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Roma. Visite guidate speciali su prenotazione all’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme con i resti della residenza imperiale dei Severi, alcune domus, l’Anfiteatro Castrense. E una… civetta

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Veduta aerea dell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme a Rima (foto ssabap-roma)

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Mura Aureliane nell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (foto ssabap-roma)

Nel quartiere Esquilino a Roma, all’interno delle mura Aureliane, c’è un’area archeologica che non ci si aspetta. È l’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme che domenica 12 e domenica 26 febbraio 2023, alle 10, sarà aperta alle visite guidate a cura di CoopCulture su prenotazione al link https://bit.ly/3YcYeO2. Ritrovo dei visitatori, muniti di mascherina, al cancello di Jannis Kounellis 10 minuti prima delle 10 con il codice e il foglio di prenotazione per le pratiche d’ingresso. Si consiglia l’utilizzo di scarpe comode. Accompagnati da un archeologo si possono ammirare i resti della residenza imperiale dei Severi, realizzata tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. Del complesso abitativo apprezzerete la parte più antica con i resti di alcune domus decorate con preziosi mosaici in bianco e nero e con i ritratti dei padroni di casa. Vi imbatterete in alcune strutture relative al palazzo imperiale ampliato nel IV secolo d.C. per volere di Costantino e di sua madre Elena, che costituivano la basilica civile. Nell’area trovate anche le rovine dell’Anfiteatro Castrense, il secondo anfiteatro romano conservato dopo il Colosseo, riservato alla corte imperiale e destinato ad ospitare “solo” 3500 spettatori. Non perdetevi l’interno dell’anfiteatro, occupato dall’orto dei religiosi del vicino monastero.

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Domus conservate nell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (foto ssabap-roma)

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Pavimenti musivi nell’area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (foto ssabap-roma)

Comprensorio archeologico di Santa Croce in Gerusalemme. Nel corso dei secoli ha avuto un ruolo centrare, a partire dal V secolo a.C. essendo uno snodo viario tra tre grandi strade, Labicana, Prenestina e Celimontana. Inoltre, era uno dei punti più alti della città e vi confluivano otto acquedotti, tra cui quello Claudio ancora oggi visibile. Dagli inizi del III secolo d.C., con l’imperatore Elagabalo, l’area entra a far parte del demanio imperiale. Dopo il ridimensionamento dovuto alla costruzione delle mura Aurealiane, è con Costantino che l’area torna a splendere. L’imperatore trasforma la villa nel palazzo Sessoriano, il luogo di soggiorno imperiale che diventa il centro della corte di Elena, la madre di Costantino, ed è per suo volere che l’antico atrio della villa severiana venne adattato a cappella Palatina dedicata al culto della Croce di Cristo. Un sito archeologico interessante e da scoprire.

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La civetta che si è “accasata” sulle mura Aureliane nell’area archeologica di Santa Croce di Gerusalemme a Roma (foto fabio caricchia / ssabap-roma)

Domenica i visitatori potrebbero incontrare anche i nuovi inquilini del Palazzo Sessoriano. Una giovanissima civetta ha infatti scelto le mura dell’Acquedotto Claudio come sua residenza. Ancora incerto se si tratti di un maschio o di una femmina: per questo è stato scelto per lei il nome neutro Ela, e anche per celebrare il penultimo princeps della dinastia dei Severi, che in questi luoghi costruì la sua sontuosa residenza privata: l’imperatore Elagabalo.

“Sulle tracce di Nerone”: terza tappa delle sei dell’itinerario proposto dagli archeologi del parco archeologico del Colosseo tra Palatino, valle del Colosseo e Colle Oppio alla ricerca dei resti della “nuova Roma” voluta da Nerone: conosciamo i pavimenti in opus sectile, parte della Domus Transitoria, sotto la Casina Farnese

Uno splendido esempio di pavimento in opus sectile di epoca neroniana sotto la Casina Farnese sotto il Palatino (foto PArCo)

Il percorso con le sei tappe “Sulle tracce di Nerone” tra il Palatino e il colle Oppio (foto PArCo)

La locandina dell’iniziativa “Sulle tracce di Nerine” promossa dal parco archeologica del Colosseo

Con la terza tappa del percorso in sei tappe “Sulle tracce di Nerone”, proposto dal parco archeologico del Colosseo, alla scoperta dell’aula porticata e dei pavimenti marmorei neroniani sotto la Casina Farnese, siamo ancora sul Palatino, nella prima reggia di Nerone, nota come Domus Transitoria, edificata tra il Palatino e l’Esquilino. Nella precedente tappa abbiamo conosciuto i cosiddetti Bagni di Livia, ora siamo al di sotto della Casina Farnese, dove – come ha dichiarato Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo, “la bellezza raggiunge il culmine con il pavimento della grande aula a tre navate, forse l’esemplare più raffinato restituitoci dall’antichità”. Nerone è passato alla storia, tra le altre cose, per la sperimentazione nelle pavimentazioni di marmo, uniche nei disegni ma anche nella scelta dei colori. “Al di sotto della Casina Farnese – spiegano gli archeologi del PArCo – è conservato un “tipico” esempio di pavimentazione in marmo dell’epoca di Nerone, un opus sectile ritenuto l’esemplare più complesso e nello stesso tempo il più perfetto della “quadricromia neroniana” pervenuto fino a noi. È un disegno con motivi geometrici ed elementi vegetali, resi con quattro specie marmoree: il porfido rosso egiziano, il porfido verde greco, il giallo antico e il pavonazzetto. Grazie anche al restauro realizzato più di un secolo fa da Giacomo Boni, è ancora percepibile la disinvoltura nell’uso dei disegni curvilinei dei motivi delineati con tagli accuratissimi ed accostamenti millimetrici”.

“Sulle tracce di Nerone”: seconda tappa dell’itinerario in sei tappe proposto dagli archeologi del parco archeologico del Colosseo tra Palatino, valle del Colosseo e Colle Oppio alla ricerca dei resti della “nuova Roma” voluta da Nerone: conosciamo i Bagni di Livia, parte della Domus Transitoria

Il percorso con le sei tappe “Sulle tracce di Nerone” tra il Palatino e il colle Oppio (foto PArCo)

La locandina dell’iniziativa “Sulle tracce di Nerine” promossa dal parco archeologica del Colosseo

Sono noti come Bagni di Livia, ma si tratta di una parte della Domus Transitoria, la prima reggia di Nerone edificata tra il Palatino e l’Esquilino. È questa la seconda tappa “Sulle tracce di Nerone” proposta dal parco archeologico del Colosseo. Lo storico Svetonio nelle Vite dei Cesari (Nerone, 31, 1) critica senza mezzi termini l’opera edificatoria dell’imperatore: “Nerone in nessun’altra cosa fu altrettanto dannoso quanto nel costruire: fece una casa che andava dal Palatino fino all’Esquilino, che chiamò in un primo tempo ‘transitoria’ e, dopo che fu distrutta da un incendio [evidentemente quello del 64 d.C.] e ricostruita, aurea”. Svetonio parla della prima reggia edificata da Nerone tra Palatino ed Esquilino, ma della quale ben poco conosciamo, a parte le strutture sottostanti la coenatio Iovis della successiva domus Flavia.

Ipotesi di ricostruzione della Domus Transitoria di Nerone (foto PArCo)

“La Domus Transitoria, prima residenza di Nerone sul Palatino, distrutta dall’incendio del 64 d.C. che portò alla successiva edificazione della Domus Aurea”, spiegano gli archeologi del parco del Colosseo, “permetteva di “transitare” – come sottintende il nome – dai possedimenti imperiali del Palatino a quelli dell’Esquilino. Oggi, dell’originario edificio neroniano, è ancora possibile riconoscere alcuni suggestivi ambienti. Tra questi, uno spazio occupato da un ninfeo con giochi d’acqua tra forme architettoniche che ricordano una quinta teatrale e un triclinio circondato da colonne di porfido e pilastri in marmi policromi, destinato al riposo e allo svago dell’imperatore. Altre due stanze recano, invece, i segni della preziosa decorazione di affreschi, stucchi e pavimenti marmorei, che sono in parte conservati e visibili nel vicino museo Palatino”.

I Bagni di Livia sul Palatino a Roma (foto PArCo)

Ma perché questa struttura, un monumentale ninfeo e triclinio semi-ipogeo scoperto nel 1721, fu chiamata erroneamente “bagni di Livia”? Perché la presenza di condutture per gli zampilli d’acqua, interpretati allora come bidet, fece pensare che gli ambienti fossero proprio dei bagni, attribuititi all’epoca di Livia per via di una fistula (conduttura, appunto) in piombo con il nome Augustus e la figura di un’aquila.

Tornano a splendere i tesori di villa Wolkonsky a Roma, nelle serre-museo e nel giardino romantico della residenza dell’ambasciatore britannico

I cancelli che si aprono sul grande giardino sull'Esquilino di Roma che avvolge villa Wolkonsky

I cancelli che si aprono sul grande giardino sull’Esquilino di Roma che avvolge villa Wolkonsky

Una mappa del XVIII secolo: dove un secolo dopo sarebbe sorta villa Wolkonsky c'era una vigna

Una mappa del XVIII secolo: dove un secolo dopo sarebbe sorta villa Wolkonsky c’era una vigna

Il ministro Franceschini all'inaugurazione delle serre-museo di villa Wolkonsky

Il ministro Franceschini all’inaugurazione delle serre-museo di villa Wolkonsky

Il cartello è chiaro “Ambasciata del Regno Unito”. I sistemi di sicurezza e le guardie, poi, tolgono ogni residuo dubbio. Lì dentro, a villa Wolkonsky, sull’Esquilino a Roma, non si può entrare facilmente. Ancora per poco. Perché in quella che oggi è la residenza dell’ambasciatore britannico a Roma, e che nell’Ottocento fu la dimora voluta dalla principessa russa Zenaida Wolkonsky per farne un salotto culturale e uno scrigno di preziosi tesori, si potranno presto ammirare proprio quei tesori che ora sono stati restaurati “per i romani e il mondo intero”. Oltre 350 reperti marmorei romani di età imperiale. Ritratti funerari tra i quali quello dei Servilii, sarcofagi dorati a bassorilievo tra cui quello delle Ghirlande e quello che raffigura la Corsa delle Bighe. Senza dimenticare la statua di Athena Parthenos e il Satiro Musico. Ecco il ricco patrimonio archeologico che compone la “Collezione Wolkonsky”, presentata a Roma dall’ambasciatore britannico Christopher Prentice in villa Wolkonsky, sua residenza ufficiale, alla presenza tra gli altri del ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini. “Questi reperti”, è stato sottolineato, “di fatto costituiscono un vero e proprio museo di villa Wolkonsky”. Il patrimonio, recuperato attraverso un lavoro cominciato nel 2011 e coordinato dall’architetto Valentina Puglisi, curatrice della collezione, è stato il vanto del parco della villa ai tempi della principessa Wolkonsky, che nel 1830 comprò un vasto terreno agricolo di undici ettari, appena dentro le Mura Aureliane, vicino alla basilica di San Giovanni in Laterano, per creare un rifugio, lontano dal centro di Roma, in cui intrattenere i suoi amici artisti e letterati. Il passaggio successivo è ora quello di “consegnare l’archivio fotografico all’Istituto archeologico tedesco (il Dai) per metterlo al sicuro e per renderlo disponibile anche per gli esperti di tutto il mondo”.

Una veduta dall'alto della tenuta di villa Wolkonsky sull'Esquilino a Roma

Una veduta dall’alto della tenuta di villa Wolkonsky sull’Esquilino a Roma

Le serre di villa Wolkonsky allestite a museo con l'esposizione di reperti romani

Le serre di villa Wolkonsky allestite a museo con l’esposizione di reperti romani

“Abbiamo recuperato – spiega Puglisi- una collezione ottocentesca, privata, che era stata raccolta per abbellire i giardini della villa. Abbiamo cercato di conservare nel miglior modo possibile i reperti, che sono di grandissima importanza per il mondo romano. Soprattutto, oltre a una rilettura del rapporto tra antichità e giardino, con la collocazione della maggior parte dei reperti nelle serre, abbiamo voluto rendere fruibile questa collezione privata al grande pubblico”. Si sta pensando, infatti, di aprire al pubblico la villa ai visitatori benché a determinate condizioni. “Abbiamo organizzato già qualche visita per il giardino restaurato”, interviene Christopher Prentice, “e stiamo riflettendo sul modo in cui aprire anche al pubblico con visite per piccoli gruppi. Per noi – aggiunge l’ambasciatore – l’importanza di questo restauro sta nel fatto che recuperiamo una parte dell’eredità culturale universale”. Il restauro è stato reso possibile con il contributo di Shell Italia con cui è stato ultimato il loro nuovo allestimento. Alcuni reperti, tra cui ritratti funerari di famiglia e alcuni sarcofagi a bassorilievo, non particolarmente delicati dal punto di vista conservativo, sono stati collocati lungo il viale che costeggia l’acquedotto per riproporre, seppure con nuove modalità espositive, l’originario fascino del giardino della principessa Wolkonsky.

L'acquedotto neroniano che con trentasei arcate attraversa il giardino di villa Wolkonsky

L’acquedotto neroniano che con trentasei arcate attraversa il giardino di villa Wolkonsky

Una monumentale scultura antica impreziosisce il giardino lungo l'acquedotto romano

Una monumentale scultura antica impreziosisce il giardino lungo l’acquedotto romano

Ben trentasei campate dell’acquedotto neroniano, edificato nel I secolo d. C., attraversano infatti la proprietà. L’acquedotto fu costruito dall’imperatore Nerone come raccordo all’acquedotto Claudio del 52 d.C. per rifornire con l’acqua proveniente da Subiaco la Domus Aurea e il ninfeo al tempio del Divo Claudio. La principessa costruì in questo grande podere una villa che poggia su tre arcate dell’acquedotto. Lungo il resto dell’acquedotto sviluppò un giardino in stile romantico, che sarebbe divenuto famoso per le sue rose e i reperti romani, la maggior parte dei quali provenienti dalle tombe che si trovano lungo il percorso dell’acquedotto, scavate da suo figlio Alessandro. “Questo è un luogo stupendo di Roma”, commenta il ministro Franceschini, “un luogo extraterritoriale perché appartiene al governo del Regno Unito, attraversato da uno stupendo acquedotto romano. Mi pare importante che sia stato fatto un lavoro di recupero che renderà in parte fruibile anche ai turisti e ai cittadini questo pezzo di patrimonio archeologico così importante”.

Le luminose serre di villa Wolkosky che ora conservano una ricca collezione romana

Le luminose serre di villa Wolkosky che ora conservano una ricca collezione romana

Sculture romane della collezione della principessa Wolkonsky

Sculture romane della collezione della principessa Wolkonsky

La maggior parte dei reperti, comprendente numerosi altri sarcofagi e frammenti a bassorilievo, statuine votive, iscrizioni, elementi architettonici, ha trovato invece collocazione nel nuovo Museo delle Serre Wolkonsky, due serre ottocentesche comunicanti tra loro e situate presso il cancello d’ingresso della residenza, che sono state restaurate e predisposte per accogliere le centinaia di reperti che dovevano essere protetti dalle intemperie e per offrire ai visitatori la possibilità di ammirare la collezione senza interferire con le esigenze di sicurezza della Residenza, restituendo al contempo un inedito connubio tra antichità e giardino. “Credo – conclude Franceschini- che questo esempio ricordi sempre di più che il patrimonio culturale e archeologico è patrimonio dell’umanità. Gli Stati, la Chiesa, i privati, le regioni e i comuni, sono possessori protempore di un patrimonio che appartiene a tutti e tutti, insieme, dobbiamo contribuire a recuperarlo, restaurarlo e renderlo accessibile».