“Le Passeggiate del Direttore”: col 26.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco ci fa conoscere la sepoltura di Petamenofi di età adrianea proveniente dalla tomba della famiglia Soter che ha riutilizzato una tomba di età ramesside. I corredi di età romana sono sparsi in tutta Europa: obiettivo dell’Egizio ricomporlo in una grande mostra nel 2021
C’è una tomba al museo Egizio di Torino che ben racconta l’ibridazione della cultura egizia con la cultura greca nella fase greco-romana dell’Antico Egitto: è la tomba della famiglia Soter, una parte del cui corredo è arrivato anche al museo torinese. Ce ne parla Christian Greco nel 26.mo appuntamento con le “Passeggiate del direttore” dedicato a “Petamenofi e l’Egitto Romano”. La narrazione parte dalla TT32, la tomba tebana 32 del periodo ramesside appartenuta a Djehutymes, intendente al tempio di Amon, e alla moglie Aset, dei quali sono esposti al museo Egizio due coperchi di sarcofagi, in granito rosa. “Più di 1300 anni dopo, all’età di Traiano e Adriano”, racconta Greco, “la tomba viene riutilizzata dalla famiglia di Soter che la riserva a tutti i componenti della famiglia. Oggi il corredo delle sepolture dei componenti della famiglia Soter è sparso in tutta Europa. Soter e il corredo di Soter si trova al British Museum; i loro figli si trovano al Louvre di Parigi; un’altra loro figlia, Sensao, si trova al museo nazionale delle Antichità di Leiden; e proprio Sensao è la zia di Petamenofi che è conservato al museo Egizio di Torino. I fratelli e i cugini di Petamenofi sono al Neues Museum di Berlino. Proprio data l’importanza di tutto ciò, il museo Egizio di Torino sta lavorando, nella fattispecie la nostra curatrice Susanne Töpfer, alla ricomposizione di questo corredo per una mostra che dovremmo aprire nel 2021”.

Il sarcofago a pilastrini di Petamenofi (età adrianea) conservato al museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)
Nella sepoltura di Petamenofi ritroviamo elementi antico-egizi che vengono recuperati. “Innanzitutto il sarcofago”, fa notare Greco. “La forma, che abbiamo imparato a conoscere, quella che vedevamo nei sarcofagi all’inizio della storia egizia, è a cassa con un coperchio bombato e con dei pilastri. In una delle puntate precedenti il sarcofago a pilastrini di Hori (VII sec. a.C.) è stato definito un cosmogramma. Ma qui la decorazione è completamente diversa. C’è una colonna di testo al centro in geroglifico, che ci riporta alla tradizione. Poi però nella lunetta c’è anche un testo scritto in greco, la lingua che si parlava, la lingua della burocrazia. In quel momento era il greco la lingua dell’impero romano d’oriente. E per vedere come la tradizione sia ancora vivente è interessante guardare la raffigurazione che si trova sulla parte inferiore della cassa, che con elementi nuovi ripropone però iconografie antico-egizie. C’è un geroglifico sopra, una piccola giara, che si legge “nw”, “nwt”, e quindi è la raffigurazione della dea Nut. E al contempo è interessante osservare la mummia. Si continua a mummificare i morti, quindi questo mondo greco-romano guarda con grande interesse alla tradizione millenaria dell’antico Egitto. I greci -l’abbiamo già sottolineato – guardavano sempre con grande attenzione all’antico Egitto come luogo di una storia millenaria, di tradizioni che si erano sedimentate, e un luogo di grande cultura e di grandi conoscenze. Addirittura Platone, nel libro decimo della Politeia, scaccia l’arte dalla città ideale, ad eccezione di quella egizia che invece deve essere mantenuta”.
“Quindi la mummificazione c’è ancora: la preservazione del corpo, perché il corpo deve essere wejat, deve essere conservato, il defunto deve essere assimilato a Osiride; la presenza poi della dea Nut, che abbiamo già visto nel sarcofago di Hori, veniva acclamata ricordando il capitolo 368 del Libro dei morti. Ma la mummia ha anche nuove caratteristiche. Non solo gli intrecci ci permettono di datare la mummia all’età di Adriano, siamo dunque in piena età imperiale, ma è anche interessante notare la posizione della testa. Il mento è schiacciato contro il petto e la testa sembra rialzata. Questo è un elemento tipico delle mummie di età romana. Infatti la testa si alza, il corpo si risveglia e il defunto non è più in quel torpore della morte, ma si solleva e comincia quindi la resurrezione. Eco quindi il simbolo, l’elemento, di resurrezione, l’augurio di resurrezione tipico dell’età romana che riscontriamo in queste mummie”.
#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 21.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco si sofferma sul sarcofago di Khonsumes, tipico sarcofago maschile del Terzo Periodo Intermedio
Col 21.mo appuntamento delle “Passeggiate del direttore” siamo ancora nel Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco ci presenta stavolta i sarcofagi maschili descrivendo il sarcofago di Khonsumes esposto nella galleria dei Sarcofagi del museo Egizio di Torino. Siamo ancora di fronte a un cosiddetto sarcofago giallo, coperto di decorazioni con l’horror vacui, e la presenza degli stessi elementi dell’unità solare osiriaca: la dea Nut al centro. Sopra la sua testa il simbolo del cielo, solcato da una barca con all’interno uno scarabeo alato con la testa d’ariete, sormontato da un disco solare, e ai due lati la rappresentazione del dio Osiride. Ma perché questo è sicuramente un sarcofago maschile? “Innanzitutto ha una parrucca striata e non decorata a falde larghe orizzontali come un sarcofago femminile, come quello di Tabekenkhonsu”, spiega Greco. “Poi vediamo che invece di avere due mani stese ha due pugni. E non c’è la decorazione di orecchini e né vediamo le rosette sotto le falde della parrucca a indicare i seni. Quindi questo è un sarcofago maschile: siamo all’epoca della XXI dinastia, ed è proprio ora che si vede la distinzione di genere nei sarcofagi. Il sarcofago in questo periodo diventa quell’elemento che raccoglie in sé tutti gli elementi fondamentali per la resurrezione del defunto. E se andiamo a vedere la cassa, vediamo, riconosciamo scene che eravamo abituati a vedere nei rilievi delle tombe tebane. La tomba è rappresentata sormontata da una piramide in mattoni crudi con la parte della cuspide resa in un altro colore perché quella era la parte in pietra dove vi era il pyramidion. La tomba è inserita poi all’interno della necropoli, della montagna tebana, custodita da uno sciacallo. E dalla montagna tebana esce la vacca hathorica, simbolo della dea Hathor, la dea dell’Occidente, custode della necropoli tebana. Anche qui c’è sulla campitura del sarcofago come uno squarcio, di colore diverso dal giallo, per mostrarci l’aldilà. E poi c’è la scena della teogenesi ovvero della dea Nut nuda, simbolo del cielo, ricurva che forma quasi una volta sostenuta da Shu, e a terra invece una divinità maschile verde che è il dio Geb. Dall’unione di Nut e Geb nasceranno le quattro divinità: Iside, Nefti, Osiride e Seth”.

La dea Hathor appare tra i rami del sicomoro: particolare della cassa del sarcofago di Tabekenkhonsu (foto museo Egizio)
Sulla cassa del sarcofago di Tabekenkhonsu ci sono alcune scene molto interessanti. “Innanzitutto, la rappresentazione della dea dell’Occidente, Hathor, che appare nell’albero sicomoro e versa, quasi facesse una libagione, dell’acqua al defunto che è qui in adorazione. L’albero si trova di fronte alla tomba, la tomba di nuovo resa con la sua facciata, sormontata dalla piramide e la parte alta, la cuspide, il pyramidion in pietra. E questa raffigurazione ci ricorda anche un inno delle tombe tebane in cui sappiamo che i familiari che fanno visita alla tomba vengono invitati a soffermarsi e a sedersi sotto i rami dell’albero sicomoro; e quando sentiranno il frusciare delle foglie non dovranno pensare che quello è il vento ma le anime dei defunti che vengono lì a sedersi. Di nuovo la tomba – sottolinea Greco – è quell’elemento liminale che permette l’incontro tra i viventi e i defunti. E poi al centro è rappresentata una scena importantissima che abbiamo visto nel papiro di Iuefankh: il capitolo 125 del Libro dei Morti. La defunta Tabekenkhonsu in abiti di viventi si trova all’interno di uno spazio architettonico definito. Dietro di lei vi è una divinità femminile con una testa un po’ strana, che per noi però è molto utile perché quella testa resa in quel modo è un geroglifico e di legge “imentet” e quindi è la dea dell’Occidente, Hathor. Tabekenkhonsu assieme alla dea dell’Occidente entra in questo spazio. Davanti a lei c’è il dio Thot, il dio della scrittura, il dio della sapienza, con in mano la paletta scrittoria, che è lì a scrivere. Perché? Perché questa è una versione molto compatta del capitolo 125 del Libro dei Morti. Non vediamo la scena della psicostasia, però sappiamo che siamo di fronte a Osiride che siede in trono seguito dalla dea Iside. E riconosciamo un altro elemento importante: il mostruoso Ammit, il divoratore, che qui è rappresentato con la testa di coccodrillo, la parte anteriore di leone, la parte posteriore di ippopotamo. È lì pronto a divorare il cuore nel caso risultasse più pesante della piuma. Anche se la scena della psicostasia qui non è resa, sappiamo che abbiamo a che fare con questa. C’è un altro elemento importante: la presenza del dio Horus, colui che deve vendicare il padre dopo che era stato ucciso da Seth. E lo vediamo qui con la corona dell’Alto e del Basso Egitto, quindi è colui che adesso ha saldamente il potere sull’Egitto ed è succeduto al padre Osiride”.
#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 20.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco si sofferma sul sarcofago di Tabekenkhonsu, tipico sarcofago femminile del Terzo Periodo Intermedio
Col 20.mo appuntamento delle “Passeggiate del direttore” siamo ancora nel Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco ci presenta i sarcofagi femminili descrivendo il sarcofago di Tabekenkhonsu esposto nella galleria dei Sarcofagi del museo Egizio di Torino. “Il nome della defunta – spiega Greco – è scritto su una colonna in geroglifico preceduto dagli appellativi “l’Osiride e la signora della casa”, “cantatrice di Amon-Ra signore degli dei”, seguito da “djed es” “ella dice” con alcune formule funerarie. La fattura di questo sarcofago molto raffinato si vede nella resa dei geroglifici e dei dettagli. Ad assicurarci che si tratta di un sarcofago femminile sono le due mani stese, anche se qui ne rimane solo una. E poi ci sono due orecchini che adornano i lobi delle orecchie. Sul davanti si vede una treccia finemente intrecciata che ci ricorda la parrucca di Merit. La parrucca è in blu egizio: pigmento artificiale ottenuto dalla malachite con l’aggiunta di natron che aveva un processo di doppia ossidazione e che gli egizi chiamavano “fatto come di lapislazzuli”. Il fatto che qui non sia più così brillante è dovuto non solo all’invecchiamento ma anche alla vernice che ne ha alterato la valenza cromatica. Questa capigliatura tipica femminile è decorata con due fasce orizzontali. Molto evidente è anche la resa dei seni. Al di sotto delle falde della parrucca vi sono quelle che sembrano due rosette e indicano i seni. Quindi mani stese, seni, orecchini, tutti elementi tipici femminili”.
Come nel sarcofago di Butehamon c’è un collare a giorno “wsekh” con due teste di falco che rappresentano il dio Horus. “Evidente l’horror vacui con questa decorazione fittissima che deve trasferire al sarcofago tutti gli elementi indispensabili per la sopravvivenza del defunto nell’aldilà. Innanzitutto è interessante osservare nella parte centrale il succedersi di scarabei e dischi solari. Lo scarabeo è il simbolo del dio sole di giorno. Tra l’altro qui lo scarabeo è reso con la testa di ariete. L’ariete è invece la forma del dio sole di notte. Quindi qui le due “keperu”, le due manifestazioni del dio sole sono fuse assieme. Al centro di nuovo la dea Nut, la dea del cielo notturno e immediatamente sopra la testa della dea Nut vediamo il simbolo stellato del cielo stesso, anche questo reso in blu egizio. Una parte della superficie del simbolo del cielo è stata danneggiata permettendoci di cogliere la brillantezza del blu che non è stato alterato dallo strato di vernice. Interessante è la tecnica. Alcune figure come lo scarabeo, il simbolo stesso del cielo, ma anche le ali della dea Nut sono in rilievo. Quindi il blu egizio non veniva usato semplicemente come pigmento ma anche in rilievo quasi a rendere una tridimensionalità all’interno della decorazione stessa. E poi la parte immediatamente sopra il simbolo del cielo, dove al centro c’è lo scarabeo, ci ricorda anche un altro aspetto fondamentale della religione egizia: l’unità solare osiriaca, perché mentre al centro c’è lo scarabeo ai due lati troviamo seduto in trono il dio Osiride. Di nuovo il dio sole e il dio Osiride, che sono questo “necer aa”, questo grande dio, i quali devono fare in modo che non solo il corpo del defunto venga preservato ma che anche egli possa poi raggiungere la barca del dio sole e prendere parte al periplo eterno attorno alla terra assieme a lui”.
#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 18.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, con la Galleria dei Sarcofagi ci porta nel Terzo Periodo Intermedio illustrando il magnifico sarcofago dello scriba Butehamon
Il 18.mo appuntamento con le “Passeggiate con il direttore” è il primo dedicato al Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco illustra il magnifico sarcofago dello scriba Butehamon che si trova all’inizio della Galleria dei Sarcofagi, ma che forse – precisa Greco – “andrebbe meglio definita come Galleria del Terzo Periodo Intermedio che ci fa capire cosa avviene alla fine del Nuovo Regno, all’epoca di Ramses XI”. Butehamon. è lo scriba della necropoli e probabilmente è lui ad abbandonare il villaggio di Deir el Medina e andare a vivere a Medinet Habu.
“Osservando il sarcofago di Butehamon”, spiega Greco, “colpiscono subito degli elementi di differenza rispetto ai sarcofagi visti in precedenza. Qui c’è un esplodere di colori e di decorazioni. Sembra quasi che ci sia un horror vacui, che ogni centimetro quadrato del coperchio sia coperto dalla decorazione. Perché? In questo momento non si costruiscono più tombe con decorazioni parietali come avevamo conosciuto nel Nuovo Regno. La crisi economica e politica dell’Egitto spinge quindi a cambiare il culto. Però tutti quei testi che decoravano le pareti sono fondamentali perché permettono la trasfigurazione del defunto, permettono al defunto di accedere alla vita dell’aldilà e allora vengono trasferiti nel sarcofago. Così il sarcofago sopperisce alla mancanza di decorazione della tomba e ne acquisisce tutti gli elementi”.
Questo sarcofago ci introduce in quella tipologia dei “sarcofagi gialli”. Il termine è evidente e si vedrà bene con i sarcofagi di Tabakenkhonsu e di Khonsumes: questo colore giallo predominante va a sostituire l’oro che non viene più utilizzato. Il colore è ottenuto grazie all’orpimento, un pigmento a base di arsenico che dà appunto questa colorazione molto forte. “Osserviamo alcuni elementi: si vede che il coperchio esterno del sarcofago di Butehamon presenta nella parte superiore un collare wsekh sui cui lati c’è la testa di falco e di Horus; ha le braccia incrociate sul petto, con le mani chiuse a pugno, elemento tipico per definire il fatto che questo è un sarcofago di un uomo e non di una donna. Vedremo poi che le donne presentavano i sarcofagi con due mani distese. E poi al centro vi è un elemento importantissimo: la solarizzazione, il culto del dio Sole. C’è il simbolo dell’orizzonte con il disco solare sopra, e sotto vediamo il dio nella sua forma mattutina, nella sua forma di scarabeo khepri che spinge il disco solare. E poi la dea del cielo Nut che divide quasi in due il sarcofago.
“La cassa presenta elementi importantissimi legati al culto, legati proprio al fatto che il sarcofago sia un cosmogramma, che raccolga in sé in nuce tutti gli elementi fondamentali per la resurrezione del defunto. Ad esempio, su un lato, c’è una divinità maschile verde stesa, che è il dio Geb, la terra. Al di sopra, a fare quasi una volta, è la divinità femminile Nut, che è il cielo, sostenuta da Shu, dio dell’aria e dell’atmosfera. Bene questo è anche l’inizio di quella che noi potremmo chiamare teo-genesi ma anche antropogenesi. Non è solo la creazione degli dei ma anche la creazione degli uomini. Dall’unione del cielo e della terra, di Nut e Geb, nasceranno quattro divinità Iside, Nefti, Osiride e Seth, che rappresentano anche la lotta manichea tra il bene e il male. Osiride che entra poi in contrasto con Seth. Osiride è il primo sovrano dell’Egitto che viene combattuto e ucciso da Seth. Il bene però sappiamo vincerà perché Osiride, nonostante venga ucciso dal fratello, potrà poi resuscitare grazie all’opera di Iside e Nefti e diventare il sovrano dell’oltretomba. Qui in nuce quindi è rappresentato l’inizio di tutto, l’inizio della creazione degli dei, l’inizio della creazione del mondo. Il sarcofago però ci fa vedere dall’altra parte anche un qualcosa di estremamente interessante. Ci fa entrare, per quando gli umani lo possano fare, nel mondo dell’oltretomba. La campitura bianca a un certo punto si squarcia e dove il bianco non fa più da sottofondo vi sono delle scale che scendono nell’oltretomba. Questa è la Duat, l’oltretomba. Quindi possiamo aver uno sguardo nella Duat, nell’oltretomba, in quello che avverrà nell’aldilà. Ovviamente Osiride è ben presente e lo vediamo sul fondo della cassa con la rappresentazione del cosiddetto pilastro djed, che qui è quasi personificato perché ai lati le braccia del dio tengono in mano lo scettro e il flagello. I due occhi udjat e la corona atef sono sopra il pilastro djed. Il pilastro djed è esso stesso una rappresentazione di Osiride, rappresenta la sua colonna vertebrale. Quindi ancora una volta il sarcofago è il segno dell’unità solare osiriaca, di quello che l’Amduat, ovvero testo cosmografico dell’oltretomba che ci racconta del periplo solare nell’aldilà”.
L’Antico Egitto a Conegliano. Nella mostra a Palazzo Sarcinelli viaggio alla scoperta dei misteri di Osiride ad Abido, dalla stanza del sarcofago con il soffitto astronomico in scala 1:1 al complesso del tempio di Sethi I
Ci siamo. Ancora pochi giorni e a Conegliano scoppierà l’egittomania con l’apertura a Palazzo Sarcinelli della mostra “EGITTO come Faraoni e Sacerdoti NEL TEMPIO DI OSIRIDE custodi di percorsi ormai inaccessibili”: sabato 12, alle 18.30, inaugurazione a invito alla presenza del sindaco di Conegliano, Floriano Zambon, che per primo ha creduto in questo progetto culturale. Poi da domenica 13 settembre al 21 dicembre porte aperte al pubblico di appassionati (orari: 10-13 e 14-19.30; visite guidate su prenotazione al 349.2443326, orari: 10-12 e 14-17). Palazzo Sarcinelli in questi giorni è un grande cantiere dove stanno prendendo forma i luoghi più sacri dell’Antico Egitto nella città santa di Abido: la tomba e il tempio collegati a Osiride, il potente dio dell’Aldilà e della Rinascita. Ed è proprio lì, nel cuore della mostra, che troviamo i tre protagonisti del progetto, il fotografo e ideatore del progetto Paolo Renier, il presidente dell’associazione “Osireion di Abido” il geometra Maurizio Sfiotti, e l’egittologa Federica Pancin. Sono loro che ci permettono di seguire le ultime fasi di allestimento della mostra.

Maurizio Sfiotti e Paolo Renier nelle fasi di allestimento dei pannelli del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abido

Paolo Renier nel punto in cui si toccano i pannelli dello spiovente orientale e di quello occidentale del soffitto astronomico di Abido
Per la prima volta sarà possibile toccare con mano il soffitto astronomico della stanza del sarcofago a ridosso dell’Osireion di Abido, , spazio “segreto”, quasi un testamento spirituale, voluto da Sethi I, il grande faraone della XIX dinastia, padre di un altro grande, Ramses II. Paolo Renier, che in una delle sue missioni ad Abido è riuscito a fotografare nei dettagli prima che il degrado compromettesse quasi irrimediabilmente la lettura dei rilievi e dei geroglifici, è riuscito a riprodurre con 18 pannelli fotografici modulari di oltre 2 metri e mezzo di altezza tutto lo sviluppo del soffitto astronomico. Con una sorpresa, che sarà molto apprezzata dai visitatori: il soffitto non è stato posizionato a formare il tetto a spioventi come lo si vedrebbe se si avesse la ventura di arrivare fino ad Abido, e di riuscire a entrare nella stanza del sarcofago superando mille difficoltà e anche qualche pericolo; no, a Conegliano sarà possibile ammirarlo in tutto il suo straordinario potere comunicativo in verticale in uno sviluppo che avvolge il visitatore. Così la dea-cielo Nut che abbraccia i due spioventi del soffitto in tutta la loro lunghezza incurvata sulla terra e con il sole tangente al suo corpo perché, secondo il mito, ella lo partoriva al mattino e lo ingoiava la sera, a Conegliano si può apprezzare in ogni dettaglio senza doversi distendere sul pavimento e volgere lo sguardo verso l’alto.
“La metà destra del soffitto, o parte orientale”, spiega l’egittologa Carla Alfano, che tra i primi ha studiato il soffitto astronomico di Abido, “è essenzialmente descrittiva. La zona sottostante la dea rappresenta la Duat, cioè il regno di Osiride, visitata ogni notte dal sole che lo percorre in dodici ore nella sua barca celeste. Va ricordato a tale proposito che le ore egizie, a differenza delle nostre, non erano ore equinoziali, ma misuravano, di giorno, i dodicesimi del tempo di luce e, di notte, i dodicesime del tempo di buio. Questo viaggio nella Duat, che si trova con poche varianti in altri soffitti astronomici, qui è disegnato in tre registri paralleli separati fra loro da righe di scrittura: si hanno quindi dei quadri simili in cui il registro centrale riporta il viaggio della barca mesketet, sopra e sotto la quale si vedono teorie di divinità, gruppi di demoni, spiriti e simboli”.

Ecco come appare al naturale la Stanza del sarcofago con il tetto a spioventi impreziositi dai rilievi a contenuto astronomico
“La metà sinistra del soffitto è la parte più interessante e più nota con la figura di Nut preceduta da testi: il primo è il Testo drammatico, cosiddetto perché descrive in forma mitologica il sorgere e il tramontare delle stelle, i loro periodi di invisibilità e il ciclo lunare, sottolineando il fatto che tutti questi fenomeni astronomici dipendono dalla posizione del sole. Segue un testo relativo alla determinazione dell’ora diurna con la descrizione del modo di costruire e di usare un orologio solare a cubito del quale si riporta una figura e poi da un elenco delle ore notturne messe in relazione con il corpo di Nut. Dopo queste righe di scrittura verticali si ha la figura della dea-cielo Nut , incurvata sulla terra e sorretta dal dio-aria Shu. Sul corpo della dea è riportato un elenco di 36 decani, che sono quelli al transito e costituiscono la famiglia decanale detta appunto “di Seti I”. I decani sono 36 stelle, costellazioni o zone di cielo visibili per 10 notti consecutive la cui levata (prima della XII dinastia) e il cui transito al meridiano (dopo la XII dinastia) permettevano di determinare l’ora notturna. Il problema di riconoscere i decani è fondamentale per lo studio dell’astronomia egizia. Sotto il corpo di Nut, a destra e a sinistra di quello di Shu, c’è un altro elenco di decani, datati in funzione dell’anno vago, cioè dell’anno egizio formato da una sequenza di 365 giorni interi: ciò vuol dire che è registrata la data in cui ciascuno nasce, entra nella Duat (dopo 90 giorni) e poi rinasce (dopo 70 giorni)”.

Paolo Renier nell’immenso tempio di Sethi I ad Abido con i rilievi tra i più belli dell’Antico Egitto

Il modellino in scala 1:20 del complesso di Osiride nel tempio di Sethi I ad Abido realizzato da Maurizio Sfiotti
Dalla Stanza del sarcofago si passa nella cosiddetta Cappella di Osiride, l’ambiente più sacro del Tempio di Sethi I ad Abido, dedicato ad Osiride, la divinità protagonista della mostra. Qui sarà esposto il plastico in scala 1:20 di Maurizio Sfiotti, del cosiddetto Complesso di Osiride all’interno del Tempio di Sethi e saranno ricostruite anche due colonne in scala 1:1. Il focus dell’esposizione saranno i pannelli fotografici che ritraggono le scene sacre all’interno della cappella. La Cappella di Osiride e, più in generale, l’intero complesso templare saranno spiegati in mostra attraverso gigantografie dell’autore, assieme a pannelli informativi che sottolineeranno il legame tra Osiride e la Regalità, il filo conduttore di tutto il percorso espositivo.

L’egittologa Federica Pancin nella sala della mostra a Palazzo Sarcinelli dedicata al Tempio di Sethi I
“È proprio con il Nuovo Regno che Abido raggiunse il suo apice”, spiega l’egittologa Federica Pancin, “Sethi I, il secondo faraone della XIX dinastia, decise di ubicare qui uno dei più grandi templi che l’Egitto abbia mai conosciuto, il suo Tempio dei Milioni di Anni. E alle spalle di questo monumento, nascoste alla vista, si ergono le rovine imponenti dell’Osireion, la Tomba per Osiride voluta da Sethi e ultimata dal nipote Merenptah: qui si condensa in maniera molto complessa tutta la teologia di Abido, che muove dalla tradizione eliopolitano, ma che ingloba presto molteplici aspetti di natura funeraria e regale”. L’Osiride di Abido, continua Pancin, è sì celebrato come un dio, ma è soprattutto onorato nella sua forma di Re d’Egitto dei tempi mitici; e la sua tomba, monumento unico per architettura, ingegneria e qualità d’esecuzione, rappresenta il più alto tributo ad una figura tanto emblematica della cultura egiziana. “Tutto il programma decorativo, purtroppo incompleto, concorre a confermare l’origine mitica della regalità, che passa da Osiride ad Horo come da un faraone ad un altro: le pareti del lungo corridoio d’accesso, per esempio, sono istoriate con testi sull’Aldilà dal repertorio regale, come si conveniva a un dio che era stato un re. Osiride è celebrato come i faraoni della Valle dei Re e la sua Resurrezione nell’Osireion è garantita dal potere salvifico delle parole qui ricopiate”.
Ultima tappa della mostra è il tempio di Ramses II, il secondo più importante di Abido, che sarà descritto dagli scatti di Paolo Renier e da didascalie e pannelli informativi. Contribuiranno ad illustrare la decorazione di questo tempio straordinariamente ben conservato anche due pannelli realizzati con la tecnica del tattoo wall, opera di Gianni Moro della GM arredamenti, vere e proprie lastre lapidee su cui sono state stampate due scene tratte dalle pareti del tempio ramesside.
Il soffitto astronomico dell’Osireion di Abido: un unicum dell’Antico Egitto. A Dolo si può quasi toccare con mano nella mostra di Paolo Renier
Più lo studi e più il mistero sembra infittirsi: è il soffitto astronomico della cosiddetta “stanza del sarcofago”, spazio “segreto”, quasi un testamento spirituale, voluto da Seti I, il grande faraone della XIX dinastia, padre di un altro grande – Ramses II -, a ridosso dell’Osireion, la “tomba” del dio dell’aldilà e della rinascita, ad Abido, nel cuore della terra dei faraoni, città sacra per eccellenza per tutto l’Antico Egitto, meta per tremila anni di pellegrinaggi, luogo di elezione per numerose dinastie di faraoni, incarnazione della divinità in terra.
E in questi giorni che a Dolo, alle antiche scuderie, è aperta la mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” (fino al 6 gennaio, orario: tutti i giorni 16-19.30), il soffitto astronomico rivive e si può toccare quasi con mano grazie alle eccezionali fotografie di Paolo Renier, fotografo trevigiano (ma il termine è riduttivo per un personaggio che da quasi tre decenni con le sue immagini e, soprattutto, con la sua sensibilità, ha cercato di cogliere quasi di carpire i segreti i misteri, si potrebbe dire l’energia vitale, che l’Antico Egitto ancora oggi emana), e grazie alle spiegazioni che la dottoressa Federica Pancin, laureanda in Egittologia all’università Ca’ Foscari di Venezia, offre a tutti i visitatori, facendo “parlare” ogni dettaglio dei rilievi, dei cartigli, dei geroglifici, che fanno del soffitto astronomico di Abido un “unicum” di tutto l’Antico Egitto. Proprio con queste eccezionali immagini, scattate ancora qualche anno fa da Paolo Renier con perizia un po’ di coraggio e superando non poche difficoltà, oggi gli egittologi hanno a disposizione uno strumento di studio insostituibile, se pensiamo al degrado e all’incuria in cui versa l’originale, per salvare il quale Renier si batte da anni cercando di sensibilizzare autorità e studiosi.
Tra i primi a tornare a studiare il soffitto astronomico di Abido, con le fotografie di Paolo Renier, è stata l’egittologa Carla Alfano della Fondazione Memmo di Roma. “Il soffitto dell’Osireion di Abydos è poco conosciuto – ammette -, non sufficientemente studiato ma soprattutto non documentato”. Ben più famosi sono altri soffitti astronomici, come quello, più antico, nella tomba di Senenmut, l’architetto di corte e amante della regina-faraone Hatshepsut che visse a metà della XVIII dinastia. “Questa tomba, la n.353”, ricorda Alfano, “è una seconda tomba del grande uomo di corte, meno fastosa della prima ma molto più importante. Si trova a pochi metri dal grande complesso templare di Deir el Bahari, costruito per la gloria ultraterrena delle regina che governò l’Egitto non come reggente ma come faraone, derivando tale diritto non dall’essere stata moglie di re, ma dall’essere la figlia legittima del faraone Tuthmosi I. Nella camera A del sepolcro si può ammirare una delle più complete rappresentazioni del cielo che gli Egizi ci abbiano tramandato. Dalla posizione degli astri, secondo gli scienziati il soffitto può essere stato dipinto intorno al 1463 a.C.”. Conosciamo altri soffitti astronomici, ma posteriori a quello di Abido, come il meraviglioso soffitto nella sala colonnata della tomba dii Ramses VI e lo zodiaco del tempio di Hathor a Dendera.
“Alzare gli occhi verso l’alto e riuscire a percepire tutta la volta celeste in una perfetta mezza sfera era l’esperienza quotidiana degli Egizi”, spiega Carla Alfano che ci introduce nella concezione cosmica della terra dei faraoni. “Là dove l’orizzonte non è mai interrotto da monti, vegetazione e colline si poteva entrare in sintonia con i fenomeni del cielo e comprendere che l’essere umano e la stessa Terra sono all’interno di un complesso, immenso sistema celeste. A noi, abitanti di altre latitudini, tale spettacolo è negato, forse per questo, con grande ritardo, abbiamo osservato il cielo sperimentalmente e quindi scientificamente. In Egitto è sempre stato diverso. La natura del luogo ha sempre facilitato la comprensione che la Terra e l’uomo sono parte di un sistema più grande, con regole fisse e ricorrenti che per essere conosciute e capite andavano solo osservate. I sacerdoti sul tetto terrazzato del tempio, posti uno di fronte all’altro, osservavano per tutta la notte il movimento delle stelle, annotandolo e scandendo così il tempo astronomico e il calendario. Quei sacerdoti hanno iniziato dagli albori della civiltà egizia lo studio dell’astronomia”.
Il movimento degli astri e del sole si è poi imbevuto di religiosità. “L’egizio, come tutti gli uomini, era alla ricerca di Dio e lo cercò nel sole, nell’aria, nel cielo, nella terra. Ma soprattutto lo trovò nel sole che indiscutibilmente è l’artefice della vita e che compie un viaggio quotidiano nel cielo diurno e nella Duat infernale di notte. Le conoscenze astronomiche servivano a regolare il mondo dei vivi e la società, ma servivano anche ad interpretare il mondo ultraterreno con la speranza della resurrezione, proprio come fa il sole che riusciva ogni notte a sconfiggere i suoi nemici e tornava a sorgere per illuminare un altro giorno. Proprio questo è descritto nei soffitti astronomici che erano una collocazione architettonica e spaziale ideale per riprodurre la volta celeste e poter fissare la mutabilità della posizione delle stelle e il cammino del sole”.
Ma scopriamo meglio il soffitto astronomico dell’Osireion di Abido, i cui due rettangoli riportano ciascuno, oltre alle iscrizioni, una figura della dea-cielo Nut incurvata sulla terra e con il sole tangente al suo corpo perché, secondo il mito, ella lo partoriva al mattino e lo ingoiava la sera. “La metà destra del soffitto, o parte orientale”, continua l’egittologa, “è essenzialmente descrittiva. La zona sottostante la dea rappresenta la Duat, cioè il regno di Osiride, visitata ogni notte dal sole che lo percorre in dodici ore nella sua barca celeste. Va ricordato a tale proposito che le ore egizie, a differenza delle nostre, non erano ore equinoziali, ma misuravano, di giorno, i dodicesimi del tempo di luce e, di notte, i dodicesime del tempo di buio. Questo viaggio nella Duat, che si trova con poche varianti in altri soffitti astronomici, qui è disegnato in tre registri paralleli separati fra loro da righe di scrittura: si hanno quindi dei quadri simili in cui il registro centrale riporta il viaggio della barca mesketet, sopra e sotto la quale si vedono teorie di divinità, gruppi di demoni, spiriti e simboli”.
“La metà sinistra del soffitto è la parte più interessante e più nota con la figura di Nut preceduta da testi: il primo è il Testo drammatico, cosiddetto perché descrive in forma mitologica il sorgere e il tramontare delle stelle, i loro periodi di invisibilità e il ciclo lunare, sottolineando il fatto che tutti questi fenomeni astronomici dipendono dalla posizione del sole. Segue un testo relativo alla determinazione dell’ora diurna con la descrizione del modo di costruire e di usare un orologio solare a cubito del quale si riporta una figura e poi da un elenco delle ore notturne messe in relazione con il corpo di Nut. Dopo queste righe di scrittura verticali si ha la figura della dea-cielo Nut , incurvata sulla terra e sorretta dal dio-aria Shu. Sul corpo della dea è riportato un elenco di 36 decani, che sono quelli al transito e costituiscono la famiglia decanale detta appunto “di Seti I”. I decani sono 36 stelle, costellazioni o zone di cielo visibili per 10 notti consecutive la cui levata (prima della XII dinastia) e il cui transito al meridiano (dopo la XII dinastia) permettevano di determinare l’ora notturna. Il problema di riconoscere i decani è fondamentale per lo studio dell’astronomia egizia. Sotto il corpo di Nut, a destra e a sinistra di quello di Shu, c’è un altro elenco di decani, datati in funzione dell’anno vago, cioè dell’anno egizio formato da una sequenza di 365 giorni interi: ciò vuol dire che è registrata la data in cui ciascuno nasce, entra nella Duat (dopo 90 giorni) e poi rinasce (dopo 70 giorni)”.
Considerando l’importanza che la levata della stella Sirio ebbe nel calendario agricolo e religioso, e che mantiene ancora nello studio della cronologia egizia, gli egittologi oggi sono in grado di calcolare l’epoca durante la quale questa tavola era in accordo con il cielo; l’originale risulta databile intorno al 1879 a.C., cioè risale al Medio Regno, più o meno al tempo di Sesostri III. Il resto delle iscrizioni costituisce la cosiddetta Cosmologia che descrive nella consueta forma mitica: l’origine del sole, i limiti del cielo, il moto delle stelle e il comportamento dei decani. “Questa Cosmologia era ritenuta molto importante e fu riprodotta anche sul soffitto della tomba di Ramses VI nella Valle dei Re e tramandata su papiri astronomici di età posteriore. Ancora oggi questi testi sono alla base di qualunque studio di astronomia egizia”.
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