Cosa ci porta il 2025? Ai musei Capitolini di Roma è in arrivo una grande mostra “I Farnese nella Roma del Cinquecento. Origini e fortuna di una collezione”, una delle più importanti espressioni del collezionismo italiano ed europeo

Cosa ci porta il 2025? Ai musei Capitolini di Roma è in arrivo una grande mostra “I Farnese nella Roma del Cinquecento. Origini e fortuna di una collezione”, una delle più importanti espressioni del collezionismo italiano ed europeo. Ospitata ai Musei Capitolini, Villa Caffarelli, dall’11 febbraio al 18 maggio 2025, la mostra “I Farnese nella Roma del Cinquecento. Origini e fortuna di una collezione”, a cura di Claudio Parisi Presicce e Chiara Rabbi Bernard, promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura in collaborazione con Civita Mostre e Musei, costituisce uno degli eventi di punta organizzati dalla sovrintendenza Capitolina all’interno dell’intervento “#Amanotesa” (PNRR CAPUT MUNDI), finalizzato a favorire l’inclusione sociale attraverso l’incremento dell’offerta culturale.
Piazza del Campidoglio a Roma, progettata da Michelangelo su commissione Papa Farnese (foto roma capitale)
Il progetto espositivo è dedicato al momento di profonda trasformazione urbanistica della città di Roma, promossa da Paolo III Farnese (r. 1534-1549). All’indomani del tragico Sacco del 1527, la città si ritrova di fronte alla necessità di una rinascita rapida e vigorosa. All’impulso di Papa Farnese, si devono alcuni grandiosi interventi, tra cui la monumentalizzazione della piazza del Campidoglio, affidata al genio di Michelangelo; la celebre statua equestre in bronzo di Marco Aurelio, trasferita nel 1538, per volontà del papa, dalla piazza del Laterano, diventa il centro del colle capitolino; attorno, simbolo del passato grandioso di Roma, Michelangelo progetta una quinta scenografica e monumentale.

L’Ercole Farnese, statua monumentale conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)
Paolo III avvia anche la più importane collezione di arte e di antichità della Roma del Cinquecento. Risale al 1545-1546 il rinvenimento nelle Terme di Caracalla di alcuni colossi in marmo, tra cui l’Ercole, il Toro e la Flora Farnese. Le statue sono subito trasferite nel cortile del Palazzo Farnese in Campo de’ Fiori. Erede della collezione alla morte del papa è il nipote Alessandro (1520-1589), che trasforma Palazzo Farnese in una residenza raffinatissima, espressione suprema del potere farnesiano a Roma, in cui convivono sculture, iscrizioni e gemme antiche, preziosi elementi di arredo, disegni, incisioni, dipinti e affreschi dei maggiori artisti del tempo, tra cui Tiziano e i fratelli Carracci. Se il Campidoglio monumentalizzato da Michelangelo costituisce la massima manifestazione dell’incisività “pubblica” dei Farnese, il palazzo in Campo de’ Fiori ne rappresenta il potere privato.
Ospitare una mostra sulla collezione Farnese ai musei Capitolini (Villa Caffarelli), dunque, diventa una occasione preziosa per presentare e spiegare questa dinamica pubblico/privato in un momento solo apparentemente remoto, gli anni centrali del Cinquecento, ma in realtà molto più vicino a noi di quanto possiamo immaginare. Come negli anni Quaranta del Cinquecento, alla vigilia del Giubileo indetto da Paolo III, anche oggi Roma si rinnova, spinta dalla necessità di cambiare e trasformarsi, tra molti conflitti e molte incertezze.

La statua in bronzo di Camillo, scultura del I sec. d.C. conservata ai musei Capitolini (foto roma capitale)
Articolata in sei sezioni, la mostra, ospitata negli spazi espositivi di Villa Caffarelli, è il risultato di una complessa campagna di prestiti che ha visto coinvolti numerosi musei italiani e stranieri. Il percorso espositivo prende l’avvio con la presentazione, attraverso planimetrie e incisioni, degli interventi di trasformazione della città alla vigilia del Giubileo del 1550. Il confronto tra il Camillo in bronzo delle collezioni capitoline, parte del nucleo dei bronzi lateranensi donati al “Popolo Romano” da Sisto IV nel 1471, e la sua copia in bronzo realizzata da Guglielmo della Porta per il Cardinale Alessandro Farnese negli anni Sessanta del Cinquecento, offre lo spunto per una prima riflessione sul rapporto tra collezione pubblica e collezione privata.

Ritratto di Papa Paolo III Farnese di Tiziano Vecellio (1543) conservato al museo e real bosco di Capodimonte a Napoli (foto capodimonte)
Segue una preziosa galleria di ritratti dei protagonisti della collezione negli anni del suo maggiore splendore, da papa Paolo III ai nipoti Alessandro e Ottavio (1524-1586). I grandi marmi rinvenuti nelle Terme di Caracalla, tra le prime sculture antiche a trovare posto nel cortile di Palazzo Farnese a Campo de’ Fiori, sono evocati da preziosi bronzetti, disegni e incisioni, nella sezione, intitolata “I Farnese e la passione per l’antichità”.

La “Venere Callipigia”, uno dei capolavori conservati al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)
Il visitatore è quindi invitato a “entrare” nell’allestimento originario dell’antica collezione di Palazzo Farnese, percorrendo la “Sala dei Filosofi”, caratterizzata nel Cinquecento dalla presenza di statue, come la celebre Venere Callipigia del museo Archeologico di Napoli, e la splendida Galleria affrescata dai Carracci, qui evocata da importanti disegni preparatori degli affreschi e da alcune delle sculture più importanti esposte nel grande ambiente di rappresentanza, oggi conservate al museo Archeologico di Napoli, che tornano ad essere visibili a Roma dopo il loro trasferimento nel corso dell’ultimo decennio del XVIII secolo. Il percorso virtuale all’interno del palazzo riprende attraverso la ricostruzione del “Camerino” e della Galleria dei Quadri di Palazzo Farnese. La mostra si chiude con una stanza dedicata a un confronto tra due collezioni, quella dei Farnese e quella Orsini, appartenuta al celebre antiquario vicino alla nobile famiglia, accomunate entrambe da un comune destino di dispersione.
Napoli. Nelle sale della collezione Farnese al museo Archeologico nazionale la mostra “Picasso e l’antico”: quarantatré i lavori di Picasso messi a confronto principalmente con le sculture Farnese (il Toro e l’Ercole) e i dipinti da Pompei. All’inaugurazione segue la performance “Tauromachia”
Non si sono ancora spenti gli echi dei consensi entusiasti per la riapertura, lunedì 3 aprile 2023, delle sale monumentali dell’ala occidentale con l’allestimento della sezione “Campania Romana”, che oggi, mercoledì 5 aprile 2023, il museo Archeologico nazionale di Napoli offre un altro evento importante. Alle 17 al Mann si inaugura la mostra “Picasso e l’antico”, promossa dal museo Archeologico nazionale di Napoli, con il sostegno della Regione Campania e con l’organizzazione della casa editrice Electa, a cura di Clemente Marconi. L’esposizione si inserisce nel progetto internazionale “Picasso Celebration 1973 – 2023: 50 mostre ed eventi per celebrare Picasso” nel cinquantenario della morte. E i partecipanti oggi accederanno con biglietto gratuito. Alle 18, poi, il Centro di Produzione di Danza Kœrper propone la performance “Tauromachia. La lotta del doppio”.
“Da mercoledì 5 aprile 2023”, spiega ad archeologiavocidalpassato.com il direttore Paolo Giulierini, “al Mann sarà possibile visitare la splendida mostra “Picasso e l’antico”. Il fatto è che nel 1917 Pablo Picasso insieme a Jean Cocteau e Igor Stravinskij fece un bellissimo tour di Napoli, Pompei e del museo Archeologico. Il museo lo colpì soprattutto per l’Ercole Farnese e il Toro Farnese, di cui abbiamo recuperato oltre 40 disegni al British Museum. La mostra sottolinea questo dialogo tra l’arte picassiana che prende ispirazione dall’antico ma la rielabora nelle forme del genio spagnolo”.

L’atrio del museo Archeologico nazionale agli inizi del Novecento: così lo vide Picasso nel suo tour (foto archivio mann)
Quarantatré i lavori di Picasso messi a confronto principalmente con le sculture Farnese e i dipinti da Pompei nella mostra “Picasso e l’antico”, dal 5 aprile al 27 agosto 2023 al museo Archeologico nazionale di Napoli. La mostra ha l’intento di illustrare la profonda influenza di uno dei più grandi musei di arte classica sull’opera di uno dei più importanti artisti moderni. Allestita nelle sale della collezione Farnese, l’esposizione si divide in due parti: la prima relativa ai soggiorni a Napoli di Picasso, delineando come si presentava il museo al tempo della visita dell’artista, allora non ancora solo “archeologico”, e la seconda relativa al confronto tra le opere del museo e i lavori di Pablo Picasso. Sono presentate 37 delle 100 tavole che compongono la Suite Vollard, eccezionale prestito del British Museum di Londra. Queste incisioni, realizzate tra il 1930 e il 1937, si configurano come un fulcro interpretativo nell’opera dell’artista. A queste si aggiungono i rilevanti prestiti del Musée national Picasso-Paris e di Gagosian New York.

L’Ercole Farnese della collezione Farnese al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto luigi spina)

Afrodite accovacciata della collezione Farnese al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto luigi spina)
L’eco profonda del viaggio in Italia del 1917 sulla produzione artistica di Picasso è stato riconosciuto da tempo e rappresenta ormai un punto fermo in letteratura. Proprio all’impatto delle opere d’arte viste a Roma, Napoli e Firenze si attribuisce un decisivo rafforzamento della tendenza di Picasso verso il naturalismo del cosiddetto “secondo periodo classico”. All’interno di quel viaggio, il soggiorno a Napoli, con la visita sia a Pompei sia al museo che allora esponeva la Collezione Farnese e le opere da Ercolano e Pompei, ha a sua volta una rilevanza particolare: il naturalismo di questa fase picassiana assume forme esplicitamente classicizzanti, ben riconoscibili nella maggioranza dei dipinti e disegni non cubisti degli anni dal 1917 al 1925 e nell’opera grafica degli anni ‘30. Tutte le tematiche della mostra sono ripercorse dai saggi a firma di importanti studiosi di Picasso nel catalogo edito da Electa.

Donna seduta, 1920. Olio su tela, di Pablo Picasso, conservato al Musée national Picasso-Paris (foto Mathieu Rabeau / Succession Picasso by SIAE 2023)
Il 2023 segna il cinquantesimo anniversario della morte di Pablo Picasso e pone quindi l’anno sotto il segno della celebrazione della sua opera in Francia, Spagna e a livello internazionale. Celebrare oggi l’eredità di Picasso è un modo per interrogarsi su cosa rappresenti oggi quest’opera fondamentale per la modernità occidentale. È mostrare la sua parte viva, accessibile e attuale. “Picasso Celebration 1973-2023” è promossa dal Musée national Picasso-Paris, coordinatore e principale prestatore dell’evento, e da Bernard Picasso, nipote dell’artista e presidente della FABA – Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso para el arte – e del Museo Picasso di Malaga. L’iniziativa conta una cinquantina di mostre e di eventi che si svolgeranno in rinomate istituzioni culturali europee e nordamericane, che insieme, grazie a nuove interpretazioni e metodi moderni, consentiranno di fare il punto sullo stato degli studi e della comprensione dell’opera di Picasso. Il governo francese e quello spagnolo hanno deciso di collaborare a questo grande evento transnazionale, e la commemorazione sarà scandita da celebrazioni ufficiali in Francia e Spagna e si concluderà con un grande simposio internazionale nell’autunno del 2023, in occasione dell’apertura del Centro Studi Picasso a Parigi. È un Picasso oggi che incarna questa Celebrazione e che getta le basi per il Musée national Picasso-Paris di domani.
Mercoledì 5 aprile 2023, alle 18, Körper | Centro nazionale di produzione della Danza presenta, in collaborazione con il museo Archeologico nazionale di Napoli, “Tauromachia”, una performance realizzata “a quattro mani” da Adriano e Andrea Bolognino; il primo coreografo premiato come coreografo italiano emergente 2022 dalla rivista Danza&Danza e Andrea, artista visivo con già all’attivo importanti collaborazioni e personali come al museo di Capodimonte nel 2021 e la Quadriennale di Roma. Una performance sul motivo del toro, un sismografo dell’opera in continua metamorfosi di Pablo Picasso. È una figura di conflitto, di lotta, di danza, la cui duplicità simbolica è espressa dall’artista nell’archetipo del Minotauro. L’intervento di Andrea e Adriano Bolognino si concentrerà quindi sul motivo del toro in quanto punto di collegamento tra la poetica di Picasso e la collezione del Mann, con la volontà di esplorarne l’iconografia e il movimento, mettendo in dialogo la pratica pittorica con quella coreutica. La performance si inserisce in un protocollo d’intesa per i prossimi anni tra il Mann – museo Archeologico nazionale di Napoli e Körper | Centro nazionale di produzione della Danza, che prevede altre azioni performative negli spazi espositivi del MANN, in un’ottica di interconnessione tra le arti e i nuovi linguaggi del contemporaneo e con una relazione privilegiata tra le strutture che rappresentano la cultura nel territorio campano.
Napoli. Da agosto la sperimentazione del progetto Negozio Amico del Mann, indicato dall’Ercole Farnese. Sconti e promozioni per cittadini, turisti ed abbonati OpenMANN. Giulierini: “Un’alleanza con la parte commerciale della città”
Col mese di agosto 2020 è iniziata la sperimentazione di un nuovo progetto: si chiama Negozio Amico del Mann, ed ha un’inconfondibile opera d’arte per rappresentare una rete: la scultura dell’Ercole Farnese. Cittadini e turisti, passeggiando nelle strade del centro cittadino, identificheranno i Negozi Amici dalle vetrofanie presenti all’ingresso dei punti vendita convenzionati, che aderiscono al Consorzio Centro Commerciale Museo. “Il Quartiere della Cultura, caratterizzato da connessioni che partono dal Mann, compie un fondamentale passo con la prima sperimentazione della rete dei Negozi Amici”, interviene Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli. “Nell’idea di alleanza con la parte commerciale della città si introducono i concetti di accoglienza, accessibilità, economicità, che hanno caratterizzato dalle prime ore uno degli assi portanti della politica dell’Archeologico. Il sistema dei punti di presidio, che parlano un’unica lingua, contribuisce a orientare meglio il turista e a cogliere le tante identità cittadine”.
Tanti gli esercenti coinvolti: per citarne soltanto alcuni, negozi di abbigliamento, parrucchieri, caffetterie; via Pessina, la galleria e piazza Museo nazionale, via Foria, via Costantinopoli e via S. Teresa degli Scalzi, nonché le traverse limitrofe, saranno le prime aree in cui sarà possibile trovare la vetrofania con l’Ercole, che suggellerà un’alleanza ancora più significativa in tempi di ripresa post-Covid. I clienti dei Negozi Amici, presentando alla biglietteria del Museo lo scontrino timbrato con il logo della rete, avranno diritto a due euro di sconto sulla tariffa intera di ingresso all’Archeologico; d’altro canto, i negozi (l’elenco sarà consultabile sul sito web del Museo) non soltanto riserveranno a possessori di ticket del Mann ed a titolari di abbonamento delle promozioni speciali, ma distribuiranno materiale informativo sulle mostre e sulle iniziative del Museo; i punti vendita potranno allestire vetrine a tema dedicate al Mann. Parallelamente al progetto Negozio Amico, il Mann lancerà anche un accordo con i punti Decathlon della Campania, sempre nell’ottica di promuovere la conoscenza del patrimonio archeologico e delle iniziative museali.
“IN THE VOLCANO: Cai Guo-Qiang and Pompeii”: l’artista cinese prima ricrea nell’anfiteatro di Pompei l’eruzione del Vesuvio, poi al Mann di Napoli dissemina gli effetti “dell’esplosione artistica” in un dialogo tra tra passato e presente, cultura orientale e occidentale

Manifesto della mostra “Nel vulcano. Cai Guo-Qiang e Pompei” al museo Archeologico nazionale di Napoli fino al 20 maggio 2019
Cai Guo-Qiang si inginocchia al centro dell’anfiteatro di Pompei. Prende in mano la miccia. E dà fuoco alle polveri, allontanandosi di corsa quasi inciampando. Boom. Un’esplosione di polvere da sparo e fumi colorati invadono l’anfiteatro di Pompei per ripercorrere la dinamica tragica e, al tempo stesso, vitale dell’eruzione del Vesuvio, in un viaggio poetico senza tempo che racconta la distruzione e la rinascita a nuova vita di Pompei. È l’evento unico dell’artista cinese Cai Guong-Qiang che il 21 febbraio 2019 nell’anfiteatro ha dato luogo all’“Explosion Studio”: un’esplosione artistica che, attraverso le sue fasi, ha riproposto non soltanto la tragedia che sconvolse Pompei ma anche la sua fortunosa scoperta, in grado di riportare alla luce eccezionali testimonianze storiche e archeologiche. Le opere create dall’esplosione artistica sono state “scavate” e poi trasferite al museo Archeologico nazionale di Napoli per l’inaugurazione della mostra “IN THE VOLCANO: Cai Guo-Qiang and Pompeii”: fino al 20 maggio 2019, disseminati negli spazi museali (dalla Collezione Farnese alla sezione affreschi, dall’atrio ai mosaici), i lavori di Cai Guo-Qiang racconteranno il legame indissolubile tra passato e presente, cultura orientale e occidentale. La mostra è curata da Jérôme Neutres; il progetto è ospitato dal parco archeologico di Pompei e dal museo Archeologico nazionale di Napoli; la realizzazione di “In the Volcano” è stata possibile grazie al supporto organizzativo della Fondazione Morra. Con questa poliedrica esperienza creativa l’artista Cai Guo-Qiang prosegue la sua attività in Italia, dopo il successo della performance con fuochi d’artificio a Firenze (“City of Flowers in the Sky”) e della personale “Flora Commedia: Cai Guo-Qiang agli Uffizi”, nell’ambito del più ampio progetto “Viaggio di un Uomo nella Storia dell’Arte Occidentale” di Cai Guo-Qiang.

L’artista cinese Cai Guo-Qiang dà fuoco alle polveri nell’anfiteatro romano (foto Parco archeologico di Pompei)
Explosion Studio – Anfiteatro di Pompei. L’esplosione all’anfiteatro di Pompei è stato un unicum, per le infinite suggestioni del luogo: al centro dell’arena, tele di diverse dimensioni e copie di oggetti legati alla vita quotidiana di Pompei, ma anche riproduzioni di sculture del Mann (Venere Callipigia, Ercole ed Atlante farnese, busto di Pseudo-Seneca) sono stati collocati su una tela di 32 metri per 6, supportata da una piattaforma. Explosion Studio si è sviluppato in tre momenti: I. A partire dal capitolo evocativo “Tela della Civiltà”, piccole esplosioni hanno distrutto i manufatti disposti sulla tela, marcandoli in maniera violenta e con la stessa spietatezza che ha segnato le vite umane al momento dell’esplosione del Vesuvio; II. Dopo una breve pausa, colorati fuochi d’artificio sono stati allineati lungo la tela e puntati verso il cielo per produrre l’effetto di un’eruzione vulcanica inarrestabile. I fuochi d’artificio hanno incarnato teatralmente un pesante “Sospiro”, quello dell’ascesa e della caduta della civiltà umana; III. In chiusura, si è proceduto allo “Scavo”: tra i fumi residui, l’artista e il suo team hanno portato alla luce le “rovine archeologiche”. La tela, segnata dall’Explosion, è stata riempita di immagini e colori ispirati agli oggetti scoperti a Pompei, ora conservati al Mann.

Le opere d’arte (copie dal Mann) avvolte dalle fiamme per l’effetto dell’eruzione simulata dall’artista cinese Cai Guo-Qiang (foto Parco archeologico di Pompei)

Alfonsina Russo, direttrice ad interim, e Massimo Osanna, già soprintendente, in anfiteatro (foto Parco archeologico di Pompei)
La città di Pompei fu verosimilmente sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel mese di ottobre del 79 d.C. non nel mese di agosto, come si è sempre ritenuto. “Le più recenti scoperte archeologiche”, ricorda Massimo Osanna, già direttore generale del parco archeologico di Pompei, “sembrano infatti confermare quanto vari studiosi hanno a più riprese proposto, che occorre riposizionare la datazione dell’eruzione al 24 ottobre di quel fatidico anno, ridefinendo un dato storico verosimilmente errato e dimostrando così la perdurante contemporaneità del sito pompeiano – un’ossimorica archeologia in divenire, o in prospettiva – che muta continuamente per la necessità di ridare i propri strumenti di indagine e di aggiornare i criteri e i metodi conoscitivi della ricerca archeologica in base alle campagne di scavo condotte, alle scoperte effettuate e alla loro interpretazione”. A partire dalla riscoperta di Pompei, nel 1748, due secoli e mezzo di Grand Tour hanno determinato molteplici riletture, e quindi riscoperte, di questo sito. “Ognuno dei viaggiatori, intellettuali, artisti, scrittori, musicisti, architetti, scienziati di questo costante Grand Tour, che giunge sino a oggi… ha aggiunto ulteriori livelli critici, e quindi nuove interpretazioni, che nel loro complesso delineano un’archeologia collettiva della nostra esperienza, pubblica e privata, dell’antica città di Pompei”. Come ha recentemente (2017) raccontato al museo Madre di Napoli anche la mostra “Pompei@Madre. Materia archeologica”, l’arte contemporanea – sostiene Osanna – non ha modificato il sito in termini di tutela oggettiva, ma in termini di ampliamento dei possibili significati di cosa intendiamo per tutela, aprendola a un multiverso di culture, discipline e ipotesi in grado di collaborare, interagire e ispirare il lavoro quotidiano di ricerca degli archeologi. “Anche Cai Guo-Qiang fa parte di questa storia contemporanea di Pompei, quale sito in perenne divenire, quale patrimonio accogliente e collettivo dei saperi umani. Conformazione estetica e consapevolezza etica (politica) – conclude Osanna -, sono componenti inscindibili del metodo di lavoro di questo artista, riplasmato anche dalla formazione teatrale, e quindi dal dominio di aspetti quali messa in scena (intesa come rapporto scenografia/racconto), produzione di gruppo, relazionalità fra opera e spettatore, pratica performativa e time-based”. E Alfonsina Russo, direttrice ad interim del parco archeologico di Pompei, “Pompei è un luogo del contemporaneo. Riprendo questo pensiero di Massimo Osanna, a cui si deve la promozione di questo progetto, che trovo quanto mai significativo. Pompei, sospesa nel tempo, ha da sempre catturato l’immaginazione e lo spirito creativo di artisti di ogni epoca, ricordandoci che quel tragico evento del 79 d.C. si è impresso nella memoria collettiva per l’eternità, non solo per la sua storia e testimonianza unica di un’epoca, ma anche per il profondo senso di fragilità e di impotenza a cui ci rimanda costantemente”.

L’Ercole farnese, l’Atlante farnese, la Venere callipigia si riconoscono dallo “scavo” dopo l’eruzione artistica (foto Parco archeologico di Pompei)
La mostra “In the Volcano” al Mann. Dopo l’Explosion Studio nell’anfiteatro, il percorso “In the Volcano” ha trovato naturale completamento nella mostra al Mann. Particolarmente evocativa l’installazione della tela di 32 metri nella sala del Toro Farnese: qui, tra gli archi e le volte, essa si presenta come un affresco sul soffitto. L’itinerario di visita si sviluppa, poi, tra le tele e gli oggetti “scavati”, che sono collocati, insieme ai dipinti con la polvere da sparo creati a New York, nelle collezioni permanenti museali. Se Cai Guo-Qiang reinterpreta i capolavori dell’antica statuaria, dall’Ercole Farnese alla Venere Callipigia, rileggendoli con le suggestioni dei colori della polvere da sparo, uno sguardo originale è dedicato alla vita quotidiana degli antichi romani, ricostruita grazie a vasi e manufatti in terracotta esposti su semplici piattaforme. Per concludere il viaggio, una barca, ancorata alla parete e affiancata dagli affreschi di Pompei, rivela il segreto atemporale di un’esperienza artistica sempre in fieri. La mostra è accompagnata da un catalogo (pubblicato dalla casa editrice Silvana Editoriale in inglese e in italiano, cui seguirà a un’edizione cinese edita da TCREATIVEMEDIA). Un video-documentario diretto da Shanshan Xia (disponibile al pubblico in visita al MANN) accompagna la mostra.
“Il Mann – interviene il direttore Paolo Giulierini – continua a viaggiare nelle suggestioni della cultura orientale e, stavolta, si affida all’arte contemporanea, interpretata dalla creatività di Cai Guo-Quiang: proiettare questo straordinario sguardo “Nel Vulcano, tra Napoli e Pompei” significa riscoprire gli ineludibili legami tra il passato classico e la sensibilità moderna. Legami persistenti, che, partendo dai capolavori del Museo (tra questi, la Venere Callipigia, l’Ercole Farnese, l’Atlante, il busto dello Pseudo-Seneca), intrecciano un dialogo nuovo, inquieto e sorprendente con il visitatore. Cai Guo-Quiang, così, giocando con la sua maestria di sky ladder, crea un’esplosione reale e simbolica al tempo stesso: all’Anfiteatro di Pompei, come nel 79 d.C., l’arte nasce (o rinasce) dalle viscere magmatiche del vulcano. Grazie all’artista cinese, insignito del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia (1999), il museo Archeologico nazionale di Napoli scopre pagine straordinarie di arte contemporanea, capaci non soltanto di abbattere gli steccati temporali (ieri ed oggi si mescolano in una dialettica piena di energia), ma soprattutto le distanze spaziali: il folclore, le suggestioni e la potenza delle tradizioni orientali – conlcude – si innestano, prepotenti, nelle sale del MANN, dimostrando che la condivisione culturale nasce da un’analoga capacità di guardare il mondo con la curiositas di cui parlavano gli antichi”.

Gli assistenti dell’artista cinese ai Guo-Qiang mostrano la “Tela della Civiltà” (foto Parco archeologico di Pompei)
“Quando l’eruzione del Vesuvio seppellì le antiche civiltà greca e romana, la natura creò un capolavoro avente come medium la catastrofe, preservando eredità monumentali come una capsula del tempo-spazio…”, dichiara Cai Guo-Qiang. “L’energia repressa del vulcano si accumula fino a quando non può essere più contenuta, portando a un’esplosione sfrenata! Un tale stato naturale può anche essere trovato nella natura umana e nella nostra condizione sociale, e anche in risonanza con la natura dei miei decenni di lavoro con la polvere da sparo… Per questo progetto, ho cercato di lasciare che gli ormoni prendessero il comando, per creare qualcosa che avesse un tocco di ferocia. In un periodo in cui le persone spesso si sforzano di essere eccessivamente civilizzate, lucidando con cura, “ripulendo” le loro opere e persino i concetti che tentano di spiegare il significato dei loro lavori. Non posso semplicemente inscenare un’eruzione incontrollata, richiamando il vulcano e il giorno del giudizio di Pompei? Un evento del tutto inaspettato, qualcosa che arriva proprio sulla nostra strada!”. E Jérôme Neutres, curatore della mostra, aggiunge: “Pompei è più di un museo, è la città delle immagini, con le sue case ricoperte di affreschi e mosaici, dal pavimento al soffitto. La città sembrava vivesse con l’arte. Il dialogo con Pompei per Cai Guo-Qiang investe questo mondo di immagini e la sua immaginazione. Per questa mostra, Cai Guo-Qiang ha usato nuovi mezzi di creazione, rinnovando il suo gesto con l’uso di vetro, specchio, marmo, ceramica, gesso… L’artista ha trovato nella cultura e nella storia artistica di Napoli e della Campania nuovi media con cui realizzare i suoi dipinti-esplosioni. Questo dialogo si materializza nella scenografia della mostra allestendo le opere di Cai Guo-Qiang all’interno delle collezioni, tra le opere di Pompei, creando una sorta di caccia al tesoro, avanti e indietro tra passato e passato ed effetti speculare tra l’estetica di Pompei nel primo secolo e l’arte eminentemente contemporanea di Cai Guo-Qiang.”













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