“Lavori in corso”: una giornata di studi e ricerche sul museo di Archeologia e Paleontologia “Carlo Conti” di Borgosesia (No) e sul monte Fenera”

Calchi di teschi di Uomo di Neanderthal esposte nel museo di Archeologia e Paleontologia di Borgosesia (No)
“Lavori in corso. Studi e ricerche sul Museo Carlo Conti e il Monte Fenera”: un’intera giornata per fare il punto sugli studi finora condotti sui materiali conservati all’interno del museo di Archeologia e Paleontologia “Carlo Conti” di Borgosesia (No). L’appuntamento sabato 24 novembre 2018. I dodici studiosi coinvolti proporranno relazioni inerenti ai diversi ambiti di interesse del Carlo Conti: si inizierà in mattinata con temi preistorici, per terminare nel pomeriggio con studi sul periodo medievale, passando dal mondo romano. Al termine degli otto interventi, articolati in due sessioni, saranno premiati i vincitori del concorso Museo: operazione logo, tutti studenti del liceo musicale, artistico e coreutico “Felice Casorati”, sede di Romagnano Sesia (No). Grazie alla collaborazione dei professori Antonella Boffa, Antonella Acquati e Simone Ferretto, docenti di discipline pittoriche per la sede di Romagnano Sesia, è stato realizzato il nuovo simbolo grafico del museo che sarà presentato nel pomeriggio di sabato, logo destinato a essere utilizzato come segno identificativo in tutti i documenti cartacei e telematici che riguardano l’attività istituzionale e divulgativa.
Il museo di Archeologia e Paleontologia di Borgosesia – si legge sul sito del Gruppo Archeologico Torinese (archeocarta.org) – è dedicato allo scultore e ispettore onorario della soprintendenza alle Antichità, Carlo Conti, che nel 1931 con la sua opera “Valsesia Archeologica”, già prefigurava in modo organico un vero e proprio museo archeologico di valle. L’allestimento concreto di un museo doveva essere avviato già dall’autunno del 1932, ma una serie di vicende, anche politiche, determinarono l’accantonamento del progetto, nonostante il fatto che negli anni ’50 ampi scavi fossero condotti dal Conti per la soprintendenza, soprattutto al Ciutarun, e poi nel 1976 da Alice Freschi alla Ciota Ciara. Dalla metà degli anni ’60 l’azione di sensibilizzazione, protezione e indagine delle grotte del Fenera da parte di Federico Strobino con i volontari del Gruppo Archeo-Speleologico di Borgosesia determinava importanti scoperte, stimolando e sostenendo l’attività di ricerca dagli scavi di Giuseppe Isetti, Francesco Fedele, agli studi di Alberto Mottura e soprattutto di Giacomo Giacobini, agli interventi di sondaggio nella Ciota Ciara della soprintendenza (diretti da F. M. Gambari). Lo stesso Strobino curava diverse pubblicazioni che rendevano noto il Monte Fenera anche al di fuori dell’ambito locale e realizzava con l’autorizzazione della Soprintendenza e l’appoggio del Comune proprio sopra l’attuale Biblioteca una prima piccola struttura museale didattica, rivolta alle scuole e mantenuta vitale dall’impegno dei volontari. Il 29 settembre 2007 è stato inaugurato il museo, nel quadro della definizione di una strutturata rete museale dedicata nella provincia proprio all’archeologia ed in collegamento con altre raccolte minori anche in valle, anche con lo scopo di un rilancio della divulgazione e dell’informazione e per una ripresa delle attività di ricerca al Fenera e nella valle, stimolando le segnalazioni e le consegne di reperti da parte dei cittadini occasionali scopritori e costituendo un punto di riferimento per l’attività dei gruppi di volontariato. Imprescindibili appaiono poi la collaborazione con l’Ente Parco del Monte Fenera (Monfenera) per la valorizzazione di questo eccezionale complesso archeologico e paleontologico ed uno stretto rapporto con soprintendenza ed università, che già hanno da tempo in programma una nuova fase di ricerche, scavi, scoperte.
Giornata di studi “Lavori in corso. Studi e ricerche sul museo Carlo Conti e il monte Fenera”: il programma di sabato 24 novembre 2018. Sessione mattutina. Apertura de lavori alle 10 con i saluti dell’amministrazione. Introduce la giornata di studi Francesca Garanzini, funzionario di zona soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, seguita da Nicoletta Furno, direttore dell’ente di gestione delle aree protette della valle Sesia che interviene su “Il Parco e l’archeologia”. Quindi iniziano i contributi. Marta Arzarello e Sara Daffara (università di Ferrara) su “Grotta della Ciota Ciara: un sito, più occupazioni e innumerevoli comportamenti tecnici”; Claudio Berto, Roberto Cavicchi e Maurizio Zambaldi (università di Ferrara e università di Trento) su “Nuove considerazioni stratigrafiche, paleontologiche e biocronologiche sul deposito pleistocenico della Ciota Ciara”. Dopo il coffe break, si rirende alle 11-30, con Dario Sigari (università di Ferrara e università di Coimbra) su “Attenti a quei due: il caso di due frammenti ossei conservati presso il museo Carlo Conti e sull’importanza della revisione dei reperti”; Sandro Caracausi (università di Ferrara) su “La grotta della Morgana: quando Speleologia e Paleontologia si incontrano”.
Sessione pomeridiana. Dopo la pausa pranzo, i lavori riprendono alle 14 con Elena Quiri (ricercatore indipendente) su “Prodotti esotici al Monte Fenera. Le anfore orientali tardo-romane”; Elisa Panero (curatore delle collezioni archeologiche del museo di Antichità e curatore delle collezioni numismatiche dei Musei Reali di Torino) su “Ceramica e vita quotidiana in età Romana. Una revisione dei dati”; Nadia Botalla, Laura Vaschetti (rispettivamente funzionario del ministero per i Beni e le Attività Culturali e ricercatrice indipendente) su “La pietra ollare in Valsesia: spunti di ricerca a partire dai reperti del Museo di Archeologia e Paleontologia Carlo Conti”; Gabriele Ardizio (ricercatore indipendente) su “Intorno a Vanzone: spunti archeologici sull’incastellamento in area valsesiana”. Alle 16.30, presentazione del logo del museo e premiazione dei vincitori del concorso “Museo: operazione Logo”. Interverranno gli insegnanti e gli studenti del liceo artistico, musicale e coreutico “Felice Casorati” di Romagnano Sesia (No); infine alle 17, prima dei saluti di commiato, degustazione di prodotti locali.
Al via il 30mo campo scuola di Arte rupestre della Valcamonica: tre settimane di ricerca con esperti dal tutto il mondo. A Cerveno ci sono gli Archeoincontri per tutti
Ci siamo. È al via il 30mo campo scuola di Arte rupestre della Valcamonica che terrà impegnati i partecipanti per tre settimane dal 19 luglio al 9 agosto 2018. Il campo scuola della Valcamonica, che si tiene a Paspardo, Comune della Valcamonica (Bs), è un’occasione unica per partecipare a ricerche archeologiche sull’arte rupestre. Questa valle alpina può vantare infatti uno dei più importanti esempi di arte rupestre nel mondo e rappresenta il primo sito italiano inserito dall’Unesco nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Il team di esperti guiderà i ragazzi nel lavoro di ricerca, utilizzando varie tecniche di registrazione (come il Gps), e confronti con altri esempi d’arte rupestre attraverso escursioni locali ai siti della regione.
Nel corso dell’esperienza sono previsti alcuni interessanti interventi. Marisa Down Giorgi del Queensland Museum di Brisbane parlerà di “Carnarvon Gorge, Australia: paesaggi di genere, immagini ricorrenti di figure di fertilità nell’arte rupestre”; Linda Bossoni, archeologa della cooperativa archeologica Le orme dell’Uomo di Cerveno (Bs), introdurrà un tema intrigante: “Ludus in tabula: breve storia dei giochi da tavolo nel mondo antico”; Giorgio Fea, curatore del civico museo di Cherasco (Cn), attraverso lezioni in laboratorio e letture guiderà i partecipanti alla scoperta del misterioso mondo delle monete celtiche: “Alla fine dell’arcobaleno. Una pentola di monete celtiche tra mito e realtà”; Nicoletta Gelfi, altra archeologa della coop di Cerveno, illustrerà invece “Tessuti e telai nell’arte rupestre della Valcamonica”; Giacomo Camuri, filosofo della coop archeologica, ha intenzione di discutere su “L’enigma della Sfinge e i segreti delle Aquane”, che nell’arte rupestre della Valcamonica, sono le Sirene delle Alpi.
Parallelamente al campo scuola, a Cerveno, nella Casa Museo, sono previsti gli Archeoincontri, aperti al pubblico, con inizio sempre alle 21. Il ciclo apre venerdì 20 luglio 2018 con James D. Kayser della Oregon Archeological Society di Portland (Usa) su “Il potere soprannaturale del castoro presso i Piedi Neri, Usa”; martedì 24 luglio 2018 sarà la volta di Dario Sigari dell’università di Ferrara con un “Breve viaggio nell’arte rupestre paleolitica della penisola italiana”; con Carl Pause del Clemens Sels Museum di Neuss (Germania) venerdì 27 luglio 2018 si cambia periodo: “Ricostruire il mondo dei Romani”; martedì 31 luglio 2018, Silvia Sandrone del museo Dipartimentale di Tenda (Francia) parlerà di “Arte rupestre e depositi votivi: un santuario alpino presso il Colle di Tenda (Alpi Marittime)”; venerdì 3 agosto 2018 Marisa Down Giorgi del Queensland Museum di Brisbane propone al pubblico di appassionati quanto già approfindito con i partecipanti del campo scuola: “Carnarvon Gorge, Australia: paesaggi di genere, immagini ricorrenti di figure di fertilità nell’arte rupestre”; infine martedì 7 agosto 2018 con Yang Cai della Carnagie Mellon University di Pittsburgh si approfondiscono le nuove tecnologie applicate alla ricerca archeologica: “L’utilizzo dei droni in archeologia”.
Al riparo sotto roccia Morricone del Pesco scoperta la prima testimonianza di arte rupestre in Molise
Morricone del Pesco, in Molise, è uno sperone roccioso che domina l’antico tratturo Lucera-Castel di Sangro, il quale congiunge l’Abruzzo centrale e il promontorio garganico. La rupe colpisce per la sua conformazione. All’osservatore con un minimo di fantasia può apparire sotto svariati aspetti a seconda dei punti di vista: un mostro di pietra, un dinosauro la cui testa s’innalza fino a emergere sulla curva grande della strada tortuosa che sale verso la montagnola. Dalla parte più a sud ha invece l’apparenza di una cattedrale con le guglie che si ergono verso il cielo. È in questo luogo “magico” che si apre il riparo sotto roccia del Morricone del Pesco, nel territorio di Civitanova del Sannio in provincia di Isernia, dove il ricercatore Guido Lastoria ha scoperto la prima testimonianza di arte rupestre in Molise.
Lo studio, coordinato dal professor Carlo Peretto dell’università di Ferrara (molto famoso in Molise per lo scavo e lo studio del giacimento paleolitico di Isernia-La Pineta scoperto nel 1979), è stato effettuato da Dario Sigari della cooperativa Le Orme dell’Uomo. Nell’auditorium comunale di Civitanova del Sannio la presentazione dei risultati della ricerca con l’intervento di Guido Lastoria (lo scopritore del sito), di Dario Sigari (cooperativa Le Orme dell’Uomo e Università degli Studi di Ferrara, autore dello studio), e del prof. Carlo Peretto (Università degli Studi di Ferrara).
“Il Morricone del Pesco – spiega Sigari – è alto 750 metri tra rilievi che raggiungono una media di 1200 metri (1422 metri è la cima più alta appartenente al massiccio della Montagnola). Alla sua base, ad occidente, il Morricone presenta una breve rientranza a formare un piccolo e stretto riparo in posizione dominante sul tratturo, fra cespugli di ginestre, giallissime e profumate in primavera: il riparo che dà le spalle al mare Adriatico ed è protetto dalla luce solare mattutina, è di facile accesso e raggiungibile da un dislivello abbastanza ripido coperto da erba, cespugli e piccoli alberi. La panoramica di cui si gode dal sito è rivolta all’interno della valle Serrata, offrendo così un controllo visivo buono verso la parte alta del pendio, meno buono in direzione del mare. Il riparo è profondo circa due metri e largo 4,2”. È qui, sulla parete lunga del riparo, che Guido Lastoria ha scoperto le pitture. Si tratta di figure zoomorfe, motivi floreali, altre figure sovrapposte, incisioni e rappresentazioni di vario genere di non facile identificazione, risalenti secondo gli esperti a fasi della Preistoria e della Protostoria: dal tardo Paleolitico alla prima età del Ferro.
“Pur se in cattivo stato di conservazione”, annota la coop Le Orme dell’’Uomo nella relazione di presentazione, “sulla parete rocciosa si riconoscono almeno quattro figure dipinte di animali, che consentono un confronto cronologico e culturale con altri ritrovamenti europei. Nello specifico è possibile ricondurre a una probabile fase del tardo Paleolitico una figura zoomorfa, tracciata a linea di contorno di dimensioni ridotte (12×8 cm) con pigmento anche interno al dorso, che ne accentua il carattere naturalistico. C’è inoltre la traccia di una raffigurazione schematica ad andamento obliquo (4,5×5,5 cm), con un asse centrale da cui dipartono quattro coppie di segmenti, il cui riferimento a contesti neolitici è possibile grazie al confronto con quanto rinvenuto nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco in provincia di Lecce. Altre pitture – continua la relazione -, sempre su base stilistica, possono essere ricondotte all’Età del Ferro, in particolare, almeno tre figure di animali (mediamente di 20×20 cm), di cui una è palesemente un equide. Analisi spettroscopiche sui pigmenti consentono di affermare che la figura più arcaica è stata realizzata con ematite. Dunque il riparo Morricone del Pesco, oltre ad essere il primo con attestazioni di arte rupestre trovato in Molise, allargherebbe ulteriormente i confini delle manifestazioni artistiche dei nostri antenati nell’Italia centro-meridionale, segnalando testimonianze artistiche già in una fase del Paleolitico superiore”.
Il repertorio iconografico. La scoperta del riparo Morricone del Pescocon incisioni a linea continua e pitture rupestri, tutte di colore nero, ha permesso dunque di stabilire un confronto crono-culturale con l’Abruzzo e il Gargano pre-protostorici. “L’iconografia – ricorda Dario Sigari – spazia dalle raffigurazioni geometriche alle antropomorfiche, dalle zoomorfìche fino ai semplici gruppi di linee. Tali categorie sono schematiche e tipiche del patrimonio artistico rupestre riscontrato nella tradizione tardo preistorica-protostorica e storica italiana di arte rupestre”. L’arte del riparo Morricone si esprime attraverso la pittura nera e le incisioni filiformi (quasi tutte, probabilmente, effettuate con punte metalliche). Per meglio studiare e catalogare le espressioni artistiche del sito, gli archeologi hanno ripartito la superficie rocciosa del riparo in quattro settori (da ovest ad est A, B, C, D), tutti definiti da limiti ben evidenti quali crepe o sporgenze che separano nettamente le raffigurazioni e non presentano né a cavallo né al proprio interno ulteriori pitture o incisioni, facilitando una più celere documentazione e catalogazione delle figure che sono state realizzate spesso sovrapponendole ad altre preesistenti, fatto che ha permesso di definire tra di loro almeno una cronologia relativa. “La prima cosa che si nota è che le pitture (ecccetto una iscrizione nel settore D) sono tutte più antiche delle incisioni. Questo perché le pitture risultano quasi tutte al di sotto delle incisioni e molte di esse sono state prima sigillate da strati di carbonato di calcio e successivamente coperte da incisioni. Vediamo allora di conoscere meglio, settore per settore, le immagini più significative.
Settore A. Il settore A si trova a ovest ed è quello maggiormente esposto agli agenti atmosferici. Le categorie figurative presenti sono principalmente quattro, escludendo le non identificabili: zoomorfi, simboli, meandri e geometrici. “Nel complesso le figure facilmente leggibili restano assai poche e ancor meno sono le figure ben conservate. Tra queste vi sono una stella a cinque punte e un reticolato geometrico incisi, un meandro-labirinto e uno zoomorfo a tratto nero. Quest’ultimo fa parte di una teoria di tre zoomorfi; gli altri due si collocano uno sopra e l’altro sotto a una figura di animale e sono entrambi dipinti a tratto nero”. Tutt’e tre le figure sono al di sotto di una figura meandro-labirintica dipinta ugualmente in nero. Tra le figure dipinte si nota anche un reticolato e una probabile figura antropomorfica. Infine si riconosce, nella sezione est del settore, un secondo antropomorfo di cui sono visibili una gamba, il tronco e il sesso.
Settore B. In cima al settore B vi sono cinque gruppi di linee organizzati secondo figure geometriche che formano dei reticolati. Quelli collocati più in alto sono graffiti. Una figura zoomorfa (12cm x 8cm) dipinta in nero si colloca a metà altezza del settore. Tuttavia non è facile l’identificazione dell’animale. Al di sotto di questa figura si trovano una serie di punti dipinti in nero e un motivo a zig zag paralleli ed orizzontali.
Settore C. Il settore C è quello meglio preservato. Esso si trova nella porzione orientale e presenta un insieme di figure assai ricco e complesso, distribuito su una superficie di 2,2m x 2,2m circa. Nella parte maggiormente esposta ad est presenta ai suoi piedi un rialzo del terreno costituito da un blocco roccioso, che ha permesso la realizzazione di figure in punti ancor più alti rispetto ai primi due settori. Le figure di questo settore sono sia dipinte sia graffite. La sporgenza rocciosa che chiude il settore sul lato orientale l’ha preservato sì da vento e pioggia, ma non dai dilavamenti che scendono dalla cima, e dagli arbusti che gli crescono addosso, che costituiscono i principali fattori di danneggiamento. Le pitture di questo settore si possono dividere in tre categorie principali: geometrici, alberiformi e probabili zoomorfi e, da ultimo, i non identificabili. Questi ultimi sono tali per i dilavamenti che ne hanno cancellato una buona parte. Lo stesso accade per i graffiti, i quali sono maggiormente rappresentati con cinque categorie figurative: antropomorfi, geometrici, scaliformi, simboli e gruppi di linee. Gli antropomorfi sono il tema maggiormente ricorrente e significativo di questo settore. Vi sono cinque, forse sei figure. In aggiunta vi sono due motivi circolari, anch’essi forse appartenenti a degli antropomorfi. Altri geometrici sono sparsi nel settore, da motivi scaliformi a stelle incomplete. A questi si aggiunge una figura antropomorfica intera coi fianchi e il seno esagerati. Riguardo alle pitture, l’area orientale del settore riporta dei soggetti alquanto peculiari. Uno di questi è stato interpretato come motivo floreale. Poco sopra una figura forse zoomorfìca schematica. Al di sotto della figura floreale si trovano tracce di pigmento nero interrotte da strati carbonatici che non ne permettono la lettura. Settore D. Il settore D si caratterizza per la presenza di un’iscrizione a tratto nero che recita “L[a] f[iss]a di Pina è […] è un[a] pot[…]“. La frase non è interamente leggibile per motivi di conservazione della superficie rocciosa che si trova al di là dello sperone che chiude ad oriente i primi tre pannelli, lasciando cosi esposto il settore D alle perturbazioni provenienti dal fondo valle e dall’Adriatico.

Fig. a – Probabile antropomorfo incompleto dal settore C del Morricone del Pesco (foto: D. Sigari);
Fig. b – Figure antropomorfe schematiche a tratto nero da Grotta Genovesi (da Graziosi 1973);
Fig. c – Zoomorfo a tratto nero dal settore B del Morricone del Pesco (foto: D. Sigari);
Fig. d – Rinoceronte a tratto nero da Grotta Chauvet (da Clottes 2008);
Fig. e – Figura zoomorfa schematica a pettine dal settore C del Morricone del Pesco (foto: D. Sigari);
Fig. f – Zoomorfo a pettine a tratto nero da Porto Badisco (da Graziosi 1980);
Fig. g – Figura a tratto nero a cerchi concentrici o spiraliforme dal settore C del Morricone (foto: D. Sigari);
Fig. h – Spirale a tratto nero da Porto Badisco (da Graziosi 1980).
Conclusioni. “Per dare un’attribuzione crono-culturale alle pitture e alle incisioni”, conclude la relazione di Sigari, “è innanzitutto necessario tenere presente il tratturo Lucera-Castel di Sangro, perché è la via di comunicazione preferenziale tra il Gargano e il centro Abruzzo e perché, lungo il suo tracciato, sono stati riconosciuti diversi siti riferibili a epoche diverse, dalla preistoria ai giorni nostri. I tratturi ricalcano antiche vie soprattutto degli armenti allo stato brado. Costituiscono vie preferenziali all’interno di una zona montana del cui utilizzo abbiamo notizia fin dall’epoca romana. Tuttavia la distribuzione dei vari siti lascia pensare a un sistema di mobilità che sfruttava tali rotte già in epoche precedenti. In questo senso è da pensarsi un utilizzo del riparo del Morricone del Pesco in un lungo arco cronologico, corrispondente al periodo di sfruttamento di questo ambiente e paesaggio”. Secondo gli archeologi buona parte del repertorio figurativo dipinto sembra trovare raffronti non solo con il contesto regionale esteso a Puglia e Abruzzo, ma anche con quello italiano ed europeo, suggerendo così una lunga frequentazione del riparo. “Darne comunque un’attribuzione temporale certa sarebbe rischioso e prematuro”, ammette Sigari, “avendo a disposizione solo la possibilità di fare raffronti stilistici ed essendo numerosi gli esempi in tale direzione. Concludendo, il riparo del Morricone del Pesco è la prima attestazione di arte rupestre in Molise. La speranza è non solo quella di darne una cronologia precisa, ma anche di giungere a comprendere meglio il contesto crono-culturale in cui si inserisce”.
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