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Pompei. Campagna di scavo con archeologi, architetti e geofisici per capire com’erano il foro e il tempio di Giove (Capitolium) nella fase precedente l’età imperiale romana

Indagini archeologiche al Foro e al Capitolium di Pompei (convenzione PAP e università di Catania) (foto parco archeologico di Pompei)

ndagini archeologiche al Foro e al Capitolium di Pompei (convenzione PAP e università di Catania) (foto parco archeologico di Pompei)

Archeologi, architetti e geofisici per capire com’erano il foro e il tempio di Giove a Pompei nella fase precedente l’età imperiale romana. È l’obiettivo della campagna di scavo dell’università di Catania avviata nell’area del Foro di Pompei e al Capitolium (Tempio di Giove) il 31 agosto 2020, e che si concluderà in questa settimana. Le ricerche fanno seguito a quelle già condotte nell’estate del 2017 dall’università Sapienza di Roma, che aveva intrapreso un progetto di studio centrato sull’analisi del monumento, inserito all’interno dell’impianto urbano. La prematura scomparsa del professor Enzo Lippolis, che ne aveva diretto l’intervento, non ha consentito il progredire delle ricerche. Così, per riprendere lo studio di questo settore centrale della città, è stata stipulata una convenzione tra il Parco Archeologico di Pompei e l’università di Catania. “Le attuali indagini”, spiegano Massimo Osanna e Luigi Caliò che dirigono la missione, “puntano a individuare le fasi pre-imperiali dell’edificio di culto e della piazza forense. Perciò ci siamo avvalsi di un’equipe eterogenea, costituita da più figure professionali, tra i quali archeologi, architetti e geofisici”. Per primo sono state effettuate analisi geofisiche su tutta l’area della piazza, a cura di Marilena Cozzolino dell’università del Molise, che hanno consentito di ottenere nuovi dati sul sottosuolo, in modo non invasivo, e di mappare le strutture che si celano al di sotto del lastricato. In superficie, con l’ausilio del Politecnico di Bari, è stato avviato lo studio architettonico delle strutture che adornano la piazza e delle stratificazioni murarie che raccontano la storia di questa area centrale della città, delineandone gli sviluppi e le trasformazioni monumentali avvenute nel corso del tempo. In parallelo è iniziato lo scavo stratigrafico nell’area posta di fronte al Capitolium, con l’obiettivo di individuare le stratigrafie antecedenti la sistemazione del Foro di età proto-imperiale, tramite l’analisi delle strutture sepolte e della cultura materiale.

Napoli. Dopo più di vent’anni al museo Archeologico nazionale riapre, con un nuovo allestimento, la collezione Magna Grecia, con oltre 400 reperti una delle più antiche e ricche raccolte al mondo di antichità

L’invito per l’anteprima della collezione Magna Grecia al museo Archeologico nazionale di Napoli

La copertina del catalogo Electa sulla Collezione Magna Grecia al Mann

Ci siamo. Dopo molti annunci, e qualche rinvio tecnico, stavolta la notizia è ufficiale: giovedì 11 luglio 2019 al museo Archeologico nazionale aprirà la sezione con la collezione Magna Grecia. Chiusa da più di vent’anni – il suo ultimo allestimento risale al 1996 -, la collezione Magna Grecia rappresenta uno dei nuclei storici del museo Archeologico nazionale di Napoli, e una delle più antiche e ricche raccolte al mondo di antichità della Magna Grecia, che a partire dalla fine del Settecento – e almeno fino ai primi decenni del Novecento – cominciarono a confluire tramite acquisti e donazioni nell’allora Real Museo Borbonico. Il nuovo percorso espositivo, progettato dall’archeologo Enzo Lippolis, scomparso prematuramente l’anno scorso, cui è dedicata la prima sala della nuova sezione del museo, sarà incentrato sul tema delle culture, per spiegare la complessità delle coesistenza e dei sistemi di relazioni tra le diverse comunità dell’Italia meridionale prima della Romanizzazione. La raccolta conta oltre 400 reperti, preziose testimonianze delle forme di popolamento, delle strutture sociopolitiche, dei sistemi di relazioni tra le comunità e del patrimonio religioso, artistico e culturale dell’Italia meridionale e della Campania in epoca preromana. Tra i maggiori nuclei esposti risalta la presenza del materiale votivo da Locri, in particolare quello proveniente dal santuario in contrada Parapezza, dedicato a Demetra. Questo complesso votivo permette di rappresentare in maniera esemplare l’importanza del rituale religioso nell’organizzazione sociale e politica delle società magno greche. Così, nell’originaria sede espositiva, i visitatori potranno ripercorrere il “mondo” della Magna Grecia attraverso alcuni grandi itinerari tematici (ad esempio, la religione, l’architettura, la pratica del banchetto e le forme di interrelazione tra le diverse popolazioni dell’Italia meridionale dal VI alla fine del III sec. a.C.). Il progetto di nuova apertura della collezione Magna Grecia è accompagnato da una guida-catalogo, a cura di Paolo Giulierini e Marialucia Giacco, edita da Electa.

Apre al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Amori divini”, focus sul mito greco, secondo capitolo della collaborazione tra il Mann e gli Scavi di Pompei dove è in corso la mostra “Pompei e i Greci”. I vasi del Mann in mostra dal 2018 protagonisti della nuova sezione sulla Magna Grecia

Il manifesto della mostra “Amori divini” con il “Ratto di Ganimede” di Anton Domenico Gabbiani conservato agli Uffizi

La collaborazione tra il museo Archeologico nazionale di Napoli e la soprintendenza di Pompei sui rapporti tra l’area vesuviana e il Mediterraneo si arricchisce di un nuovo capitolo. A poco più di un mese di distanza dall’apertura della mostra “Pompei e i Greci” nella palestra grande dell’area archeologica di Pompei (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/03/27/pompei-e-i-greci-ceramiche-ornamenti-armi-elementi-architettonici-sculture-e-poi-scritte-graffite-sui-muri-la-nuova-mostra-a-pompei-racconta-la-storia-di-un-incontro-tra-due-m/), che racconta l’incontro della città italica di Pompei con il mondo greco, il 7 giugno 2017 si inaugura  al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Divini amori”, voluta da Paolo Giulierini, a cura di Anna Anguissola e Carmela Capaldi, con Luigi Gallo e Valeria Sampaolo, e promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dal Mann con l’organizzazione di Electa.La mostra, che rimarrà aperta fino al 16 ottobre 2017, indaga i meccanismi di trasmissione e ricezione del mito greco attraverso i secoli presentando circa 80 opere, provenienti dai siti vesuviani e, più in generale, dalla Magna Grecia, e da alcuni tra i più prestigiosi musei italiani e stranieri (tra gli altri, l’Ermitage di San Pietroburgo, il musée du Louvre di Parigi, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e il Kunsthistorisches Museum di Vienna).

“Ganimede e l’aquila”, gesso dall’Accademia di San Luca di Roma, tra l opere che saranno esposte nella mostra “Amori divini” al Mann

L’esposizione propone un percorso nel mito greco e nella sua fortuna attraverso storie che hanno due ingredienti narrativi comuni: seduzione e trasformazione. Traendo ispirazione dal vastissimo repertorio pompeiano, la mostra racconta i miti amorosi accomunati da un episodio fondamentale: almeno uno dei protagonisti, uomo o dio, muta forma trasformandosi in animale, in pianta, in un oggetto o in fenomeno atmosferico. A partire dalla letteratura e dall’arte greca, attraverso il poema delle “forme in mutamento” di Ovidio, fino alle più contemporanee interpretazioni della psicologia, i miti di Danae, Leda, Dafne, Narciso, fino al racconto straordinariamente complesso di Ermafrodito, sono parte dell’immaginario collettivo. Accanto ai vari manufatti antichi di soggetto mitologico – pitture parietali e vascolari, sculture in marmo e in bronzo, gemme e preziose suppellettili – per ciascun mito viene proposto un confronto con una selezione di opere di periodi più recenti. Infatti oltre 20 opere tra dipinti e sculture, con particolare attenzione all’arte del XVI e XVII secolo, illustrano i momenti fondamentali della ricezione moderna del mito e ne mettono in luce evoluzioni, modifiche e ampliamenti. Artisti quali Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, Nicolas Poussin, Giambattista Tiepolo e molti altri ancora permettono non solo di seguire la fortuna del mito greco fino ad epoche a noi più vicine, ma anche di comprendere il ruolo che, in questa tradizione, giocano le fonti letterarie ed iconografiche antiche.

“Io e Argo”, dipinto proveniente da Pompei e conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli

Il percorso della mostra, che occupa le sale del museo attigue al salone della Meridiana, caratterizzate da splendidi sectilia e mosaici antichi inseriti nei pavimenti, presenta inoltre una importante campionatura della collezione vascolare del Mann, che sarà nuovamente visibile per quanto riguarda le opere provenienti dalla Magna Grecia con il prossimo riallestimento (2018) di quella collezione del Museo, il cui progetto scientifico è curato da Enzo Lippolis e che comprenderà accanto ai vasi, bronzi, terrecotte, ori e lastre tombali dipinte.