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Roma. Al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia per “Speciale Villa Poniatowski” la visita guidata “Italici, non solo etruschi” con Chiara Cecot. E nei giardini la performance musicata “Le canzoni di Ghisola. Lettere di fuoco… fuoco alle lettere” nel centenario della morte di Eleonora Duse

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Reperti italici preromani nelle collezioni di Villa Poniatowski nel museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)

roma_villa-giulia_villa-poniatowski_speciale-visite-guidate_locandinaPomeriggio ricco di appuntamenti quello di sabato 20 luglio 2024 al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia. Alle 17, per “Speciale villa Poniatowski”, visita guidata “Italici, non solo etruschi” con Chiara Cecot che, nell’ambito delle collezioni di villa Poniatowski, presenterà ai partecipanti un focus sulle antichità preromane, non propriamente etrusche, provenienti dai centri del Latium vetus, come Gabii, Segni, Lanuvio, Satricum, Palestrina, e dell’Umbria, come Todi e Terni. Visita compresa nel biglietto di ingresso, su prenotazione all’indirizzo mn-etru.comunicazione@cultura.gov.it. Appuntamento all’accoglienza di Villa Giulia alle 17. Il biglietto si acquista presso la sede di Villa Giulia e dà diritto alla visita di entrambe le strutture. Sarà possibile prenotarsi direttamente in sede, salvo disponibilità. A villa Poniatowski trova una sintesi un patrimonio ricchissimo di oggetti che racconta storie di vita e sono eredità di popolazioni che hanno abitato i nostri territori. Italici, non solo Etruschi, a significare la varietà e la ricchezza dei popoli e degli insediamenti. Questi reperti, insieme con le antichità provenienti dall’Agro Falisco, costituiscono uno dei nuclei più antichi delle collezioni del Museo; il loro recupero risale, infatti, agli anni immediatamente precedenti o di poco successivi alla fondazione del Museo nel 1889, quando, all’indomani dell’unità d’Italia, nel 1861, si avvertì la necessità di rafforzare l’identità nazionale andando a riscoprire nelle civiltà preromane le radici comuni di un popolo in formazione: proprio i tanti musei, allora progettati e non sempre realizzati, erano chiamati ad assolvere questo compito altamente educativo.

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Giardini di Villa Giulia: Maria Chiara Chizzoni in “Le canzoni di Ghisola. Lettere di fuoco… fuoco alle lettere” (foto etru)

Sempre alle 17, ma nei giardini di Villa Giulia, in occasione del centenario della morte di Eleonora Duse (1858-1924) un nuovo concerto della rassegna “L’Orecchio di Giano 2024. Dialoghi della Antica et Moderna Musica nei giardini di Villa Giulia”, a cura di Musicaimmagine: in anteprima la performance scritta, musicata e diretta da Flavio Colusso “Le canzoni di Ghisola. Lettere di fuoco… fuoco alle lettere”, ispirata all’epistolario tra Eleonora Duse e Gabriele d’Annunzio. Nel suggestivo scenario dei giardini di Villa Giulia, verranno eseguite una serie di “canzoni” create sulle suggestioni delle parole stesse della grande attrice e dalle immagini evocate dai ricordi e conflitti interiori dei lunghi anni della relazione con il Vate con il quale, tra il 1896 e il 1904, fu legata da un patto d’alleanza “per riportare in scena l’essenza poetica della vita”: con Maria Chiara Chizzoni, cantante-attrice; Ensemble Seicentonovecento, direzione e regìa Flavio Colusso; Marco Rogliano, violino; Matteo Scarpelli, violoncello; Alberto Galletti, pianoforte. Lo spettacolo è introdotto dalla conversazione “Il ’Fuoco’: tra ’Il Lauro del Gianicolo’ e ’Le canzoni di Ghisola’” con la partecipazione di Filippo Sallusto e Flavio Colusso. Biglietto concerto: 15 euro + 4 euro ingresso ai giardini. Ridotto speciale studenti del Conservatorio “S. Cecilia” di Roma: 5 euro + 4 euro ingresso ai giardini. È richiesta la prenotazione al numero +393286294500 o all’indirizzo info@musicaimmagine.it

Roma. Una mongolfiera sopra il Foro Romano annuncia la grande mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità”. La vita e la personalità dell’archeologo e architetto viene raccontata attraverso quattro sezioni, nei luoghi dove ha principalmente operato e di cui ha definito l’attuale fisionomia: il Foro Romano e il Palatino

La mongolfiera si innalza dal Foro Romano per ricordare le imprese pionieristiche di Giacomo Boni e al contempo promuovere la mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità” (foto Simona Murrone)
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Una foto del Foro Romano realizzata da Giacomo Boni col pallone frenato (foto Archivio Fotografico Storico PArCo)

Questa mattina una mongolfiera si è alzata dal Foro Romano, davanti alla Basilica di Massenzio, attirando l’attenzione dei turisti presenti nell’area archeologica e su via dei Fori Imperiali (vedi Facebook). Una nuova attrazione turistica? Non proprio. O, meglio, un modo per promuovere la grande mostra che il Parco archeologico del Colosseo dal 15 dicembre 2021 dedica alla figura di Giacomo Boni (Venezia, 1859 – Roma, 1925) e al tempo stesso ricordare le imprese proprio dell’archeologo Giacomo Boni che nei primi anni del Novecento fotografò l’area archeologica centrale con l’innovativa tecnica del pallone frenato. In questi primi giorni di apertura della mostra, si parla di una settimana, salendo sulla mongolfiera (l’installazione è stata resa possibile con il contributo di Q8) si potrà provare l’ebrezza di vedere dall’alto i fori, il Palatino, il Colosseo, ricordando l’utilizzo che ne ha fatto Boni. Anche in questo pioniere di innovazioni tecnologiche nel campo della ricerca e del restauro, Giacomo Boni impiega il pallone frenato per scattare delle vedute aeree del Foro e restituire in questo modo una visuale d’insieme delle tracce archeologiche che stavano emergendo dagli scavi, creando così le basi per una nuova modalità di documentazione e comunicazione dello scavo archeologico. 

L’archeologo Giacomo Boni al tavolo di lavoro (foto Archivio Fotografico Storico PArCo)
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Locandina della mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità” al Foro Romano e al Palatino dal 15 dicembre 2021 al 30 aprile 2022

La mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità” (15 dicembre 2021 – 30 aprile 2022), curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni con Patrizia Fortini, Alessio De Cristofaro e Anna De Santis, con l’organizzazione e la promozione di Electa, rappresenta un ricordo di Giacomo Boni, convinto sostenitore della necessità di tutelare e valorizzare l’insieme degli straordinari monumenti che caratterizzano l’area archeologica centrale di Roma e ha, dunque, posto le premesse per l’istituzione del Parco archeologico del Colosseo. Il catalogo Electa, edito in occasione della mostra, riunisce numerosi saggi che ripristinano tutta la poliedrica e moderna personalità di Giacomo Boni, facendo il punto sulla ricezione e l’eredità della sua figura ripercorrendo anche il contesto politico, culturale e artistico nel quale è cresciuto e si è affermato.

Il sepolcreto arcaico, una delle importanti scoperte di Giacomo Boni (foto Archivio Fotografico Storico PArCo)

Autodidatta, con una formazione di disegnatore nei cantieri veneziani, col tempo diviene archeologo e architetto sviluppando metodi innovativi di scavo – a cominciare da quello stratigrafico – di restauro, di documentazione e di valorizzazione. Comprende l’importanza di condividere con il grande pubblico il valore delle scoperte che hanno ridisegnato l’aspetto del Foro Romano ricorrendo a un linguaggio nuovo, non accademico, e alla fotografia. Tra le scoperte si ricordano quelle del Tempio di Vesta; il complesso della fonte sacra di Giuturna; la chiesa medievale di Santa Maria Antiqua con il ciclo pittorico bizantino; il sepolcreto arcaico, che ha consentito di stabilire una vita protostorica nell’area del Foro Romano; il Lapis Niger, luogo che gli autori antichi riferiscono alla saga di Romolo. Per il Palatino approfondisce i temi della flora, interesse che lo accompagna tutta la vita e di cui resta traccia nell’ordinamento del giardino degli Horti farnesiani, e in quel roseto che porta ancora il suo nome e dove è sepolto.

Giacomo Boni nel suo studio presso le Uccelliere Farnesiane nel 1923 (foto Archivio Fotografico Storico PArCo)

Giacomo Boni è stato anche un colto rappresentante dell’ambiente intellettuale e cosmopolita dell’epoca, illustrato da eccellenti prestiti in mostra che favoriscono la narrazione degli aspetti meno conosciuti della sua personalità. Già in giovane età, il credito acquisito presso eminenti figure della cultura anglosassone, a cominciare da John Ruskin e William Morris, le stimolanti e influenti amicizie veneziane e milanesi – in particolare Primo Levi e Alberto Carlo Pisani Dossi – e, grazie a quelle, l’ingresso nei circoli intellettuali sostenitori di Francesco Crispi lo portano a Roma. In un contesto culturale in cui si intrecciano la passione per l’archeologia e l’interesse per la contemporanea arte inglese, risulta incoraggiata dall’operato di Boni una nuova visione dell’Antico che l’arte simbolista porta al pieno sviluppo all’inizio del Novecento. Il progetto museografico realizzato in quegli anni per il Foro Romano e il Palatino da Giacomo Boni è pertanto il risultato di una molteplicità di interessi e incontri, e si presenta straordinariamente attuale e innovativo: forse il primo esperimento di parco archeologico in cui natura, resti antichi, ricostruzioni filologiche, rievocazioni e divulgazione tendono a fondersi in armonia.

Mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità”: l’allestimento della sezione al Tempio di Romolo (foto Simona Murrone)

Le sezioni: Tempio di Romolo. Vengono ripercorsi gli anni della formazione e i rapporti con la cultura anglosassone durante il periodo veneziano (1879–1888), l’arrivo a Roma con l’incarico presso la Direzione Generale Antichità e Belle Arti (1888–1898) e i successivi all’ufficio scavi del Foro Romano che portano a grandi scoperte. E ancora dal 1907 quando il Palatino viene accorpato al Foro, fino all’anno della morte. Oltre a opere di De Carolis e Cambellotti, al centro del tempio è esposto il pallone frenato utilizzato con straordinaria intuizione da Boni per effettuare le vedute fotografiche degli scavi dall’alto.

Mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità”: l’allestimento della sezione al museo forense (foto Marco Cremascoli)

Le sezioni: Complesso di Santa Maria Nova. La sezione della mostra è dedicata in generale all’attività archeologica di Boni al Foro Romano e in particolare al museo forense, da lui voluto e inaugurato nel 1908. Si inscrive nel racconto di questa figura atipica di archeologo, anticipatrice per molti versi, che ha trasformato lo studio dell’archeologia. Sono stati messi in luce i suoi criteri espositivi, riproposti dei contesti di scavo come il sepolcreto arcaico di cui aveva fatto realizzare un plastico – adesso restaurato e in mostra – e come l’insieme delle sculture che decoravano la fontana di Giuturna. Sono anche esposte delle teche disegnate dallo stesso Boni e con l’organizzazione dei reperti da lui disposta. Risulta in questo modo evidente il suo principio: rispettare l’integrità dei complessi riportati alla luce. Tutti i materiali sono ugualmente fondamentali: che si tratti di manufatti, resti antropologici, botanici, faunistici. Un metodo che ha sviluppato lo studio dei reperti anche da un punto di vista etnoantropologico. Importante sottolineare anche il luogo scelto da Boni per istituire l’Antiquarium: all’interno del chiostro quattrocentesco del complesso di Santa Maria Nova. I restauri di allora, avviati proprio per consentire l’esposizione dei reperti, portano alla luce non solo le trasformazioni dal trecento al settecento del chiostro stesso, ma anche parte della pavimentazione del pronao della cella dedicata alla dea Roma. Tutti elementi che il percorso di mostra oggi ripropone, grazie anche a un recente intervento di manutenzione del complesso e di ristrutturazione delle sale espositive che restituisce al grande pubblico questi spazi, chiusi al pubblico da più di dieci anni.

La chiesa settecentesca di Santa Maria Liberatrice prima del suo abbattimento (foto Archivio Fotografico Storico PArCo)

Le sezioni: Santa Maria Antiqua e rampa domizianea. Si racconta il ritrovamento della chiesa e del ciclo pittorico altomedievale di matrice bizantina, dopo l’abbattimento della chiesa secentesca di Santa Maria Liberatrice. Una scoperta, riccamente documentata dal gruppo di lavoro di Boni, e da cui prende avvio un filone neo-bizantino che investe le arti e l’architettura dell’epoca.

Mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità”: l’allestimento della sezione alle Uccelliere farnesiane (foto Simona Murrone)

Le sezioni: Uccelliere farnesiane. È in questa sezione che emerge con forza l’aspetto meno noto del grande archeologo e architetto: il ruolo avuto negli ambienti culturali italiani ed europei degli inizi del Novecento. Ben introdotto nei circoli mondani e culturali della capitale – si ricordano i rapporti con il socialismo umanitario romano, costanti dopo il primo incontro nella redazione della “Nuova Antologia” con Giovanni Cena, Sibilla Aleramo, Duilio Cambellotti – e definito poeta, e profeta, da Eleonora Duse, Ugo Ojetti e Benedetto Croce per la capacità di ricostruire il mito delle origini dell’antica Roma. Le scoperte che ridisegnano il Foro e il suo pensiero suggestionano il simbolismo romano, la cui onda lunga penetra nel Novecento, alimentando il Liberty della capitale e arrivando almeno al 1913, con l’affermarsi delle Secessioni e delle Avanguardie. L’approccio al mondo classico fatto di simboli, rievocazioni, allusioni cifrate è evidente nelle opere esposte di Bottazzi, Cambellotti, Dalbono, Discovolo, Grassi, Maldarelli, Netti e Sartorio, molte delle quali provenienti da collezioni private. Spicca la tela “Gli archeologi” di Giorgio de Chirico, segno della memoria storica sempre presente. Boni dal 1910 si ritira a vivere nelle Uccelliere, e lo ricorda l’esposizione di una selezione di arredi originali della sua casa-studio. A completamento della narrazione della vita di Giacomo Boni, oltre alle quattro sezioni della mostra nel Foro Romano sono posizionati dei totem nei luoghi di maggior intervento e di scoperte, che hanno consentito una nuova lettura dell’area archeologica centrale e della storia dell’antica Roma.