzati in questo involucro – chiamato anche tonaca – alle alte temperature cui veniva sottoposto il tutto. La sottilissima intercapedine che si otteneva veniva poi riempita con il metallo, la lega in bronzo, che doveva rivestire uniformemente in maniera omogenea l’intero involucro. All’epoca Roccatagliata, dalla seconda metà del Cinquecento, in particolare sul finire e agli inizi del Seicento, riprese invece il metodo che permetteva un grado di perfezione elevatissimo, il cosiddetto metodo indiretto, molto simile al precedente solo – potremmo dire – quasi inverso. Questa volta dal modello in argilla originale si otteneva un calco in gesso che si staccava poi dal modello. Si spalmava lo strato di cera sull’involucro all’interno del calco in gesso mentre la parte esterna, una volta tolto il calco in gesso, veniva ricoperta dalla tonaca appunto, e attraversata – come dicevo prima – da tutta una serie di canali che permettono al bronzo fuso di ricoprire interamente l’involucro e allo stesso tempo fungono anche da sfiati per l’alta pressione della temperatura della lega in bronzo fuso. Il metodo indiretto permetteva un vantaggio impensato prima del Cinquecento, quello che preservando il modello originale si può portare avanti una produzione seriale. È chiaro allora che vi è discrimine per capire l’intervento del maestro. In questo caso di Roccatagliata la fa la qualità dell’opera. E in particolare di fronte ai due bronzetti dorati è evidente che l’intervento del maestro non è solo nella fase di modellazione del modello in argilla e in cera, ma è anche successivo come nella fase di rifinitura. Ecco quindi che anche la doratura fa la differenza, e soprattutto in tutti quei lavori diciamo di attenzione minuziosa, quasi da miniatore della scultura, in cui vediamo questa resa dei panneggi che rendono le opere estremamente realistiche e dinamiche, tali da fare di questi due bronzetti due opere di un’eccellenza unica”.
#buonconsiglioadomicilio. Francesca Jurman ci porta a scoprire “le stanze private”: gli appartamenti del principe vescovo in Castelvecchio, chiusi al pubblico per motivi di sicurezza
Per il nuovo appuntamento con i video #buonconsiglioadomicilio, Francesca Jurman, responsabile dei Servizi educativi del museo del Buonconsiglio, ci conduce negli appartamenti privati del principe vescovo Johannes Hinderbach: ambienti intimi e riservati realizzati nella seconda metà del Quattrocento e decorati successivamente da Marcello Fogolino intorno al 1530. Gli appartamenti sono chiusi al pubblico per motivi di sicurezza. Gli appartamenti privati del principe vescovo Johannes Hinderbach si trovano all’ultimo piano di Castelvecchio. Realizzati nella seconda metà del Quattrocento, sono collegati direttamente con degli ambienti del piano sottostante, la cosiddetta Stua vecchia e la Stua del reverendissimo, ambienti quindi intimi e riservati dedicati esclusivamente al principe. “L’ambiente centrale, dei tre che costituiscono l’appartamento”, spiega Jurman, “conserva ancora oggi tracce della decorazione originale voluto proprio dal principe Johannes Hinderbach. Sono ornati che si ispirano agli sviluppi architettonici e scultorei di quello stile che ormai trova piena maturazione in epoca tardo-gotica. Gli intrecci sono molto raffinati: archetti trilobati e pinnacoli si rincorrono e definiscono il contorno di elementi che oggi non vediamo più. Questi ambienti infatti sono stati utilizzati anche da altri principi vescovi che si sono succeduti dopo Johannes Hinderbach e tra questi Bernardo Cles che prima che venisse realizzato il sontuoso Magno Palazzo, la sua residenza personale tra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Cinquecento utilizzava proprio queste stanze come suoi appartamenti privati”.

Particolare del fregio dipinto da Marcello Fogolino nelle stanze private del principe vescovo a Castelvecchio (foto Buonconsiglio)
La stanza viene fatta ornare da Bernardo Cles con un bel camino con una cornice in pietra scolpita nella quale sono incastonati dei motivi decorativi in pietra di paragone. “Al centro la sua impresa, l’impresa dell’unità, il fascio di verde trattenuto da un nastro su cui è iscritto il motto unitas, unità religiosa e politica, e collegato all’altra impresa, sempre utilizzato da Bernardo Cles, la palma e l’alloro, simbolo invece di pace e di gloria. Attraverso queste insegne – continua Jurman – il Cles vuole in qualche modo illustrare quello che è il suo programma politico, il suo impegno. La decorazione dell’ambiente viene completata da un fregio pittorico probabilmente realizzato da Marcello Fogolino quello che diverrà poi il pittore di corte del Cles. Il Fogolino riprende qui un repertorio decorativo di cui lui diviene forse il massimo interprete e diffusore in tutta l’area trentina. Un fregio a grottesca cosiddetto a racemo abitato. In effetti si tratta di un motivo decorativo che consente al pittore di creare immagini particolarmente fantasiose, bizzarre, stravaganti, sempre inedite originali, andando a recuperare un repertorio che è antico, perché si trovava già nella Domus Aurea di Nerone, ma che viene proprio diffuso da Raffaello e dai suoi seguaci verso la fine del Quattrocento. Ecco quindi che nel fregio un tralcio fiorito e concluso con volute di foglie d’acanto viene abitato da tutta una serie di figure estremamente bizzarre, un tripudio di putti che giocano con degli esseri fantastici: ci sono dei cavalli marini, ci sono dei satiri o delle donne alate che concludono il loro corpo in una sorta di coda che ricorda quella delle sirene”. Ci sono anche dettagli particolarmente curiosi, divertenti, come può essere il volatile che becca il sedere del putto in un clima moto festoso e divertito. Al di sotto di questo fregio, così gioioso e fresco, viene realizzata una finta copertura di lastre in marmo sulle quali campeggia il trigramma di San Bernardini da Siena con lettere IHS inserite in un sole raggiato e all’interno di due fronde di palma e alloro che richiamano appunto l’impresa d Bernardo Cles. “Analoga decorazione riservata anche al primo degli ambienti di questo appartamento: anche qui finte lastre di marmo accolgono il trigramma di San Bernardino che viene alternato all’impresa dell’unitas clesiana. Al di sopra un fregio pittorico sempre a grottesca probabilmente opera di Fogolino o di qualche suo aiutante. Questo perché qui il fregio rivela invece una maggior rigidità nelle figure, ma lo spirito è identico. Motivi che riecheggiano le forme le soluzioni ideate da Raffaello, da Perin del Vaga, dai loro seguaci e che qui vengono ovviamente riviste in una chiave assolutamente originale, dando veramente libero sfogo a Fogolino e ai suoi seguaci che troveranno piena espressione nei fregi pittorici che andranno a realizzare negli anni successivi all’interno del Magno Palazzo”.
#buonconsiglioadomicilio. Francesca Jurman svela la storia e i segreti dello specchio quattrocentesco nella Loggia Veneziana
Nuovo appuntamento con i video #buonconsiglioadomicilio, Francesca Jurman, responsabile Servizi educativi, ci svela la storia e i segreti dello specchio quattrocentesco che si trova in Loggia Veneziana e che riporta inciso in lingua latina e greca il motto “conosci te stesso”. “Attorno al 1475”, racconta Jurman, “il principe vescovo Giovanni Hinderbach inizia un importante cantiere e lo sviluppo di Castelvecchio. Da fortezza medievale il castello viene trasformato in una prestigiosa e raffinata residenza ormai aperta anche proprio sul clima umanistico rinascimentale che in quegli anni si sta sviluppando in tutta l’area italiana. Il principe vescovo è originario della Stiria ma ha compiuto i suoi studi universitari a Padova. È un colto umanista, un intellettuale aperto a queste nuove atmosfere, ai nuovi modelli che la cultura italiana sta ormai imponendo”.

Lo specchio lapideo quattrocentesco nella Loggia Veneziana del Castello del Buonconsiglio (foto Buonconsiglio)

L’elegante Loggia Veneziana al Castello del Buonconsiglio (foto-Carlo-Baroni / fototeca Trentino Sviluppo)
“All’ultimo piano di Castelvecchio nello sviluppo dell’architettura il principe vescovo fa realizzare un’ariosa ed elegante loggia che riprende lo stile tardogotico imperante a Venezia. Archetti trilobati si inseguono tra capitelli che sono delle vere e proprie esplosioni vegetali e floreali. E, accanto la loggia da cui si può dominare la realtà circostante, sulla parete è incastonato uno specchio, uno specchio in pietra nigra, in pietra preziosa di paragone, convesso, nero, perfettamente lucidato, inserito all’interno di anelli concentrici realizzati invece in pietra di Trento. L’anello in pietra bianca propone un’iscrizione sia nella versione latina che greca: conosci te stesso. È un invito a scrutarsi in profondità, a guardarsi dentro, a ricercare la propria interiorità. Secondo la tradizione questa scritta appariva sul frontone del tempio di Apollo a Delfi ed era un invito appunto a guardarsi dentro, ad accogliere la propria essenza ma soprattutto la propria limitatezza umana nei confronti della divinità, è un’esortazione che segna nel tempo il pensiero dell’Occidente, ma diventando un invito a scrutarsi in profondità, a coltivare una ricerca esistenziale, a indagare stati d’animo ed emozioni, idee e pensieri, ma anche inclinazioni e desideri per raggiungere una piena consapevolezza e realizzazione di sé”.

Il nuovo logo del museo del Buonconsiglio elaborato sullo specchio lapideo nella Loggia Veneziana (foto Buonconsiglio)
“E proprio per questo motivo oggi questo elemento con questo invito ha ispirato il nuovo logo del museo, perché il museo attraverso il contatto diretto con il patrimonio culturale con l’arte e la storia può diventare un’occasione e un’opportunità per conoscere se stessi, per emozionarsi, per stupirsi, ma anche per riflettere sul passato e sull’oggi, sulla propria contemporaneità per costruire identità individuali e collettive, in una sola parola: per crescere”.
#iorestoacasa. Il Castello del Buonconsiglio a Trento propone con Francesca Jurman la seconda parte del video dedicato alla Torre Aquila, alla scoperta delle stanze non accessibili al pubblico: il corpo di guardia al piano inferiore, e le stanze al terzo piano con raffinati affreschi

Torre Aquila del castello del Buonconsiglio, capolavoro del gotico internazionale (foto Buonconsiglio)
Le sale mai viste di Torre Aquila. Nel nuovo appuntamento con #buonconsiglioadomicilio molte sono le sorprese che si possono scoprire a Torre Aquila. Sopra e sotto la famosissima stanza affrescata con il Ciclo dei mesi si trovano infatti alcuni ambienti decorati, non accessibili al pubblico. Sotto la consueta regia di Alessandro Ferrini, Francesca Jurman, responsabile dei Servizi educativi del Museo, percorrerà la ripida scala a chiocciola gotica per raggiungere la stanza del piano inferiore un tempo collegata con le mura cittadine dove vi risiedeva il corpo di guardia e le stanze superiori al terzo piano, anch’esse non visitabili e decorate da raffinati affreschi.
Il primo piano di torre Aquila, che si trovava proprio al di sopra della porta Aquila, ospitava un corpo di guardia per il controllo del passaggio di chi entrava e usciva dalla città. “Per questo motivo – spiega Jurman – troviamo sul pavimento una botola che permette proprio di controllare, di guardare dall’alto attraverso dei dispositivi che consentivano la visuale. Il corpo di guardia non doveva solo sorvegliare e controllare l’andamento attraverso la porta Aquila, ma aveva anche la possibilità di procedere lungo il camminamento di ronda: da una porta si poteva infatti percorrere il camminamento sulle mura della città e quindi controllare interamente le difese della città di Trento. Per rendere confortevole la vita del corpo di guardia di stanza in questa sala c’erano un caminetto, che doveva garantire una temperatura mite all’interno dell’ambiente, e un curioso gabinetto a scomparsa: un ambiente molto piccolo e riservato dotato di un gabinetto a caduta”.

Gruppo di nobili: dettaglio dell’affresco del maestro Venceslao al terzo piano della torre Aquila al castello del Buonconsiglio di Trento (foto Buonconsiglio)
Una scala a chiocciola in legno permette di salire all’ultimo piano di torre Aquila. A differenza del piano inferiore dove è conservato il ciclo dei mesi, questo ambiente è diviso in più camere. “Qui si può ancora vedere un lacerto di affresco – continua Jurman – realizzato dallo stesso magister Venceslao che ha eseguito il ciclo dei mesi di torre Aquila: si riconosce proprio lo stesso stile. Purtroppo la pittura si è solo parzialmente conservata. Riusciamo a individuare un gruppo di nobili dove il cavaliere mette mano alla borsa probabilmente per pagare un contadino che sembra offrirgli delle fragole. Accanto, in un angolo, si è invece conservata l’illustrazione e la descrizione di un’architettura dove – se osservata attentamente – si riesce a riconoscere Castelvecchio. Ancora una volta viene descritto il castello del Buonconsiglio come lo vedeva maestro Venceslao sul finire del ‘300. Riconosciamo proprio la mole di questo castello con le varie successioni delle finestre, il coronamento merlato, l’imponente maschio che svetta sopra l’architettura e i camminamenti di ronda, che consentivano poi di raggiungere torre Aquila, che si sviluppavano lungo le mura cittadine. Su questo affresco si è conservata un’iscrizione molto importante che risale al 1407 quando il principe vescovo di Trento Liechtenstein viene imprigionato e la cittadinanza si riappropria di questa torre come baluardo di difesa della porta orientale della città”.
#iorestoacasa. Il Castello del Buonconsiglio a Trento propone con Francesca Jurman la prima parte del video dedicato alla Torre Aquila, con il celebre ciclo dei mesi del maestro Venceslao, capolavoro del gotico internazionale

Torre Aquila del castello del Buonconsiglio, capolavoro del gotico internazionale (foto Buonconsiglio)
L’appuntamento di oggi con l’iniziativa #buonconsiglioadomicilio è dedicato al gioiello del Castello del Buonconsiglio, Torre Aquila, con il suo celebre e affascinante ciclo dei mesi, affreschi conosciuti come capolavoro del gotico internazionale. Sotto la regia di Alessandro Ferrini, Francesca Jurman responsabile dei Servizi educativi del Museo, ci porterà in questa prima parte dedicata alla Torre, alla scoperta della vita nobiliare e popolare della società di fine Trecento raccontata negli affreschi realizzati dal maestro Venceslao.
Percorrendo il camminamento di ronda sulle mura duecentesche della città di Trento, realizzate in epoca vanghiana, ci consente di raggiungere da Castelvecchio, lasciato alle spalle, Torre Aquila, costruita a difesa della porta orientale della città di Trento. Al secondo piano di Torre Aquila, sulle pareti è conservato il celebre ciclo dei mesi. “Questo affresco – spiega Jurman – venne realizzato sotto il governo del principe vescovo Georg von Liechtenstein che trasformò la torre da torre di difesa della porta orientale della città di Trento in un luogo riservato e intimo, privato, destinato allo studio. Proprio per questo motivo commissionò il ciclo di affreschi a un pittore di probabile origine boema, quel magister Venceslao che le fonti documentano a Trento nel 1397. L’opera risente fortemente dei canoni estetici dello stile proprio del gotico internazionale che si sviluppò in vari centri europei, in particolare a Praga. E Praga è uno dei luoghi della cultura di quest’epoca dove si producono beni di lusso, beni di prestigio, in particolare codici miniati. Venceslao a Trento sembra proprio guardare a queste miniature per realizzare l’affresco del ciclo dei mesi, straordinaria testimonianza del mondo all’autunno del Medioevo. Delle colonnine tortili – fa notare Jurman – ci danno la sensazione di trovarci all’interno di una loggia ma contemporaneamente dividono l’affresco in più scene ognuna delle quali rappresenta un mese dell’anno”.

Festa del calendimaggio: particolare dell’affresco del ciclo dei medi nella Torre Aquila del castello del Buonconsiglio (foto Buonconsiglio)
“Questo paesaggio in costante mutamento nel volgere delle stagioni è animato da aristocratici intenti a giocare, a divertirsi, a svagarsi, e da contadini, da gente del popolo dedicata invece a lavori agricoli e a lavori della quotidianità. Aprile con la semina: quel lavoro nei campi introduce nel mese di maggio che è invece un tripudio di fiori dedicato al calendimaggio, la grande festa aristocratica che celebra l’arrivo della bella stagione; alla mungitura del mese di giugno le donne sono intente a produrre anche il formaggio, burro, con gli strumenti propri di quell’epoca. Segue la fienagione di luglio, dove troviamo anche un cavaliere e una dama che ci introducono al tema della falconeria, uno degli svaghi più amati dalla nobiltà. Lo ritroviamo in agosto con l’addestramento del falco e a settembre con la vera e propria caccia, mentre continuano i lavori agricoli con la mietitura in agosto e con la raccolta delle rape nel mese di settembre. Nobili e contadini sembrano invece quasi unire le loro forze nel mese di ottobre dove sono tutti intenti nella vendemmia e quindi alla produzione del vino. Novembre e dicembre, i mesi invernali, sono uniti tra loro dalla città di Trento: una veduta che ci consente di apprezzare anche il castello del Buonconsiglio nel suo aspetto medievale, quindi con il solo Castelvecchio dominato dall’imponente maschio di forma cilindrica. Attorno alla città si svolgono le attività sia dei nobili sia dei contadini: la caccia all’orso e il lavoro dei boscaioli con il trasferimento in città del legname. Il mese di gennaio è forse la rappresentazione più antica di un paesaggio con la neve nella pittura occidentale. Dinanzi al castello di Stenico, descritto in ogni sua parte. un gruppo di nobili è ripreso in una battagliola a palle di neve. Il ciclo si conclude con il mese di febbraio dove il concitato torneo sembra alludere ai festeggiamenti per il carnevale. Il ciclo termina con febbraio perché il mese di marzo non c’è. Forse è andato distrutto durante un incendio che ha colpito la torre. Probabilmente si trovava sulla scala a chiocciola che porta al piano superiore o scende a quello inferiore, che nascondono altri luoghi segreti del castello”.
#iorestoacasa. Il Castello del Buonconsiglio a Trento propone dei video per far conoscere i segreti del castello, chiuso per emergenza coronavirus. Si comincia con la Torre di Augusto, il maschio del castello, il punto più alto della città. Realizzata nel ‘200 a difesa del principe vescovo, divenne nell’Ottocento punto di vedetta degli austriaci

La Torre di Augusto svetta dal castello del Buonconsiglio a Trento (foto Castello del Buonconsiglio)
Si chiama #buonconsiglioadomicilio: è il nuovo format del museo di Trento girato in questi giorni difficili per raccontare con brevi video il Castello del Buonconsiglio e le sue collezioni in questo triste momento dove tutti dobbiamo restare a casa per sconfiggere il virus. Ogni settimana i curatori del museo proporranno contributi per scoprire la bellezza dei manieri trentini. Il primo appuntamento con gli approfondimenti video #buonconsiglioadomicilio è dedicato a uno dei luoghi più affascinanti del maniero che per ragioni di sicurezza non è aperto al pubblico, ovvero la Torre d’Augusto. Sotto la consueta regia di Alessandro Ferrini, con Francesca Jurman, responsabile dei Servizi educativi, potremo salire le ripide scale in legno e conoscere i segreti del mastio, il nucleo più antico del castello, dove le guardie vigilavano sul maniero per proteggere il principe vescovo.
“È il 1237”, ricorda Jurman, “quando viene nominato podestà imperiale della città di Trento Sodegerio di Tito. È un momento delicato della storia dei principi vescovi di Trento. Il principe vescovo, infatti, non riesce più a esercitare i poteri amministrativi sulla città e il territorio. Così Sodegerio di Tito nell’esercizio del governo della città dà avvio alla costruzione di una fortezza sul dosso del Malconsei, in una zona sopraelevata rispetto alla città, addossata alle mura urbiche fatte costruire nel periodo di Federico Banga. Nucleo principale di questa fortificazione, denominata nei documenti come domus imperatori, la casa murata dell’imperatore, è una torre, il maschio del castello, quella che tradizionalmente è stata indicata nell’Ottocento come la torre di Augusto, perché si pensava fosse di epoca romana. In realtà questa torre risale proprio agli inizi del ‘200. È imponente nella sua forma cilindrica, nella sua altezza – svetta oltre 40 metri – e viene costruita in conci squadrati di pietra a vista”. Per accedere alla torre di Augusto bisogna alzarsi di qualche metro: gli ingressi non erano mai alla base del maschio ma più alti e vi si poteva accedere attraverso delle scale in legno o in corda che potevano essere facilmente rimosse. Il maschio infatti costituiva il nucleo principale del castello, ma costituiva anche l’ultimo baluardo di difesa all’interno dell’edificio, ed era circondato da una serie di mura a costruzione concentrica che rendevano appunto il più difficoltoso possibile l’avanzare del nemico. “Salire nel maschio è quasi un’avventura”, continua Jurman. “Il primo tratto viene compiuto all’esterno, salendo attraverso delle scale e dei passaggi che si trovano tra la cinta muraria esterna – quella realizzata ancora in epoca banghiana – e l’esterno del maschio. Ci sono scale e ballatoi, camminamenti di ronda che servivano proprio per la difesa del castello. Poi si entra all’interno della torre passando attraverso lo spessore delle mura della torre, di quasi un metro e mezzo. I collegamenti interni del maschio sono attraverso ampie sale, larghe quanto la torre, messe in comunicazione da scale in legno che salgono al loro centro. Attraverso una botola si raggiunge la sommità della torre, una piattaforma realizzata nell’Ottocento durante gli interventi di fortificazione del governo austroungarico. Il maschio originariamente aveva una copertura conica modificata nel tempo. Ma appunto gli austriaci, avendo bisogno di una piattaforma per avere una veduta sull’intero territorio vanno a demolire queste coperture e a realizzare questo piano. Da qui si gode una veduta sulla città e sulla valle. Qui siamo infatti nel punto più alto della città, oltre 43 metri dal livello del terreno”.
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