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Un regalo del 2019? Di certo il museo delle Navi Antiche aperto dopo vent’anni di ricerca e restauro negli Arsenali Medicei di Pisa: dallo scavo di San Rossore al più grande museo di imbarcazioni antiche esistente. Esposte sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro integre, e circa 800 reperti

Che cosa ci lascia in eredità il 2019? Tra le novità conosciute durante l’anno, di certo una menzione lo merita il museo delle Navi Antiche aperto nel giugno 2019 agli Arsenali Medicei di Pisa dopo venti anni di ricerca e restauro: quasi 5000 metri quadri di superficie espositiva e 47 sezioni divise in 8 aree tematiche nelle quali saranno esposte sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro sostanzialmente integre, e circa 800 reperti per un museo che racconta un millennio di commerci e marinai, rotte e naufragi, navigazioni, vita di bordo e della storia della città di Pisa. La concessione del museo è affidata a Cooperativa Archeologia, che ha seguito negli ultimi anni lo scavo archeologico e il restauro delle navi e dei reperti, sotto la direzione scientifica di Andrea Camilli, responsabile di progetto per la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno. Si tratta di una tappa fondamentale per un percorso iniziato nel 1998, anno in cui nei pressi della stazione ferroviaria di San Rossore vennero alla luce i resti della prima nave. Nacque così il grande cantiere di scavo e restauro realizzato grazie all’importante e costante impegno del MiBAC e di un ricco ed eterogeneo gruppo di professionisti archeologi e restauratori.

Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa rappresenta uno dei più interessanti e ricchi cantieri di scavo e ricerca degli ultimi anni. La particolare condizione di conservazione dei reperti racchiusi in strati di argilla e sabbie ha richiesto un considerevole sforzo economico, organizzativo e tecnologico, mettendo a disposizione della ricerca laboratori, depositi, strumentazioni all’avanguardia e logistica devoluti al recupero degli oltre trenta relitti individuati e dei materiali ad essi associati. Il cantiere delle Navi Antiche è quindi diventato un centro dotato di laboratori, depositi e strumentazione che ha visto la collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere. Durante lo scavo, i relitti sono stati liberati dal terreno secondo il metodo proprio dello scavo archeologico, e dai pannelli in vetroresina, procedendo per piccole fasce di 50 centimetri/1 metro, rilevate tridimensionalmente, e quindi nuovamente protette con un tessuto in grado di trattenere l’umidità. Per garantire l’umidità necessaria, si è fissato sui reperti un impianto di nebulizzazione, progettato espressamente per ogni imbarcazione. A questo è stato sovrapposto un nuovo guscio di vetroresina per preservare l’imbarcazione durante il sollevamento, il trasporto e la messa a dimora. L’imbarcazione, così incapsulata, è stata fissata a un telaio metallico e quindi sollevata e spostata in laboratorio per il restauro.

L’allestimento degli Arsenali Medicei con le navi antiche romane (foto Barbara Setti)

Gli Arsenali Medicei sede del Museo delle Navi Antiche di Pisa (foto Barbara Setti)

Il museo, allestito all’interno degli Arsenali Medicei sul lungarno pisano, espone le navi di età romana e i reperti a esse riferiti rinvenuti e restaurati al Cantiere delle Navi Antiche. L’adiacente complesso di San Vito ospiterà a breve il Centro di restauro del Legno Bagnato, struttura di rilievo internazionale nel restauro delle sostanze organiche, attualmente ospitata provvisoriamente presso il cantiere di scavo. Il centro, simbolicamente, fornirà il supporto alle onerose manutenzioni del museo e lo arricchirà costantemente con il suo lavoro. “L’apertura del museo delle Navi Antiche di Pisa, all’interno degli Arsenali Medicei restaurati, ed ora integralmente visibili, costituisce la conclusione di una significativa fase di tutte quelle iniziative a cura del ministero per i Beni e le attività culturali che iniziarono col fortunato ritrovamento archeologico di Stefano Bruni a san Rossore”, dichiara Andrea Muzzi. “Da allora fondamentale fu il completamento dello scavo, gli studi e le complesse lavorazioni condotte dal Centro di Restauro del Legno Bagnato e la progettazione dell‘exhibition design dovuto a Maurizio di Puolo e Anna Ranghi, il tutto seguito fin ad oggi con passione da Andrea Camilli. Ho l’onore di concludere questo lavoro sostenuto con continuità dai finanziamenti del ministero, lavoro nel quale ho creduto fin dal mio arrivo a Pisa. Prima di me, oltre ai colleghi che mi hanno preceduto, e che ringrazio sentitamente a cominciare da coloro che mi hanno passato il testimone, vari istituti hanno collaborato e continuano a dare il loro fondamentale contributo a seconda dei rispettivi ruoli, dalla direzione generale, alla direzione regionale, poi, per gli esiti della recente riforma, al segretariato regionale”.

La ricostruzione del cantiere di scavo negli ambienti degli Arsenali Medicei (foto Barbara Setti)

Una rassegna delle anfore rinvenute dai carichi dei relitti delle navi romane (foto Barbara Setti)

Le spoglie di un marinaio e di un cane restituite dallo scavo delle navi antiche (foto Barbara Setti)

Il museo delle Navi Antiche risponde a una serie di caratteristiche: è il museo archeologico che mancava a Pisa, un museo duttile, in continua trasformazione con il proseguire delle ricerche e utilizza un linguaggio accessibile e diversificato, adatto a tutti. Il grande lavoro di progettazione svolto ha richiesto una costante sinergia e una pluriennale collaborazione con gli autori dell’exhibition design. “Siamo orgogliosi della chiusura di un percorso che in vent’anni ha coinvolto più di 300 persone dalle professionalità più disparate: archeologi, architetti, storici dell’arte, restauratori e il personale tecnico delle sovrintendenze”, continua Andrea Camilli. “C’è un’enorme soddisfazione nel constatare che una struttura statale ha realizzato una grande opera come questa: quasi 5000 metri quadri, innovativi anche sul piano museale. Si tratta del più grande museo di imbarcazioni antiche esistente. L’esposizione, inoltre, è costruita con un tipo di linguaggio che avvicina il pubblico all’archeologia. Abbiamo eliminato il ‘feticismo del reperto’, rimuovendo il più possibile le barriere visibili che separano l’utente dall’oggetto, rendendolo apparentemente a portata di mano del visitatore. Anche l’area dedicata alle alluvioni, dove una parete scaffalata rivela con le consuete cassette di deposito i materiali rinvenuti dopo un’alluvione catastrofica, introduce alla tematica della ricerca. Il linguaggio del museo non punta a stupire, ma utilizza un sistema di comunicazione plurilivello che non eccede nel multimediale e ricontestualizza la narrazione con accuratezza storica e scientifica”. L’esposizione delle Navi Antiche di Pisa si articola all’interno delle sale e delle campate degli Arsenali medicei, sul lungarno pisano, in origine capannoni adibiti alla costruzione e alla manutenzione delle galee dei cavalieri di Santo Stefano, il corpo cavalleresco a difesa della minaccia saracena. Gli arsenali andarono presto in disuso e diventarono prima alloggi militari, poi stalle. Fino alla metà del secolo scorso ospitarono il centro di riproduzione ippica dell’Esercito italiano. La volontà di conservare la struttura degli Arsenali ha condizionato le scelte museali, soprattutto nelle sale I, II e VIII, dove il mantenimento delle celle dei cavalli ha imposto una narrazione in microcapitoli, quasi a piccoli passi. I grandi ambienti delle campate sono invece lo spazio ideale per dispiegare le grandi navi restaurate.

Alkedo (il Gabbiano), l’ammiraglia della flotta pisana, nave da 12 rematori da diporto (foto Barbara Setti)

La ricostruzione di un piccolo planetario, per conoscere come gli antichi si orientavano con le stelle (foto Barbara Setti)

Sono quattro le imbarcazioni integre esposte: l’ammiraglia Alkedo da 12 rematori, la Nave “I” ossia un grande traghetto fluviale, un secondo barcone con ponti e albero ben visibili e una piccola imbarcazione per il trasporto merci. A queste, si affiancano altre navi parzialmente recuperate e la ricostruzione di una porzione del cantiere di scavo. In mostra anche i carichi rinvenuti, che includono gli oggetti personali dei viaggiatori, con migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli, elementi in materiale organico, da giochi per bambini a capi d’abbigliamento, e anche i resti di un marinaio morto con il suo cane: un mosaico che copre mille anni di commerci, navigazioni, rotte, vita quotidiana a bordo e naufragi. L’esposizione parte con la storia della città di Pisa tra archeologia e leggenda, fino alla fase etrusca prima e romana poi, conclusasi con l’arrivo dei Longobardi. Si prosegue con un focus sul rapporto della città con l’acqua, dalle catastrofiche alluvioni all’organizzazione del territorio tra canali e centuriazioni, fino a toccare il Porto di Pisa e tutta l’intensa attività produttiva cittadina. Dalla ricostruzione dei cantieri si passa, poi, all’esposizione integrale delle navi, che occupa due campate degli arsenali, per proseguire con le sezioni che raccontano le tecniche di navigazione con un piccolo planetario, per conoscere come gli antichi si orientavano con le stelle, mentre un tabellone elettronico degli arrivi e delle partenze racconta le principali rotte dei porti del Mediterraneo. Il percorso espositivo si conclude con un excursus sulla dura vita di bordo, sia per i marinai che per i viaggiatori, dall’abbigliamento ai bagagli, fino alle abitudini alimentari, ai culti e alle superstizioni.

La cosiddetta nave “D”, con ancora ben visibili ponti e albero (foto Barbara Setti)

La cosiddetta barca “F”, appartiene alla tipologia delle lintres, per il trasporto merci utilizzate per rapidi e più confortevoli spostamenti (foto Barbara Setti)

Le navi esposte. (1) Alkedo (il Gabbiano), l’ammiraglia della flotta pisana, nave da 12 rematori da diporto ma dalle forme che ricordano una nave da guerra; ha ancora inciso su una tavoletta il suo nome (Alkedo = gabbiano), esposta nella vetrina di fronte. A fianco ricostruzione a grandezza naturale di una nave da guerra (liburna). (2) Nave “I” (V sec. d.C.), grande traghetto fluviale a fondo piatto interamente costruito in legno di quercia e rinforzato all’esterno da fasce di ferro; il barcone, manovrato tra le due rive attraverso un sistema di funi, era mosso da riva tramite un argano, il cui asse centrale è stato rinvenuto nel corso degli scavi (esposto nella vetrina accanto all’imbarcazione). (3) Barca “F”, appartiene alla tipologia delle lintres, imbarcazioni più piccole per il trasporto merci utilizzate per rapidi e più confortevoli spostamenti e per il trasporto di dettaglio delle merci. Simili alle piroghe, erano realizzate per consentire la remata da un solo lato, come le attuali console veneziane (esemplari esposti del II e III sec. d.C.). (4) Nave “D”, con ancora ben visibili ponti e albero. Il grande barcone fluviale è stata rinvenuta rovesciata e il suo restauro ha richiesto un lavoro estremamente elaborato. Si tratta di un grande barcone fluviale adibito al trasporto della rena lungo il corso dell’Arno: un ampio boccaporto consentiva il carico della sabbia. L’imbarcazione era mossa da vela (conserva ancora l’albero originale) e trainata da riva da una coppia di cavalli o buoi. Lo scheletro di un cavallo ancora aggiogato è stato rinvenuto al di sotto di essa. Altre navi: Nave “E”, parziale, nave da carico di dimensioni medio-grandi; Barca “H” , barchino fluviale a fondo piatto; imbarcazione da carico di medio-grandi dimensioni che faceva la spola lungo le coste tra Campania e Spagna e trasportava un carico di anfore (tra cui spalle di maiale in salamoia) (II sec. a.C.). Ricostruzione del cantiere della Nave “A”, nave da carico (oneraria) di grandi dimensioni (più di 40 metri di lunghezza; ne è stata recuperata circa la metà) (II sec.d.C.). Trasportava un carico di anfore a fondo piatto riutilizzate e contenenti conserve di frutta. Per le sue dimensioni è stata esposta ricostruendo una parte del cantiere di scavo, mostrandola in corso di recupero.

La cosiddetta nave “E”, parziale, nave da carico di dimensioni medio-grandi (foto Barbara Setti)

Un’ancora esposta al museo delle Navi Antiche (foto Barbara Setti)

L’esposizione delle Navi Antiche di Pisa si svolge all’interno delle sale e delle campate degli Arsenali medicei di Pisa ed è articolata in otto sezioni. I. La città tra i due fiumi: la prima sala del Museo è dedicata alla storia della città di Pisa tra archeologia e leggenda, il suo sviluppo fino alla fase etrusca prima e romana poi, l’arrivo dei Longobardi. II. Terra e acque: il rapporto della città con il territorio e l’acqua: le alluvioni, l’organizzazione del territorio tra canali e centuriazioni, il Porto di Pisa, le cave e le officine ceramiche, la pesca, l’agricoltura, il legname e come questa intensa attività produttiva abbia inciso sul territorio provocandone già in età antica il suo dissesto idrogeologico. III. La furia delle acque: la piana di Pisa fu soggetto a disastrose alluvioni per secoli: furono disastrose per il territorio, ma grazie agli scavi archeologici hanno consentito di ricostruire nel dettaglio una storia secolare fatta di navi, reperti, storie di vita e di commerci. Approfondimento sul metodo di scavo archeologico in ambiente umido. Il racconto di un naufragio e la storia di un’amicizia: il marinaio della nave B e il suo cane. IV. Navalia: non solo il luogo dove le navi venivano costruite, ricoverate e riparate (gli arsenali), ma le navi nel loro complesso: come si costruivano le navi nel mondo antico e come si costruiscono ora, le moderne tecniche di scavo e recupero e il restauro del legno archeologico. Ricostruzione del cantiere di scavo della nave A. V. Navi: l’esposizione delle navi e dei loro carichi e corredi, che occupa due campate degli arsenali, è suddivisa in due parti: la prima campata è dedicata alle navi da mare aperto, la seconda alle imbarcazioni da acque interne. Esposizione dell’Alkedo e sua ricostruzione a grandezza naturale. I barconi e i traghetti da fiume: nave D e nave I. Una nave dalla Spagna. VI. Commerci: si viaggia per mare anche e soprattutto per commercio: l’oggetto principe sono le anfore da trasporto, i contenitori di quasi tutti i prodotti che si vendevano nel mondo antico; diffusione, importazione ed esportazione di merci particolari: beni di lusso, marmi, ceramica fine da tavola. Tutte le anfore conosciute a Pisa su un’unica parete: forme, contenuti e provenienze. VII. La navigazione: le navi romane, a remi e con vele quadre, navigavano regolate da un complesso sistema di manovre; il cantiere ha restituito notevoli parti di vela, che permettono di ricostruire con molta affidabilità il complesso sistema che era alla base della struttura delle vele. L’ancora in legno della nave A, il pesce angelo portafortuna. Orientarsi con le stelle. Quanto duravano i viaggi per mare? Quali erano i porti e le rotte più frequentate? Consultate il nostro tabellone degli arrivi e delle partenze. VIII. Vita di bordo: viaggiare non era molto confortevole, sicuramente come marinaio ma anche come passeggero. Questa sezione descrive i vari aspetti di questa dura vita: l’abbigliamento, i bagagli, le tempeste, l’illuminazione di bordo, come si cucinava e si mangiava, culti e superstizioni, la vita quotidiana a bordo. Come si vestiva un marinaio? Il giaccone di pelle dell’Alkedo. Il bagaglio del marinaio della nave A: un piccolo gruzzolo e una manciata di oggetti personali. E nel tempo libero? Giochi per bambini e da tavolo.

Il museo delle Navi Antiche di Pisa tra i big del turismo alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico: “In cinque mesi di apertura già 13mila visitatori. È la nuova offerta turistica della città”

La cosiddetta Nave D esposta al museo delle Navi Antiche di Pisa (foto Sabap Pi-Li)

La XXII edizione della Borsa Mediterranea del Turismo archeologico si tiene a Paestum dal 14 al 17 novembre 2019

Le navi romane di Pisa sono approdate a Paestum. C’è anche il museo delle Navi Antiche di Pisa tra i big del turismo internazionale presenti alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, dal 14 al 17 novembre 2019, con centinaia di espositori da oltre 20 paesi esteri, più di 70 conferenze e incontri, decine di migliaia tra visitatori, buyer ed operatori da tutto il mondo. La partecipazione di Cooperativa Archeologia, che gestisce il museo con la direzione della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno, e ha seguito il progetto di recupero e restauro delle navi, è promossa dal Comune di Pisa che investe in quello che attualmente è il più grande museo di imbarcazioni antiche esistente con un’esposizione che in soli cinque mesi di attività ha oltrepassato le 13mila presenze, proponendolo come polo catalizzatore per l’intero territorio. Inaugurato lo scorso giugno, il complesso agli Arsenali Medicei sul lungarno pisano, con i suoi 4700 metri quadri di superficie espositiva e le 47 sezioni divise in 8 aree tematiche, accoglie sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C., di cui quattro sostanzialmente integre, e circa 800 reperti per un museo che racconta un millennio di commerci e marinai, rotte e naufragi, navigazioni, vita di bordo e della storia della città di Pisa.

Museo delle Navi Amtiche di Pisa: la sala con le anfore ritrovate sugli antichi relitti (foto Sabap Pi-Li)

Una nave da carico ritrovata a Pisa (foto Sabap Pi-Li)

L’ambizioso progetto di recupero e restauro, un unicum nel settore per tecniche e tecnologie messe in campo, ha richiesto oltre vent’anni. Il grande lavoro di progettazione dell’esposizione, inoltre, si è svolto grazie alla costante sinergia e alla pluriennale collaborazione con gli autori dell’exhibition design: il risultato è una narrazione museale innovativa che avvicina il pubblico all’archeologia anche attraverso la rimozione di barriere visibili che separano l’utente dai reperti, rendendoli apparentemente a portata di mano del visitatore. La Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, unico salone espositivo al mondo del patrimonio archeologico e di ArcheoVirtual, l’innovativa mostra internazionale di tecnologie multimediali, interattive e virtuali, è una ulteriore opportunità per il polo pisano di porsi in un asset strategico per il turismo internazionale.

Una grande anfora esposta al museo delle Navi Antiche di Pisa (foto Sabap Pi-Li)

Le spoglie del marinaio e del cane ritrovate durante lo scavo delle navi romane (foto Sabap Pi-Li)

“La recente apertura del museo delle Navi Antiche di Pisa senza dubbio contribuirà sempre di più a far crescere l’offerta turistica della città”, interviene Paolo Pesciatini, assessore al Turismo del Comune di Pisa. “Il sostegno alla partecipazione del Museo alla Borsa del Turismo Archeologico, fortemente voluta dal sindaco Michele Conti, fa parte della nostra strategia di promozione turistica che, anche attraverso un’adeguata pubblicizzazione del nuovo straordinario Museo, vuol far conoscere e diffondere le bellezze della città nella loro totalità. Infatti, a Paestum, al nostro stand, oltre al materiale specifico del Museo stesso, c’è anche materiale promozionale dell’intero nostro territorio: città e litorale. In questo modo seguiamo il programma di promozione ‘Pisa oltre la Torre’ che mira a far conoscere ai visitatori l’offerta permanente e complessiva pisana. È il primo passo, questo, di una serie di azioni sinergiche e di collaborazioni, già avviate fra l’amministrazione comunale e il Museo, che saranno consolidate nel tempo e, quindi, nelle strategie future”. E il direttore scientifico del museo e responsabile di progetto per la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno, Andrea Camilli: “Il Museo, che presenta un approccio museografico innovativo, mirato alla ‘sdrammatizzazione’ del reperto e alla sua ricontestualizzazione, si vuole porre come un rinnovato rapporto tra città e territorio. L’eccezionalità dei reperti provenienti dalle navi aumenta esponenzialmente l’attenzione del visitatore grazie alla vicinanza di questo con i reperti”.

A Ferrara gli archeologi raccontano “La lunga storia di Palazzo Paradiso: vecchi scavi e nuovi rinvenimenti” attraverso gli scavi del 1984 e del 2019

Palazzo Paradiso a Ferrara, oggi sede della biblioteca civica Ariostea

Più di seicento anni di storia concentrati in un pomeriggio con il contributo delle ricerche e delle scoperte archeologiche passate e recenti. Succede a Ferrara. Appuntamento giovedì 10 ottobre 2019, alle 17, nella biblioteca civica Ariostea, in via Scienze n. 17 a Ferrara, cioè in quel Palazzo Paradiso che è anche l’oggetto dell’incontro: “La lunga storia di Palazzo Paradiso: vecchi scavi e nuovi rinvenimenti”. L’archeologa della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, Chiara Guarnieri, e Nicol Tiburzi, della Coop. Archeologia, illustreranno la storia di Palazzo Paradiso attraverso i dati venuti in luce nel corso degli scavi che si sono svolti nell’area dell’edificio, nel 1984, e nella zona del giardino, nel 2019. Il primo intervento ha permesso di recuperare l’assetto originario del palazzo, costruito nel 1388 per volontà di Alberto V d’Este. Gli scavi del 1984 hanno portato alla luce l’entrata lungo l’attuale via Gioco del Pallone e alcune “camere da butto” contenenti ceramiche e vetri. Gli interventi più recenti, realizzati per conto di Hera e diretti dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, hanno intercettato possenti murature precedenti la costruzione dell’edificio, a testimonianza del fatto che l’area fosse già occupata da un quartiere in parte abbattuto per edificare il palazzo estense.

Archeologia medievale. A cinque anni dalla scoperta del più grande cimitero medievale ebraico noto in Italia, esce il libro “Il cimitero ebraico medievale di Bologna: un percorso tra memoria e valorizzazione” a cura di Curina e Di Stefano

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)

Anello d’oro recuperato dagli scavi del cimitero ebraico medievale di Bologna (foto Roberto Macrì)

Soppresso 450 anni fa, col tempo se n’erano perse le tracce del cimitero ebraico medievale di Bologna, citato dalle fonti storiche e documentarie, anche se una tradizione popolare non ha mai dimenticato la presenza degli “orti degli ebrei”. Ci ha pensato l’archeologia. Tra il 2012 e il 2014 l’area di via Orfeo a Bologna è stata oggetto di ricerche archeologiche che hanno individuato il cimitero ebraico medievale, il più grande finora noto in Italia con le sue 408 sepolture, il quale è stato oggetto e punto di partenza di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale ebraico del capoluogo felsineo. “È la più vasta area cimiteriale medievale mai indagata in città, testimone di eventi che hanno radicalmente mutato la storia e la vita di una parte della popolazione bolognese tra il XIV e il XVI secolo. Per 176 anni è stato il principale luogo di sepoltura degli ebrei bolognesi ma dopo le bolle papali della seconda metà del Cinquecento -che autorizzano la distruzione dei cimiteri ebraici della città- sopravvive per secoli solo nel toponimo di Orto degli Ebrei”, avevano raccontato alla presentazione della scoperta Renata Curina e Valentina Di Stefano, archeologhe della soprintendenza, e Laura Buonamico di Cooperativa Archeologia, che hanno seguito le ricerche archeologiche (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/02/archeologia-medievale-scoperto-in-via-orfeo-a-bologna-il-cimitero-ebraico-soppresso-450-anni-fa-con-le-sue-408-sepolture-e-il-piu-grande-ditalia-e-il-secondo-in-europa-sara-il-fulcro-di-un/).

Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano (foto Sabap – Bo)

Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano. “Le fonti d’archivio riportano che quest’area fu acquistata nel 1393 da un membro della famiglia ebraica dei Da Orvieto (Elia ebreo de Urbeveteri)”, spiegano le tre archeologhe, “per poi essere lasciata in uso agli ebrei bolognesi come luogo di sepoltura. Questa funzione permane fino al 1569, quando l’emanazione di due Bolle Papali condanna le persone di religione ebraica ad abbandonare le città dello Stato Pontificio e ad essere cancellate dalla memoria dei luoghi dove avevano vissuto e operato. Uno degli effetti più violenti di queste persecuzioni è l’autorizzazione a distruggere i cimiteri e a profanare le sepolture ebraiche presenti in città. Una damnatio memoriae che riesce solo in parte visto che negli atti e registri degli anni seguenti, ma soprattutto nella consuetudine orale, quell’area continua ad essere indicata come Orto degli Ebrei”.

Preziosi anelli rinvenuti nell’area del cimitero ebraico di via Orfeo

La copertina del libro di Renata Curina e Valentina Di Stefano “Il cimitero ebraico medievale di Bologna: un percorso tra memoria e valorizzazione”

L’analisi dei dati archeologici condotta dalla soprintendenza, lo studio antropologico sugli inumati effettuato dall’università di Bologna e la costante collaborazione della Comunità Ebraica Bolognese – il tutto con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna – hanno aperto la strada a un processo di conoscenza più sistematico su periodi e aspetti della storia di Bologna, delle sue tradizioni e delle abitudini di vita dei suoi abitanti. Ora, a pochi anni da questa eccezionale scoperta e grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, esce il volume curato dalle archeologhe Renata Curina e Valentina Di Stefano “Il cimitero ebraico medievale di Bologna: un percorso tra memoria e valorizzazione” che viene presentato giovedì 11 luglio 2019, alle 17, nel Salone d’Onore di Palazzo Dall’Armi Marescalchi, via IV Novembre n. 5 a Bologna, sede della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara. Intervengono: Giusella Finocchiaro, presidente Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna; Cristina Ambrosini, soprintendente Archeologia, belle arti e Paesaggio di Bologna; Daniele De Paz, presidente Comunità Ebraica di Bologna; Alberto Sermoneta, rabbino capo Comunità Ebraica di Bologna; Sauro Gelichi, università Ca’ Foscari Venezia; Daniela Rossi, soprintendenza speciale Archeologia, belle arti e Paesaggio di Roma. Il volume, tredicesimo della collana DEA, Documenti ed Evidenze di Archeologia, della soprintendenza, documenta gli studi e le ricerche effettuate nell’ultimo lustro e offre abbondante materia di riflessione per individuare modalità di restituzione della memoria e di valorizzazione di questo importante patrimonio culturale ebraico di Bologna.

La locandina della mostra “LA CASA DELLA VITA. Ori e Storie intorno all’antico cimitero ebraico di Bologna”

Per gli interessati, fino al 6 gennaio 2020 è allestita al MEB – Museo Ebraico di Bologna in via Valdonica 1/5 a Bologna la mostra “La Casa della Vita. Ori e Storie intorno all’antico cimitero ebraico di Bologna”, visitabile da domenica a giovedì, dalle 10 alle 17.30, venerdì (dalle 10 alle 15.30), chiusa sabato e festività ebraiche. “La Casa della Vita” o Beth ha-Chaim è uno dei modi con cui gli ebrei indicano tradizionalmente il cimitero (Beth ha-kevaroth): “… ti ho posto davanti la vita e la morte … scegli dunque la vita, onde tu viva, tu e la tua progenie” Deuteronomio (30,19). La mostra consente di ripercorrere, in modo globale e sistematico, la storia di una minoranza, dei suoi usi, della sua cultura e delle sue interazioni con la società cristiana del tempo (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2019/06/19/bologna-ad-alcuni-dalla-scoperta-in-citta-del-piu-importante-cimitero-ebraico-finora-noto-in-italia-apre-la-mostra-la-casa-della-vita-ori-e-storie-intorno-allantico-cimitero-ebrai/).

Bologna. Ad alcuni anni dalla scoperta in città del più importante cimitero ebraico finora noto in Italia, apre la mostra “LA CASA DELLA VITA. Ori e Storie intorno all’antico cimitero ebraico di Bologna” con gioielli in oro, pietre incise, oggetti in bronzo recuperati in più di quattrocento sepolture scavate

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)

Bologna racchiusa nelle sue mura nella pianta del Blaeu (1640)

Con le sue 408 sepolture il cimitero ebraico scoperto in via Orfeo a Bologna è il più grande finora noto in Italia. “È la più vasta area cimiteriale medievale mai indagata in città”, avevano raccontato Renata Curina e Valentina Di Stefano, archeologhe della soprintendenza, e Laura Buonamico di Cooperativa Archeologia, alla presentazione della scoperta, “testimone di eventi che hanno radicalmente mutato la storia e la vita di una parte della popolazione bolognese tra il XIV e il XVI secolo. Per 176 anni è stato il principale luogo di sepoltura degli ebrei bolognesi ma dopo le bolle papali della seconda metà del Cinquecento -che autorizzano la distruzione dei cimiteri ebraici della città- sopravvive per secoli solo nel toponimo di Orto degli Ebrei”. E fin da subito l’impegno è stato chiaro da parte della soprintendenza: il cimitero ebraico di via Orfeo a Bologna sarà oggetto e punto di partenza di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale ebraico del capoluogo felsineo sarà oggetto e punto di partenza di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale ebraico del capoluogo felsineo (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/02/archeologia-medievale-scoperto-in-via-orfeo-a-bologna-il-cimitero-ebraico-soppresso-450-anni-fa-con-le-sue-408-sepolture-e-il-piu-grande-ditalia-e-il-secondo-in-europa-sara-il-fulcro-di-un/). Sono passati cinque anni dalla fine degli scavi, e finalmente una mostra racconta la storia della comunità ebraica cittadina nei secoli del suo massimo splendore attraverso gli straordinari reperti rinvenuti – come si diceva – in via Orfeo a Bologna, poco lontano dalle mura trecentesche, in uno dei più ampi cimiteri ebraici medievali del mondo.

La locandina della mostra “LA CASA DELLA VITA. Ori e Storie intorno all’antico cimitero ebraico di Bologna”

Appuntamento al museo Ebraico di Bologna, giovedì 20 giugno 2019, alle 18.30, per l’inaugurazione della mostra “LA CASA DELLA VITA. Ori e Storie intorno all’antico cimitero ebraico di Bologna”, con Guido Ottolenghi, presidente Fondazione Museo Ebraico di Bologna; Cristina Ambrosini, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna; Daniele De Paz, presidente Comunità Ebraica di Bologna. “La Casa della Vita” o Beth ha-Chaim è uno dei modi con cui gli ebrei indicano tradizionalmente il cimitero (Beth ha-kevaroth): “… ti ho posto davanti la vita e la morte … scegli dunque la vita, onde tu viva, tu e la tua progenie” Deuteronomio (30,19). La mostra, aperta dal 20 giugno 2019 al 6 gennaio 2020, curata e organizzata dal museo Ebraico di Bologna e dalla soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, in collaborazione con Comunità Ebraica di Bologna, consente di ripercorrere, in modo globale e sistematico, la storia di una minoranza, dei suoi usi, della sua cultura e delle sue interazioni con la società cristiana del tempo.

Preziosi anelli rinvenuti nell’area del cimitero ebraico di via Orfeo

Anello d’oro recuperato dagli scavi del cimitero ebraico medievale di Bologna (foto Roberto Macrì)

Tra il 2012 e il 2014, gli scavi estensivi condotti dalla soprintendenza in via Orfeo a Bologna, preventivi alla costruzione di un complesso residenziale, hanno prodotto una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi decenni: il ritrovamento del “perduto” cimitero ebraico medievale della città. Nota alle fonti d’archivio e sopravvissuta nella consuetudine orale – quest’area continua a essere indicata come “Orto degli Ebrei” ben oltre la Bolla Papale del 1569 che ne autorizzava la distruzione – l’area cimiteriale di via Orfeo ha restituito non solo centinaia di sepolture a inumazione perfettamente ordinate in file parallele ma anche straordinarie tracce di vita vissuta. Gioielli in oro di eccezionale fattura e bellezza, pietre incise, oggetti in bronzo recuperati in più di quattrocento sepolture, attestano la presenza a Bologna di una fiorente comunità proficuamente inserita nel contesto urbano e sociale fino a quando l’emanazione di due Bolle Papali la condanna ad abbandonare le città dello Stato Pontificio e ad essere cancellata dalla memoria dei luoghi dove avevano vissuto e operato. Questi reperti, finalmente visibili dopo anni di studi e restauri, sono i protagonisti della mostra “La Casa della Vita. Ori e Storie intorno all’antico cimitero ebraico di Bologna”. Una settantina di reperti riaffiorati dal sottosuolo danno testimonianza di un luogo di cui le fonti archivistiche attestavano l’esistenza ma di cui si era perduta ogni traccia, e sollevano interrogativi che ridestano ancora una volta curiosità verso un’epoca tra le più interessanti ed enigmatiche della storia culturale italiana.

Una sala espositiva del museo Ebraico di Bologna

Nel Ventennale del museo Ebraico di Bologna si torna dunque a parlare della presenza ebraica tra Quattro e Cinquecento in uno dei centri più importanti dell’ebraismo italiano. Durante il periodo della mostra, un percorso espositivo diffuso tra musei e istituzioni culturali della città – museo civico Medievale, Biblioteca Universitaria, museo internazionale della Musica, museo del Patrimonio industriale, museo civico del Risorgimento-Certosa di Bologna – consentirà al pubblico di conoscere luoghi, episodi e persone che hanno fatto la storia ebraica di Bologna dipingendo un quadro complessivo di grande respiro e insospettabile ricchezza. Inoltre a breve sarà pubblicato il volume “Il Cimitero ebraico medievale di Bologna: un percorso tra memoria e valorizzazione” curato da Renata Curina e Valentina Di Stefano, tredicesimo della collana Dea (Documenti ed Evidenze di Archeologia), della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara. Il volume esce grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

Archeologia medievale. Scoperto in via Orfeo a Bologna il cimitero ebraico soppresso 450 anni fa: con le sue 408 sepolture è il più grande d’Italia e il secondo in Europa. Sarà il fulcro di un progetto interdisciplinare per il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale ebraico e della storia di Bologna

Veduta di una porzione dell’area di scavo del cimitero ebraico medievale di via Orfeo a Bologna (foto Cooperativa Archeologia)

Bologna racchiusa nelle sue mura nella pianta del Blaeu (1640)

Soppresso 450 anni fa, col tempo se n’erano perse le tracce del cimitero ebraico medievale di Bologna, citato dalle fonti storiche e documentarie, anche se una tradizione popolare non ha mai dimenticato la presenza degli “orti degli ebrei”. Ci ha pensato l’archeologia. Recenti indagini archeologiche a Bologna hanno infatti individuato il cimitero ebraico medievale, il più grande finora noto in Italia con le sue 408 sepolture, il quale ora sarà oggetto e punto di partenza di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale ebraico del capoluogo felsineo. “È la più vasta area cimiteriale medievale mai indagata in città, testimone di eventi che hanno radicalmente mutato la storia e la vita di una parte della popolazione bolognese tra il XIV e il XVI secolo. Per 176 anni è stato il principale luogo di sepoltura degli ebrei bolognesi ma dopo le bolle papali della seconda metà del Cinquecento -che autorizzano la distruzione dei cimiteri ebraici della città- sopravvive per secoli solo nel toponimo di Orto degli Ebrei”, raccontano Renata Curina e Valentina Di Stefano, archeologhe della soprintendenza, e Laura Buonamico di Cooperativa Archeologia, alla presentazione della scoperta, presenti il sindaco di Bologna, Virginio Merola; Maria Grazia Fichera, della direzione Archeologia del Mibact; Luigi Malnati, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; Daniele De Paz, presidente della Comunità Ebraica di Bologna; David Menasci, delegato Unione Comunità Ebraiche Italiane; Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna; Francesco Ubertini, magnifico rettore Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Maria Giovanna Belcastro, docente di antropologia all’ateneo bolognese.

Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano

Tra il 2012 e il 2014, l’area che si è poi rivelata essere il “perduto” cimitero ebraico medievale di via Orfeo è stata oggetto di uno scavo archeologico stratigrafico estensivo, condotto dalla Cooperativa Archeologia come indagine preventiva alla costruzione di un complesso residenziale. Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano. “Le fonti d’archivio riportano che quest’area fu acquistata nel 1393 da un membro della famiglia ebraica dei Da Orvieto (Elia ebreo de Urbeveteri)”, continuano le tre archeologhe, “per poi essere lasciata in uso agli ebrei bolognesi come luogo di sepoltura. Questa funzione permane fino al 1569, quando l’emanazione di due Bolle Papali condanna le persone di religione ebraica ad abbandonare le città dello Stato Pontificio e ad essere cancellate dalla memoria dei luoghi dove avevano vissuto e operato. Uno degli effetti più violenti di queste persecuzioni è l’autorizzazione a distruggere i cimiteri e a profanare le sepolture ebraiche presenti in città. Una damnatio memoriae che riesce solo in parte visto che negli atti e registri degli anni seguenti, ma soprattutto nella consuetudine orale, quell’area continua ad essere indicata come Orto degli Ebrei”.

Preziosi anelli rinvenuti nell’area del cimitero ebraico di via Orfeo

Il cimitero ebraico medievale scoperto in via Orfeo a Bologna non è solo il più grande finora noto in Italia (e secondo in Europa solo a quello di York in Inghilterra) ma un’opportunità unica di studio e ricerca. Sono state scavate 408 sepolture di donne, uomini e bambini, alcune delle quali hanno restituito elementi d’ornamento personale in oro, argento, bronzo, pietre dure e ambra. Un gruppo di lavoro composto da soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Bologna, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Comunità Ebraica di Bologna e ricercatori indipendenti, con il supporto del Comune di Bologna, cercherà di ricomporne le vicende storiche, ricostruendo le dinamiche insediative e l’evoluzione topografica e sociale dell’area. Uno degli obiettivi primari del Progetto è l’elaborazione di un piano di recupero della memoria e la valorizzazione del patrimonio culturale ebraico e della storia della comunità bolognese. “Il cimitero di via Orfeo”, interviene l’antropologa culturale Valentina Rizzo, “è un caso unico in Europa per elementi informativi e rappresenta uno straordinario campo di collaborazione tra discipline scientifiche e istituzioni pubbliche. L’obiettivo conclusivo del lavoro di ricerca è la restituzione dei resti umani alla Comunità al fine di garantire una sepoltura secondo il rito ebraico e la restituzione di uno scenario storico e culturale alla contemporaneità. Verranno per questo studiate e concretizzate azioni di valorizzazione e divulgazione che inquadrino il periodo e gli accadimenti legati al cimitero di via Orfeo, come memoria e come eredità patrimoniale culturale ebraica nella città di Bologna”.

Bracciale di pietre dure rinvenuto nel cimitero ebraico di via Orfeo (foto Roberto Macri)

Con il Breve del 28 novembre 1569, Pio V dona l’area del cimitero ebraico alle suore della vicina chiesa di San Pietro Martire, accordando alle monache la facoltà “di disseppellire e far trasportare, dove a loro piaccia, i cadaveri, le ossa e gli avanzi dei morti: di demolire o trasmutare in altra forma i sepolcri costruiti dagli ebrei, anche per persone viventi: di togliere affatto, oppure raschiare e cancellare le iscrizioni ed altre memorie scolpite nel marmo”. “Lo scavo archeologico”, spiegano  Curina, Di Stefano e Buonamico, “ha riportato in luce gli sconvolgenti effetti di questo provvedimento: circa 150 tombe volontariamente manomesse per profanare la sacralità delle sepolture, nessuna traccia delle lapidi che dovevano indicare il nome dei defunti, forse vendute o riutilizzate. Proprio da via Orfeo vengono probabilmente le quattro splendide lapidi ebraiche esposte nel museo civico Medievale di Bologna”.

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)

L’area cimiteriale di via Orfeo ha restituito 408 sepolture a inumazione perfettamente ordinate in file parallele, con fosse orientate est-ovest e capo del defunto rivolto a occidente. “La razionale organizzazione planimetrica delle tombe e la presenza di oggetti d’ornamento di particolare ricchezza sono peculiarità difficilmente riscontrabili nei cimiteri coevi. Ulteriori ricerche consentiranno di analizzare le conseguenze del passaggio di proprietà del terreno al monastero di San Pietro Martire, verificando l’eventuale presenza anche di sepolture cristiane inserite nell’area del precedente cimitero ebraico. Gli studi archeologici analizzeranno sia le sequenze stratigrafiche, che attestano una frequentazione dell’area dall’Età del Rame all’età moderna, sia i materiali recuperati nello scavo, avvalendosi anche del confronto con alcuni contesti cimiteriali ebraici scavati in Inghilterra, Francia e Spagna. Tra gli oggetti rinvenuti negli scavi, un approfondimento sarà dedicato ai numerosi gioielli medievali, di cui verranno studiate caratteristiche stilistiche, tecniche di realizzazione e significati delle incisioni presenti”.

Gli inumati del cimitero medievale saranno studiati e poi riconsegnati alla Comunità ebraica

Nell’ambito della collaborazione tra università di Bologna, soprintendenza per la città metropolitana di Bologna e Comunità Ebraica di Bologna si inserisce lo studio antropologico degli inumati (oltre 400) del cimitero medievale di via Orfeo condotto dal laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense, diretto da Maria Giovanna Belcastro, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali. Lo studio prevede di esaminare molte caratteristiche biologiche dei singoli inumati avvalendosi di un approccio integrato tra analisi morfologiche, microbiologiche, molecolari e tomografiche al fine di ricostruire la storia e la vita della comunità ivi rappresentata. “Oltre alla composizione demografica del gruppo”, sintetizza la prof.ssa Belcastro, “si prevede di ricostruire lo stato di salute, la dieta, eventuali specializzazioni nelle attività lavorative, aspetti relativi ai riti funerari, la provenienza geografica legata a possibili spostamenti da altre aree europee. Per giungere a questi risultati il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense esaminerà gli aspetti relativi alla ricostruzione dell’integrità dei resti scheletrici per procedere alla ricostruzione del profilo biologico (stima dell’età e attribuzione del sesso degli inumati), dello stato di salute e nutrizionale attraverso l’esame di tutte le alterazioni e patologie ossee e dentarie, e delle attività lavorative svolte in vita”. Alla fine i dati verranno raccolti e integrati in un geodatabase per offrire, da un lato uno strumento di gestione delle informazioni di scavo e di laboratorio, dall’altro un supporto significativo per lo studio del contesto, grazie all’elaborazione di planimetrie generate attraverso visualizzazioni tematizzate. “Il modello di studio integrato che emerge, che vede l’integrazione di quanto noto dalle fonti storiche e documentarie, dei dati archeologici e biologici, unitamente alla collaborazione con la Comunità ebraica di Bologna, rappresenta un unicum”, conclude Belcastro. “Lo studio del cimitero di via Orfeo – che non ha confronti in Italia e pochi in Europa – e la ricostruzione della vita della comunità ivi rappresentata offre alla città di Bologna la possibilità di ricostruire una parte importante della propria storia e, più in generale, alla società una riflessione che consenta di andare sempre più verso modelli inclusivi di convivenza”.

Pisa. A 18 anni dalla scoperta della “Pompei del mare”, trenta imbarcazioni romane dal III sec. a.C. al VII d.C., è stato presentato agli Arsenali medicei il primo nucleo del Museo delle Navi antiche, visitabile su prenotazione

Le antiche navi romane trovate a San Rossore sono ospitate negli Arsenali medicei di Pisa

Le antiche navi romane trovate a San Rossore sono ospitate negli Arsenali medicei di Pisa

Gli Arsenali medicei di Pisa sede del museo delle Navi antiche

Gli Arsenali medicei di Pisa sede del museo delle Navi antiche

Le navi sono tornate negli Arsenali Medicei di Pisa. Ma non sono le galee tanto importanti per Cosimo I che nella seconda metà del Cinquecento volle questa importante struttura per soddisfare le richieste del porto di Livorno e dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Tra le volte a tutto sesto di due delle otto sale dell’arsenale disegnato da Bernardo Buontalenti, nel centro di Pisa, interamente ristrutturato dal ministero dei Beni culturali, sono state ormeggiate alcune delle trenta imbarcazioni di epoca romana, di cui 13 integre, risalenti tra il III secolo a.C e il VII d.C., scoperte dal 1998, complete di carico, con oggetti personali dei marinai, e migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli, elementi in materiale organico. È il primo nucleo del “Museo delle Navi antiche” che si è concretizzato a diciotto anni dalla straordinaria scoperta di navi romane nel vecchio alveo dell’Auser (l’odierno Serchio)  che fece chiamare Pisa la “Pompei del mare”. È stato presentato al pubblico il 25 novembre 2016 dal soprintendente di Archeologia e Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno Andrea Muzzi e dai progettisti e direttori dei lavori Andrea Camilli, archeologo, e Marta Ciafaloni, architetto, funzionario della soprintendenza. E da sabato 3 dicembre 2016 è possibile la visita al cantiere di scavo e al cantiere di allestimento del museo delle navi antiche su prenotazione, in giorni stabiliti o su richiesta: per informazioni turismo@archeologia.it e 055.5520407. “L’apertura del museo”, spiega Andrea Muzzi, “è importante perché rendiamo finalmente visibile una straordinaria avventure archeologica che rappresenta un patrimonio culturale di inestimabile valore non solo sotto il profilo museale ma anche per la particolarità del restauro effettuato”. E Andrea Camilli: “A San Rossore abbiamo riscritto un pezzo di storia del restauro modificando anche i protocolli internazionali e costituendo un centro di eccellenza di richiamo internazionale, dove si sono sperimentate con successo tecniche mai usate prima d’ora”.

Una fase dello scavo delle navi romane antiche a San Rossore

Una fase dello scavo delle navi romane antiche a San Rossore

Era il 1998 quando, vicino alla stazione ferroviaria di San Rossore a Pisa, vennero alla luce i resti della prima nave, determinando il blocco dei lavori per la costruzione della ferrovia. La scoperta si rivelò presto ben più importante del previsto, trattandosi di un sito di grande importanza. Inizialmente si riteneva si trattasse di uno scalo portuale, ma ben presto si è identificata la vera natura del deposito: si tratta del punto di incrocio di un canale della centuriazione pisana con il corso del fiume Serchio (l’antico “Auser”), dove, a seguito di una serie di disastrose alluvioni (ne sono state identificate almeno sette, dal II secolo a.C. al VII sec. d.C.), sono affondate almeno trenta imbarcazioni, che sarebbero giunte da varie parti del Mediterraneo: Gallia, Campania, Adriatico, ecc. Nacque così il grande cantiere di scavo e di restauro. Il laborioso lavoro di archeologi e restauratori di Cooperativa Archeologia, che si è occupata anche del montaggio dei relitti sotto la direzione dell’archeologo Andrea Camilli, ha ricomposto il mosaico di una lunga storia, fatta di commerci e marinai, navigazioni e rotte, vita quotidiana a bordo e naufragi.  Il tutto disseminato all’interno degli Arsenali Medicei di Pisa, considerato il luogo più adatto per la realizzazione di un museo: costruiti – come si diceva – nella seconda metà del Cinquecento per volontà di Cosimo I, sono formati da una serie di capannoni in mattoni, in origine aperti, decorati sulla facciata verso l’Arno da mascheroni in marmo, stemmi e iscrizioni che ricordano le vittorie navali dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano.  I primi due ambienti ad essere aperti al pubblico (saranno 8 in tutto) sono la sala V e, con una sezione introduttiva a questa, la sala IV, con l’esposizione della prima imbarcazione rinvenuta, la nave A (lunga 18 metri e risalente al II secolo d.C).

Una delle navi restaurate ed esposte nella Sala V del museo delle Navi antiche di Pisa

Una delle navi restaurate ed esposte nella Sala V del museo delle Navi antiche di Pisa

Nella grande sala V sono esposte tutte le navi restaurate: da guerra, da commercio, da mare aperto e da fiume. Al momento, qui si possono vedere la Nave F (del II secolo d.C.), che rientra nella categoria delle piccole imbarcazioni fluviali, veloci, a forma di piroga, dalla caratteristica prua monossile, ossia scolpita in un unico blocco.  Lo scafo è deformato per il pilotaggio da un solo lato, come le gondole; la Nave I (del IV-V secolo d.C) è un traghetto a fondo piatto interamente realizzato in legno di quercia e rivestito all’esterno da fasce chiodate in ferro per proteggere lo scafo dai fondali bassi.  La nave era manovrata a riva da un argano; la Nave D ((VI secolo d.C) è visibile posta su una grande struttura metallica, che sostiene questa imponente imbarcazione, lunga 13 metri e larga più di 4: una nave fluviale adibita al trasporto di sabbia, trainata da riva da una coppia di cavalli. È inoltre presente la ricostruzione a grandezza naturale della Nave C, l’Alkedo (inizi I secolo d.C.), finalmente libera dal guscio che l’ha protetta per 15 anni. Consistenti tracce di colore hanno permesso di riprodurre il suo colore originale, in bianco con rifiniture in rosso e il nero per il simbolo dell’occhio, dipinto sulla prua a protezione delle avversità di chi va per mare.

Un'anfora in corso di scavo visibile in uno dei padiglioni del Museo delle Navi Antiche di Pisa

Un’anfora in corso di scavo visibile in uno dei padiglioni del Museo delle Navi Antiche di Pisa

La sala IV, invece, è dedicata alla tecnica di costruzioni delle navi e racconta come un semplice cantiere di scavo venne ampliato e attrezzato per una scoperta così inaspettata.  Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa è innovativo a livello internazionale, considerato che per la prima volta sono state restaurate delle navi per intero, senza che venissero smontate. Quindi il restauro è iniziato in corso di scavo. In cantiere è stato progettato un preliminare sistema di protezione dei reperti con pannelli in vetroresina.  A breve, sarà svelato il resto, per un totale di 4.800 metri quadrati: una serie di sale tematiche dove sarà allestito, in 70 sezioni, un museo della storia antica di Pisa. L’ingresso sarà dal cortile, con il lungo corridoio che costituisce la spina dorsale del percorso, la narrazione di tutto quello che era Pisa prima delle navi, gli eventi alluvionali che portarono al loro progressivo affondamento, tutte le navi restaurate e tanto altro, fra cui il bagaglio del marinaio, una cassetta di legno con monete e medicamenti. Sarà un percorso tra amuleti e tanti oggetti di bordo come fornelli, vasellame da mensa e da cucina, piatti e attrezzi da carpentiere per le riparazioni, lucerne e oggetti di culto che i marinai portavano con loro durante viaggi pericolosi, come oggetti votivi, piccole statuine delle divinità e scarabei, calzature in legno, frammenti di indumenti in cuoio, resti vegetali come semi, utili sia per capire i commerci che l’alimentazione dei marinai.

Svelati per la prima volta il vomitorium e l’ambulacro circolare con l’inaugurazione del foyer del teatro romano sotto Palazzo Vecchio a Firenze

Sotto Palazzo Vecchio a Firenze è stato inaugurato il foyer del teatro romano con ricostruzioni in video della Florentia romana

Sotto Palazzo Vecchio a Firenze è stato inaugurato il foyer del teatro romano con ricostruzioni in video della Florentia romana

Bastano tre metri, quelli che si possono fare da piazza della Signoria al sottosuolo di Firenze, per fare un salto di 1800 anni, in un affascinante viaggio all’indietro nel tempo. Ieri, a Firenze, in chiusura del 3° Forum Mondiale dell’Unesco sulla Cultura e l’Industria culturale, è stato inaugurato in anteprima mondiale  il foyer del Teatro Romano sotto Palazzo Vecchio, alla presenza del direttore generale UNESCO, Irina Bokova, del sindaco di Firenze, Dario Nardella e del soprintendente per i Beni Archeologici della Toscana, Andrea Pessina. Quello che è stato svelato, e che sarà visitabile dal pubblico nei prossimi giorni con visite guidate su prenotazione,  è l’ultima delle quattro porte che si affacciano sul cortile della Dogana dell’edificio simbolo della fiorentinità. La visita si è aperta passando attraverso la nuova scala che collega questa piazza urbana coperta con l’area archeologica.

Uno dei passaggi aperti per accedere al teatro romano del II secolo d.C. sotto Palazzo Vecchio

Uno dei passaggi aperti per accedere al teatro romano del II secolo d.C. sotto Palazzo Vecchio

La planimetria con i muri radiali del teatro romano scavato dalla Cooperativa Archeologia di Firenze

La planimetria con i muri radiali del teatro romano scavato dalla Cooperativa Archeologia di Firenze

Nel 2010 si era concluso lo scavo archeologico nei sotterranei di Palazzo Vecchio, che ha riportato alla luce i resti di alcune parti del teatro romano di Florentia. Lo scavo è stato condotto dalla Cooperativa Archeologia sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Fra i resti dell’antico teatro romano, databili fra I e II sec. d.C., sono riemersi alcuni tratti delle burelle, cioè i corridoi radiali in muratura sui quali era impostata la cavea a semicerchio; particolarmente suggestivo è il vomitorium, il corridoio centrale grazie al quale si accedeva all’interno del teatro. È stato rinvenuto anche il margine interno della piattaforma dell’orchestra, che nel teatro romano non ospitava il coro come in quello greco, ma era riservata alle autorità. I ritrovamenti non si arrestano all’età imperiale, ma attestano anche le successive stratificazioni. Sui resti romani si sovrappongono, infatti, strutture di epoca medievale (XII-XIV sec.) come pozzi, fondamenta di abitazioni e altri edifici. Tra questi è stato individuato un fronte stradale con portali medievali e relativo selciato, inglobato nel Cinquecento dall’ampliamento di Palazzo della Signoria verso via dei Gondi e via de’ Leoni. Le numerose stratificazioni testimoniano l’uso pressoché ininterrotto di questa porzione della città che, con alterne vicende, ha rivestito una funzione di alta rappresentanza istituzionale dall’epoca della fondazione romana fino alla costruzione di Palazzo Vecchio.

La planimetria del teatro romano di Florentia al di sotto di Palazzo Vecchio e piazza della Signoria

La planimetria del teatro romano di Florentia al di sotto di Palazzo Vecchio e piazza della Signoria

Posto nel quadrilatero fiorentino e tra i patrimoni mondiali Unesco, Palazzo Vecchio racchiude infatti circa duemila anni di storia, offrendo una rilettura sociale e politica della città, dal teatro romano al periodo medievale, rinascimentale fino alla contemporaneità. Nell’area in cui sorge il Palazzo e nell’antistante piazza della Signoria, si concentrano testimonianze che vanno dal periodo di fondazione della città romana di Florentia, impiantata tra il 30 e il 15 a.C., fino agli interventi attuali. Il teatro, in grado di contenere circa 5mila spettatori, si trovava sotto gli attuali palazzo Vecchio e palazzo Gondi, con la cavea rivolta verso piazza della Signoria e la scena lungo piazza San Firenze e via dei Leoni. Era questo il nucleo dei servizi pubblici della città romana, con i bagni, le terme e il teatro. Scendendo i gradini, si può apprezzare la muratura romana del “Vomitorium”, il percorso principale di accesso alla scena del teatro, che era utilizzato a fine spettacolo per il deflusso del pubblico; le volte più recenti che sostengono il pilastro su cui poggia l’udienza del Salone del Cinquecento, sono quasi un monito che ricordano che il simbolo del potere cittadino posa e si regge sullo spazio pubblico romano. Le passerelle portano poi all’interno del Vomitorium: da qui si può ammirare la prima traccia dell’ambulacro circolare del teatro, il corridorio circolare che serviva da ingresso dal suolo pubblico, che si snoda sotto il cortile della Dogana. In un futuro prossimo, si immagina qui il vero ingresso al Museo di Palazzo, magari con un’architettura simbolica completamente in vetro. Percorrendo la passerella, si può osservare inoltre sia il pavimento romano, sia l’ammattonato successivo, riconducibile già al tardo medioevo, quando le ”burella” medievali furono recuperate come prigioni cittadine.

Le imponenti strutture del complesso teatrale del II secolo d.C. sotto Palazzo Vecchio

Le imponenti strutture del complesso teatrale del II secolo d.C. sotto Palazzo Vecchio

Si passa poi attraverso l’arcone in muratura poggiato dall’architetto Simone del Pollaiolo, detto Il Cronaca, sui muri del teatro per realizzare la parete est del Salone dei Cinquecento (quella di Leonardo e di Vasari): le diverse qualità della tessitura muraria permettono il confronto tra gli esperti costruttori della colonia romana e quelli della repubblica fiorentina. Dal varco, camminando sopra i gradini in cotto ed il lastrico rinvenuti nello scavo, si entra così in via di Bellanda, strada medievale della fase delle case torri (XII-XIII secolo) e, attraverso questa, nel medioevo fiorentino. La passerella conduce poi i visitatori nella prima vera sala in cui è anticipata l’idea dell’allestimento definitivo: in basso si può apprezzare la stratificazione archeologica che narra l’evoluzione, nel tempo, della città, dalle burella del teatro romano alle vie del Medioevo fino ad oggi. Infine, sullo sfondo della passeggiata, prima di uscire, la visita prevede una sosta per ammirare quattro statue romane, provvisoriamente rimosse dalla parete nord del Salone dei Cinquecento per i restauri, restituite al proprio tempo.

Un suggestivo passaggio all'interno della visita guidata al teatro romano di Firenze

Un suggestivo passaggio all’interno della visita guidata al teatro romano di Firenze

Cooperativa Archeologia, che sta realizzando gli scavi del Teatro Romano e l’allestimento del foyer del teatro, per conto del Comune di Firenze e con la direzione scientifica della soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana, ha corredato la visita di alcuni apparati video, che saranno proiettati sulle mura del teatro e illustreranno la storia del Palazzo e del teatro. I video, progettati e realizzati appositamente per quest’area archeologica dal gruppo creativo Cameranebbia di Milano, vengono proiettati sia sulle mura del Vomitorium che nel punto in cui è stata ritrovata via di Bellanda. Il primo, sulla parte romana, fa rivivere il corteo degli spettatori della Florentia del secondo secolo d.c. che si apprestavano ad entrare in teatro, giocando su sagome e ombre rielaborate; il secondo, sulla parte medievale, rappresenta un’elaborazione computerizzata e animata di un affresco di Giotto, una suggestione di un’architettura dell’epoca, giocata sulle geometrie e sui giochi di luci e ombre. Entrambi sono accompagnati da una sonorizzazione che ne ha aumentato la suggestione.