Archeologia sperimentale. Ricostruito il telaio verticale ed esposto nella Domus Tiberiana sul Palatino insieme ai 63 pesi originali lì ritrovati nel 2010. Il parco archeologico del Colosseo ha raccontato e documentato questa ricerca nel video “Nodi al pettine. Un’esperienza di archeotecnologia”, a cura di Andrea Schiappelli

Frame del video “Nodi al pettine. Un’esperienza di archeotecnologia” prodotto dal parco archeologico del Colosseo

La Domus Tiberiana sul colle Palatino, riaperta al pubblico nel settembre 2023, a 50 anni dalla chiusura per gravi problemi strutturali (foto PArCo)
Nel 2010, in un ambiente dell’ala occidentale della Domus Tiberiana sul colle Palatino sono stati messi in luce i resti di un telaio del I sec. d.C., rappresentati da ben 63 pesi di argilla che servivano a tenere tesi i fili. Nel 2023, il nuovo allestimento espositivo della Domus Tiberiana (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2023/09/21/roma-riaperta-al-pubblico-la-domus-tiberiana-a-50-anni-dalla-chiusura-per-gravi-problemi-strutturali-4-ettari-sul-colle-palatino-con-uno-speciale-allestimento-museale-imago-imperii/) è stata l’occasione giusta per ricostruire il telaio in modo “filologico”, pesi di argilla compresi. Il parco archeologico del Colosseo lo ha raccontato in un video documentario: “Nodi al pettine. Un’esperienza di archeotecnologia”, a cura di Andrea Schiappelli per la regia di Flaviano Pizzardi, con Massimo Massussi e Sonia Tucci (archeologi, Società Cooperativa Matrix Novantasei), Ettore Pizzuti (archeotecnologo) e Fulvio Coletti (archeologo – PArCo). Ecco il video prodotto dal Servizio Educazione Didattica e Formazione del PArCo (Andrea Schiappelli-Responsabile, Francesca Boldrighini, Silvio Costa, Silvia D’Offizi, Elena Ferrari, Francesca Ioppi, Federica Rinaldi).

Il telaio verticale ricostruito nelle sale espositive della Domus Tiberiana sul Palatino (foto matrix96/PArCo)
“Le circostanze del rinvenimento dei 63 pesi da telaio messi in mostra nella sala 5 della Domus Tiberiana”, spiega Fulvio Coletti, archeologo del PArCo, “risalgono al 2010 nell’ambito di una importante campagna di scavi in cui si indagarono il settore occidentale e nord della Domus Tiberiana. Nell’ambito di quegli scavi si andarono a investigare i livelli sottostanti il palazzo imperiale e vennero rinvenute cinque domus, tracce naturalmente di domus, perché furono messe in luce solo parti di queste strutture. Nell’ambito di una di queste domus, la più centrale, fu rinvenuto tutto questo importante numero di pesi da telaio, che fece pensare gli archeologi fosse stato abbandonato un telaio – in legno naturalmente – dell’epoca di utilizzo della casa, quindi della I metà del I sec. d.C. Questi pesi sono ora allestiti ed esposti in una teca accanto al telaio ricostruito e testimoniano attività domestiche che si svolgevano in questa domus”.

Sonia Tucci sperimenta il ricostruito telaio verticale romano (foto matrix96/PArCo)
“Questo è un telaio verticale autoportante a 4 licci”, illustra Sonia Tucci, archeologa sperimentale, “e lo monteremo mettendo un subbio orizzontale nella parte alta. A questo andremo ad attaccare l’ordito, poi dei separatori orizzontali che permetteranno ai fili con i pesi di andarsi a posizionare nella parte posteriore del telaio. E poi andiamo a posizionare le aste e i licci. Sulle aste poi andremo a montare i licci. Le aste porta-liccio stanno nella posizione attiva, mentre questa è la posizione a riposo. Chiaramente spostando l’asta-liccio dalla posizione dalla posizione riposo alla posizione attiva abbiamo la possibilità di far passare la spoletta all’interno del passo dei fili d’ordito. Quattro licci consentono di strutturare un tessuto a saia con una decorazione differenziata che va dalla spia di pesce al diamante. Quando andremo a montare l’ordito, i fili dell’ordito saranno messi in tensione da dei pesi di ceramica che li faranno scendere nella verticale. I pesi sono stati realizzati in argilla. Quelli che si vedono sono in terracotta e sono una riproduzione fatta mediante un’analisi prima tecnico-funzionale e sperimentale dei materiali che provengono dal record archeologico e successivamente sono stati riprodotti fedelmente al materiale archeologico. Questi verranno montati su ogni asta porta-liccio. I licci andranno quindi a separare i fili dell’ordito e avremo una disposizione di circa 5 fili per centimetro”.

Un peso da telaio rinvenuto nella Domus Tiberiana sugli appunti della ricerca sperimentale (foto matrix96/PArCo)
“Vista l’importanza del contesto e del ritrovamento del telaio e dei suoi pesi”, interviene Andrea Schiappelli, archeologo del PArCo, “abbiamo pensato come Servizio didattica di documentare con un video il grande lavoro di ricostruzione che è stato organizzato a livello filologico, di archeologia sperimentale, di questo telaio. Abbiamo voluto, come principio, valorizzare un oggetto – un oggetto che ha poi dietro un lavoro – che non fosse diverso da una statua, un rilievo architettonico o da una pittura o un dipinto, per valorizzare alcuni aspetti della vita quotidiana e dei processi di produzione che sono dietro alla vita quotidiana. Come lo era il lavoro del ceramista, chi tesseva aveva dietro una capacità tecnica e un apprendimento sicuramente complesso e prolungato perché usare un telaio non è affatto un’attività facile e scontata. Così come non lo è costruirlo. E grazie al lavoro attentissimo di grande cura di Sonia Tucci, Massimo Massussi ed Ettore Pizzuti, e che stiamo appunto documentando, questa complessità nel fare il telaio e nell’usarlo sicuramente verrà fuori e potrà essere apprezzata da tutti voi”.

L’archeologo sperimentale Massimo Massussi nella realizzazione del telaio verticale della Domus Tiberiana (foto matrix96/PArCo)
“Le essenze che abbiamo utilizzato”, ricorda Massimo Massussi, archeologo sperimentale, “sono essenze che si ritrovano in Italia già a partire dall’epoca preistorica e protostorica, e in epoca romana. Probabilmente la circolazione di legna era anche molto diffusa. In questo caso sono abete e pino per la struttura portante e per quello che riguarda invece il subbio, la struttura che in realtà dovrà tenere in modo particolare i pesi invece è il faggio. Il faggio è un legno molto utilizzato per quello che riguarda anche la cantieristica navale, e veniva utilizzato per le barche storiche per realizzare gli alberi delle vele. Normalmente ritroviamo l’abete in questa forma, questo semplicemente non è lavorato, sarebbe da scortecciare per far venir fuori l’essenza vera e propria. Questo è il faggio che si ritrova appunto andando a raccoglierlo. E poi c’è un altro legno che veniva probabilmente utilizzato per fare le parti più dure, con una stagionatura molto lunga: è il castagno che generalmente viene utilizzato per fare i piedi che sostengono tutta la struttura. La struttura è stata realizzata senza un chiodo di metallo: sono tutti incastri maschio-femmina e sono stati applicati al posto dei chiodi di metallo quelli di legno”.

Il telaio verticale ricostruito nelle sale espositive della Domus Tiberiana sul Palatino (foto matrix96/PArCo)

Archeologia tessile: tessuti realizzati con il telaio verticale ricostruito (foto matrix96/PArCo)
“Il telaio esposto qui nella Domus Tiberiana è una struttura molto complessa”, riprende Sonia Tucci, archeologa sperimentale. “È un telaio verticale autoportante a quattro licci. E su questo telaio è stata realizzata una porzione di tessuto. La cosa interessante è che è stata realizzata anche una decorazione dei bordi con lavorazione a tavoletta. L’archeologia tessile è un ambito di studio particolarmente multiforme. Ci sono diversi ambiti di studio dell’archeologia tessile. La presenza dei tessuti all’interno di scavi archeologici è abbastanza rara, soprattutto in Italia, e tutto ciò è dovuto ad aspetti ambientali, di conservazione dei materiali. Certo è che possiamo rinvenire tracce di tessitura su alcuni reperti, ad esempio i reperti metallici. Dove rinveniamo appunto la traccia della tessitura su porzioni, ad esempio, di fibule o di coltelli, in stato di mineralizzazione”.

Archeologia sperimentale: copie dei tesi di telaio scoperti nel 2010 nella Domus Tiberiana (foto matrix96/PArCo)
“L’archeologia sperimentale”, chiude Massimo Massussi, archeologo sperimentale, “è una disciplina che possiamo considerare in termini di convergenze di tante altre discipline. Quindi si parte ovviamente dall’archeologia e dalla ricerca di dati, quindi attraverso i nostri scavi archeologici, stratigrafici, e di conseguenza al recupero di manufatti, che ovviamente in molti casi devono essere studiati e analizzati, e interpretati. A cosa serve l’archeologia sperimentale? Serve per capire la tecnologia di produzione e in modo particolare anche la funzione degli oggetti, in questo caso dei manufatti, e quindi la possibilità di farli rivivere e rimetterli in funzione. L’archeologia sperimentale nasce alla fine degli anni ’60 – inizio anni ’70 in connessione in modo particolare con lo studio delle industrie litiche paleolitiche con la riproduzione quindi di manufatti in pietra scheggiata che hanno dato la possibilità agli studiosi di poter capire la tecnologia legata a questo tipo di materiale, e in modo particolare la possibilità di andarne a interpretare la funzione. Quindi l’archeologia sperimentale in questo senso è utilissima per poter ricostruire il passato, per poterlo interpretare, per avvicinarci il più possibile alla funzione degli oggetti e alla loro tecnologia. E sicuramente alla possibilità poi di ricostruire oggetti anche di un certo tipo, legati magari anche a delle esposizioni museali, quindi l’allestimento di musei. Nel nostro specifico caso di studio – conclude -, quello appunto della riproduzione di un telaio di epoca romana, accertato dalla presenza di circa 60 pesi da telaio rinvenuti all’internodi alcuni ambienti di questo importante edificio che si trova al centro di Roma, sostanzialmente abbiamo avuto l’incarico di svolgere questa ricerca, la riproduzione di un telaio funzionale, quindi che sia un oggetto realmente funzionale per essere esposto e fruibile dal pubblico”.
Roma. Riaperta al pubblico la Domus Tiberiana, a 50 anni dalla chiusura per gravi problemi strutturali, 4 ettari sul Colle Palatino con uno speciale allestimento museale “Imago imperii”

La Domus Tiberiana, sul Palatino, riaperta al pubblico e illuminata in modo spettacolare da Acea (foto PArCo)

Le ardite volte della Domus Tiberiana sul Palatino (foto PArCo)
Il 21 settembre 2023 il Parco archeologico del Colosseo apre al pubblico la Domus Tiberiana, a distanza di quasi 50 anni dall’insorgere dei gravi problemi strutturali che ne avevano determinato la chiusura e a seguito di importanti interventi di restauro. La grandiosa residenza imperiale, estesa per circa 4 ettari sul colle Palatino, si affaccia sulla valle del Foro Romano con poderose arcate su più livelli, immagine iconica di quest’angolo della città antica. E di sera resterà illuminata grazie ad un progetto di Acea e si potrà così ammirare da via dei Fori Imperiali.

All’interno della Domus Tiberiana sul Palatino l’allestimento museale “Imago imperii” (foto PArCo)
“Imago imperii” è il titolo dell’allestimento museale, a cura di Alfonsina Russo, Maria Grazia Filetici, Martina Almonte e Fulvio Coletti, con l’organizzazione di Electa editore, che si articola nei 13 ambienti che si aprono lungo il percorso, con l’ambizione di raccontare la storia del monumento nei secoli. Alla riapertura si accompagna il volume, pubblicato da Electa, che guida alla storia della Domus Tiberiana, oltre a render conto dei restauri e dei ritrovamenti degli ultimi decenni nell’area del palazzo imperiale.

Ambienti interni della Domus Tiberiana sul Palatino (foto PArCo)
La Domus Tiberiana è stata riaperta mercoledì 20 settembre 2023 alla presenza del ministro Gennaro Sangiuliano. Con l’apertura del palazzo viene ripristinata la circolarità dei percorsi tra Foro Romano e Palatino, attraverso la rampa di Domiziano e gli horti farnesiani: il visitatore, che entra nel palazzo percorrendo la via coperta nota come Clivo della Vittoria, avrà così la percezione dell’antico cammino percorso dall’imperatore e dalla corte per raggiungere la grandiosa residenza privata, che dal colle Palatino ha dato origine al moderno significato della parola “palazzo”.
“Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”: il parco archeologico del Colosseo propone un viaggio alla scoperta delle abitazioni succedutesi sul colle nel corso dei secoli. Ottava puntata: gli Horti Farnesiani, dai Farnese a Pietro Rosa e Giacomo Boni

Dall’età arcaica e ancora in parte fino alla fine del XIX secolo il colle su cui nacque Roma fu una zona prevalentemente “residenziale”. La vocazione abitativa del Palatino culminò nel I secolo d.C. con la costruzione dei palazzi imperiali: essi si identificarono così strettamente con il colle su cui sorgevano, che il suo nome latino, Palatium, è ancora oggi utilizzato in molte lingue moderne con il significato di “edificio residenziale”. Il parco archeologico del Colosseo propone “Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”, viaggio alla scoperta delle abitazioni – e dei loro abitanti – che nel corso dei secoli si sono succedute sul colle Palatino. In questa ottava puntata scopriamo gli Horti Farnesiani: dai Farnese a Pietro Rosa e Giacomo Boni.

Nel Rinascimento il colle Palatino fu scelto dalla potente famiglia dei Farnese per realizzare un grande giardino privato con viali, alberi, aiuole, fontane, nuovi edifici e una collezione di opere d’arte. Il contenuto mitico e ideologico del luogo, legato alla fondazione di Roma e sede del potere imperiale, rendeva infatti il Palatino con il suo nuovo giardino uno strumento di affermazione della famiglia, che con Paolo III Farnese aveva raggiunto il soglio pontificio (1534-1549). L’Antico era elemento fondante della concezione del giardino: sul colle si potevano ammirare non solo i resti dei Palazzi imperiali ma anche le sculture della collezione privata. Umanisti e antichisti come Fulvio Orsini e Pirro Ligorio furono solo alcuni degli ispiratori del progetto. Gli Horti Farnesiani erano in realtà un luogo per la meditazione e per l’intrattenimento, destinato al tempo libero e non una vera e propria residenza. Soltanto un edificio infatti, oggi non più conservato, era attrezzato con camere, soggiorno e una cucina. Il giardino divenne così cornice di cacce, feste e banchetti, ma anche di visite all’orto botanico e alle collezioni di antichità.

Un’incisione di Giovanni Battista Falda del 1667 mostra in maniera idealizzata l’assetto degli Orti. La storia della loro realizzazione si svolge attraverso il tempo in quasi cento anni. Dall’acquisto dei terreni con il cardinale Alessandro Farnese nel 1537, al primo intervento edilizio sistematico a partire dal 1569 che sfrutta i resti della Domus Tiberiana, con il grande portale rivolto verso il Foro Romano (oggi collocato in via di San Gregorio), la Casina del Belvedere con i celebri affreschi, il Ninfeo degli Specchi, fino agli ultimi interventi di Odoardo duca di Parma, che nel 1628 sposò Margherita de’ Medici, con la realizzazione delle due Uccelliere. Dopo un lungo declino, a partire dal XIX secolo gli Orti ricominciarono ad essere ‘abitati’: con Pietro Rosa, direttore degli scavi incaricato da Napoleone III, le Uccelliere furono trasformate in residenza privata e anche Giacomo Boni le scelse come luogo eletto.
“Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”: il parco archeologico del Colosseo propone un viaggio alla scoperta delle abitazioni succedutesi sul colle nel corso dei secoli. Quinta puntata: la Domus Flavia, il palazzo per eccellenza

Dall’età arcaica e ancora in parte fino alla fine del XIX secolo il colle su cui nacque Roma fu una zona prevalentemente “residenziale”. La vocazione abitativa del Palatino culminò nel I secolo d.C. con la costruzione dei palazzi imperiali: essi si identificarono così strettamente con il colle su cui sorgevano, che il suo nome latino, Palatium, è ancora oggi utilizzato in molte lingue moderne con il significato di “edificio residenziale”. Il parco archeologico del Colosseo propone “Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”, viaggio alla scoperta delle abitazioni – e dei loro abitanti – che nel corso dei secoli si sono succedute sul colle Palatino. In questa quinta puntata si parla della Domus Flavia, il palazzo per eccellenza.

Con l’evolversi della figura del princeps e con il ruolo politico che andava man mano assumendo cambia anche la configurazione funzionale del palazzo dell’imperatore. Il processo inizia con l’introduzione del nuovo sistema politico proposto da Augusto che prevedeva la gestione di nuovi servizi dello Stato da parte del princeps. Questo comportò man mano l’espansione del palazzo imperiale che richiedeva più spazio per uffici e archivi ma anche ambienti per svolgere le cerimonie della salutatio e del convivium, le due funzioni pubbliche per eccellenza. Con Domiziano, l’ultimo dei Flavi, si arriva alla costruzione di un palazzo imperiale che occupa l’intero colle e che doveva, fisicamente e materialmente, sovrastare i comuni mortali, quasi una dimora celeste. Nasce così una nuova tipologia architettonica: il palazzo dinastico.

Il complesso residenziale si articola principalmente in due settori: uno pubblico, la Domus Flavia, ed uno privato, la Domus Augustana, costruiti e progettati, secondo le fonti, da Rabirio, uno dei pochi architetti romani di cui conosciamo il nome. La denominazione di Domus Augustana, utilizzata oggi per indicare solo il settore privato della residenza, doveva in realtà indicare tutto il complesso, che occupava la zona meridionale del colle, per distinguerlo dal settore a Nord conosciuto come Domus Tiberiana.

Non tradendo la funzione abitativa del colle, la residenza degli imperatori andò a sovrapporsi, e ovviamente obliterò, il quartiere abitativo tardo-repubblicano e parte delle residenze neroniane. Osservando oggi l’imponenza dei resti in laterizio, possiamo solo immaginare come si presentasse l’antica e ricca residenza un tempo rivestita di marmi policromi, con ampi cortili colonnati e numerose stanze affrescate: tutti questi elementi giocheranno un ruolo fondamentale nella formazione di un nuovo linguaggio architettonico. Questo grande intervento delineò una nuova fisionomia del colle: per la sua costruzione furono innalzati cumuli di terra e realizzati terrazzamenti che modificarono l’assetto originario del terreno, creando così “una dimora alta come il cielo”, come ci racconta Marziale (Epigr. VIII, 26. 12).

Le strutture della Domus Flavia, ai nostri occhi così imponenti e maestose, non dovevano comunque essere “abbastanza” come residenza privata dell’imperatore. Grazie a quanto riportato da Svetonio, capiamo infatti che gli imperatori, a partire dal primo della dinastia Flavia, non risiedevano in modo stabile sul Palatino, ma commissionavano anche costruzioni di residenze lussuose fuori dall’Urbs dove soggiornavano per lunghi periodi.

Così il fulcro della Domus Flavia era costituito di fatto dagli spazi destinati ai momenti pubblici. Su un maestoso peristilio, con al centro una grande fontana ottagonale, si affacciavano vari ambienti: a settentrione l’Aula Regia dove dovevano tenersi le udienze e gli incontri ufficiali della corte imperiale e, a Ovest dell’Aula Regia, la Basilica; sul lato meridionale la sala da pranzo dell’imperatore: la celebre Cenatio Iovis. Qui gli invitati mangiavano sdraiati sui triclini mentre erano allietati da giochi d’acqua e, quando necessario, godevano della sala riscaldata: questo era possibile grazie a un sistema con doppio piano pavimentale (suspensurae) che permetteva la circolazione di aria calda.
“Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”: il parco archeologico del Colosseo propone un viaggio alla scoperta delle abitazioni succedutesi sul colle nel corso dei secoli. Quarta puntata: la Domus Tiberiana, il primo palazzo

Dall’età arcaica e ancora in parte fino alla fine del XIX secolo il colle su cui nacque Roma fu una zona prevalentemente “residenziale”. La vocazione abitativa del Palatino culminò nel I secolo d.C. con la costruzione dei palazzi imperiali: essi si identificarono così strettamente con il colle su cui sorgevano, che il suo nome latino, Palatium, è ancora oggi utilizzato in molte lingue moderne con il significato di “edificio residenziale”. Il parco archeologico del Colosseo propone “Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”, viaggio alla scoperta delle abitazioni – e dei loro abitanti – che nel corso dei secoli si sono succedute sul colle Palatino. In questa quarta puntata si parla della Domus Tiberiana, il primo palazzo.

Tra le residenze imperiali del Palatino la Domus Tiberiana è sicuramente la meno conosciuta dal pubblico e dagli stessi archeologi. A rendere “misterioso” questo grande e complesso edificio ha contribuito anche il suo destino rinascimentale: nel XVI secolo infatti la Domus fu coperta ed in parte obliterata dal verde degli Horti Farnesiani, costruiti dal cardinale Alessandro Farnese, che ancora ricoprono il versante Nord-occidentale della collina.

Gli scavi archeologici, di conseguenza, si sono limitati quasi sempre alle parti marginali dell’edificio: ricordiamo l’enorme lavoro svolto da Pietro Rosa – l’archeologo incaricato da Napoleone III, che aveva acquistato i Giardini Farnese – che a partire dal 1861 la scavò sistematicamente per circa 10 anni e ne mise in luce i versanti meridionale ed orientale, e soprattutto quello settentrionale, con le imponenti sostruzioni che raggiungono i 20 metri di altezza e che ancora oggi fungono da spettacolare quinta per il Foro Romano.


Uno dei corridoi della Domus Tiberiana sul Palatino, il cosiddetto Criptoportico Neroniano, in una foto d’epoca Alinari
Ancora in parte da indagare e da interpretare sono gli intricati piani inferiori, dentro i quali sono inglobati resti di numerose case aristocratiche di età repubblicana. Proprio queste domus costituirono il primo nucleo della Domus Tiberiana, a partire da quella di Tiberio Claudio Nerone, padre dell’imperatore omonimo; questa casa fu forse la stessa abitata da Germanico, da Claudio, prima di diventare imperatore, e da Caligola, che secondo le fonti ingrandì la Domus Tiberiana ampliandola “fino al Foro”. Quello di Caligola, che, per uno strano scherzo del destino, proprio in un criptoportico della sua Domus fu ucciso nel 41 d.C., fu il primo grande impulso costruttivo della Domus Tiberiana, che non fu mai, per architettura e cronologia, un edificio unitario, ma che si formò progressivamente grazie a una serie di ampliamenti successivi, assumendo un aspetto monumentale solo a partire dall’imperatore Claudio e poi con Nerone.

In quest’epoca le antiche domus furono infatti inglobate in un grande basamento (di metri 50 x 45 circa) circondato da un quadriportico, che fu collegato all’area del Foro da una scalinata monumentale. Ad epoca claudia si datano anche la grande vasca circondata da giardini, scavata a partire dal 2005, sulla terrazza degli Horti Farnesiani ed il criptoportico messo in luce nella stessa area: esso ha infatti restituito una conduttura di piombo con inciso il nome dell’imperatore.

Con la costruzione del Palazzo Flavio la Domus Tiberiana perse la sua centralità e assunse un ruolo maggiormente funzionale; Domiziano, e poi Traiano ed Adriano continuarono però a curarla, ampliandola, tra l’altro, sul versante Nord con le poderose sostruzioni; vi abitarono anche gli Antonini, e Commodo la ristrutturò dopo un incendio. La vicinanza con il Foro e con la parte ancora abitata della città la fecero preferire alle altre residenze palatine nel corso del Medioevo se, ancora nell’VIII secolo d.C., vi abitò anche Papa Giovanni VII, figlio di Platone, curator dei Palazzi Imperiali.
Roma. Tornano per due mesi i percorsi “Alle pendici del Palatino”, un viaggio nello spazio e nel tempo: per la prima volta inserito il Pedagogium noto per le pitture con graffiti tra cui il famoso “graffito blasfemo”
“Alle pendici del Palatino”: un viaggio nello spazio e nel tempo. Tornano le visite lungo le pendici meridionali e occidentali del Palatino, ambientate in uno dei luoghi più suggestivi e incontaminati del centro di Roma, così vicino alla città, eppur distante dal chiassoso traffico urbano. Un cammino immerso a tratti nel completo silenzio, dove inflorescenze ed erbe, folti cespugli e macchie arboree con i loro colori e odori formano una cornice ricca di suggestioni visive e olfattive che rende indimenticabile l’esperienza di visita in un’area archeologica unica al mondo. La passeggiata è riaperta a partire dal 1° settembre 2020 fino al 24 ottobre 2020 con i seguenti orari: settembre, dalle 11 alle 18.15; ottobre, dalle 10 alle 17.15. La passeggiata è sospesa solo nei giorni 26 e 27 settembre 2020.

Mosaici in bianco e nero di età severiana (III sec. d.C.) nel Paedagogium sul colle Palatino (foto PArCo)
Un viaggio nello spazio e nel tempo, si diceva. È questo lo spirito con cui il visitatore può intraprendere il percorso che si snoda lungo le pendici meridionali e occidentali del Palatino. Lungo il percorso sarà possibile ammirare la maestosità degli edifici che occuparono il colle tra l’età degli imperatori flavi e quelli della dinastia severiana: le cosiddette Arcate Severiane, i prospetti della Domus Flavia e della Domus Augustana, e per la prima volta anche l’area del Paedagogium, un collegio destinato all’istruzione e formazione dei paggi imperiali, noto per le pitture con graffiti (il famoso graffito con “crocefisso blasfemo” è conservato al museo Palatino) e i mosaici bianco-neri da poco riscoperti e restaurati.

Il cosiddetto “graffito blasfemo” trovato nel Paedagogium e conservato nel museo Palatino (foto PArCo)
Intonaco graffito con crocefisso blasfemo. Questa parte di intonaco bianco graffito venne rivenuta nel 1857 nel cosiddetto Paedagogium, un edificio annesso al Palazzo imperiale sul colle Palatino, probabilmente da identificare come il luogo in cui venivano formati gli schiavi della famiglia imperiale. Il graffito rappresenta una figura umana in croce, vista di schiena, vestita con una corta tunica senza maniche e caratterizzata dall’avere la testa di asino. Sulla sinistra, un uomo volge il viso ed alza il braccio sinistro verso il crocifisso. Nella parte inferiore è presente una scritta in greco antico, “Alexamenos adora (il suo) Dio”, disposta su quattro righe con lettere tracciate in modo irregolare. In alto a destra è presente una Y, interpretata sia come un grido di dolore sia come simbolo di una forca. Il graffito, di difficile lettura, è stato datato all’età severiana (tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C.), e rappresenterebbe una delle più antiche raffigurazioni di crocifissione. Probabilmente questa scena deve essere letta come un atto di scherno nei confronti di un cristiano, forse proprio tal Alexamenos.

Lo Studiolo nella Casa di Augusto con affreschi tra i più raffinati esempi di pittura del II stile (foto PArCo)
Proseguendo la passeggiata, lambendo il Circo Massimo, si giungerà alle pendici sud-ovest del colle Palatino, lì dove Romolo fondò la Città Eterna e dove abitò e visse Augusto, primo imperatore di Roma della cui Casa è visitabile lo Studiolo, dove è possibile ammirare gli esempi forse più raffinati della pittura romana di tardo II Stile. Di qui ancora, proseguendo lungo il fianco occidentale del monte, si ridiscende il tempo sovrastati dal santuario della Magna Mater Cibele e di Victoria e dall’incombere della Domus Tiberiana fino ad arrivare alla chiesa medievale di San Teodoro. Attraversando infine gli Horrea Agrippiana (magazzini del grano), il tragitto si conclude con l’ingresso al Foro Romano dopo aver percorso l’ultimo tratto del Vicus Tuscus.







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